Diritto Tributario

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A cura dell'avv. Franco Ionadi e del dott. Spataro



Contenzioso tributario - Atti impugnabili - Estratti di ruolo: quando la Cassazione è ...sbadata


2014-01-25
abstract: Breve riflessione sul tema dell'impugnabilità degli estratti di ruolo.

Segnalato da Franco Ionadi


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   La questione della impugnabilità dell’estratto di ruolo nel contesto del giudizio tributario,   è stata affrontata di recente  dalla Suprema Corte  con la sentenza n. 6610/2013 (e anche con la sentenza gemella n. 6906/2012, relativa ad altro ricorso del medesimo contribuente e redatta dal medesimo estensore Dott. Bruschetta), ed è stata risolta nel senso della esclusione della ricorribilità per carenza di interesse, sul postulato della qualificazione dell’estratto quale atto interno dell’esattore.

    Tali aspetti, tuttavia, erano già stati valutati – e superati – dalla Corte in  precedenti arresti: a titolo di esempio, possono citarsi la sentenza n. 27385/2008 relativa – addirittura – alla ricorribilità della visura catastale, anch’essa rilasciata a istanza di parte; o anche le sentenze nn. 21045/2007, 16428/2007    a proposito dell’avviso bonario, ossia di un atto inviato dall’amministrazione senza peculiari formalità comunicative e per di più non contenente diffida alcuna ad adempiere; e infine possono citarsi la sentenza n. 724/2011 e l’ordinanza n. 15946/2010, in cui la Corte ha meglio chiarito le ragioni della “apertura” alla ricorribilità del mero estratto di ruolo  Tant’è che, proprio sulla scorta di tale indirizzo, in via di consolidamento,  Molti giudici di merito  hanno ritenuto di adeguarvisi. A puro titolo di esempio, nella sentenza n. 393/1/13, la Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia aveva precisato che “Questa Commissione ha già aderito al recente orientamento giurisprudenziale espresso da Cass. 724/2011 che a seguito di revisione critica del precedente orientamento ha sancito il seguente principio di diritto < In tema di contenzioso tributario, anche l’estratto di ruolo può essere oggetto di ricorso alla commissione tributaria, costituendo esso una parziale riproduzione del ruolo, cioè di uno degli atti considerati impugnabili dall’art. 19 del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 >”.

 Alla luce di tanto, deve dirsi che, a ben guardare, la sentenza n. 6610/2013 non può rappresentare espressione del diritto vivente per una molteplicità di ragioni. La Corte, in detta pronuncia, non pare proprio essersi accorta  degli arresti nel frattempo intervenuti, come sopra enunciati (sentenze nn,   21045/2007, 16428/2007, 27385/2008, 724/2011): neppure li menziona nell’ottica di argomentare una rivisitazione critica. La pronuncia in questione appare più che altro un acritico adeguamento a vecchie e superate pronunce, una sorta di apodittico ritorno al passato.

   Desta stupore il fatto che la Corte regolatrice del diritto sia incorsa in una tale svista. Anche perché alcuni giudici di merito non hanno perso tempo ad adeguarvisi meccanicamente: del resto, si sa, i ruoli delle commissioni tributarie sono colmi e talvolta una scappatoia di comodo può tornare utile per eliminare agevolmente un po’ d’arrenùtrato!

    Il fatto è che le pronunce sopra citate,  favorevoli alla impugnabilità, non solo si posero i problemi ermeneutici acriticamente (e lapidariamente) affrontati (o elusi) dalla sentenza n. 6610/13, ma li superarono all’esito di  una approfondita disamina della tematica, sia in relazione al diritto di difesa e tutela del contribuente (artt. 24  53 e 113 Cost.) sia in relazione al principio di buon andamento (art. 97) sia in relazione alla – riaffermata - non tassatività della elencazione degli atti impugnabili ex art. 19 D. Lgs. n. 546/1992 nonché alla conseguente riconosciuta possibilità di una interpretazione (in senso evolutivo) non più soltanto estensiva, ma addirittura analogica della medesima norma (ordinanza   n. 15946/2010). Tant’è che vi è stato chi, in dottrina, ha persino ritenuto di intravedere in quell’orientamento una manifesta apertura all’accertamento negativo nel processo tributario (es.: CARINCI, Rivista di Diritto Tributario, fasc. 10/2010, pag. 617). Conclusione quest’ultima che, ove cogliesse nel segno, non dovrebbe scandalizzare alcuno, atteso che una eventuale introduzione dell’accertamento negativo nel giudizio tributario  finirebbe col rappresentare un coerente aggiustamento del sistema nel senso di un riequilibrio delle posizioni, avuto riguardo alla sempre più crescente incisività dei mezzi di coazione a disposizione del fisco e dell’esattore.

  In tali condizioni, non può guardarsi alla sentenza n. 6610/2013 come a un punto di svolta che la Suprema Corte abbia voluto imprimere alla questione di diritto in parola giacché, a tal fine, sarebbe stato necessario un percorso argomentativo che evocasse le sopra citate pronunce per porvisi in consapevole – e motivato - contrasto; e sarebbe stato anche  necessario uno sforzo ermeneutico in chiave critica. Percorso argomentativo e sforzo ermeneutico che difettano nella menzionata pronuncia la quale perciò non può costituire un valido precedente cui fare riferimento per negare l’impugnabilità degli estratti di ruolo (per inciso, nei due giudizi decisi con le sentenze n. 6906/2012 e n. 6610/2013, lo stesso PG aveva chiesto l’accoglimento del ricorso del contribuente!!!).

   Non resta quindi che augurarsi una maggiore cautela dei giudici della Corte e, soprattutto, e al di là di ogni ipocrisia, una effettività della regola della collegialità delle sue decisioni. Mentre, nell’attesa di un raddrizzamento del tiro, che senz’altro ci sarà, certamente i giudici di merito sapranno regolarsi sul punto, come è sempre avvenuto..

  

    Franco Ionadi


2014-01-25 Segnalato da Franco Ionadi








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