Negli ultimi anni il problema del doping ha raggiunto dimensioni preoccupanti, vuoi per la diffusione in sé del fenomeno (si pensi all’intera squadra di sci di fondo della Finlandia, dove l’uso di sostanze dopanti faceva praticamente parte dell’allenamento), vuoi per l’alto livello di sperimentazione farmacologica (si pensi alle recenti olimpiadi invernali di Salt Lake City, durante le quali i fondisti Johann Muhlegg e Larissa Lazutina sono stati squalificati per l’uso di una sostanza che è l’evoluzione dell’ormai famosa eritropoietina (l’EPO), sostanza sintetizzata solamente nell’ottobre 2001); addirittura la sostanza non era compresa nella lista che ogni settembre l’agenzia mondiale antidoping (WADA) stila e che contiene l’indicazione di sostanze e pratiche mediche vietate: nessun problema comunque, dato che il documento contiene la dicitura “This is not an exhaustive list of prohibited substances. Many substances that do not appear on this list are considered prohibited under the term “and related substances””[1]. Il comitato olimpico internazionale ha da tempo incaricato la WADA di occuparsi del fenomeno, dai test antidoping al monitoraggio, senza tuttavia riuscire a circoscrivere in maniera decisa questa piaga dello sport[2]. Cosa spinga gli atleti a ricorrere ad aiuti estranei alle proprie energie naturali è facilmente intuibile, e non necessariamente il riferimento va alla popolarità ed alla gloria personale: si pensi soltanto alle decine di migliaia di euro che sono state distribuite come premi per una medaglia olimpica[3]. L’indimenticato Fausto Coppi dichiarò, durante una delle sue apparizioni televisive, di ricorrere alla “bomba” quando ce ne fosse bisogno, cioè quasi sempre, come egli stesso rispose alla precisa domanda del giornalista. È più difficile invece capire come mai un atleta ricorra a sostanze proibite anche in manifestazioni sportive durante le quali i controlli vengono intensificati ed il rischio di essere scoperti, con conseguente gogna più mediatica che sportiva[4], è decisamente elevato. Nel parlare dei controlli poi il condizionale è d’obbligo, qualunque affermazione potrebbe essere smentita il giorno seguente, tant’è vero che persino la situazione a livello di federazioni sportive è ingarbugliata: spesso alcune federazioni riconoscono la validità di un tipo di test, mentre altre assumono a parametro una diversa modalità di esame, e la differenza fra i diversi tipi di indagine di laboratorio non sono solo nel nome[5]; addirittura c’è chi sostiene che le analisi che hanno portato alla squalifica di Marco Pantani dal giro d’Italia 1999 nella tappa di Madonna di Campiglio non avrebbero sortito tale effetto se fossero state effettuate con il metodo adottato in seguito per i controlli al Tour de France. La mezzofondista russa Olga Yegorova fu invece ammessa fra le polemiche a disputare i mondiali di atletica leggera di Edmonton nel 2001 nonostante fosse stata trovata positiva ad un test antidoping effettuato durante un meeting precedente il torneo iridato; e questo perché il test utilizzato non era tra quelli considerati validi dalla IAAF, la federazione internazionale di atletica leggera. Il quadro si completa con l’abnorme disparità di trattamento sanzionatorio tra le diverse federazioni sportive: la FIGC commina 4 mesi a Edgar Davids, Jaap Stam, Pep Guardiola, tanto per citare i più famosi, mentre la FIDAL sanziona Andrea Longo con 2 anni di squalifica, e tutti per la stessa identica sostanza, il nandrolone. È chiaro che un quadro così articolato non facilita il compito degli addetti ai lavori, soprattutto in un momento in cui la giustizia sportiva tende a sovrapporsi con quella ordinaria[6]. interesa
[1] “Questo non è un elenco esaustivo delle sostanze proibite. Alcune che non appaiono in questa lista possono essere considerate proibite sotto i termini “e sostanze affini”. Appendice A del codice antidoping del movimento olimpico. Il documento continua con la frase: “Gli atleti sono tenuti ad accertarsi che tutti i farmaci, i prodotti di supplementazione e le preparazioni vendute liberamente, nonché tutte le altre sostanze utilizzate non contengano alcuna sostanza compresa fra quelle vietate”.
[2] Ad oggi (10 marzo 2002) sono cinque i casi di positività ai controlli antidoping accertati durante le olimpiadi invernali 2002.
[3] “…sempre maggiore coinvolgimento di grossi interessi economici in relazione alle varie manifestazioni sportive, come reso evidente non solo dalla diffusione di scommesse sui risultati delle competizioni o di premi in denaro ai vincitori ma anche del fenomeno in continua crescita delle sponsorizzazioni” così BONINI in “Nuove esigenze di tutela nell’ambito dei reati contro la persona”, a cura di Stefano Canestrari e Gabriele Fornasari, CLUEB, 2001, Bologna.
[4] Si pensi al citato caso del fondista spagnolo Johan Muhlegg, trovato positivo dopo la 50 km a tecnica classica dei giochi olimpici e quindi privato della medaglia d’oro: re Juan Carlos di Spagna ha rifiutato di riceverlo e la stampa spagnola lo ha definito la “vergogna nazionale”, mentre nessuno ha accennato al fatto che il fondista in realtà ha perso uno solo dei tre ori conquistati. Gli altri due, infatti, non sono stati revocati in quanto nei controlli delle gare in cui aveva vinto Muhlegg era risultato sempre negativo.
[5] Per un esempio si veda l’articolo “Doping - nuovi sviluppi e problematiche” di WILHELM SCHANZER, su “SdS – rivista di cultura sportiva”, anno XVII, n°44/1998, oppure su http://www.sergiolupomedicinasport.it/doping1.html
[6] Vedasi ad esempio il caso passaporti falsi che ha investito alcune importanti società calcistiche, fra cui Udinese, Milan, Inter, Sampdoria, Roma, nella stagione 2000/2001. Ai procedimenti pendenti di fronte alle corti di giustizia sportive si sono sovrapposti quelli della giustizia ordinaria; non è peraltro difficile immaginare che una situazione del genere si possa ripetere nel campo del doping, dopo la legge 376/2000.
2004-04-21 - Fonte: Dott. Gianluca Pinamonti
Doping Articolo