Questa settimana la mia attenzione è stata dedicata ad un caso a dir poco singolare, per quanto di singolare ormai ci sia rimasto ben poco nel calcio, a causa dei continui mutamenti che si susseguono.
La vicenda che mi accingo a trattare riguarda il presidente di una squadra di calcio di Milano che, deluso dall’ennesima prestazione dei suoi giocatori, ha pensato bene di dimettersi dall’incarico che fino a quel momento aveva ricoperto, e si è automandato in esilio.
Ma torniamo un po indietro con la memoria:
è bastata una notte per investire una vecchia gloria del calcio nostrano del ruolo di nuovo presidente, che forse senza nemmeno rendersene conto ha accettato.
E del resto cosa avrebbe dovuto fare un uomo di 61 anni che ha dedicato completamente la sua vita ai colori di quella società e che è stato uno dei protagonisti delle vittorie mondiali conseguite nei lontani anni 60 dal fù padre del presidente dimessosi.
Il ricordo di quegli indimenticabili successi non ha mai abbandonato la mente di questo ex presidente, che da ragazzo accompagnava allo stadio il venerato padre e insieme a lui condivideva la gioia di quei goals irripetibili siglati da campioni veri.
La speranza un giorno di poter ripetere simili gesta con a capo proprio quel ragazzo nostalgico è stato il desiderio più forte che lo ha pervaso per anni.
L’occasione capita nella metà degli anni 90, quando le cose stanno per precipitare e la società accusa il colpo; ed ecco allora che il sogno si realizza, finalmente viene rilevata la società e lui diventa presidente.
La prima cosa che fa è di chiamare a se tutti i campioni che hanno fatto grande questa squadra quando il padre ne era a capo, offrendo loro un ruolo all’interno del nuovo assetto societario.
Le luci della ribalta sono tornate ad accendersi dopo quasi trent’anni: tutto può esser ricreato, non manca nulla, tutto è al suo posto, come quella vecchia foto scattata in occasione dell’ennesima vittoria in coppa dei campioni e gelosamente conservata tra le cose più care.
Si capisce subito che chi ha accettato quel ruolo lo ha fatto soprattutto per amore e passione e non per altri motivi, la sua voglia è quella di vedere primeggiare questa squadra tra le competizioni più prestigiose e di ridargli il blasone che merita.
Per questo vengono acquistati i calciatori più quotati a livello internazionale senza rinunce e vengono ingaggiati gli allenatori più competenti; il rischio di un fallimento non viene calcolato e la macchina si mette in moto.
La partenza non è esaltante, ma lui ha le spalle larghe e sa che ci vorrà del tempo prima di tornare nell’olimpo del calcio, per cui le sorprendenti sconfitte patite con le provinciali non lo scompongono; lui è deciso ad andare fino in fondo.
Gli anni passano e i risultati non arrivano, molti allenatori si susseguono su quella panchina, ma nessuno fino ad ora è stato all’altezza del “Mago”, che sovente gli ritorna in mente accendendogli i ricordi più belli.
I calciatori che hanno vestito quella maglia, ormai non si contano più, nemmeno il “Fenomeno” ha lasciato il segno e in bacheca compare solo un trofeo internazionale di secondo ordine e uno scudetto bruciato sul filo di lana.
La stampa e i tifosi prendono sovente di mira quell’uomo che siede imperterrito su quella poltrona che ormai scotta ed è diventata ingestibile. Ma lui non si vuole arrendere, sebbene, succede pure che sovrastato da sgomento annuncia il suo addio, ma poi in men che non si dica ritorna sui suoi passi e accetta ancora di essere li pronto a fare da parafulmini alla sua squadra del cuore.
Poi l’esasperazione per una sconfitta assurda che fa gridare allo scandalo e le dichiarazioni rilasciate da un suo allenatore che gli suggerisce di “attaccare al muro i propri calciatori”, seppur a malincuore, lo portano ad allontanare il tecnico.
La convinzione di realizzare il suo progetto vacilla ogni giorno che passa, alla fine sono centinaia i miliardi (di vecchie lire) spesi e moltissime le energie personali profuse in quasi dieci anni di gestione.
Oggi viene contestato da tutti il suo operato, gli viene attribuita la piena paternità del fallimento del progetto e, quello che è ancor peggio, gli vengono mosse delle accuse pesanti che ledono la sua dignità.
Io, in quanto nostalgico, mi sento di poter fornire il pieno appoggio morale, perché questo posso fare, ad un uomo che ha creduto in qualcosa che sembrava possibile e che era parte dei suoi ricordi.
L’unica colpa, se si può chiamarla così, è quella di essersi fidato troppo e troppo spesso di gente che lo ha attorniato forse piu' per fini strettamente economici che con capacità ed esperienza; inoltre, la sua indiscussa buona fede di gentiluomo ha avuto quasi sempre la peggio nello scontro con chi vive di espedienti e sotterfugi, ma questo a mio parere gli fa onore e non lo pone affatto a quel livello.
Se io fossi in lui abdicherei anche da proprietario e mi libererei di tutti questi compromessi a cui giocoforza bisogna sottostare, altrimenti si rischia di essere confusi con chi invece è stato costretto ad abbandonare la poltrona non per “infranta speranza”, ma per giusta causa .
Buona fortuna Presidente! GESPA
2004-02-02 - Fonte: Avv. Gennaro Spagnoli
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