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Il nuovo codice di giustizia sportiva FIGC - luglio 2021 avv. Foggia





"Al lavoro si contrappone un altro tipo di sforzo che non nasce da un'imposizione, ma da un impulso veramente libero e generoso della potenza vitale: lo sport [...] Si tratta di uno sforzo lussuoso, che si dà a mani piene senza speranza di ricompensa, come il traboccare di un'intima energia. Perciò la qualità dello sforzo sportivo è sempre egregia, squisita". - Josè Ortega y Gasset

      

Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport : funzioni e problematiche giuridiche relative

2005-11-10  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

"Negli ultimi tempi vi è stata una forte evoluzione del fenomeno sportivo e l’accentrarsi verso esso di numerosi e variegati interessi, e sembra scontato che oramai sia tramontata l’idea, sostenuta in passato da molti, secondo cui non sia necessario l’intervento del diritto per regolare i conflitti di interesse che si possono generare intorno ad una competizione sportiva."

Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport : funzioni e problematiche giuridiche relative

di Vittorio Mirra

introduzione

Lo sport, come ogni attività umana, ha le sue regole e gli organi preposti a far rispettare queste regole.

Negli ultimi tempi vi è stata una forte evoluzione del fenomeno sportivo e l’accentrarsi verso esso di numerosi e variegati interessi, e sembra scontato che oramai sia tramontata l’idea, sostenuta in passato da molti, secondo cui non sia necessario l’intervento del diritto per regolare i conflitti di interesse che si possono generare intorno ad una competizione sportiva.

La progressiva "giuridicizzazione" del fenomeno si è realizzata (nel corso dei decenni) grazie agli interventi di dottrina, giurisprudenza ed una legislazione statale assai prolifica soprattutto negli ultimi anni.

Le soluzioni cui si è addivenuti si sono nel tempo sempre più "affinate" adattandosi il più possibile alle peculiarità dell’ordinamento sportivo; tuttavia permangono conflitti con l’ordinamento statale.

Uno degli aspetti di questo tema da considerare riguarda le problematiche legate all’arbitrato in tema di sport, arricchitosi recentemente attraverso l’istituzione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il CONI.

La creazione di tale organo, se da un lato ha risolto alcuni problemi, dall’altro ne ha creati molti altri in relazione al suo inquadramento, le sue regole e l’efficacia dei suoi "lodi", problematiche che si andranno ora ad approfondire non solo per gli esperti di diritto sportivo, ma anche a favore di chi è semplicemente interessato a conoscere e capire i meccanismi e le problematiche che si rinvengono in un settore come lo sport che quotidianamente è sulla bocca di tutti.

Sport e giudizio arbitrale

L’utilizzo della soluzione arbitrale per dirimere controversie in tema di lavoro sportivo non è nuova: moltissime Federazioni sportive nazionali ricorrono ad essa inserendo nei propri Statuti una clausola compromissoria devolutrice delle eventuali controversie ad un collegio arbitrale adeguatamente regolamentato.

In generale la configurabilità dell’istituto dell’arbitrato nell’ambito del diritto del lavoro è stata a lungo discussa e a fortiori il dibattito si è acceso in relazione all’arbitrato sportivo, visto che il lavoro sportivo è regolato da una legislazione parzialmente derogatoria dei principi generali.

Il codice di procedura civile regola l’arbitrato nel titolo VIII del libro IV, all’art. 806 pone un generale divieto riguardo alle controversie in materia di lavoro e più in particolare all’art. 808 in tema di clausola compromissoria, ammette la possibilità del deferimento ad arbitri delle controversie ex art. 409, solo quando previsto da accordi o contratti collettivi e secondo le regole dell’arbitrato rituale, mentre l’arbitrato irrituale è previsto dall’art. 5 della legge n. 533 del 1973 e più recentemente dall’art. 412 ter del codice di procedura civile, che consente alle parti di concordare il deferimento ad arbitri di controversie[…] se i contratti o gli accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà.

I due tipi di arbitrato presentano chiaramente delle differenze, la più importante riguarda l’impugnabilità del lodo (il primo va impugnato davanti alla Corte d’Appello , il secondo davanti al Tribunale in funzione di giudice del lavoro ). Tuttavia questa eterogeneità si è andata attenuando in virtù di un recente orientamento giurisprudenziale che evidenzia l’ "identità" dei due tipi di arbitrato, che avrebbero entrambi natura negoziale e differirebbero soltanto nella misura in cui le parti manifestano la volontà di ottenere o meno un negozio suscettibile di divenire esecutivo ex art. 825 c.p.c .

In generale, possiamo così riassumere gli elementi costitutivi del "tipo arbitrale" di risoluzione delle controversie:

Carattere negoziale del fondamento del "potere di giudizio"

Terzietà del giudicante rispetto alle parti

Osservanza di particolari garanzie procedurali

Funzione sostitutiva della giurisdizione .

Andando ora ad esaminare brevemente l’arbitrato sportivo, questo è regolato dall’art. 4 comma 5 della c.d. legge sul professionismo sportivo (legge 23 marzo 1981 n. 91), la quale prevede la possibilità che le parti rinuncino a tutelare in sede giurisdizionale i diritti nascenti dal rapporto di lavoro, compromettendo ad arbitri le controversie al riguardo, soltanto attraverso una espressa clausola inserita nel contratto individuale di lavoro, mancando la quale si applicherà la "generale" legge 533/1973 con relativo deferimento della controversia davanti al giudice ordinario .

Tralasciando l’annoso problema della riconducibilità di tale arbitrato al genus dell’arbitrato rituale ovvero irrituale , interesserà rilevare che ormai tutti gli organismi sportivi, anche a livello internazionale , inseriscono nelle loro carte federali una clausola compromissoria per il deferimento ad arbitri delle controversie insorte in ambito sportivo.

Alcuni rinvengono un esempio di clausola compromissoria anche nell’art. 27 dello Statuto FIGC, sancente l’impegno per i soggetti federati di accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti della Federazione Italiana Giuoco Calcio e di tutti i suoi soggetti delegati nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico.

Fin da ora mi sembra tuttavia opportuno effettuare alcune puntualizzazioni: innanzitutto non bisogna lasciarsi fuorviare dalle definizioni delle carte federali che, frequentemente, utilizzano il termine clausola compromissoria in maniera impropria; mentre io ritengo necessario evidenziare la differenza ad esempio tra la clausola compromissoria (con cui si deferiscono ad arbitri determinati tipi di controversie) ed il vincolo di giustizia (con il quale si vieta di adire il giudice ordinario per la risoluzione di controversie attinenti alla materia sportiva, rivolgendosi in tali casi ad organi federali).

Inoltre è utile evidenziare che per alcuni tipi di controversie (soprattutto quelle di tipo disciplinare) è tutto da dimostrare caso per caso che queste rientrino esclusivamente nella "materia sportiva", indifferente allo Stato, e non siano invece portatrici di situazioni giuridiche soggettive tutelabili attraverso il ricorso all’a.g.o.

Gli arbitrati previsti a livello federale non possono certo dirsi rispettosi dei principi di terzietà ed autonomia, essendo sì strettamente legati alla Federazione di appartenenza, ma essenzialmente delegati dalle parti in conflitto, quali mandatari di un rapporto contrattuale esistente, ed esprimenti semplicemente una volontà negoziale.

Purtroppo il problema di fondo riguardo tutte queste situazioni è sempre lo stesso: il conflitto tra la totale autonomia dello sport ed il rispetto delle norme dell’ordinamento statuale, che provoca numerosi ricorsi alla giurisdizione ordinaria; è anche per questo che a scopo deflattivo si opta per il modello arbitrale, un rimedio "alternativo" alla giurisdizione, ovviamente azionabile solo rispetto a diritti disponibili, più rapido e meno rigoroso in termini procedurali.

Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport presso il CONI: regolamentazione prevista e relative problematiche

Sulla ratio sopra evidenziata si fonda l’istituzione presso il CONI di una Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, prevista dall’articolo 12 del nuovo Statuto del CONI, operativa dal 2001; essa rappresenta una novità assoluta nell’ambito dell’ordinamento sportivo nazionale, fino ad allora privo di un organo di garanzia e giustizia, ispirato al rispetto dei principi di terzietà, autonomia ed indipendenza, che possa altresì assicurare sia procedimenti giurisdizionali più celeri sia la riduzione del numero delle controversie sottoposte alla cognizione del giudice statale.

Secondo il disegno della riforma, infatti, tale Camera doveva mettere un freno ai numerosissimi interventi della magistratura ordinaria nello sport, anche se c’è da dire che tale organismo è visto per lo più come uno strumento per coprire le "magagne" della giustizia sportiva federale (in cui si ha sempre meno fiducia), visto che gli interventi del giudice statale dipendono dalla natura dell’interesse oggetto di tutela, cosa che non può essere certo modificata dall’istituzione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.

Già la qualifica giuridica della Camera è molto discussa: la tesi prevalente la vede come ufficio istituito presso il CONI per regolare la giustizia sportiva.

Il meccanismo conciliativo prende spunto dal modello francese, che prevede una procedura conciliativa obbligatoria ex lege prima di procedere all’eventuale azione davanti al giudice statale; l’obbligatorietà di tale conciliazione determina la irricevibilità di una eventuale azione proposta davanti al giudice statale competente.

In Italia una legge del genere sarebbe improponibile al momento, dati gli stretti limiti e le garanzie che la nostra Carta Costituzionale assicura attraverso gli articoli 24 e 113, tutelanti il diritto di difesa e la ricorribilità davanti al giudice ordinario (civile o amministrativo) di situazioni lesive di diritti soggettivi e interessi legittimi.

La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport è nominata dal Consiglio Nazionale del CONI su proposta della Giunta Nazionale ed è formata da nove componenti (cinque fissi e quattro a rotazione scelti da un elenco di esperti in materia giuridica e sportiva ).

L’incarico di componente o di esperto è incompatibile con cariche rivestite in seno ad organi elettivi o giurisdizionali di Federazioni sportive nazionali, Discipline associate o Enti di promozione sportiva; questo meccanismo assicura il rispetto dei principi di imparzialità, autonomia, indipendenza di giudizio e l’osservanza dei principi deontologici, così come stabilito anche dallo stesso Regolamento della Camera .

Le funzioni della Camera sono di tre tipi:

Funzioni consultive

Funzioni conciliative

Funzioni arbitrali

Le funzioni consultive consistono nell’emissione di pareri non vincolanti in ordine a questioni giuridiche in materia sportiva, con esclusione di quelle aventi natura tecnico-sportiva; sembrerebbe inoltre che l’organizzazione normativa che le Federazioni si danno non dovrebbe essere intaccabile dalla Camera: si salvaguarderebbe così l’autonomia tecnico-organizzativa delle FSN.

La funzione conciliativa muove dall’idea di fondo che la vuole una procedura stragiudiziale, volontaria e cooperativa, nella quale una terza persona imparziale facilita la comunicazione tra le parti in conflitto, guidandone la negoziazione verso la ricerca di un accordo il più possibile soddisfacente per entrambi. Lo scopo è dunque quello di favorire la composizione amichevole della controversia in tempi più brevi e a costi ridotti rispetto al ricorso giurisdizionale.

La conciliazione può essere richiesta per qualsiasi controversia in "materia sportiva" ed in ogni caso deve trattarsi di decisioni definitive: si richiede infatti il previo esaurimento dei ricorsi interni della Federazione, Disciplina sportiva associata o Ente di promozione sportiva o comunque deve trattarsi di decisioni non soggette ad impugnazioni a livello federale .

La procedura conciliativa ha avuto ed ha tutt’ora un discreto successo a causa della sua rapidità, della sua flessibilità e per l’assenza di uno spiccato formalismo.

Si ricorda, inoltre, che è obbligatorio il tentativo di conciliazione se le parti, in caso di mancato accordo, vogliono iniziare la procedura arbitrale.

Anche per quanto riguarda le funzioni di arbitrato della Camera sussiste l’esaurimento dei ricorsi interni come requisito di procedibilità per l’azione arbitrale, la cui istanza deve essere presentata entro ventuno giorni dalla chiusura della conciliazione.

Il collegio arbitrale di solito è composto da tre componenti (ogni parte nomina il proprio arbitro; l’altro membro è nominato dal presidente della Camera), anche se per le questioni economiche le parti possono stabilire che la controversia sia decisa da un arbitro unico (nominato o d’intesa o dal presidente) .

Oltre a tali requisiti (insieme alle disposizioni sull’accettazione e la dichiarazione di indipendenza degli arbitri, nonché quelle sulla loro ricusazione e sostituzione), i principi di terzietà ed indipendenza di giudizio emergono anche dal fatto che l’attività della Camera non può essere fatta rientrare all’interno di quella della Federazione di volta in volta interessata: la Federazione è solo parte e non anche giudice, dunque l’attività della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport non è riferibile al procedimento federale interno .

Anche le regole procedurali sono molto attente ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, nonché ai metodi per assicurare l’acquisizione dei mezzi istruttori (compresa la consulenza tecnica).

Salvo diverso accordo tra le parti, la procedura arbitrale ha, nel sistema della Camera, natura irrituale e gli arbitri decidono applicando le norme di diritto, nonché le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale .

Il Regolamento conferisce alla Camera un potere integrale di riesame della controversia, senza subire limitazioni: non solo vizi di legittimità dunque, ma anche questioni di merito .

Il lodo deve avere ad oggetto tutti i punti della controversia, singolarmente motivati , ha efficacia vincolante tra le parti dalla data dell’ultima sottoscrizione ed è imputabile esclusivamente all’organo arbitrale, che agisce quale mandatario delle parti, e non può essere considerato atto della Camera o del CONI . Esso dovrebbe essere pronunciato nel termine di centoventi giorni dall’accettazione della nomina, ma il termine è prorogabile sia quando devono essere assunti mezzi di prova o sia stato pronunciato lodo parziale, sia se c’è l’accordo scritto delle parti.

Non sono pochi i problemi che presenta a livello giuridico questo organo arbitrale, considerando anche che di esso si è interessata anche la giurisprudenza statale.

Riguardo alla clausola compromissoria c’è poco da dire visto che anche recentemente è stata fatta salva dall’art. 3 primo comma della legge 17 ottobre 2003 n. 280 .

La prima questione riguarda la c.d. "pregiudiziale sportiva" necessaria ad esempio per adire i TAR ai sensi della già citata legge 280 del 2003; il problema è stabilire se la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport sia l’ultimo dei ricorsi interni o invece non faccia parte di questo meccanismo.

Non è questo un interrogativo peregrino, in quanto in caso di risposta affermativa (assimilando tale organo alla Cassazione dello Sport) si assisterebbe ad un paradosso per cui in ogni caso il TAR risulterebbe incompetente: nel caso non si passasse infatti davanti alla Camera non sarebbero considerati esauriti i gradi di giustizia sportiva, mentre in caso di ricorso alla Camera e considerando il lodo come rituale, il ricorso dovrebbe essere rivolto comunque al tribunale e non al TAR.

Per questo sembra più opportuno considerare i gradi di giustizia sportiva comprendenti solo gli organi federali e non questo organismo del CONI, tanto più che lo stesso Regolamento della Camera richiede l’esaurimento dei gradi di giustizia interni.

La Camera di Conciliazione solo erroneamente può definirsi come il terzo grado di giustizia sportiva, ma rappresenta in realtà un sistema di risoluzione delle controversie in materia sportiva esterno ai sistemi disciplinari delle Federazioni sportive ed alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria .

Di "Cassazione dello sport" poi non si può certamente parlare, sia perché è difficile scorgere una sua funzione nomofilattica, sia perché la Camera non giudica solo sulla legittimità, ma entra anche nel merito, effettuando una ricelebrazione in toto di tutto il processo sportivo, sminuendo in un certo senso i gradi precedenti di giustizia sportiva federale, meno garantisti, meno imparziali e carenti soprattutto in relazione al versante probatorio.

Recentemente il giudice amministrativo si è interessato di questo organo del CONI e più in particolare dell’efficacia del lodo arbitrale che questo emana.

La sesta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza del 9 luglio 2004 n. 5025, infatti, ha sancito la natura di provvedimento amministrativo delle decisioni della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport; in questo modo si sono rese tali decisioni sindacabili pienamente dal giudice amministrativo, non operando i limiti sanciti dall’articolo 829 c.p.c.

La natura di provvedimento giurisdizionale confligge così con la stessa definizione di "lodo" che in primis la Camera ha dato e continua a dare alle proprie decisioni.

Inoltre tale natura potrebbe far riaffiorare la questione imperniata sulla posizione della Camera quale ultimo grado di giustizia sportiva ("retrocedendo" i precedenti gradi di giustizia federale a meri atti endoprocedimentali in attesa del provvedimento definitivo rappresentato dal "lodo"), che tuttavia mi sembra di poter confutare per le ragioni prima esposte ed anche perché l’intervento della Camera non è certo obbligatorio e la mancanza di una istanza rivolta a questo organismo non può né togliere completamente valore ai gradi "interni" di giustizia sportiva, né impedire il ricorso alla giustizia ordinaria qualora ne ricorrano i presupposti.

Già in via generale infatti una clausola compromissoria potrebbe essere in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, col rischio di due processi paralleli difficili da raccordare, anche se questi problemi non sorgono se l’arbitrato riguarda diritti disponibili ed è una scelta consapevole delle parti, che rinunciano alla giurisdizione per accedere ad un meccanismo "alternativo" di risoluzione delle controversie.

La "miccia" accesa dal Consiglio di Stato, però, deve far riflettere su problematiche molto più a monte riguardanti la stessa natura della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.

Conclusioni

A questo punto ci si deve interrogare su quale strada percorrere: seguendo il ragionamento del giudice amministrativo, la Camera va vista come un organo amministrativo con funzioni paragiurisdizionali, capace di emanare provvedimenti amministrativi disciplinari.

L’altra strada è invece quella che porta a considerarla come un organo privato che emette dei lodi arbitrali (più facilmente classificabili come irrituali) in virtù di situazioni privatistiche tutelate derivanti da un contratto di lavoro subordinato .

Si tratterà di poteri disciplinari avocati per clausola arbitrale uniforme: in questo caso ci sarebbero sia i poteri disciplinari del datore di lavoro sia quelli del CONI per il mancato rispetto delle norme federali. I diritti in questione sono infatti disponibili e dunque arbitrabili, ma in caso di ricorso ci si dovrebbe rivolgere al giudice civile e non al TAR.

Andando ancora più a ritroso nel ragionamento giuridico, il problema di fondo è individuare la situazione giuridica tutelata, dalla quale partire per poi ragionare su competenza, poteri, sindacabilità e poteri di impugnazione.

Qual è il bene tutelato ?

Il rispetto delle clausole contrattuali e dei regolamenti sportivi (ed allora non c’è spazio per "poteri pubblicistici") o l’interesse dello Stato affinché lo sport sia svolto con date regole e con determinate condotte ?

Giudice sportivo e giudice statale ancora una volta non appaiono "in sintonia" e sembrano andare ognuno per la propria strada, fomentando un ulteriore conflitto, che si spera sarà almeno in parte sanato o con la riforma del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (tutt’ora in fase di elaborazione) o con una giurisprudenza statale finalmente costante nelle sue convinzioni e che si faccia prendere in considerazione anche a livello di ordinamento sportivo.

Gli arbitri non possono sfuggire a ciò che ha stabilito il giudice statale, neanche invocando l’autonomia dell’ordinamento sportivo o fregiandosi del fatto di appartenere ad un organo che rappresenta un "unicum" a livello di giustizia sportiva (caratteristica che giustifica il carattere creativo di alcune pronunce, soprattutto a livello di scelte sanzionatorie), che garantisce sia il rispetto dei diritti e degli interessi dei singoli, sia l’autonomia e la specificità degli ordinamenti sportivi. Deve però restare ben chiaro il fatto che in ogni caso ed a prescindere dalla convinzione che si abbia sulla natura della Camera e dei suoi "lodi", tutti possono e potranno adire tranquillamente al giudice ordinario ed al giudice amministrativo in caso di violazioni di diritti soggettivi o interessi legittimi in applicazione degli articoli 24, 25 e 113 della nostra Costituzione.

Per ora però sono ancora troppi i casi in cui le due giustizie si ignorano o fanno finta di ignorarsi, per poi tendere inevitabilmente allo scontro: sembra perciò sempre più necessaria una "operazione di ingegneria istituzionale ", magari attraverso la codificazione di un codice di diritto sportivo.

 

Dott. Vittorio Mirra

(viale Regina Margherita 244 , 00198 Roma

e-mail: vittmirra@inwind.it)

 

2005-11-10 - Fonte: Mail

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