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"L’errore peggiore è pensare che quello che conta più di tutto in una partita sia vincere. Niente affatto. Quello che conta è la gloria. È giocare con stile, con bellezza, è andare in campo e travolgere l’avversario, non aspettare che sia l’avversario a farsi avanti e così morire di noia.†- Danny Blanchflower

      

Tribunale europeo, proc. 313/02 del 30 settembre 2004 (Regolamentazione antidoping e danni agli atleti "positivi")

2004-11-01  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

Regolamentazione antidoping - Danno agli atleti trovati "positivi" - Competenza degli organi di composizione delle controversie sportive - No diritto comunitario

S

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
30 settembre 2004

 

«Concorrenza – Libera prestazione dei servizi – Regolamentazione antidoping adottata dal Comité international olympique (CIO) – Regolamentazione puramente sportiva»

Nella causa T-313/02,

David Meca-Medina, residente in Barcellona (Spagna),

Igor Majcen, residente in Lubiana (Slovenia),

rappresentati dall'' avv. J.-L. Dupont,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra O. Beynet e dal sig. A. Bouquet, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 1º agosto 2002 che respinge la denuncia, depositata dai ricorrenti contro il Comité international olympique (CIO), intesa ad ottenere l''accertamento dell''incompatibilità di alcune disposizioni normative adottate da questo ed attuate dalla Fédération internationale de natation (FINA), nonché di alcune pratiche relative ai controlli antidoping con le norme comunitarie in materia di concorrenza e di libera prestazione dei servizi (caso COMP/38158 – Meca-Medina e Majcen/CIO),

 

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE

(Quarta Sezione),

 

composto dal sig. H. Legal, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. M. Vilaras, giudici,

cancelliere : sig. J. Palacio González amministratore principale,

vista la fase scritta ed in seguito all''udienza del 21 aprile 2004,

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza




Contesto giuridico e fatti

1

Il Comité International Olympique (in prosieguo: il «CIO») è l’autorità suprema del Mouvement olympique (in prosieguo: il «Movimento olimpico»), che riunisce le differenti federazioni sportive internazionali, tra cui la Fédération internationale de natation, in prosieguo: la «FINA».

2

La FINA applica al nuoto, attraverso le sue Doping Control Rules (regole per il controllo antidoping, nel testo vigente all’epoca dei fatti, in prosieguo: le «DC»), il codice antidoping del Movimento olimpico. La regola DC 1.2, lett. a) definisce il doping come la «violazione che si verifica quando una sostanza vietata viene trovata nei tessuti solidi o liquidi del corpo di uno sportivo». Tale definizione corrisponde a quella enunciata all’articolo 2, n. 2, del citato codice antidoping, secondo cui è qualificabile come doping «la presenza nell’organismo dell’atleta di una sostanza vietata, la constatazione dell’uso di una tale sostanza o la constatazione dell’applicazione di un metodo vietato».

3

Il nandrolone e i suoi metaboliti, il norandrosterone (NA) e il noretiocolanolone (NE) (in prosieguo denominati, collettivamente: il «nandrolone»), sono sostanze anabolizzanti vietate. Tuttavia, secondo la prassi dei 27 laboratori accreditati dal CIO e dalla FINA e per tenere conto della possibilità di una produzione endogena, e dunque non colpevole, di nandrolone, la presenza di questa sostanza nei tessuti di atleti di sesso maschile è qualificata come doping soltanto oltre una soglia di tolleranza di 2 nanogrammi (ng) per millilitro (ml) di urina.

4

Qualora si accerti un primo caso di doping con un anabolizzante, la regola DC 9.2, lett. a), esige che l’atleta sia sospeso dalle competizioni per almeno quattro anni. Tale sanzione può tuttavia essere ridotta, in applicazione della regola DC 9.2, ultima frase, e delle regole DC 9.3 e DC 9.10, se l’atleta dimostra di non aver assunto scientemente la sostanza vietata oppure come detta sostanza potesse essere presente nei suoi tessuti senza negligenza da parte sua.

5

Le sanzioni vengono irrogate dal Doping Panel (Comitato antidoping) della FINA, le cui decisioni possono costituire oggetto di ricorso in appello dinanzi al Tribunal arbitral du sport (Tribunale arbitrale dello sport, in prosieguo: il «TAS»), in virtù della regola DC 8.9. Il TAS, che ha sede in Losanna, è finanziato e amministrato da un organismo indipendente dal CIO, il Conseil international de l’arbitrage en matière de sport (Consiglio internazionale per l’arbitrato nello sport; in prosieguo: il «CIAS»).

6

Le sentenze del TAS possono costituire oggetto di ricorso dinanzi al Tribunal fédéral suisse (Tribunale federale svizzero), giudice competente per la riforma delle sentenze di arbitrato internazionale emesse in Svizzera.

7

I ricorrenti sono due atleti professionisti che praticano il nuoto di lunga distanza, equivalente acquatico della maratona.

8

Nel corso di un controllo antidoping effettuato il 31 gennaio 1999 durante le competizioni di Coppa del mondo di questa disciplina a Salvador de Bahia (Brasile), in occasione delle quali si erano classificati, rispettivamente, primo e secondo, i ricorrenti sono risultati positivi al test contro il nandrolone. Il tasso rilevato per il sig. D. Meca‑Medina è stato di ng/ml 9,7 e per il sig. I. Majcen di ng/ml 3,9.

9

L’8 agosto 1999, il Doping Panel della FINA ha adottato una decisione di sospensione dei ricorrenti per un periodo di quattro anni.

10

Su appello dei ricorrenti, il TAS ha confermato, con sentenza arbitrale 29 febbraio 2000, la decisione di sospensione.

11

Nel gennaio 2000, esperimenti scientifici hanno dimostrato che i metaboliti di nandrolone possono essere prodotti in modo endogeno dall’organismo umano, ad un tasso che potrebbe superare la soglia di tolleranza consentita, con il consumo di alcuni alimenti, come la carne di verro.

12

Visti tali sviluppi, la FINA ed i ricorrenti hanno convenuto, con accordo arbitrale 20 aprile 2000, di deferire di nuovo la causa al TAS, ai fini di un riesame.

13

Con sentenza arbitrale 23 maggio 2001, il TAS ha ridotto la sanzione di sospensione dei ricorrenti a due anni.

14

I ricorrenti non hanno proposto ricorso contro questa sentenza arbitrale dinanzi al Tribunal fédéral suisse.

15

Con lettera del 30 maggio 2001, i ricorrenti hanno depositato una denuncia presso la Commissione, a norma dell’art. 3 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), lamentando la violazione degli artt. 81 CE e/o 82 CE.

16

Nella loro denuncia i ricorrenti hanno messo in discussione la compatibilità di alcune disposizioni regolamentari adottate dal CIO ed applicate dalla FINA, oltre che di alcune prassi relative al controllo antidoping, con la normativa comunitaria sulla concorrenza e sulla libera prestazione dei servizi. In primo luogo, la fissazione della soglia di tolleranza a ng/ml 2 costituirebbe una pratica concordata tra il CIO ed i 27 laboratori da esso accreditati. Detta soglia avrebbe scarse basi scientifiche e potrebbe condurre all’esclusione di atleti innocenti o semplicemente negligenti. Nel caso dei ricorrenti, il superamento accertato della soglia di tolleranza avrebbe potuto derivare dalla consumazione di un piatto contenente della carne di verro. In secondo luogo, l’adozione da parte del CIO di un meccanismo di responsabilità oggettiva oltre che l’instaurazione di organi competenti per la soluzione arbitrale delle controversie in materia di sport (il TAS ed il CIAS), insufficientemente indipendenti rispetto al CIO, rafforzerebbero il carattere anticoncorrenziale della soglia in causa.

17

Secondo detta denuncia, l’applicazione di questa normativa (in prosieguo denominata indistintamente: le «regole antidoping controverse» o la «regolamentazione antidoping controversa») condurrebbe alla violazione delle libertà economiche degli atleti, garantite in particolare dall’art. 49 CE, e, dal punto di vista del diritto della concorrenza, alla violazione dei diritti che gli atleti possono invocare a norma degli artt. 81 CE e 82 CE.

18

Con lettera dell’8 marzo 2002, la Commissione, in applicazione dell’art. 6 del regolamento (CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a norma dell’articolo [81 CE] e dell’articolo [82 CE] (GU L 354, pag. 18), ha indicato ai ricorrenti i motivi per cui essa riteneva di non dover accogliere la denuncia.

19

Con lettera dell’11 aprile 2002, i ricorrenti hanno presentato alla Commissione le loro osservazioni relative alla lettera dell’8 marzo 2002.

20

Con decisione 1º agosto 2002 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha respinto la denunzia dei ricorrenti, dopo aver esaminato la regolamentazione antidoping controversa secondo i criteri di valutazione del diritto della concorrenza e dopo essere pervenuta alla conclusione che tale regolamentazione non ricadeva nell’ambito del divieto previsto dagli artt. 81 CE ed 82 CE (punti 33-70 della decisione impugnata).


Procedimento e domande delle parti

21

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 ottobre 2002, i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

22

Con atto separato dello stesso giorno, i ricorrenti hanno presentato una istanza di procedimento accelerato, ai sensi dell’art. 76 bis del regolamento di procedura del Tribunale. Tale istanza, alla quale la Commissione si è opposta nelle sue osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 25 ottobre 2002, è stata respinta dal Tribunale.

23

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 24 gennaio 2003, la Repubblica di Finlandia ha chiesto di intervenire a sostegno della Commissione. Con ordinanza 25 febbraio 2003, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha autorizzato l’intervento. La parte interveniente ha depositato la sua memoria di intervento il 7 aprile 2003.

24

Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

25

I ricorrenti e la convenuta si sono presentati all’udienza del 21 aprile 2004, in occasione della quale hanno esposto le loro difese ed hanno risposto ai quesiti del Tribunale. La parte interveniente non si è presentata all’udienza e di questo si è preso atto nel relativo verbale.

26

I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia: annullare la decisione impugnata.

27

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–

respingere il ricorso;

–

condannare i ricorrenti alle spese.

28

La Repubblica di Finlandia chiede che il Tribunale voglia: respingere il ricorso.


In diritto

Argomenti delle parti

29

I ricorrenti sollevano tre motivi a sostegno del loro ricorso.

30

Secondo il primo motivo, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in fatto ed in diritto ritenendo che il CIO non sia un’impresa ai sensi della giurisprudenza comunitaria.

31

In base al secondo motivo, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in fatto ed in diritto, ritenendo che la limitazione della libertà degli atleti derivante dalla regolamentazione antidoping controversa non costituisca una restrizione della concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE, per il fatto che simile limitazione sarebbe inerente all’organizzazione ed al corretto svolgimento della competizione sportiva e non eccederebbe quanto necessario per conseguire l’obiettivo della lotta al doping. La Commissione avrebbe male applicato i criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza 19 febbraio 2002, causa C‑309/99, Wouters e a. (Racc. pag. I‑1577, in prosieguo: la «sentenza Wouters»).

32

Secondo il terzo motivo, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in fatto ed in diritto, dichiarando, al punto 71 della decisione impugnata, quanto segue: «La denuncia non fa riferimento a circostanze di fatto che permettano di pervenire alla conclusione che potrebbe sussistere una violazione dell’art. 49 CE ad opera di uno Stato membro o di uno Stato associato. Infatti, nessun elemento lascia supporre la responsabilità di un’autorità di uno Stato membro nell’adozione di atti che potrebbero rivelarsi contrari al principio della libera circolazione dei servizi».

33

La Commissione, dopo aver sostenuto preliminarmente che il ricorso sarebbe manifestamente infondato, in quanto inteso a rimettere in discussione, per ragioni artificiosamente tratte dal diritto della concorrenza, una sanzione sportiva e criteri scientifici stabiliti per la lotta contro il doping, procede poi, nel contesto della confutazione dei tre motivi di annullamento, alla giustificazione dell’analisi effettuata nella decisione impugnata. Da un lato, la Commissione fa valere che, al punto 37 della decisione impugnata, essa ha indicato che il CIO può essere qualificato come impresa ed ha aggiunto che, in seno al Movimento Olimpico, il CIO potrebbe essere considerato quale associazione di associazioni nazionali ed internazionali di imprese. Dall’altro, la Commissione avrebbe concluso a buon diritto, ai punti 55, 70 e 72 della decisione impugnata, che le regole antidoping controverse non ricadono nell’ambito del divieto previsto dall’art. 81, n. 1, CE e dall’art. 82 CE ed essa non avrebbe travisato i criteri stabiliti nella sentenza Wouters. Infine, la Commissione avrebbe giustamente respinto la denuncia, in quanto quest’ultima sostiene l’esistenza di una violazione dell’art. 49 CE, ma non contiene elementi che permettano di concludere che potrebbe sussistere simile violazione da parte di uno Stato membro o di uno Stato associato (punto 71 della decisione impugnata).

34

La Repubblica di Finlandia fa valere che, per quanto la riguarda, lo sport può essere considerato da due punti di vista: vi sarebbe, da un lato, l’attività sportiva propriamente detta, che svolgerebbe un ruolo sociale, culturale e unificante e, dall’altro, un’attività economica che si innesterebbe sullo sport. La Corte di giustizia avrebbe confermato che l’attività sportiva sarebbe disciplinata dal diritto comunitario soltanto in quanto sia configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 CE (sentenze della Corte 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, in prosieguo: la «sentenza Walrave», punto 8; 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, in prosieguo: la «sentenza Bosman», punto 73, nonché 11 aprile 2000, cause riunite C‑51/96 e C‑191/97, Deliège, Racc. pag. I‑2549, in prosieguo: la «sentenza Deliège», punto 41). Così l’attività sportiva propriamente detta e le regole inerenti a tale attività, tra le quali figurerebbero le regole antidoping, esulerebbero dal campo di applicazione del diritto comunitario della concorrenza. Per questa ragione il Tribunale non potrebbe accogliere il presente ricorso senza indebolire il sistema internazionale di lotta contro il doping, il che, a sua volta, indebolirebbe i valori che l’organizzazione dello sport mira a promuovere.

Giudizio del Tribunale

35

Il ricorso in esame, che mira all’annullamento di una decisione di rigetto di una denuncia, come risultato di un procedimento di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE, pone, in sostanza, la questione di stabilire se una regolamentazione antidoping possa essere contestata alla stregua dell’art. 49 CE, relativo alla libera prestazione dei servizi, e quali conseguenze possano essere eventualmente dedotte da tale accertamento con riferimento al diritto comunitario della concorrenza.

36

Per poter risolvere simile questione da cui dipende l’esito del ricorso, oltre che per rispondere ai motivi ed argomenti delle parti, è necessario definire la natura ed il contenuto della regolamentazione antidoping controversa, alla luce della giurisprudenza della Corte relativa all’applicazione delle disposizioni del Trattato CE sulle libertà economiche e, in particolare, delle disposizioni applicabili in materia di libera circolazione dei lavoratori, libera prestazione dei servizi e concorrenza, ai regolamenti che disciplinano le attività sportive.

Sull’applicazione ai regolamenti sportivi delle disposizioni del Trattato CE sulle libertà economiche

37

Occorre ricordare preliminarmente che, secondo la costante giurisprudenza della Corte e considerati gli obiettivi della Comunità, l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario solo in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 CE (sentenze della Corte Walrave, punto 4; 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, in prosieguo: la «sentenza Donà», punto 12; Bosman, punto 73; Deliège, punto 41, nonché 13 aprile 2000, causa C‑176/96, Lehtonen e Castors Braine, Racc. pag. I‑2681, in prosieguo: la «sentenza Lehtonen», punto 32). La Corte ha, per altro verso, riconosciuto che l’attività sportiva presenta una notevole importanza sociale nella Comunità (sentenze Bosman, punto 106, e Deliège, punto 41).

38

Questa giurisprudenza è d’altra parte confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo sport, figurante in allegato all’atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato di Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invita segnatamente gli organi dell’Unione europea a riservare un’attenzione particolare alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione è coerente con la detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in cui l’esercizio dello sport costituisce un’attività economica (sentenza Deliège, punto 42).

39

Quando un’attività sportiva riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato o di una prestazione di servizi retribuita, essa ricade in particolare nell’ambito di applicazione, a seconda dei casi, degli artt. 39 CE e segg. o degli artt. 49 CE e segg. (sentenze Walrave, punto 5; Donà, punti 12 e 13, e Bosman, punto 73).

40

Pertanto, secondo la Corte, i divieti che queste disposizioni del Trattato sanciscono si applicano alle norme adottate nel campo dello sport che riguardano l’aspetto economico che l’attività sportiva può rivestire. In tale contesto la Corte ha dichiarato che le norme che prevedono il pagamento di indennità nel caso di trasferimenti di giocatori professionisti tra club (clausole di trasferimento) o che limitano il numero di giocatori professionisti provenienti da altri Stati membri che detti club possono schierare durante le partite (norme sulla composizione delle squadre dei club), o ancora che fissano, senza ragioni obiettive riguardanti unicamente lo sport o motivate da differenze di situazione tra i giocatori, termini di scadenza per i trasferimenti diversi per i giocatori provenienti da altri Stati membri (clausole sui termini di scadenza per i trasferimenti) ricadono nel campo di applicazione di queste disposizioni del Trattato e sono soggette ai divieti che esse sanciscono (v., rispettivamente, sentenza Bosman, punti 114 e 137; sentenza Lehtonen, punto 60, e sentenza della Corte 8 maggio 2003, causa C‑438/00, Deutscher Handballbund, Racc. pag. I‑4135, in prosieguo: la «sentenza Kolpak», punti 56-58).

41

Per contro, i divieti che queste disposizioni del Trattato sanciscono non riguardano le regole puramente sportive, cioè quelle regole che riguardano le questioni che interessano esclusivamente lo sport e che, come tali, sono estranee all’attività economica (sentenza Walrave, punto 8). Infatti, tali regolamenti, attinenti al carattere ed al contesto specifico degli incontri sportivi, sono inerenti all’organizzazione ed al corretto svolgimento della competizione sportiva e non possono essere considerati costitutivi di una restrizione delle norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori e sulla libera prestazione dei servizi. In tale contesto si è giudicato che costituiscono regole puramente sportive, e quindi estranee per natura all’ambito di applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, quelle relative alla composizione delle squadre nazionali (sentenze Walrave, punto 8, e Donà, punto 14), o ancora le regole relative alla selezione da parte delle federazioni sportive di quelli tra i loro affiliati che possono partecipare a competizioni internazionali di alto livello (sentenza Deliège, punto 64). Fanno ugualmente parte di queste norme le «regole del gioco» in senso stretto, quali ad esempio le regole che fissano la durata delle partite o il numero di giocatori in campo, dato che lo sport non può esistere e funzionare se non nell’ambito di regole determinate. Questa restrizione della sfera di applicazione delle dette norme del Trattato deve tuttavia restare entro i limiti del suo oggetto specifico (sentenze Walrave, punto 9; Donà, punto 15; Bosman, punti 76 e 127; Deliège, punto 43, e Lehtonen, punto 34).

42

Occorre osservare che la Corte, nelle sentenze summenzionate, non si è trovata a dover decidere sulla subordinazione delle regole sportive in causa alle norme del Trattato relative alla concorrenza (v., a questo proposito, sentenze Bosman, punto 138; Deliège, punti 36-40, e Lehtonen, punto 28). Tuttavia, i principi desunti dalla giurisprudenza, in materia di applicazione ai regolamenti sportivi delle disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone e dei servizi, sono ugualmente validi per quanto riguarda le disposizioni del Trattato relative alla concorrenza. Infatti, la circostanza che un regolamento puramente sportivo sia estraneo all’attività economica, con la conseguenza che, secondo la Corte, esso non ricade nell’ambito di applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, significa, parimenti, che esso è estraneo ai rapporti economici che interessano la concorrenza, con la conseguenza che esso non ricade nemmeno nell’ambito di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE. Per contro, una normativa che, sebbene adottata nell’ambito dello sport, non sia puramente sportiva, ma riguardi l’aspetto economico che l’attività sportiva può rivestire, ricade nel campo di applicazione delle disposizioni tanto degli artt. 39 CE e 49 CE che degli artt. 81 CE ed 82 CE e può, eventualmente, recare pregiudizio alle libertà garantite da tali disposizioni (v., a questo proposito, le conclusioni dell’avvocato generale Lenz, presentate nella causa Bosman, Racc. pag. I‑4930, paragrafi 253-286, e specialmente paragrafi 262, 277 e 278; dell’avvocato generale Cosmas nella causa Deliège, Racc. pag. I‑2553, paragrafi 103-112, nonché dell’avvocato generale Alber nella causa Lehtonen, Racc. pag. I‑2685, paragrafi 110 e 115) ed essere oggetto della procedura di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE.

43

E’ alla luce di queste considerazioni che occorre definire la natura dei regolamenti antidoping e, nella fattispecie, delle regole antidoping controverse.

Sulla natura delle regole antidoping controverse

44

E’ necessario osservare che, benché sia certamente vero che lo sport di alto livello è divenuto in larga misura un’attività economica, rimane nondimeno il fatto che la lotta antidoping non persegue alcun obiettivo economico. Infatti, la lotta antidoping è intesa a preservare, in primo luogo, lo spirito sportivo (il fair play) senza il quale lo sport, praticato tanto a livello dilettantistico quanto professionale, non è più sport. Questo obiettivo, puramente sociale, giustifica da solo la lotta antidoping. In secondo luogo, dato che i prodotti dopanti non sono privi di effetti fisiologici negativi, tale lotta mira a salvaguardare la salute degli atleti. Pertanto, il divieto del doping, in quanto espressione particolare del principio del fair play, rientra fra le prime regole del gioco sportivo.

45

Occorre sottolineare, del resto, che l’attività sportiva è nella sua essenza stessa un’attività gratuita, non economica, e questo anche quando l’atleta la pratichi in un contesto professionale. In altre parole, il divieto del doping e i regolamenti antidoping riguardano esclusivamente, anche quando l’attività sportiva è compiuta da un professionista, una dimensione non economica di detta attività che ne costituisce l’essenza stessa.

46

Simili considerazioni trovano eco nel Piano di sostegno comunitario alla lotta contro il doping nello sport 1º dicembre 1999 (COM /1999/ 643 def.), secondo cui il doping «simbolizza l’antinomia dello sport e dei valori che [esso] ha tradizionalmente rappresentato», nel Documento di lavoro della Commissione 29 settembre 1998, intitolato «Evoluzione e prospettive dell’azione comunitaria nel settore dello sport», che dichiara che «lo sport (…) svolge nella società un ruolo moralizzatore» attraverso i «valori (…) associati al “fair-playâ€, alla solidarietà, alla concorrenza leale, allo spirito di squadra» che esso porta con sé, e nella relazione della Commissione al Consiglio europeo nell’ottica della salvaguardia delle strutture sportive attuali e del mantenimento della funzione sociale dello sport nel quadro comunitario, 10 dicembre 1999 (COM/1999/0644 def., detta anche «relazione di Helsinki»), secondo cui «[l]e regole inerenti allo sport sono, in primo luogo, le “regole del giocoâ€Â» e «[l]’oggetto di queste regole non è quello di falsare la concorrenza».

47

Tenuto conto di quanto precede, si deve constatare che il divieto del doping si basa su considerazioni puramente sportive ed è dunque estraneo a qualsiasi considerazione economica. Simile constatazione comporta, alla luce della giurisprudenza e delle considerazioni riportate nei precedenti punti 37- 42, che le regole per la lotta antidoping, esattamente come i regolamenti esaminati dalla Corte nelle sentenze Walrave, Donà e Deliège, non possono rientrare nell’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato sulle libertà economiche e, in particolare, degli artt. 49 CE, 81 CE ed 82 CE. Le regole antidoping, infatti, sono intimamente legate allo sport in quanto tale.

48

Nella fattispecie in esame, il Tribunale giudica che la medesima soluzione si impone con riferimento alla regolamentazione antidoping controversa.

49

Da un lato, infatti, è pacifico nel fascicolo che la regolamentazione antidoping controversa non persegue alcuno scopo discriminatorio. Al contrario, i ricorrenti non hanno affatto addotto, in particolare, che la soglia di tolleranza menzionata nel precedente punto 3 sarebbe applicata selettivamente ad alcuni atleti o categorie di atleti per escluderli dalle competizioni. Qualora si riscontrasse una simile discriminazione, la restrizione del campo di applicazione delle disposizioni del Trattato sulle libertà economiche, riconosciuta dalla Corte per quanto riguarda i regolamenti puramente sportivi (sentenza Walrave, punto 9), non potrebbe, evidentemente, essere applicata con riferimento ai regolamenti in causa. Infatti, simile restrizione non sarebbe in tal caso limitata al suo oggetto specifico, che è la salvaguardia della «nobile emulazione e [de]gli altri ideali sportivi» (conclusioni dell’avvocato generale Cosmas presentate nella causa Deliège, citate, paragrafi 50 e 74). Simili regolamenti non esulerebbero dunque dall’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato sulle libertà economiche e potrebbe sussistere una violazione delle dette libertà, violazione che spetterebbe alla Commissione constatare e sanzionare nell’ambito di un procedimento di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE, qualora i regolamenti in causa comportassero eventuali inottemperanze alle norme sulla concorrenza.

50

D’altra parte, il Tribunale giudica che gli argomenti attraverso i quali i ricorrenti tentano, sotto due angolazioni diverse, di porre nuovamente in discussione la natura puramente sportiva della regolamentazione antidoping controversa non risultano efficaci.

51

Sotto un primo punto di vista, i ricorrenti sostengono che la regolamentazione antidoping controversa pregiudica le loro libertà economiche perché comporta nei loro confronti determinate ripercussioni economiche.

52

Simile ragionamento, che equivale a sostenere che una regolamentazione non può essere puramente sportiva se comporta ripercussioni economiche, è in contraddizione con la giurisprudenza della Corte.

53

Infatti, è esattamente perché, in primo luogo, una regolamentazione sportiva ha ripercussioni economiche nei confronti degli sportivi professionisti e perché, in secondo luogo, tale regolamentazione è giudicata eccessiva da alcuni di detti sportivi, che nascono controversie e si pone la questione di stabilire se detta regolamentazione abbia un carattere puramente sportivo (caso dei regolamenti che hanno dato occasione alle sentenze Walrave, Deliège e Donà) o se essa si riferisca all’attività sportiva nella sua dimensione economica (caso dei regolamenti che hanno dato occasione alle sentenze Bosman, Lehtonen e Kolpak).

54

Sempre secondo la prima angolazione, i ricorrenti hanno sostenuto, soprattutto in udienza, che è per il suo carattere asseritamente eccessivo che la regolamentazione antidoping controversa violerebbe le libertà economiche degli atleti garantite dal Trattato. In altri termini tale regolamentazione, tutto sommato non discriminatoria, sarebbe divenuta, in quanto eccessiva e proprio a causa di tale sua natura, diversa da una regolamentazione antidoping e, pertanto, diversa da una regolamentazione puramente sportiva.

55

Questo ragionamento non può essere accolto. Infatti, è pacifico che le regole controverse sono disposizioni antidoping per loro stessa natura. In particolare, esse non perseguono alcun obiettivo discriminatorio. Di conseguenza il carattere asseritamente eccessivo di queste regole, anche se confermato, non ha l’effetto di far loro perdere la natura di regole puramente sportive e dunque di far dipendere la loro legittimità da una valutazione secondo i criteri economici del diritto della concorrenza, fintantoché esse restano limitate al loro oggetto specifico che è la lotta contro il doping e la salvaguardia dello spirito sportivo. Del resto, i ricorrenti stessi ammettono la legittimità del perseguimento di questo obiettivo.

56

Sotto una seconda angolazione, i ricorrenti sostengono nel ricorso che la regolamentazione antidoping controversa non sarebbe basata soltanto su considerazioni altruistiche e mediche, ma anche su considerazioni economiche proprie del CIO e sarebbe, in particolare, motivata dalla preoccupazione, in linea di principio legittima, di non vedere il potenziale economico dei Giochi olimpici diminuito dagli scandali legati al doping. Questa allegazione deve essere respinta se e in quanto mira a suggerire che il regolamento antidoping controverso non sarebbe una regolamentazione puramente sportiva.

57

Infatti, la circostanza che il CIO abbia potuto anche aver presente la preoccupazione, legittima secondo i ricorrenti stessi, di preservare il potenziale economico dei Giochi olimpici in occasione della fissazione della regolamentazione antidoping controversa non comporta, di per sé, la conseguenza di non dover riconoscere a tali regole una natura puramente sportiva.

58

Inoltre, anche qualora fosse dimostrato, cosa che non avviene nella fattispecie, che il CIO abbia agito in funzione dei suoi soli interessi economici, si dovrebbe ben ritenere che esso abbia adottato come soglia di tolleranza quella meglio giustificata sul piano scientifico. Infatti, si deve rilevare che l’interesse economico del CIO è quello di avere la regolamentazione antidoping più esatta scientificamente, allo scopo di assicurare il miglior livello delle competizioni sportive, e dunque di interesse mediatico, e contemporaneamente di evitare gli scandali che l’esclusione sistematica di atleti incolpevoli potrebbe provocare.

59

Ne deriva che l’allegazione dei ricorrenti, dedotta dal fatto che la fissazione di una soglia di tolleranza asseritamente troppo bassa andrebbe incontro agli interessi economici del CIO, non è né efficace né convincente e deve essere respinta.

60

Per quanto riguarda la decisione impugnata, il Tribunale osserva che la conclusione cui perviene la Commissione al punto 72 di detta decisione, secondo cui «le regole e le prassi in causa non ricadono nell’ambito di applicazione del divieto sancito dagli artt. 81 [CE] ed 82 [CE]», è corretta.

61

Per pervenire a questa conclusione, la Commissione, dopo aver precisato, al punto 40 della decisione impugnata, che la valutazione della compatibilità delle regole antidoping controverse con l’art. 81 CE implica un esame inteso a stabilire se, nel contesto giuridico ed economico in cui esse sono applicate, il loro oggetto o il loro effetto sia quello di restringere la concorrenza, ha subito osservato che queste norme non hanno lo scopo di restringere la concorrenza. Si tratta, secondo la Commissione, di strumenti destinati esclusivamente a combattere il doping, che hanno l’unico scopo di assicurare l’identificazione e la punizione degli atleti che, con i loro comportamenti, contravvengono agli obblighi cui sono soggetti con riferimento all’uso di sostanze proibite ed all’utilizzo di metodi vietati (punto 41 della decisione impugnata). Quanto agli effetti sulla concorrenza, la Commissione ha giudicato che è possibile che le regole antidoping controverse abbiano per effetto di limitare la libertà d’azione dell’atleta, ma anche che una tale limitazione non è necessariamente una restrizione della concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE, poiché essa può essere inerente all’organizzazione ed al corretto svolgimento delle competizioni sportive (punto 42 della decisione impugnata). Nel prosieguo della decisione impugnata, la Commissione, basandosi su di un’analisi fondata sulla sentenza Wouters, perviene alla conclusione che le regole antidoping controverse sono essenzialmente legate al corretto svolgimento delle competizioni sportive, che esse sono necessarie per lottare efficacemente contro il doping e che la limitazione della libertà d’azione degli atleti non va oltre quanto è necessario per raggiungere questo obiettivo. Ne deriva che, secondo la Commissione, esse non ricadono nell’ambito di applicazione del divieto previsto dall’art. 81 CE (punto 55 della decisione impugnata).

62

In udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, la Commissione ha precisato che la decisione impugnata è basata sulle sentenze Walrave, Donà e Deliège, citate nei precedenti punti 37 e 41, e dunque sulla natura puramente sportiva della regolamentazione antidoping controversa. Essa ha aggiunto di aver proceduto all’esame della detta regolamentazione, pur sempre meramente sportiva, sotto il profilo del diritto della concorrenza, e secondo il metodo di analisi desunto dalla sentenza Wouters, soltanto «in subordine» o, anche, «ad abundantiam». La Commissione avrebbe soprattutto voluto assicurarsi che la regolamentazione antidoping controversa non fosse discriminatoria.

63

Su quest’ultimo punto, il Tribunale ricorda che non è stato assolutamente dedotto nella denuncia il fatto che il regolamento antidoping controverso fosse discriminatorio. Al contrario, era pacifico che esso si applicava a tutti gli atleti. Questa circostanza incontroversa, del resto, sta a fondamento della decisione impugnata, che si limita a menzionarla al punto 50.

64

Sulla questione più generale dell’esame effettuato dalla Commissione, in subordine o ad abundantiam secondo la terminologia da essa stessa usata, della regolamentazione antidoping controversa alla luce del diritto della concorrenza, il Tribunale giudica che, in effetti, tale analisi non era necessaria, trattandosi di regole puramente sportive e viste le sentenze Walrave, Donà e Deliège.

65

D’altra parte, occorre segnalare che la fattispecie in esame si distingue dalla controversia che ha dato luogo alla sentenza Wouters. Infatti, la normativa controversa nella causa Wouters riguardava un comportamento di mercato – la costituzione di rapporti di collaborazione tra avvocati e revisori dei conti – e si applicava ad un’attività essenzialmente economica, quella d’avvocato. Per contro, la regolamentazione in causa nella presente fattispecie riguarda un comportamento – il doping – che, a meno di snaturare lo sport, non può essere assimilato ad un comportamento di mercato, e si applica ad un’attività, la pratica sportiva, che, considerata nella sua essenza stessa e come si è osservato nel precedente punto 45, è estranea a qualsiasi considerazione economica.

66

Pertanto, il Tribunale afferma che il riferimento al metodo di analisi della sentenza Wouters non può comunque porre nuovamente in dubbio la conclusione cui è pervenuta la Commissione nella decisione impugnata, secondo cui la regolamentazione antidoping controversa esulerebbe dal campo di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE, in quanto tale conclusione si basa, in definitiva, sulla considerazione che la regolamentazione antidoping controversa è di natura puramente sportiva.

67

Detta natura di regolamentazione puramente sportiva comporta che la contestazione da parte dei ricorrenti delle regole antidoping controverse abbia attinenza con l’ordinamento sportivo e rientri nella competenza degli organi di composizione delle controversie sportive. A questo proposito, il Tribunale ricorda che i ricorrenti avevano a disposizione vie di ricorso che hanno utilizzato solo parzialmente. Essi hanno, infatti, rinunciato a contestare la sentenza arbitrale del TAS 23 maggio 2001 dinanzi al Tribunal fédéral suisse.

68

Visto l’insieme delle considerazioni che precedono, il Tribunale dichiara che i tre motivi di annullamento dedotti dai ricorrenti a sostegno del presente ricorso sono irrilevanti. Infatti, i due primi motivi, relativi a manifesti errori di valutazione che la Commissione avrebbe commesso nel qualificare il CIO come impresa e nell’applicazione dei criteri della sentenza Wouters, sono fondati sull’erronea premessa che la regolamentazione antidoping controversa appartenga al diritto della concorrenza. Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo ad un errore manifesto di valutazione da parte della Commissione nell’applicazione dell’art. 49 CE, esso riposa sull’erronea premessa che la regolamentazione antidoping controversa abbia attinenza con questa disposizione. Questi motivi devono dunque essere respinti senza che vi sia bisogno di esaminarli ulteriormente.

69

Occorre di conseguenza respingere il ricorso, senza che vi sia bisogno di accogliere la domanda dei ricorrenti, mirante all’assunzione della testimonianza di due esperti scientifici.


Sulle spese

70

Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, i ricorrenti, rimasti soccombenti, vanno condannati alle spese. Peraltro, a norma dell’art. 87, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)

Il ricorso è respinto.

2)

I ricorrenti sono condannati a sopportare le proprie spese e quelle sostenute dalla Commissione.

3)

La Repubblica di Finlandia deve sopportare le proprie spese.

 

2004-11-01 - Fonte: Curia

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