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Il calcio preso a calci - n. 2

2004-02-04  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

La morte sul campo


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Tutti ricorderete certamente quelle incredibili immagini che le tv ci hanno proposto la settimana scorsa, circa la morte di un calciatore ungherese militante nella squadra portoghese del Benfica.

Il nome di quel giovane di 24 anni era Miklos Feher, giocava attaccante e da giovanissimo dovette lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove dove veniva considerato più che una bella speranza.

I quotidiani del giorno dopo non trascurarono la notizia ma la posero oltre la pagina 20, quasi non destasse alcuna sensazione.

Il tragico epilogo si era consumato sul campo da gioco mentre stavano trascorrendo i minuti di recupero di Guimaraes-Benfica: Miki (così amava essere chiamato dagli amici) era stato appena ammunito per aver ritardato la regolare ripresa del gioco e si stava allontanando dalla palla per consentirne la ripresa quando, all’improvviso, crollava a terra senza mai più rialzarsi.

Era stato colpito da un fulminante arresto cardiaco e (purtroppo) i soccorsi portati dai medici presenti e da quelli giunti con l’ambulanza risultavano inutili; Feher moriva poco dopo in ospedale.

Ci si chiede come sia potuto succedere una cosa del genere a un atleta continuamente sottoposto ad accurati (e costanti) controlli. Il medico sportivo che lo seguiva dai tempi delle giovanili ha affermato che non soffriva di alcun disturbo cardiaco, quindi la cosa si fa ancora più inquietante.

La morte di Feher segue a distanza di qualche mese quella di Foe, calciatore della nazionale camerunese morto in circostanze simili, anche lui senza mai accusare prima alcun sintomo.

Il dispiacere per la loro scomparsa è grande, come resta grande l’interrogativo sulla vera causa che ha ucciso questi atleti.

Non serve dire che sulla vicenda si allunga l’ombra del doping (su cui, vista l’importanza di argomenti convergenti, mi riprometto di tornare successivamente).

Doping? il sospetto è forte e gli accertamenti eseguiti non hanno escluso che in passato il fisico di Feher possa essere stato messo a dura prova da qualcosa di “misteriosoâ€.

A mio parere, questo è un sospetto fondato che ha colpito, colpisce e colpirà ancora chi è chiamato a misurarsi ogni giorno con l’esasperazione del raggiungimento dei risultati.

La grave situazione è ormai sotto gli occhi di tutti e anche i più scettici hanno aperto gli occhi prendendo le distanze da certi giudizi a dir poco grossolani.

Tutte le voci più autorevoli delle organizzazioni sportive si dichiarano apertamente contro il doping, ma si sa che solo la forma non basta, ci vuole ben altro per sconfiggere chi mette in circolazione farmaci e preparati fuorilegge.

In Italia numerose procure da anni hanno aperto delle indagini che ogni giorno riservano delle spiacevoli sorprese. La settimana scorsa in un processo in corso sono stati sentiti come testimoni alcuni calciatori di spicco che hanno ammesso di avere coscientemente assunto sostanze che con il gioco del calcio poco hanno a che fare.

Il continuo confronto con i giudici di calciatori, medici e preparatori ci induce a riflettere sul panorama reale che circonda questo calcio reso a ogni costo spettacolare.

E già, lo spettacolo!

Le leghe nazionali e internazionali per volontà del business aumentano ogni anno che passa il numero degli incontri ufficiali, e le società chiedono ai propri atleti di essere all’altezza di tutti gli impegni fissati.

Lo stesso calciatore è chiamato a disputare a certi livelli e con la stessa abnegazione due o tre partite ogni sette giorni e ad assorbire gli spostamenti per trasferte, allenamenti e piccoli infortuni senza colpo ferire; con questo ritmo si va avanti senza soste per dieci mesi all’anno.

Inoltre, la continua attenzione, soprattutto di giornali e televisioni, sulle prestazioni di questi atleti contribuisce (e non poco) a completare il quadro dell’esasperazione.

Il mio parere, credo condiviso anche da molti altri, è che in questo “mondo†troppo spesso ci si dimentica che, se si tira troppo la corda, prima o poi si giunge inevitabilmente alle conseguenze che conosciamo, e questa forse non è una cosa da trascurare visto che stiamo parlando di esseri umani e non di macchine.

Si vedono calciatori che fanno 3 o 4 stagioni alla grande, arrivano perfino in nazionale e poi scompaiono nel nulla. Sarà un caso, ma coloro che praticano seriamente questo sport sanno che non è possibile avere certi ritmi per periodi così lunghi pure allenandosi costantemente ogni giorno.

E questo non è certo allarmismo, ma consapevolezza delle tragiche conseguenze a cui si può andare incontro, viste le innumerevoli rivelazioni che confermano la massiccia presenza del fenomeno degenerativo nel calcio (e non solo).

È di quindici giorni fa la notizia shock di un noto allenatore sessantenne che ha deciso di rendere noti alcuni fatti di quando era calciatore, affermando che gli venivano somministrate dosi da cavallo di sostanze proibite.

Alla luce di questi e altri fatti potremmo dire che il doping rappresenta una sorta di contrapposizione al successo, confermando la sua esistenza da sempre capace com’è di  poter  operare una pressione costante su chi è continuamente in competizione, perfino posponendo la propria salute al risultato.

Le istituzioni dello sport nazionale sembra abbiano preso coscienza in modo serio del dilagante fenomeno solo da quest’anno, adottando il doppio prelievo sangue/urina; con quali risultati staremo a vedere!

Certamente è ancora impresso nella memoria di tutti lo scandalo che coinvolse il centro analisi più accreditato del nostro sport tacciandolo delle peggiori macchinazioni. E la sua chiusura temporanea venne ordinata solo per evitare conseguenze peggiori ai colpevoli che una volta messi alle strette avrebbero forse vuotato il sacco? Questo non lo possiamo sapere, ma certo è che il “Palazzo†per un attimo ha tremato, anche se poi si è tutto dissolto in una gigantesca bolla di sapone.

Cosa può succedere in un centro analisi che può determinare la carriera di questo o quel calciatore è difficile stabilirlo, anche se è chiaro che gli interessi in gioco sono elevati e le pressioni fortissime.

Visto il caos che governa gli ambienti che dovrebbero fornire le dovute garanzie possiamo solo avere fiducia e sperare che chi è chiamato a svolgere questo delicato compito lo faccia con estrema professionalità e coscienza senza paura di pressioni e minacce.

Dico questo perché credo che sia molto importante poter intervenire in tempo, fermando un processo che porterebbe alla completa devastazione dell’organismo di chi ha abusato di farmaci con delle poco sincere controindicazioni che però non lasciano molto spazio all’immaginazione.

Al di là di ogni squalificante comportamento ciò che mi preme più sottolineare è la salvaguardia della vita umana, in quanto credo che sia un diritto intoccabile e che tutti i successi di questo mondo non dovrebbero mai essere barattati nemmeno per un raffreddore.

Ma il mio è solo un pensiero dettato dalla coscienza e non certo dal business! Gespa

2004-02-04 - Fonte: Avv. Gennaro Spagnoli

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