A dieci anni dall’ultima tragedia nel mondo delle due ruote (la morte del pilota giapponese Wakay, causata, mentre stava transitando ai box, dall’improvviso attraversamento della pit-line da parte di un tifoso), il terribile incidente occorso al pilota Honda Daijiro Kato, ripropone il grande problema della sicurezza sui circuiti … e non solo …
L’incidente. E’ il 6 aprile 2003: sulla pista di Suzuka si sta effettuando il terzo giro della gara del MotoGP, quando all’ingresso della chicane che porta al traguardo, la Honda “RC211V” di Kato sbanda improvvisamente, esce di pista e va a schiantarsi (a circa 200 km orari) contro un muretto di cemento esterno. Le condizioni del pilota, apparse subito drammatiche ai (tempestivi) soccorritori, vengono (purtroppo) confermate dal primo bollettino medico: “lussazione tra la prima e la seconda vertebra cervicale, lesioni celebrali gravissime con emorragia alla base del cervello”. Muore dopo due settimane di coma profondo.
Sicurezza della pista e velocità delle moto. L’incidente del giovane pilota giapponese (26 anni, sposato e padre di due figli), e di quelli occorsi sullo stesso circuito a Melandri e Barros, hanno dato il via ad interrogativi sulla sicurezza dell’impianto di Suzuka e sulla velocità delle nuove moto (la Honda ha categoricamente escluso qualsivoglia guasto meccanico alla Honda RC211V di Kato). Molti piloti del MotoGp hanno riconosciuto che Suzuka, pure essendo una pista tra le più spettacolari e tecniche del mondo, difetta di standard di sicurezza moderni ed adeguati ad una gara di Motomondiale. Già in passato questo circuito era stato oggetto di modifiche strutturali (peraltro non sufficienti: sarebbero quantomeno necessarie maggiori “vie di fuga”), ma non è stata (incredibilmente) tenuta in considerazione l’estrema pericolosità di quegli assurdi muretti in cemento (seppure protetti da gomme o simili) vicino ai bordi della pista. E’, infatti, evidente come tali protezioni possano essere (forse) idonee solo in occasione di gare automobilistiche (ad esempio del Gran Premio di Formula Uno), ad evitare che una macchina fuori controllo del pilota arrivi “minacciosa” sugli spettatori; in tale circostanza, come fa fede la casistica, l’impatto riguarda la “gabbia” o “cellula” di un veicolo e non il corpo di una persona, come avviene, invece, (e purtroppo) nel motociclismo. Altro imputato della pericolosità del MotoGp è anche la (ormai smisurata) velocità dei nuovi mezzi: fino a 330 km/h con una potenza di oltre 200 cavalli, ed un rapporto peso/potenza ben oltre quello delle vetture di F1.
Il regolamento è da rivedere? Probabilmente sì. Attualmente, infatti, il regolamento della Dorna (Federazione Motociclistica Internazionale) pone poche restrizioni ai progettisti (“peso minimo che varia dai 135 kg delle tre cilindri ai 155 kg delle sei o più cilindri, serbatoio con un massimo di 24 litri di capienza e il divieto di utilizzare alcuni materiali come il titanio o quelli compositi per pistoni e cilindri”), che restano così liberi così di dare sfogo al proprio estro tecnico e creare motori sempre più potenti.
La morte di Kato: solo una fatalità ? Crediamo proprio di no. Servono piste più sicure (se Suzuka non dà tali garanzie – come sembra a tanti – il MotoGp non dovrebbe esservi più disputato) ed un ridimensionamento della velocità delle nuove moto: per non ripetere la tragedia di Kato!
2003-07-23 - Fonte: Alberto Foggia
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