Diritto sportivo Dal 22.1.2004 La Banca Dati Normativa e Giurisprudenziale dell'avv. Alberto Foggia
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Il nuovo codice di giustizia sportiva FIGC - luglio 2021 avv. Foggia





"L'erba è una superficie che sarebbe già sparita dal tennis se non fosse stata tenuta in vita da Wimbledon, ma è anche la più onesta nei confronti del talento. Sulla terra si può vincere con la pazienza e con la corsa, sul cemento con la violenza, sui prati ci vuole molto di più". Rino Tommasi

      

Lo sport italiano

2003-07-02  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

Considerazioni, tutela costituzionale del diritto all'attività sportiva, comitato olimpico nazionale italiano, finanziamento, facoltà di scienze dello sport.

Considerazioni

Malgrado siano numerose le carenze del sistema sportivo italiano, lo sport in Italia ha sempre raccolto risultati prestigiosi, sia sul piano agonistico che su quello organizzativo, ponendosi sicuramente fra le prime Nazioni al mondo.

Il merito di tutto ciò va alla qualità dei dirigenti, molti dei quali ai vertici dello sport mondiale, alla capacità dei tecnici e all'impegno e alla capacità di sacrificio degli atleti. Sotto questo aspetto si potrebbe anche definire l'Italia un Paese di sportivi, cosa che in realtà non corrisponde a verità, poiché chi pratica sport nel nostro paese è meno di un quinto della popolazione. Infatti, nel 1993 i praticanti erano 12.600.000; certamente molti di più rispetto ai dati del 1960 (appena 1.300.000), ma in ogni caso ancora non sufficienti per definirci una nazione dalla solida cultura sportiva.

In effetti, nonostante il sensibile aumento dei praticanti, nella nostra nazione lo sport non ha mai avuto un ruolo di primo piano. Un ruolo che giustamente riconoscesse a esso la rilevanza sociale che da sempre ricopre: a livello igienico-sanitario, formativo, pedagogico, comunicazionale e occupazionale.

Ciò si è verificato essenzialmente per la scarsa attenzione che le istituzioni hanno rivolto allo sport. Un disinteresse latente e costante che ha, di fatto, generato una totale mancanza di cultura sportiva.

Nonostante ciò la domanda di sport è comunque cresciuta. È cresciuta l'organizzazione sportiva, forse in maniera disordinata, ma comunque autosufficiente.

Lo sport italiano, infatti, ha sopperito alle carenza statali con l'impegno volontario di dirigenti, giudici, tecnici e arbitri che attraverso le Società sportive, le Federazioni sportive nazionali e gli Enti di promozione sportiva hanno formato una rete capillare che quotidianamente si impegna con passione e competenza.

Senza un intervento radicale però questo patrimonio rischia di disperdersi a causa anche delle vessazioni alle quali continuamente è sottoposto; le conseguenze per l'attuale sistema sportivo italiano potrebbero essere devastanti.

Ecco perché esiste più forte che mai la necessità di farsi carico di tutta la situazione dello sport italiano per migliorare quanto di buono è stato fatto e, nel contempo, per trovare i rimedi a quanto non viene realizzato.

Rimedi che comunque non possono prescindere da una politica a favore dello sport come fatto culturale e che non preveda una nuova pianificazione scolastica in campo sportivo.

È evidente che non ci potrà mai essere una cultura sportiva senza un intervento radicale nella scuola.

È altrettanto evidente che il confine tra l'autosufficienza del mondo sportivo e la disattenzione delle istituzioni (CONI a parte), è estremamente sottile e si traduce in equilibrio precario.

È necessario quindi, a più livelli, un intervento delle istituzioni, ciascuno per la parte di sua competenza, nel rispetto dell'autonomia del mondo sportivo, affinché ognuna di esse possa apportare un contributo per lo sviluppo dello sport italiano attraverso l'emanazione di leggi, regolamenti e quant'altro dovesse rendersi necessario per mettere ordine in materia e per iniziare a creare le basi per la nascita di quella cultura sportiva di cui parlavamo.

Quel che è certo è che la volontà di cambiamento si sente nei discorsi della gente: il concreto diritto di praticare lo sport viene reclamato in modo deciso. Così come il diritto, per chi frequenta aule scolastiche, di completare il proprio processo formativo con un attività fisica corretta e programmata, fin dall'età infantile.

Un'esigenza così diffusa non ha fino a ora trovato riscontro in una seria iniziativa politica. Sport ed educazione fisica sono stati per decenni abbandonati a loro stessi, l'uno crescendo spontaneamente ma in modo disorganico, l'altra languendo nelle soffocanti strutture di una scuola che ancora la rifiuta.

C'è però da sottolineare che la richiesta di sport continua ad aumentare e non sempre le strutture attuali sono in grado di fare fronte a una domanda in continua crescita che coinvolge persone di ogni età, di ogni ceto sociale e di tradizioni e culture differenti. Infatti, ancora oggi vi è una grande disparità di impegno tra il Sud e il Nord, così come la pratica sportiva femminile è piuttosto ridotta rispetto a quella maschile.

Lo Stato italiano ha sempre delegato al CONI ampi spazi per lo sport, certo che il CONI fosse in grado di dare risposte adeguate a ogni esigenza, ma questo stato di cose ha consentito allo Stato di tralasciare ogni suo impegno verso i cittadini che fanno lo sport. Leggi superate, difficoltà fiscali e burocratiche, mancanza di servizi, una struttura scolastica insufficiente, disponibilità economiche incerte. Sono queste alcune delle carenze che non possono essere più ignorate, perché la popolazione sta di giorno in giorno scoprendo il piacere di fare sport e nello stesso tempo si accorge che, dietro una facciata di grandi risultati agonistici, esiste una struttura inadeguata e insufficiente.

Con questo progetto ci proponiamo di tracciare uno schema degli indirizzi che dovranno ispirare la legge quadro, che da troppo tempo lo sport italiano attende.

Crediamo anche necessario che lo sport trovi un riconoscimento adeguato nella nostra carta costituzionale, così come già avviene in molti paesi europei come Spagna, Grecia, Portogallo, Russia, Ungheria, Croazia. Solo così allo sport potrà essere riconosciuta la rilevanza sociale che gli compete.

 La tutela costituzionale del diritto all'attività sportiva

Elevare a livello costituzionale il diritto allo scioglimento dell'attività sportiva, inteso come momento ricreativo ma anche di educazione e di rigenerazione spirituale, è proposta che allineerebbe lo Stato italiano ad altri Stati europei che hanno assunto già da tempo detta determinazione e che riconoscono detto diritto per tutti i cittadini, come diritto primario della massima tutela.

A mero titolo esemplificativo citiamo:

La Costituzione del Portogallo all'art.79 statuisce: "1. Ognuno ha il diritto dovere di ricevere l'educazione fisica e di esercitare lo sport. 2. È dovere dello Stato, unitamente alla scuola, ai gruppi e alle associazioni sportive promuovere, stimolare, guidare e supportare la pratica e la diffusione dell'educazione fisica e dello sport e, altresì, prevenire la violenza nello sport".

La Costituzione della Grecia all'art.16 comma 9 statuisce: "Gli sport dovranno svolgersi sotto la protezione e la finale supervisione dello Stato. Lo Stato si farà garante e controllerà tutti i tipi di associazioni sportive specificate dalla legge. L'utilizzo dei sussidi, in conformità con i propositi e gli scopi delle associazioni beneficiarie, dovrà essere disciplinato dalla legge".

La Costituzione della Russia all'art.55 stabilisce: "Lo Stato assume le misure volte allo sviluppo della cultura fisica e dello sport".

La Costituzione dell'Ungheria stabilisce che lo Stato ha il dovere di assicurare il diritto all'esercizio dell'attività fisica e le autorità locali sono tenute a detto incombente.

La Costituzione della Croazia prevede: "La Repubblica incoraggia e aiuta la cultura fisica e lo sport". Il diritto delle autonomie locali prevede la possibilità di assumere decisioni in ordine ai bisogni e agli interessi dei cittadini e, in particolare, della cultura fisica e dello sport.

La Costituzione della Turchia attesta (art.59): "È dovere dello Stato assumere tutte le misure necessarie per lo sviluppo della salute, fisica e morale, dei cittadini di tutte le età e incoraggiare la pratica degli sport tra la popolazione."

Del medesimo tenore la Costituzione della Spagna.

Fin dagli anni '60, peraltro, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sottolinea "il grande e pressante bisogno di praticare attività fisiche e sportive........onde compensare gli effetti negativi dell'industrializzazione e dell'urbanismo generalizzati" e che "la pratica sportiva offre all'individuo l'occasione di esercitare le proprie attitudini a svolgere un ruolo di animatore e di assumere responsabilità in una società democratica".

E, pertanto, elevare a rango costituzionale il diritto all'attività sportiva e ricreativa significa accogliere e tutelare un'istanza che si avverte presente nella nazione, rivolta ai Comuni, alle Regioni, allo Stato di praticare sport e non soltanto vederlo praticare.

Prima conseguenza diretta alla costituzionalizzazione del diritto all'attività sportiva e ricreativa dovrebbe essere l'approvazione di una normativa che sancisca l'obbligatorietà degli impianti sportivi in ogni edificio scolastico di nuova costituzione e l'estensione di tale obbligo agli edifici universitari, nonché alla creazione di impianti diretti allo svolgimento della pratica sportiva al servizio delle comunità cittadine, in diretta proporzione numerica rispetto al numero dei praticanti.

Il tutto in un'ottica di decentramento organizzativo, conferendo agli Enti locali (Regioni, Comuni) i mezzi e le autonomie necessari alla realizzazione del dettato costituzionale.

 Il Comitato olimpico nazionale italiano

È il massimo organo sportivo che coordina e indirizza qualsiasi attività sportiva che si svolge in Italia e ciò per delega, diretta e indiretta. Diretta perché la legge istitutiva del CONI, che risale al 1942, è esplicita sulle competenze che l'Ente deve avere su tutto lo sport praticato in Italia. Indiretta perché lo Stato non ha nessuna legge che preveda un suo impegno nello sport, carenza che si ritrova anche nella Costituzione italiana. Soltanto la legge 616 prevede delle responsabilità da parte degli Enti locali.

In considerazione di quanto sopra, si pongono due problemi sostanziali: se la legge istitutiva del 1942 sia ancora valida e se il CONI debba ancora avere questo spazio operativo al quale non corrisponde un'adeguata autonomia operativa e finanziaria.

Relativamente al primo aspetto, riteniamo indispensabile una nuova legge, non poiché quella in vigore non sia stata valida, ma perché riferita a un contesto sociale e culturale non più attuale. Ma non è più sufficiente una legge che aggiorni e definisca le competenze del CONI, serve una legge quadro ampia che chiarisca con precisione i ruoli di tutte le componenti dello sport nazionale.

L'attuale impostazione politica (la realizzazione di varie "leggine" che affrontano i singoli problemi) non può essere interpretata come l'impegno delle istituzioni verso la pratica sportiva. È invece la dimostrazione di come non si voglia affrontare con chiarezza e con piena coscienza delle problematiche un aspetto fondamentale dello sviluppo della nostra società.

Per quanto riguarda il secondo quesito, riteniamo che il CONI debba mantenere il suo spazio operativo, ma nello stesso tempo deve essere sostenuto da adeguati servizi che non sono, e non possono essere, di sua competenza. Ci riferiamo alle USL, agli Enti locali, al Ministero della pubblica istruzione etc.

L'autonomia dello sport è senz'altro un bene prezioso che va difeso. Ma è necessario un maggior approfondimento per lasciare sì autonomia al CONI e alle strutture a esso collegate, ma delimitarla con normative chiare e controlli precisi: democraticità e trasparenza in tutti gli organismi, controlli amministrativi più approfonditi, gestioni più aperte, inserimento del pensiero degli atleti.

Un'autonomia che va quindi senz'altro riconfermata, affiancata da uno sport costruito quotidianamente in tutte le sue componenti, attraverso azioni forti e trasparenti. Soprattutto facendo chiarezza suoi ruoli.

Il Governo in carica ha previsto una delega specifica per lo sport al Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, non chiarendo però quali siano le sue competenze e lasciando quindi la possibilità d'interpretare un ruolo a seconda dei casi.

È una strada che può essere pericolosa poiché potrebbe, se non si definisce la portata e i limiti della delega, portare a un occulto Ministero dello sport.

In questo sottile equilibrio tra autonomia, controlli e impegno dello Stato e degli Enti locali si gioca il futuro dello sport italiano.

 Il finanziamento

1) La storia

L'Italia non ha mai considerato lo sport un investimento culturale e tanto meno un mezzo per il miglioramento della salute pubblica.

Al contrario, dopo il decreto legislativo luogotenenziale del 08.03.1945 che sopprimeva ogni forma di contributo economico dello Stato a favore dello sport, il CONI - con il suo Commissario straordinario Giulio Onesti - avviava l'iter per l'organizzazione dei pronostici legati al campionato di calcio, dando vita di fatto al modello italiano dell'autofinanziamento.

Questo ricordo è di Giulio Andreotti: "Appena nominato sottosegretario alla Presidenza mi trovai ad affrontare il duplice (ma sostanzialmente unico) problema dell'autonomia e del finanziamento dello sport. Ci aiutò l'ex ministro delle finanze del tempo fascista e membro del Comitato internazionale olimpico, il conte Paolo Thaon di Revel, che fu tramite utile anche con il Presidente della Repubblica Einaudi.

Contare sul contributo governativo era pericoloso, poiché avrebbe aperto ogni anno un discorso difficile, in comparazione con le mille altre esigenze, straordinarie e ordinarie, dello Stato. Di qui la nazionalizzazione del concorso pronostici basato sul campionato di calcio, che era stato creato da un gruppo italo-svizzero sotto il nome di SISAL.

Il Totocalcio divenne la cassaforte del mondo agonistico, assicurando nel contempo all'erario un più che rilevante gettito.

Lo sport non solo non chiedeva denaro allo Stato, ma lo procurava.....".

2) Le conseguenze

Il CONI è autofinanziato con le entrate derivanti dal gioco del Totocalcio e del Totogol con una percentuale fissa del 32,20%, quota comprensiva delle spese di gestione dei concorsi. Da ciò ne deriva che il CONI, e quindi tutto lo sport nazionale (Federazioni sportive, Società sportive, Enti di promozione sportiva, Forze militari, attività promozionale, partecipazione alle Olimpiadi etc.), sono sostenuti economicamente da un gioco che può annualmente avere entrate più cospicue o limitate. Inoltre lo Stato incassa dal gioco del totocalcio una percentuale fissa del 26,80% + 65 lire dell'addizionale di £. 100 per ogni colonna, che attualmente si concretizza in circa 1.000 miliardi.

In questi ultimi anni, l'andamento del gioco è stato alterno e, di conseguenza, le disponibilità del CONI sono aumentate o diminuite a seconda dell'andamento delle giocate.

Se da una parte si vuole riconoscere valide capacità al CONI e, di conseguenza, a tutte le strutture sportive e quindi si vuole concedere una loro autonomia gestionale, non si può accettare che il sistema di finanziamento sia, non solo incerto, ma anche non sempre prevedibile.

Si ritiene pertanto che il sistema di finanziamento debba essere rivisto mantenendo una percentuale fissa sulle entrate del Totocalcio, ma nello stesso tempo garantendo un limite minimo, adeguato alle reali esigenze.

Circa la possibilità d'incrementare le entrate con altri giochi legati ad altre discipline sportive oltre al calcio, si crede nella validità di questa iniziativa, perché avrebbe risvolti positivi quali la limitazione di eventuali giochi clandestini, la possibilità di sviluppo propagandistico di altri sport e sicuramente maggiori disponibilità economiche per tutte le attività sportive.

Inoltre va sottolineato il rischio che la continua crescita di nuove forme di gioco (Lotterie, Gratta e vinci etc.) contraggano le entrate dei giochi classici (Totocalcio, Lotto, Totip etc.) con evidenti gravi danni per il finanziamento dello sport.

La Facoltà di scienze dello sport

Alle soglie del Duemila non è più concepibile continuare a ibernare la struttura degli ISEF; dobbiamo necessariamente confrontarci con gli ordinamenti universitari dei paesi di TUTTA EUROPA e arrivare alla conclusione che la riforma degli ISEF è improcrastinabile, impellente e strategica.

L'ISEF deve trasformarsi in FACOLTÀ DI SCIENZE DELLO SPORT, con un corso di studi della durata di 5/6 anni, così strutturato:

3 anni di Base - propedeutici per le Specializzazioni

2 anni di Specializzazione, con i seguenti indirizzi:

DIDATTICO - per chi andrà a insegnare nelle scuole materne, elementari, medie e superiori.

TECNICO-SPORTIVO - per chi vorrà specializzarsi come preparatore atletico.

MANAGEMENT SPORTIVO - per chi vorrà intraprendere la carriera di manager.

RIABILITATIVO - per chi vorrà lavorare nel campo della riabilitazione motoria.

La futura Laurea in SCIENZE DELLO SPORT consterà di minimo 5 anni; per chi invece vorrà proseguire gli studi per poi insegnare all'Università sarà necessario un ulteriore anno di specializzazione (insegnamento universitario).

La specializzazione a) DIDATTICA è rivolta al settore degli insegnanti.

La specializzazione b) TECNICO-SPORTIVA è rivolta al settore dei proprietari atletici, con possibili sbocchi professionistici e professionali nelle società sportive di vertice.

La specializzazione c) MANAGEMENT SPORTIVA è rivolta a coloro che vorranno cimentarsi nel campo dei contratti, delle assicurazioni, dell'immagine, delle comunicazioni relative al mondo sportivo (sponsorizzazioni).

La specializzazione d) RIABILITATIVA è rivolta a coloro che lavoreranno nel campo delle riabilitazioni motorie.

Il finanziamento di tale operazione sarà a carico dello Stato, utilizzando i proventi di sua spettanza dalle entrate dei Concorsi pronostici, SENZA TOCCARE quelli destinati al Coni e alle Regioni.

2003-07-02 - Fonte: Ufficio Sport AN - Avv. Andriani

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