Un lettore ci segnala un’esternazione del deputato Ballaman che analizza la problematica del  vincolo sportivo e del rapporto tra associazioni sportive e atleti dilettanti.
“In tutte le discipline di squadra e individuali, salve alcune rarissime eccezioni previste dai singoli regolamenti federali (come quello del calcio per i minori di quattordici anni), la sottoscrizione del "cartellino" (eseguita dai genitori quali legali rappresentanti del minore d'età ) devolve irrevocabilmente e senza limiti di tempo la titolarità dei poteri sulle prestazioni sportive dell'atleta alle associazioni.
Il problema emerge nel caso di controversia fra l'atleta, che intende far valere la propria libertà di recedere dal rapporto associativo, e la società sportiva, che pretende di conservare il proprio patrimonio tecnico al fine di mantenersi competitiva e di ottenere un premio di preparazione o di addestramento, e diventa ancora più evidente quando si tratta di minori o di dilettanti che giocano per puro spirito amatoriale.
Devono, dunque, ritenersi nulle quelle clausole regolamentari (che hanno un valore contrattuale) che prevedono l'assunzione del vincolo sportivo a tempo indeterminato da parte di un atleta militante in un'associazione non riconosciuta (quale è generalmente la società che opera nel settore dilettanti) e che negano il diritto di recesso ad nutum dal rapporto associativo, previsto invece dalla legge n. 91 del 1981, e successive modificazioni, per i professionisti, con una conseguente disparità ingiustificata di trattamento. Infatti, impedire il recesso degli atleti (titolari della qualifica di associati, avendo assunto tale vincolo con il tesseramento) da un'associazione sportiva rende nullo il divieto (sostanzialmente implicito in tutte le clausole statutarie) dello svincolo per scelta dell'atleta poiché appare una violazione:
a) del diritto di praticare liberamente la propria attività agonistica;
b) della libertà di associazione tutelata dall'articolo 18 della Costituzione, che comprende anche il diritto di non associarsi;
c) del principio di uguaglianza sostanziale, data la parzialità del trattamento riservato illogicamente ai professionisti.
In giurisprudenza si afferma che l'adesione ad un'associazione non riconosciuta (e dunque, alla federazione delle varie società sportive) comporta l'assoggettamento dell'aderente al relativo regolamento senza necessità di specifica accettazione, con il limite derivante dal principio costituzionale della libertà di associazione, il quale implica la nullità di clausole che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso (Cassazione civile, sentenza 9 maggio 1991, n. 5191).
Peraltro, più recentemente, è stato ribadito che il principio della libertà di associazione implica il diritto di dissociarsi, come previsto dall'articolo 20 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948, secondo il quale "nessuno può essere costretto a far parte di un'associazione", e che rientra nella funzione del legislatore ordinario la regolamentazione dell'esercizio anche dei diritti costituzionalmente garantiti, quando la relativa disciplina dettata dalla legge ordinaria, o quella pattizia da essa consentita, non sopprimano il diritto di dissociazione o ne rendono oltremodo ostico l'esercizio con modalità oggettivamente coercitive, impeditive o preclusive. Dunque, se la libertà di recesso vale per ogni lavoratore (sotto forma di dimissioni), nonché per qualsiasi associato a partiti politici o sindacati (che sono le note associazioni non riconosciute), non si vede perché non debba spettare ad atleti che svolgono gratuitamente attività sportive, che devono essere incentivate e tutelate secondo il principio generale di libertà â€.
2003-04-25 - Fonte: Giuliano Bortolotti-deputato Ballaman
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