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Cass. civ. - sez. Lavoro -, 30 agosto 2000 n. 11404 (Sport e clausole compromissorie)

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Sport e clausole compromissorie


C

Cassazione - Sezione Lavoro - Sent. n. 11404/2000 -Presidente G. Prestipino - Relatore P. Picone

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La (omissis) ed A. C. in proprio, con unico ricorso domandano per quattro motivi la cassazione della sentenza con la quale il Tribunale di Bologna, riformando limitatamente al quantum la sentenza di primo grado, li ha condannati in solido al pagamento in favore di C. E. L. della somma equivalente in lire italiane a $ 961.905. Limitando il riferimento alle questioni inerenti al giudizio di legittimità, il Tribunale ha ritenuto che fra la società, il C. e il L., giocatore di pallacanestro, fosse stato stipulato un contratto di lavoro subordinato in ordine alle prestazioni relative alle stagioni agonistiche 1993/1994-1994/1995 e, eventualmente, 1995/1996, con la predeterminazione dei compensi spettanti; che nel contratto individuale di lavoro stipulato in data 15 luglio 1993 non risultava inserita, contrariamente all'assunto della società e del suo amministratore, alcuna clausola compromissoria per il deferimento ad un collegio arbitrale delle controversie insorte fra le parti, né era stata stipulata successivamente; che il contratto stesso, recando l'obbligo della società di continuare nel rapporto di lavoro anche in caso di infortunio del giocatore, non poteva essere legittimamente risolto, né la società poteva sottrarsi all'obbligo retributivo, per il fatto che dopo alcune partite fosse stata evidenziata una discopatia che aveva costretto il L. a smettere l'attività dal dicembre 1993 ed a sottoporsi ad operazione chirurgica, non configurandosi inadempimento per effetto delle scelte del giocatore inerenti al diritto alla salute. Resiste con controricorso il L. proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale condizionato per due motivi. Al ricorso incidentale resistono la società ed il C. con controricorso, ed hanno altresì depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.; il controricorrente e ricorrente incidentale ha replicato per iscritto alle conclusioni del Pubblico Ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. L'ordine logico-giuridico richiede di esaminare per primo il secondo motivo del ricorso principale, concernente la questione della proponibilità della domanda, o della competenza del giudice ordinario, dipendente dalla stipulazione di una clausola compromissoria.

La statuizione del Tribunale sul punto è accusata di violazione e falsa applicazione degli art. 1362 ss. c.c. e 808 c.p.c., nonché dei principi generali sull'efficacia preclusiva del negozio di accertamento e di omessa e insufficiente motivazione.

2.1. Il motivo indicato contiene in realtà due distinte censure, delle quali va esaminata per prima, per il suo carattere potenzialmente assorbente, quella relativa alla violazione dei principi generali sull'efficacia preclusiva del negozio di accertamento, che, ad avviso dei ricorrenti principali, vi sarebbe stata perché il collegio arbitrale, adito dalla società, aveva dichiarato la propria competenza a decidere la controversia, sicché, anche nella prospettiva del lodo irrituale, l'accertamento di natura negoziale avrebbe dovuto essere impugnato con la deduzione dell'inefficacia della clausola compromissoria, ma non era consentito richiedere ex novo la tutela giudiziale indipendentemente dalla procedura arbitrale. Sulle descritte argomentazioni i ricorrenti insistono particolarmente, sviluppandole sia nella memoria che nella discussione orale.

2.2. La Corte non può condividerle perché, portata la tesi alle sue estreme conseguenze - ma il caso di specie potrebbe essere esemplare al riguardo -, implicherebbe l'affermazione del principio secondo cui è sufficiente, ad iniziativa di una parte, iniziare la procedura di risoluzione arbitrale di una controversia per impedire, prima della pronunzia degli arbitri, che l'altra parte possa ottenere una pronuncia del giudice statale sul merito della pretesa, anche quando assuma di non avere mai espresso la volontà di derogare alla giurisdizione ordinaria.

2.3. Un siffatto principio non è suscettibile di essere enucleato dall'ordinamento perché risulterebbe non in linea con il fondamentale parametro costituzionale secondo il quale l'arbitrato trova il proprio legittimo fondamento nella concorde volontà delle parti sicché gli art. 24, primo comma, e 102, primo comma, Cost. non consentono arbitrati obbligatori i quali si risolvono in illegittima compressione del diritto di difesa e in violazione del principio generale della tutela giurisdizionale (Corte cost. 127/97, 488/91, 49194, 206/94, 232194, 54196, 152/96, 381/97, 325/98, 115/2000). Non è chi non veda, infatti che la tesi del ricorso principale, comportando l'improponibilità della domanda (in caso di arbitrato irrituale) o l'incompetenza del giudice adito (in caso di arbitrato rituale), finisce per collegare all'iniziativa di una sola parte l'obbligo per l'altra parte, che intende contestare di avere mai espresso una volontà compromissoria, di soggiacere alla procedura, essendo solo abilitata ad impugnare nei modi ordinari il lodo irrituale o, peggio, ad impugnare il lodo rituale ai sensi dell'art. 827 ss. c.c.

2.4. In ottemperanza al monito, più volte rivolto ai giudici dalla Corte costituzionale, che in presenza di dubbi circa l'esatta portata di norme, l'interpretazione secundam Constitutionem va sempre preferita, si deve ritenere che non può non essere consentito ottenere che sia la giurisdizione ordinaria ad accertare se nella fattispecie si configuri realmente improponibilità della domanda ovvero incompetenza del giudice adito. Per questa ragione non è condivisibile il principio affermato dalla sentenza della Corte (sez. I, 8 luglio 1996, n. 6205, richiamata nella memoria), secondo cui la costituzione del collegio arbitrale sottrae al giudice ordinario ogni potere di deliberare in ordine all'esistenza, alla validità ed alla portata dell'accordo derogatorio della sua competenza, restando tale accertamento affidato in via esclusiva agli arbitri, la cui pronuncia sarà suscettibile di impugnazione per nullità qualora dovesse essere eccepita la mancanza della loro potestas iudicandi per qualsiasi motivo che comporti carenza dell'investitura da parte dei privati contraenti. Merita, invece conferma, per la sua aderenza al precetto costituzionale, l'indirizzo prevalente nella giurisprudenza della Corte, secondo il quale il fenomeno della litispendenza e l'operatività del principio della prevenzione, di cui all'art. 39 c.p.c., sono configurabili con riferimento a procedimenti pendenti dinanzi a giudici parimenti muniti di competenza, e non anche, in ipotesi di contemporanea pendenza della medesima causa davanti all'autorità giudiziaria ed a un collegio arbitrale, la quale, investendo sfere di competenza a carattere esclusivo ed inderogabile, va risolta con l'affermazione o negazione della competenza del giudice adito, in relazione all'esistenza, al contenuto ed ai limiti di validità del compromesso o della clausola compromissoria (cfr. Cass. 14 aprile 1979, n. 1943; 9 aprile 1998, n. 3676).

2.5. Peraltro, gli argomenti utilizzati per sostenere che l'apertura della procedura arbitrale non consente al giudice ordinario di accertare l'esistenza dei suoi presupposti se non dopo la pronunzia degli arbitri sono piuttosto pertinenti alle ipotesi di arbitrato rituale, mentre, nel caso di specie, l'ipotesi appare essere quella dell'arbitrato irrituale, come ritengono gli stessi ricorrenti principali, conformemente, del resto, al consolidato indirizzo della giurisprudenza della Corte (cfr. Cass., sez. un., 17 novembre 1984, n. 5838; 6 aprile 1990, n. 2889; 2 aprile 1998, n. 3420).

2.6. In conclusione, poiché l'apertura di una procedura arbitrale non impedisce di chiedere al giudice ordinario di accertare la proponibilità della domanda (o la competenza del giudice stesso), correttamente il Tribunale, avendo accertato che il L. si era limitato in sede arbitrale a dedurre di non aver mai stipulato una clausola compromissoria, ha proceduto all'indagine necessaria per stabilire se la domanda, nella prospettiva dell'arbitrato irrituale, fosse proponibile.

3. Il risultato di tale accertamento è investito dalle altre censure contenute nello stesso secondo motivo del ricorso principale. Tra esse, è senz'altro infondata quella di violazione dell'art. 808 c.p.c., perché il Tribunale non ha affermato che una clausola compromissoria non possa essere stipulata con atto separato dal contratto individuale di lavoro o comunque rinvenirsi in atti richiamati dal contratto stesso, ma ha escluso in fatto l'esistenza di un simile accordo.

3.1. La denunzia di violazione degli art. 1362 ss. è inammissibile perché il motivo di ricorso non precisa quale regola sarebbe stata specificamente non osservata dal giudice di merito nel procedimento di interpretazione della volontà delle parti (cfr. tra le tante, Cass. 2 febbraio 1996, n. 914).

3.2. Anche la denunzia di vizi della motivazione non ha fondamento perché non si ravvisano insufficienze (del resto il ricorrente non allega la necessità di accertamenti di fatto decisivi che il giudice del merito avrebbe dovuto compiere), né il ragionamento del Tribunale può essere sindacato sotto il profilo della contraddittorietà, atteso che le ragioni del suo convincimento sono espresse secondo i parametri di una logica plausibile. La sentenza impugnata, infatti ha constatato che il contratto stipulato dalle parti non contemplava espressamente una clausola compromissoria, ma ha tuttavia ammesso che, in astratto, la sua stipulazione potrebbe essere ravvisata nelle disposizioni del punto n. 9 del contratto stesso (sul quale si concentrano le argomentazioni del motivo di ricorso in esame), secondo le quali il giocatore assumeva l'impegno di rispettare il Regolamento della Federazione Italiana di Pallacanestro e il Regolamento della Federation Basket Amateur (FIBA). All'esito dell'indagine, compiuta al fine di stabilire, al di là del senso letterale, quale fosse stata la comune intenzione dei contraenti il giudice del merito è pervenuto alla conclusione che le parti non avevano inteso richiamare, tra le disposizioni regolamentari anche quelle concernente il deferimento delle controversie ad arbitri.

Siffatta conclusione è fondata sugli argomenti che seguono:

a) una clausola compromissoria, mediante espresso rinvio alla regolamentazione dell'arbitrato contenuta nel regolamento della Federazione Italiana Pallacanestro, era contenuta nel modulo sottoscritto dal L. in data 21 settembre 1993 ai fini del tesseramento di atleta straniero, trovando conferma nel "modulo dichiarativo" sottoscritto nella stessa data con il quale si prendeva atto dell'inefficacia di clausole contrattuali in contrasto con i regolamenti federali;

b) che, tuttavia non soltanto gli atti menzionati non erano rivolti alla controparte contrattuale, ma non rispondevano alla reale volontà negoziale del L. in forza di esplicito accordo fra le parti poiché si dava atto nel contratto di lavoro che la sottoscrizione del modulo era avvenuta ai soli fini burocratici che il giocatore era stato "costretto" a sottoscriverlo, che la società non avrebbe applicato quanto previsto nel modulo, che in caso di controversie nessuna efficacia sarebbe stata riconosciuta al modulo.

c) che, nello stesso punto n. 9 del contratto, l'impegno di rispettare i regolamenti federali era espressamente subordinato alla condizione che tali regolamenti non siano in contraddizione con le clausole e condizioni stabilite nel presente contratto;

d) che sempre nel contratto, si avvertiva che in caso di controversie o difformità esistenti o verificantesi tra il contratto stipulato tra il Giocatore e la Società e la Dichiarazione del Giocatore Straniero, la Società e il Giocatore convengono che il contratto invaliderà la Dichiarazione del Giocatore Straniero e che tutte le clausole e le condizioni contenute nel contratto tra il Giocatore e la Società sussisteranno e prevarranno.

3.3. Sulla base di questi accertamenti di fatto, il Tribunale è giunto alla conclusione che il punto 9 del contratto, recante 1'impegno del giocatore di rispettare i regolamenti federali, ma subordinatamente alla condizione che le disposizioni ivi contenute non si ponessero in contraddizione con le clausole e condizioni del contratto stesso, non potesse essere interpretato nel senso che l'intenzione delle parti fosse stata quella di stipulare per relationem una clausola compromissoria. La società ricorrente oppone che l'accettazione dei regolamenti federali comportava anche accettazione della clausola compromissoria dagli stessi prevista e disciplinata, perché pattuizione che in alcun modo si poneva in contrasto o in contraddizione con le altre clausole del contratto di lavoro e che, sotto questo profilo, era stata efficacemente confermata con la sottoscrizione del modulo. La critica si risolve nel contrastare il risultato interpretativo del giudice di merito con quello che ad avviso della ricorrente sarebbe stato rispondente all'intenzione delle parti. Come tale è inammissibile in sede di legittimità perché il ragionamento del Tribunale non scende al di sotto dei requisiti minimi di logica tra premesse e conclusioni, desumendo dal complesso degli accertamenti di fatto il convincimento che le parti escludendo chiaramente e decisamente che i regolamenti federali potessero prevalere sulle clausole del contratto di lavoro, non avevano avuto l'intenzione di recepirli per una parte non certo trascurabile, quale il deferimento delle controversie ad arbitri pur in assenza di qualsiasi specifico riferimento a tale modo di composizione delle controversie.

4. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge 23 marzo 1981, n. 91 e dell'art. 2094 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., per avere il Tribunale qualificato come rapporto di lavoro subordinato quello che era invece un rapporto di lavoro caratterizzato dall'autonomia del giocatore.

4.1. La Corte dichiara inammissibile il motivo perché, come risulterà evidente dall'esame degli altri motivi di ricorso, l'accertamento del Tribunale nel senso dell'avvenuta stipulazione di un contratto di lavoro subordinato non ha avuto alcuna incidenza sulla soluzione data alla lite, né lo stesso accertamento rileva ai fini del giudizio di cassazione sulla correttezza di tale soluzione. Manca comunque la prova che le parti ricorrenti principali abbia un qualsiasi interesse alla cassazione della sentenza impugnata in ordine a tale accertamento.

5. Con il terzo motivo del ricorso principale è denunziata la violazione degli art. 1362, 1463, 1464 e 2119 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 e all'art. 112 c.p.c. Congiuntamente al terzo motivo, per ragioni di connessione, deve essere esaminato il quarto motivo, con il quale la società denunzia violazione degli art. 1218, 1453, 1455, 1458 c.c. in relazione agli art. 360, n. 3 e n. 5, e 134 c.p.c.

5.1. Si è detto che non rileva nella controversia la qualificazione del rapporto di lavoro secondo i parametri della subordinazione e dell'autonomia. L'affermazione si giustifica con la considerazione che, nella specie, il tema controverso è se la società avesse l'obbligo di pagare, nei limiti della somma indicata nel dispositivo della sentenza impugnata, il corrispettivo pattuito pur in assenza della controprestazione e la soluzione non è suscettibile di variare in funzione dell'applicazione delle norme sul lavoro subordinato o di quelle sul lavoro autonomo.

5.2. In ordine logico, il primo dei problemi è quello posto specificamente con il quarto motivo di ricorso, concernente il punto se si fosse in presenza di una situazione di impossibilità oggettiva della prestazione sportiva oppure di una fattispecie di inadempimento del giocatore, sicuramente escludente il diritto al compenso e attributiva del diritto della società di recedere dal rapporto o comunque di ottenerne la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c. Il Tribunale ha deciso nel primo senso e la ricorrente deduce al riguardo che il giudizio dei sanitari statunitensi, secondo il quale il giocatore avrebbe dovuto sottoporsi ad intervento chirurgico in tempi brevi e successivamente "tentare" di riprendere l'attività agonistica, era stato contestato da quello dei sanitari italiani, secondo cui l'attività poteva essere continuata senza rischio con il differimento dell'intervento a fine stagione; sicché, il rifiuto assoluto opposto dal giocatore avrebbe dovuto essere apprezzato in termini di inadempimento, considerato anche che la società gli aveva proposto di partecipare ad un numero ridotto di partite con allenamenti differenziati. Il Tribunale, sebbene avesse dato atto che non era accertato il grado dei dolori che affliggevano l'atleta, ha concluso nel senso dell'impossibilità oggettiva senza adeguata motivazione e commettendo altresì l'errore giuridico di non disporre consulenza medico-legale con la giustificazione che non era stata chiesta dalle parti, giustificazione non rispondente alla realtà processuale ed in contrasto con il potere di ufficio spettante al giudice.

5.3. Il riferito motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento. Con affermazione non specificamente investita da censure, il Tribunale riferisce di avere accertato in fatto, anche sulla base della documentazione medica acquisita che il giocatore era stato colpito da "un'affezione alla schiena che incideva nella sua forma atletica e rendeva doloroso lo svolgimento dell'attività sportiva", situazione alla quale aveva fatto fronte assumendo appositi farmaci. E' in relazione a tale accertamento che va valutata l'ulteriore affermazione circa l'irrilevanza di un'indagine diretta a stabilire se, alle condizioni descritte, fosse possibile continuare a disputare partite, perché - e la puntualizzazione in diritto è senz'altro corretta - l'indisponibilità del diritto alla salute non consente di ritenere che il contratto obblighi ad optare, in presenza di diverse valutazioni sanitarie, per l'una anziché per l'altra, ovvero di sopportare un certo grado di dolore, di assumere farmaci e di rinviare un intervento chirurgico pacificamente indispensabile. Conclusivamente, il giudizio del Tribunale circa l'esistenza di una situazione di impossibilità della prestazione è sufficientemente motivato e privo di errori giuridici e logici mentre l'accenno al fatto che le parti non avevano chiesto alcun accertamento peritale non assume nel contesto delle argomentazioni rilievo decisivo.

6. Il secondo dei problemi, sul quale è incentrato il terzo motivo del ricorso principale, è se la situazione di impossibilità assoluta della prestazione rientrasse nel novero di quelle non esonerative dell'obbligo della società di versare il corrispettivo pattuito.

Il Tribunale ha dato risposta affermativa al quesito perché il contratto contemplava l'assunzione del rischio da parte della società nel caso si verificasse un infortunio al giocatore nel corso del rapporto. Questa statuizione è accusata di violazione degli art. 1362, 1463, 1464 e 2119, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, e all'art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale affermato che infermità quali le lombosciatalgie e discopatie sono malattie professionali dei giocatori di basket e, quindi, da equiparare agli infortuni richiamando sul punto il d.P.R. 1124/1965, sicuramente inapplicabile alla fattispecie, e non facendo alcun conto della lettera contrattuale che chiaramente si riferiva ai soli "infortuni", sia nel testo italiano che in quello redatto in lingua inglese; per avere, comunque, immotivatamente ritenuto la natura professionale della malattia e trascurato di esaminare le certificazioni sanitarie, deponenti nel senso della malattia e non dell'infortunio, e, quindi, di trarne le conseguenze ai fini della riconduzione della fattispecie nella previsione dell'art. 1463 c.c. (impossibilità totale) o anche dell'art. 1463 (impossibilità parziale), per ritenere verificatasi la risoluzione del rapporto, automaticamente o per effetto del recesso della società comunicato con lettera del 21 dicembre 1993. Infine, si censura specificamente la motivazione con la quale il Tribunale ha giustificato la decisione di non disporre consulenza tecnica con le stesse argomentazioni già svolte con il quarto motivo.

6.1. Anche questo motivo di ricorso non può trovare accoglimento. Al Tribunale non può essere imputata la violazione all'art. 1362 c.c. perché, conformemente a quanto assume la ricorrente, ha sostanzialmente ritenuto che il senso letterale della parola "infortunio" esprimesse l'intenzione delle parti di limitare la garanzia del corrispettivo al verificarsi di un episodio caratterizzato dalla causa violenta e non all'insorgenza di qualunque malattia Perciò ha ritenuto superflua ogni indagine sull'esatto significato e sulla corretta traduzione del termine inglese utilizzato nel contratto. E' giunto, quindi alla conclusione che proprio di infortunio si era trattato, utilizzando al riguardo dati di comune esperienza secondo i quali si configura infortunio anche quando la causa violenta genera un'infermità verso la quale sussiste una predisposizione del soggetto, poiché l'espressione usata dalle parti rivelava l'intenzione di riferirsi a tali episodi, senza operare alcuna distinzione o restrizione. In questo senso, che cioè la malattia si era sviluppata a seguito di traumi subiti nelle partite giocate, va intesa sia l'affermazione circa l'equiparazione della malattia all'infortunio, sia il richiamo ai principi enucleabili dalle disposizioni del d.P.R. 1124/1965, accompagnata peraltro dall'esplicita avvertenza dell'inapplicabilità di tale testo normativo alla fattispecie. In definitiva, il Tribunale ha ricostruito l'intenzione dei contraenti nel senso che la parola "infortunio" adoperata non consentisse di restringere la garanzia del corrispettivo alla causa violenta idonea da sola a cagionare lo stato invalidante, ma fosse tale da comprendere anche le infermità semplicemente occasionate dall'attività agonistica, con specifico riferimento ai micro-traumi che inevitabilmente subisce un giocatore di pallacanestro a seguito dello sforzo richiesto dalla prestazione atletica

Si tratta di un'interpretazione alla quale il giudice del merito è pervenuto senza violare le norme del codice civile di cui agli art. 1362 c.c. ss. e con una motivazione sufficiente e logicamente plausibile, cosicché si versa fuori dall'ambito della possibilità di ottenere un riesame mediante la cassazione con rinvio.Quanto alle censure che investono la mancata ammissione di un consulenza tecnica concernono quella parte della motivazione della sentenza impugnata che si riferisce alla diversa questione dell'intensità dei dolori e della configurabilità di un inadempimento del giocatore; sono, quindi, estranee alla circostanza della riconducibilità dell'episodio morboso alla nozione di infortunio cui si erano riferiti le parti contraenti. In ogni caso, il potere discrezionale del giudice del merito al riguardo può essere contestato nel suo esercizio solo per vizio della motivazione, vizio che non sussiste.

7. L'esame dei due motivi del ricorso incidentale condizionato, concernenti, nel presupposto della natura subordinata del rapporto di lavoro, il primo la violazione dell'art. 7 1. 300/1979 per essere stato il recesso motivato con 1'inadempimento senza previa contestazione dell'addebito, ed il secondo la violazione del principio di immutabilità delle ragioni del recesso ai sensi dell'art. 2 1. 604/1966, restano assorbiti nella decisione di rigetto del ricorso principale.

8. I ricorrenti principali, rimasti soccombenti devono essere condannati in solido alle spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti principali, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in £. 78.000 e degli onorari liquidati in £ 10.000.000

2003-01-29 - Fonte: sportlex.it

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