Per un attimo il grande problema doping sembra sopito nel nulla! Merito del grande successo al Campionato Mondiale di ciclismo su strada di Zolder dei nostri atleti azzurri: Francesco Chicchi per i dilettanti under ‘23 e l’invincibile “Re Leone†Mario Cipollini per i professionisti. Terminata l’euforia, ecco, però, che il “mostro†doping riappare e torna all’ordine del giorno: il caso Rumsas per tutti (la moglie di un corridore lituano arrestata dalla “Gendarmerie†francese – e solo pochi giorni fa scarcerata dietro cauzione –, perchè sorpresa il 28 luglio scorso nei pressi di Chamonix con la macchina carica di medicinali proibiti). Per la verità , il fenomeno doping è sempre esistito: fin dai tempi dell’antica Grecia, quando a chi doveva misurarsi in prove e combattimenti venivano date pozioni magiche, ma mai, come oggi, ha assunto dimensioni così preoccupanti. Probabilmente tale avvenimento per molti anni non è stato affrontato con la giusta misura essendosi gli organi preposti limitati ad effettuare un numero di controlli elevato ma non anche ad affinare la tecnica dei mezzi di verifica, arrivando al punto di non consentire ad un’atleta di bere neanche uno sciroppo per bambini perché contenente efedrina o, addirittura, ad obbligarlo a contenere il consumo di semplici bevande per non superare una certa soglia di caffeina. Era, quindi, opportuno un intervento del nostro legislatore che facesse un po’ di chiarezza, e così è stato (o almeno così pare), con la legge 14 dicembre 2000, n. 376 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping) che ha considerato il doping come somministrazione o assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e adozione o sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Tale legge ha, quindi, individuato quali laboratori debbono effettuare il controllo sanitario sulle competizioni e sulle attività sportive, nonché i farmaci contenenti sostanze dopanti il cui elenco è formulato e tenuto aggiornato nel Codice Antidoping del Movimento Olimpico. Infine, ha indicato le pene (reclusione da tre mesi a tre anni o multa da 5 milioni a 100 milioni) a carico di chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce l’utilizzo di sostanze “proibite†per alterare prestazioni agonistiche degli atleti o per modificarne i relativi controlli. Il suindicato testo legislativo prevede che: - il Regolamento del C.O.N.I., deve indicare le procedure necessarie all’effettuazione dei controlli antidoping e le conseguenze disciplinari in caso di “positività †dell’atleta; - il Regolamento Sanitario, deve garantire la tutela sanitaria e la consulenza scientifica ai tesserati della Federazione Ciclistica Nazionale tramite l’istituzione di una struttura sanitaria nazionale composta da medici federali, regionali e di squadra; - le Norme sulla Tutela della Salute, debbono mirare a responsabilizzare grandemente il medico sociale di ogni squadra attribuendogli il compito di assistere, vigilare ed informare il ciclista sui farmaci che può assumere; - il Codice Etico del Ciclismo, deve far conoscere ad ogni tesserato le leggi dello Stato e le norme regolamentari sportive, nazionali ed internazionali, che regolano la materia del doping.
2002-11-12
Ciclismo doping Articolo