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Antitrust, conclusa indagine conoscitiva sul calcio

2007-01-21  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

Comunicato stampa Agcm

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RIVEDERE LEGAMI FIGC-LEGA, RECIDERE CONFLITTI DI INTERESSE, NUOVI ASSETTI A SETTORE AGENTI E MIGLIORE SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE. TESSERAMENTO IN CORSO DI CAMPIONATO DEVE ESSERE UN’ECCEZIONE. VENDITA DIRITTI TV CON NUOVI CRITERI DI MUTUALITÀ DA AFFIDARE AD ORGANISMO INDIPENDENTE

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella riunione del 21 dicembre 2006, ha deliberato la conclusione dell’indagine conoscitiva relativa al settore del calcio professionistico di cui aveva approvato nei mesi scorsi un primo stralcio inerente il regolamento degli agenti. Nel documento, che contiene diversi capitoli attinenti a tutte le sfere organizzative e di gestione della Federazione, delle Leghe e delle società sportive, vengono anche proposti alcuni correttivi per rendere più competitivo e vicino alle regole di mercato il settore del calcio. Di seguito vengono elencati i punti più qualificanti dell’indagine che verrà tra l’altro consegnata agli organi federali e ai ministeri competenti.


1) Le entrate delle società di calcio professionistiche: come puntare non solo sui diritti televisivi

Il calcio professionistico in Italia rappresenta uno dei principali settori industriali, con una crescita costante dei fatturati delle società. A tale dato si affianca tuttavia l’ingente indebitamento complessivo accumulato dal settore negli ultimi anni, con notevoli perdite di esercizio fatte registrare dalle singole società, in larga parte attribuibili al costo del lavoro, ossia alla retribuzione dei calciatori. In merito a quest’ultimo aspetto, recenti analisi hanno evidenziato tuttavia un ridimensionamento delle retribuzioni lorde annue dei calciatori, le quali, nella scorsa stagione sportiva e per la prima volta dalla stagione 2001/02, si sono assestati in media sotto il milione di euro per la Serie A e si sono ridotti di quasi un terzo per la Serie B.

L’indagine ha evidenziato come la situazione finanziaria delle società di calcio professionistiche, caratterizzata da un’incertezza dei ricavi, sia ampiamente correlata all’esito delle competizioni sportive, posto che l’accesso o meno ad una competizione europea, così come la retrocessione al campionato inferiore o la permanenza nello stesso - a fronte di costi di gestione sostanzialmente fissi – possono determinare sbalzi significativi negli introiti societari, in termini di maggiori o minori entrate da diritti televisivi, da sponsor, da biglietti e abbonamenti per le gare dal vivo. L’analisi delle entrate delle società di calcio professionistiche ha messo in luce uno scarso sfruttamento di alcune fonti di ricavo e, al contempo, una forte dipendenza delle stesse società dai diritti audiovisivi, che rappresentano oltre il 40% dei ricavi delle società di Serie A, mentre il 12% arriva dagli sponsor. Le attività di merchandising rappresentano invece un’entrata oggi poco rilevante per le società in Italia, costituendo – in media – meno dell’1% delle entrate totali delle stesse, con riferimento alla Serie A. L’indagine ha evidenziato come tale circostanza sia principalmente da attribuire all’eccessiva diffusione della contraffazione dei marchi, che disincentiverebbe le società dallo sviluppare le attività di merchandising, per lo meno nella sua accezione tradizionale.

Anche la quotazione in borsa potrebbe rappresentare un’importante fonte di finanziamento necessaria al raggiungimento di un maggiore equilibrio competitivo nei campionati. Tuttavia, le società italiane non sembrano godere di una solida patrimonializzazione: ciò è principalmente dovuto al fatto che non differenziano appieno le entrate e non dispongono della proprietà delle strutture sportive. La scarsa patrimonializzazione e i ricavi poco differenziati inciderebbero, poi, negativamente sull’andamento del titolo delle società di calcio che volessero quotarsi. Tale andamento rischierebbe di essere assai volatile ed eccessivamente correlato ai risultati sportivi, con conseguenti rischi di attacchi speculativi e scalate azionarie.

Peraltro, la circostanza per cui gli stadi sono di proprietà delle amministrazioni comunali appare contribuire a disincentivare le società dal realizzare gli investimenti necessari per dotare gli impianti sportivi delle infrastrutture richieste ai fini di un loro utilizzo commerciale. In tale contesto, molte società stanno valutando l’ipotesi di acquisire gli attuali stadi dalle amministrazioni comunali proprietarie o, in alternativa, di costruire stadi nuovi, sebbene non sia facile l’identificazione delle aree dove edificarli.

2) Diritti tv, sì alla vendita centralizzata ma non imposta con legge e con nuovi criteri di mutualità per garantire un campionato di calcio più combattuto

L’indagine svolta dall’Autorità ha messo in luce, attraverso simulazioni effettuate sulla base dei sistemi di vendita adottati in altri Paesi europei, come il regime di vendita e ripartizione dei diritti televisivi esistente in Italia abbia accentuato gli squilibri di tipo economico tra società maggiori e minori.
La vendita centralizzata, come facoltà e non come obbligo, potrebbe migliorare la situazione ma il vero problema consiste nell’inadeguatezza del vigente meccanismo di ripartizione delle risorse adottato in Italia: l’attuale sistema, prevedendo che le società debbano versare ai fini mutualistici il 19% dei loro proventi totali, non realizza appieno le tipiche esigenze solidaristiche che connotano il fenomeno sportivo se confrontato con i meccanismi adottati in ambito europeo. Soprattutto in Francia, ad esempio, una quota maggioritaria è distribuita in parti eguali tra le società e una quota pari al 5% dei proventi viene attribuita allo Stato per promuovere e sovvenzionare i settori giovanili nonché contribuire alla crescita degli altri sport.

Peraltro, è emerso come la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse economiche tra società di calcio sembra aver prodotto effetti negativi sulla competizione tecnica tra le squadre nell’ambito di uno stesso campionato. In particolare, con riferimento alla Serie A, l’indagine ha messo in luce come la classifica finale, relativamente alle ultime cinque stagioni sportive, è stata caratterizzata da un divario maggiore tra le società maggiori e quelle minori rispetto ad altri campionati europei. Anche in merito ai compiti di ripartizione dei proventi da diritti televisivi, le Leghe, in quanto rappresentative delle società cui devono essere applicate le stesse regole di redistribuzione delle risorse, non sono i soggetti adatti alla definizione di tali regole. All’interno delle Leghe, infatti, possono verificarsi conflitti di interessi, ad esempio in capo a società i cui rappresentanti siedono negli organi delle Leghe e che, in ragione di tali incarichi, potrebbero trovarsi nella condizione di influenzare a loro vantaggio le scelte sulla ripartizione dei proventi da diritti televisivi.

Pertanto, l’Autorità ritiene che tali compiti di ripartizione dovrebbero essere attribuiti ad un soggetto terzo, o quantomeno ad un organismo indipendente che risponda alla Figc sulla falsariga della Co.Vi.Soc. al fine di garantire che la ripartizione delle risorse sia organizzata in modo da prevedere meccanismi di reinvestimento dei proventi a favore delle competizioni sportive considerate nel loro insieme, nonché a beneficio dell’intero settore calcistico.

In tal senso, quindi, occorrerebbe stabilire che la ripartizione avvenga in modo da:

    - destinare una parte significativa dei proventi alle finalità mutualistiche (a vantaggio delle società di Serie A e B e del sistema calcio nel suo insieme);
    - attribuire una parte non residuale dei proventi sulla base di criteri meritocratici, prescindendo pertanto dai valori relativi al bacino d’utenza delle singole squadre che nulla hanno a che vedere con il merito sportivo;
    - riconoscere all’organo tecnico la facoltà di modificare le quote ripartitorie a seconda delle esigenze che nel tempo si vengano a manifestare.

3) Una nuova disciplina dei rapporti tra calciatori e società

I rapporti tra calciatori e società di calcio sono disciplinati da disposizioni di vario rango, sia di natura legislativa (legge n. 91 del 1981) che di fonte federale (in particolare le NOIF, Norme Organizzative Interne della Federazione), nonché sulla base dell’Accordo Collettivo concluso tra le rappresentanze dei soggetti interessati (FIGC, Lega Nazionale Professionisti e Associazione Italiana Calciatori). Le previsioni di fonte federale e quelle contenute nell’Accordo Collettivo si ispirano poi per larga parte al Regolamento FIFA.

La normativa nazionale non contempla la possibilità di risolvere il contratto per giusta causa o per giusta causa sportiva. Soltanto nelle ipotesi espressamente previste dall’Accordo Collettivo, riconducibili alla morosità delle società, all’inabilità o inidoneità dei calciatori nonché al mancato rispetto del contratto e delle norme federali, è infatti possibile risolvere unilateralmente il contratto. La risoluzione consensuale è invece sempre possibile.

L’Autorità ritiene che la stabilità dei rapporti tra società e calciatori dovrebbe rappresentare un valore in sé e non essere chiamata in causa solo per impedire la risoluzione unilaterale dei contratti.

I rapporti contrattuali caratterizzati da eccessiva instabilità si prestano a pregiudicare il corretto svolgimento dei campionati calcistici, in quanto, in assenza di qualsivoglia vincolo, gli organici dei club potrebbero subire continue modifiche in corso di campionato a detrimento dello spettacolo calcistico e del principio per cui le competizioni sportive dovrebbero svolgersi in un contesto scevro da occasioni di collusione tra club. Tuttavia, allo stato, dette esigenze di stabilità contrattuale appaiono perseguite mediante strumenti non adatti allo scopo oppure caratterizzati da eccessiva restrittività.

Pertanto, l’Autorità auspica le seguenti modifiche della disciplina contrattuale:
    - previsione di un periodo protetto, durante il quale i contratti non possono in linea di principio essere risolti;
    - introduzione di un sistema sanzionatorio a tutela di detto periodo protetto;
    - introduzione del principio della risoluzione unilaterale dei contratti per giusta causa;
    - fissazione della durata minima dei contratti pari alla durata del campionato.

Anche le cessioni di giocatori da un club ad un altro, ove non soggette ad alcuna limitazione, possono creare distorsioni alla concorrenza tra società di calcio. Ciò in quanto la possibilità di modificare gli organici in corso di campionato tramite “scambi†reciproci di giocatori crea inevitabili opportunità di collaborazione tra club, suscettibili di falsare la corretta competizione.

Pertanto, in materia di cessioni in via definitiva o in prestito dei giocatori, l’Autorità auspica le seguenti modifiche:
    - fissare il principio per cui il Periodo di Tesseramento che cade nel corso del campionato, vale a dire il calcio-mercato di gennaio, deve essere utilizzato solo dalle squadre che partecipano a campionati diversi e solo eccezionalmente per cessioni tra club concorrenti (ad esempio, per sostituire giocatori infortunati);
    - stabilire che i prestiti di giocatori tra squadre che partecipano allo stesso campionato possano avvenire solo a fine stagione;
    - far coincidere la durata minima di tali prestiti con l’intero campionato;
    - indicare il numero massimo di giocatori (due o tre) che una società può cedere in prestito per ogni stagione;
    - indicare, altresì, il numero massimo di giocatori (due o tre) che una società può ottenere in prestito nel corso di una stagione.

4) Il nuovo regolamento agenti: meno esclusive e stop ai conflitti di interesse

Quanto al regolamento agenti l’Autorità ribadisce le posizioni già espresse nel relativo stralcio dell’indagine conoscitiva.

Più specificamente, l’analisi svolta ha rilevato problemi di natura concorrenziale in merito alle seguenti tipologie: i) vincoli all’accesso all’attività di agente dei calciatori; ii) standardizzazione dei rapporti contrattuali esistenti fra l’agente ed il calciatore; iii) clausole leganti; iv) inidoneità delle attuali previsioni in materia di conflitto di interessi a garantire pari opportunità agli agenti dei calciatori operanti sul mercato.

Per quanto riguarda la disciplina del conflitto di interesse, l’Autorità ha invece concluso che l’attività di agente dovrebbe essere vietata quando si gestiscono trattative che vedano come destinatari o beneficiari dell’attività svolta soggetti che abbiano legami parentali o di affinità quantomeno entro il secondo grado con l’agente stesso. Tale rimedio, che trova recepimento nella bozza di regolamento della Fgci, in corso di adozione, è apparso maggiormente rispondente al principio di proporzionalità rispetto alla soluzione originariamente proposta che prevedeva per tale fattispecie un regime di incompatibilità all’esercizio di attività di agente di calciatori.

Il Regolamento dovrebbe espressamente escludere la possibilità che uno stesso agente possa rappresentare al contempo allenatori e calciatori o, quantomeno, che lo stesso possa rappresentare allenatore e calciatori appartenenti alla stessa squadra.

5) La struttura organizzativa del settore, i punti cardine per una riforma dei ruoli di Figc e Leghe

Nel corso dell’indagine conoscitiva è emerso che, sotto un profilo antitrust, la natura di monopoli naturali delle competizioni sportive condiziona necessariamente la struttura organizzativa del sistema calcio. Ciò determina che, per ragioni di efficienza, in ogni Paese, sia un singolo ente ad organizzare il settore e a dettare le regole per la realizzazione e lo svolgimento delle competizioni sportive (le Federazioni). In tutti i paesi il calcio è organizzato mediante l’istituzione di una struttura federale sovraordinata ai singoli club ed alle loro associazioni, rappresentate nel settore calcistico dalle Leghe.

Come evidenziato in precedenza, l’Autorità riconosce che le specificità proprie dello sport in generale e del calcio in particolare richiedono che il settore sia organizzato e disciplinato da un’unica struttura federale, rappresentata a livello nazionale, per il settore calcistico, dalla FIGC.

Inoltre, le esigenze solidaristiche connesse all’organizzazione del settore richiedono che lo stesso sia soggetto a regolamentazione, sia per quanto concerne gli ambiti puramente sportivi, sia per quelli che, benché caratterizzati da un’evidente valenza economica, devono essere improntati a criteri di suddivisione delle risorse fra tutti i partecipanti, c.d. mutualità (come quello attinente alla ripartizione dei diritti televisivi).

Nel settore in esame, diversamente che in altri ambiti, i compiti di regolamentazione sono affidati agli stessi organismi associativi. Ciò trova giustificazione nel fatto che, ai fini dell’organizzazione del settore secondo gli schemi solidaristici anzidetti, tali organismi devono disporre del potere di organizzare non solo gli aspetti sportivi del sistema, ma anche parte di quelli economici.

Sotto il profilo giuridico i poteri di regolamentazione riconosciuti alla Federazione si giustificano alla luce della natura di ordinamento settoriale che caratterizza l’ordinamento sportivo, cui l’ordinamento statuale riconosce un elevato grado di autonomia, che si manifesta anche attraverso il potere di auto-organizzazione e di auto-normazione.

In Italia il sistema calcio, solo formalmente incentrato sul ruolo centrale della Federazione, ha dimostrato evidenti carenze funzionali anche a causa del sempre più rilevante ruolo attribuito ai suddetti organismi associativi (le Leghe) nell’ambito della struttura federale.

In via generale, l’attività delle Leghe dovrebbe dunque essere principalmente incentrata sull’elaborazione di regole puramente sportive finalizzate a rendere il proprio prodotto (campionati e Coppa Italia) sempre più interessante ed appassionante per gli utenti del calcio, favorendo una competizione sufficientemente equilibrata tra le squadre.

Nel contesto dell’indagine conoscitiva si è, in realtà, accertato come alle Leghe e, in particolare alla Lega nazionale professionisti, siano demandati compiti che di fatto esorbitano dalla mera organizzazione delle competizioni sportive. Con lo sviluppo degli aspetti economici connessi al gioco del calcio, le Leghe hanno infatti assunto un ruolo preponderante non solo nell’ambito dell’organizzazione delle competizioni, ma anche e soprattutto in relazione agli interessi finanziari dei propri associati, con particolare riguardo ai controlli sulle obbligazioni economiche contenute nei contratti di cessione dei calciatori e alla ripartizione dei proventi che derivano dalla vendita dei diritti televisivi.

È emersa, al riguardo, l’istituzione presso le Leghe di una procedura, definita dagli operatori del settore “stanza di compensazioneâ€, destinata a regolare e ad amministrare le transazioni finanziarie fra singole società oltre che i flussi economici di tipo mutualistico esistenti in ambito associativo, nonché la competenza nell’autorizzare la compravendita dei calciatori (il cd. visto di esecutività sulle obbligazioni economiche).

Dall’esame delle norme statutarie che disciplinano la FIGC e la sua struttura organizzativa e rappresentativa si è inoltre desunta la notevole rilevanza delle Leghe nella composizione ed elezione degli organi federali, con particolare riguardo all’Assemblea, al Presidente, al Consiglio federale e, di conseguenza, una significativa influenza che le Leghe stesse possono esercitare in tali contesti.

Perché la Federazione sia posta in condizione di rappresentare effettivamente tutti gli attori del mondo del calcio, è necessario che la stessa sia effettivamente (e non solo formalmente) sovraordinata ai singoli club ed alle loro associazioni e, quindi, è altresì necessario che, nell’ambito dei suoi organi, sia garantita pari dignità a tutte le componenti del settore. In altri termini, gli organi federali dovrebbero funzionare in modo da non essere soggetti all’influenza delle associazioni che raggruppano le società di calcio.

In definitiva, l’Autorità ritiene che la gestione delle questioni di tipo economico non andrebbe attribuita ad organismi come le Leghe, le quali rappresentano soltanto una delle componenti del sistema (le società di calcio), ma piuttosto alla FIGC, quale ente organizzatore che, secondo lo stesso ordinamento sportivo, esprime gli interessi di tutti i soggetti attivi nel settore stesso.

Ciò vale sia per i compiti delle Leghe in materia di ingaggi dei calciatori, sia per quelli relativi alla ripartizione mutualistica dei proventi da diritti televisivi.

Sotto il primo profilo, l’Autorità è dell’avviso che i compiti, oggi affidati alle Leghe, in materia di ingaggi e che comportano controlli di tali associazioni sulle proprie associate, dovrebbero essere rivisitati. In particolare, occorrerebbe:
    - attribuire il compito di approvare i contratti tra società e calciatori nonché quello di redigere i modelli di accordi di cessione alla FIGC;
    - attribuire tutte le attività di controllo economico finanziario sulle società alla Co.Vi.So.C., rafforzando, a tal fine, i poteri di tale organismo.



Roma, 5 gennaio 2007

2007-01-21 - Fonte: Agcm

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