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"Sei un atleta, non un seduttore. Non devi stare lì ad ammirati, ma a gareggiare. Devi avere fame di successi, di risultati, di gloria. Lo sport non è una sfilata, è provarci per davvero con tutto te stesso". - Sergej Bubka

      

Pantani “Il Pirata” ci lascia portando con sé i suoi segreti

2004-02-19  NEW: Appunta - Stampa · modifica · cancella · pdf
      

“Vinco tutto e mi sento solo” ...

“Vinco tutto e mi sento solo”: questo è il pensiero ricorrente di Marco Pantani detto Il Pirata (nato a Cesena il 13 gennaio del 1970 e deceduto a Rimini lo scorso 14 febbraio); un campione della bici che per anni (nonostante le avversità che lo hanno perseguitato con incidenti e infortuni) ha primeggiato in lungo e largo con mirabolanti successi, dando tanti lustri alla nostra Nazione, per poi perdersi e cadere nel male oscuro del doping e della depressione. 

Il calvario di Pantani inizia nel 1995 durante il finale della Milano-Torino quando, scontrandosi con una macchina che procedeva in senso inverso al suo, si procura la rottura della tibia e del perone della gamba sinistra. Da qui inizia il calvario del Pirata: agli accertamenti degli esami del sangue che gli rilevano elevati valori di ematocrito, consegue la messa sotto processo dinanzi al Tribunale di Forlì per frode sportiva (condannato in primo grado, viene assolto in Appello, ma solo perché il fatto commesso non era previsto come reato dalla legge penale all’epoca vigente –. Di tale episodio non si parla più fino al famoso blitz di Madonna di Campiglio, dove Il Pirata – in quel momento maglia rosa e a poche tappe dalla conclusione di una corsa ormai vinta –, viene inchiodato da un controllo a sorpresa dal quale risulta un valore di ematocrito sballato. Da allora, dopo quasi un anno di inattività, si rivede solo a rate (per il Giro del Giubileo, al Giro, al Tour …).

 Dopodiché, ricominciano i processi penali a turbare il corso della sua vita: il Tribunale di Trento – Sez. distaccata di Tione di Trento –, dinanzi al quale viene rinviato a giudizio, lo assolve sempre con la stessa formula, ovvero perché il fatto commesso non era previsto come reato dalla legge penale all’epoca vigente.

Arriva, infine, al definitivo traguardo della sua vita, preceduto da sei giorni da carcerato interminabili vissuti in una camera al quinto piano del Residence “Le Rose” di Rimini a scrivere il suo ultimo atto, lasciando nel mistero le modalità della sua scomparsa, che (forse) nessuno potrà mai svelare: il suo cadavere viene rinvenuto in mezzo ad una stanza semidistrutta disseminata  da farmaci (per lo più ansiolitici) reperiti sul letto e per terra.

Come accertato da un illustre medico legale, la sua morte è intervenuta per un edema cerebrale e polmonare che ne ha provocato l’arresto cardiocircolatorio; le cause scatenanti del decesso, al vaglio degli esperti, sono sostanzialmente due: Pantani ha assunto involontariamente un cocktail di farmaci, o, se volontariamente, ne ha abusato a scopi suicidi?

Nel frattempo, la magistratura sta cercando di ricostruire l’ultima settimana di Pantani per individuare un presunto soggetto che potrebbe avergli ceduto la cocaina – le cui tracce sono state rinvenute all’interno della stanza dove è stato trovato cadavere –, formulando un’ipotesi di reato a carico di ignoti: morte come conseguenza di altro delitto ex art. 586 c.p.- Tutto ciò sul presupposto che il mix cocaina e farmaci possa aver causato il decesso del Pirata.

Certo che l’ultimo messaggio contenuto nella lettera lasciata dal Pirata alla propria famiglia evidenzia il suo profondo senso di amarezza, solitudine e sgomento per la sua vita sportiva e non.

'' Sono stato umiliato per nulla. Per quattro anni sono in tutti i tribunali, ho solo perso la mia voglia di essere come tanti altri sportivi, ma il ciclismo ha pagato e molti ragazzi hanno perso la speranza della giustizia. E io mi sto ferendo con la deposizione di una verita' sul mio documento, perche' il mondo si renda conto che se tutti i miei colleghi hanno subito umiliazioni, in camera con le telecamere nascoste per cercare di rovinare le famiglie; e poi dopo come fai a non farti male.
Io non so come mai mi fermo in casi di sfogo come questi. Mi piacerebbe, io so di aver sbagliato con le prove pero', ma solo quando la mia vita sportiva, soprattutto privata, e' stata violata, ho

perso molto.

E sono in questo paese con la voglia di dire che hasta la victoria e' un grande scopo per uno sportivo.
Ma il piu' difficile e' di aver dato il cuore per uno sport, con incidenti e infortuni: e sempre sono ripartito. Ma cosa resta, c' e' tanta tristezza e rabbia per le violenze che la giustizia a tempi e' caduta nel credere. Ma la mia storia spero che sia di esempio agli altri sport che le regole, si', ma devono essere uguali per tutti. Non esiste lavoro che per esercitare si deve dare il sangue, i controlli di notte alle famiglie degli atleti. Io non mi sono sentito piu' sereno di non essere controllato in casa, in albergo, dalle telecamere e sono finito per farmi del male, per non rinunciare alla mia intimita', all' intimita' della mia donna, e degli altri colleghi che hanno perso.
E molte storie di famiglie violentate. Ma andate a vedere cos' e' un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza per cercare di ritornare con quei sogni di uomo che si infrangono con le droghe: ma dopo la mia vita di sportivo. E se un po' di umanita' fara' capire e chiedere cosa ci fa sperare e che con uno sbaglio vero si capisce e si batte, perche' si sta dando il cuore. Questo documento e' verita', la mia speranza e' che un uomo vero o una donna legga e si ponga in difesa di chi, come si deve dire al mondo, regole per sportivi uguali per tutti. E non sono un falso, mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare. Ciao Marco''.

Da tifoso non mi rimane che sussurrare – inascoltato – al Tuo orecchio non più disposto a sentirmi: Marco questo scatto finale che non prevede il ritorno, non lo dovevi fare!

2004-02-19 - Fonte: Foggia

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