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Licenziamento, Whatsapp, controlli: Tribunale di Roma II del 14.3.2023 |
abstract:
Caso delicato: dirigenti ha una relazione e cerca di licenziare, ma non informa i superiori. Licenziato.
Il controllo dei messaggi WhatsApp a seguito di lavoro a distanza
- Fonte: Trib. di Roma
analisi:
-
index:
Indice
- C.c.
testo:
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TRIBUNALE DI ROMA – II SEZIONE LAVORO - SENTENZA DEL 14 MARZO 2023
Sentenza con motivazione contestuale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
II SEZIONE LAVORO
Il giudice del lavoro, dott.ssa Antonianna Colli, in data 14 marzo 2023, a seguito di
trattazione e decisione della causa secondo le modalità di cui all'art. 221 d.l. 4/2020 conv.
in 1. 77/2020, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
ex art. 429 co. 1 c.p.c. nella causa n. 22884/2021 R.G.A.C. promossa da
(...)
Contro
(...)
Già (...)
in persona del legale rappresentante pro tempore
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente notificato alla convenuta meglio identificata in epigrafe, parte
ricorrente adiva il giudice del lavoro dell'intestato Tribunale chiedendo in via principale di
dichiarare l'illegittimità del licenziamento subito e per l'effetto di essere reintegrato nel
posto di lavoro, nonché di condannare la società al pagamento di un'indennità risarcitoria
commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. pari ad Euro
3.296,29 mensili nella misura massima e al versamento dei contributi; in via subordinata
chiedeva di dichiarare estinto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e
condannare la società convenuta al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva
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determinata sulla base dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento
di fine rapporto pari ad Euro 3.296,29 mensili, nonché di condannare la società convenuta
al pagamento, in favore del ricorrente, dell'indennità di mancato preavviso nella misura di
Euro 6.592,58. Il tutto con vittoria di spese, competenze ed onorari.
A sostegno della domanda, deduceva di essere stato assunto dalla (...), a far data dal
23.10.2017 e di essere passato alle dipendenze della resistente in data 1.1.2020; di essere
stato licenziato con lettera dell'11.5.2021, con effetto dal 26.4.2021; di essere stato
inquadrato, dapprima nel primo livello e, dall'I. 1.2021 come quadro del ccnl Terziario della
Distribuzione e Servizi, con ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento
di fine rapporto pari ad Euro 3.296,29; di avere svolto mansioni di Senior Associate; di aver
operato nell'ambito della commessa affidata dal Ministero dell'Interno - Dipartimento della
Pubblica Sicurezza per il servizio di supporto specialistico di assistenza tecnica all'Autorità
di Gestione del PON Legalità 2014-2020; di aver lavorato in modalità di lavoro agile dal
mese di febbraio 2020 sino al licenziamento, salvo occasionali attività in presenza; che con
lettera del 26.04.2021, la società resistente aveva contestato al ricorrente che, nel periodo
da metà febbraio 2020 a luglio 2020, aveva intrattenuto una relazione sentimentale con una
collega, addetta allo stesso settore di attività, violando la policy aziendale contenuta nel
Codice di Comportamento, secondo cui avrebbe dovuto segnalare tale circostanza; che
l'aveva invitata ad interrompere la gravidanza, le aveva richiesto di comunicare lo stato di
gravidanza solo dopo la data del 15.10.2020 per non ostacolare la sua promozione e aveva
cercato di indurla a cambiare azienda; che, a seguito di giustificazioni presentate per iscritto
in data 30.4.2021 e successive integrazioni, con lettera dell'I 1.5.2021, la società irrogava il
licenziamento, che veniva tempestivamente impugnato. In punto di diritto, eccepiva la
nullità del licenziamento, l'insussistenza del fatto contestato, la sproporzione della sanzione
espulsiva rispetto all'entità dell'infrazione. Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si
costituiva in giudizio la società resistente chiedendo il rigetto del ricorso. Il tutto con vittoria
di spese, competenze ed onorari. Deduceva, a sostegno delle proprie ragioni, di aver
accertato in data 16.3.2021 tramite il sistema Whistleblowing che, nel periodo da febbraio
2020 a luglio 2020, il ricorrente aveva intrattenuto una relazione sentimentale con una
collega addetta allo stesso settore di attività, la dr.ssa (...); che il ricorrente non aveva
segnalato tale circostanza alla (...) società, in violazione delle previsioni del codice etico della
società; di aver appreso, che la era rimasta incinta e che il ricorrente l'aveva invitata ad
interrompere la gravidanza; che il ricorrente aveva insistito affinché la stessa comunicasse
la gravidanza solo dopo la data del 15.10.2021; che il licenziamento risultava essere stato
irrogato a causa delle condotte del ricorrente di gravità tali da giustificare l'adozione della
sanzione espulsiva; che le conversazioni tra il ricorrente e la (...) riportate nella contestazione
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disciplinare non fossero in contrasto con le previsioni del Reg. UE 679/16 e del D.Lgs.
196/2003, che consentivano il Trattamento dei dati sensibili per l'esercizio di un diritto; che
non vi era stato alcun controllo o ingerenza nella vita privata da parte della società; che le
comunicazioni con la (...) erano state fornite alla società dalla stessa.
La causa veniva istruita attraverso produzioni documentali e prova testimoniale e quindi
rinviata per la discussione e, quindi, su richiesta delle parti, rinviata alla data odierna, da
trattarsi con le modalità della trattazione scritta.
All'esito della camera di consiglio, veniva decisa mediante pronuncia contestuale di
dispositivo e motivazione depositati telematicamente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda non è fondata e pertanto non può essere accolta.
Giova preliminarmente osservare che, ai sensi dell'art. 7, co. 1, L. 300/1970 "le norme
disciplinari relative alle sanzioni) alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può
essere applicata ed alle procedure di contestatone delle stesse, devono essere portate a
conoscenza, dei lavoratori mediante affissione in logo accessibile a tutti. Esse devono
applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano".
Come ribadito recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione "ai sensi del primo comma
dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, l'affissione del codice disciplinare, rappresenta ima
forma di pubblicità condizionante il legittimo esercizio del potere disciplinare del datore di
lavoro, il cui adempimento deve essere provato dal datore medesimo. Tale formalità
pubblicitaria, che non ammette equivalenti, ha la funzione di assicurare la conoscibilità
legale della normativa disciplinare. Pertanto, come il lavoratore non può invocare la
ignoranza, delle norme disciplinari regolarmente affisse, così il datore di lavoro, ove sia
mancata la regolare affissione delle stesse norme, non può utilmente sostenere che il
lavoratore ne fosse altrimenti a conoscenza".
Nel caso di specie, a fronte dell'eccepita mancata pubblicazione del codice disciplinare nei
luoghi di lavoro, la società resistente ha dedotto di averne assicurato la diffusione mediante
pubblicazione nei locali aziendali, nonché sul sito internet e che in ogni caso il ricorrente ne
aveva preso visione al momento dell'assunzione.
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Ebbene, occorre dato atto che l'espletata istruttoria con i testimoni citati dalle parti ha
evidenziato i seguenti elementi di fatto.
La testimone (...) ha dichiarato "ho lavorato per la convenuta, già Price DAL DICEMBRE
2017 AL GIUGNO 2021 e mi occupavo di consulenza per programmi comunitari 1m mia sede
di lavoro era in Largo Fochetti di cui non ricordo il civico, anche se lavoravo presso il cliente.
Non ricordo se in sede fosse affisso il codice disciplinare in quanto ci sono andata poche
volte in tutto il rapporto".
Da tale deposizione non è emerso alcun elemento significativo, atteso che la teste ha
dichiarato di non rammentare se il codice disciplinare fosse esposto nei locali aziendali.
La teste (...) ha dichiarato "dirigente della società di servizi della (...) non parente, non ho
mai lavorato per la convenuta; indifferente. La sede della società convenuta era la stessa
della mia, situata in largo (...). Da quando io lavoro li, dal 2006, il codice disciplinare e
sempre stato affisso nel piano ammezzato, all'interno di una bacheca, vicino alle macchinette
del caffè. Era inoltre disponibile presso il portale aziendale assieme a tutta la
documentazione ed estratto del ccnl. Il luogo è rimasto lo stesso per tutta la durata del
rapporto del ricorrente. E' stato portato al secondo piano, a seguito della ristrutturazione dei
locali conseguente alla uscita dal gruppo di (...) Adr la mia sede di lavoro e sempre stata a
Milano, ma ho sempre frequentato con continuità la sede di Roma, almeno due volte al mese
in ragione delle mie, funzioni".
Dalla suddetta testimonianza, diversamente, è emersa la prova dell'avvenuta affissione da
parte della società del codice disciplinare nel luogo di lavoro.
Ne consegue la legittimità della condotta datoriale, sotto il profilo del rispetto formale
dell'affissione del codice disciplinare.
Ciò posto, in merito alle censure sollevate dal ricorrente in merito all'utilizzabilità delle
conversazioni a mezzo "whatsapp" intrattenute dallo stesso con la dr.ssa (...), si osserva
quanto segue.
Contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, non si rileva alcuna violazione della
disciplina sulla privacy di cui al Reg. UE 679/16 e al D.Lgs. 196/2003. Difatti, come da
principio granitico delia giurisprudenza di legittimità, l'esercizio del diritto di difesa prevale
sulle esigenze di riservatezza, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità
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e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (da ultimo Cass. 19531/2021;
Cass. 33809/2021)
A ciò si aggiunga che, come correttamente rilevato dalla società, il datore di lavoro non ha
acquisito le conversazioni private tra i dipendenti in maniera arbitraria o in esercizio di un
potere di controllo contrario all'art. 4 L. 300/1970.
Difatti, come risulta anche dalla documentazione in atti (cfr. doc. 3 fase, società resistente),
le suddette conversazioni sono state prodotte alla società direttamente dalla dr.ssa (...).
Ne consegue l'infondatezza anche della censura di illegittimità della condotta datoriale, per
violazione dell'art. 15 Cost., non risultando leso il principio di segretezza della
corrispondenza privata.
Ciò posto, occorre altresì sottolineare che, le riproduzioni informatiche delle conversazioni
di messaggistica "whatsapp" costituiscono riproduzioni meccaniche ai sensi dell'art. 2712
c.c. idonee a provare i fatti ivi rappresentati, salvo il disconoscimento puntuale e circoscritto
da parte del soggetto contro cui sono prodotte.
Ed inveirò, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione "per far perdere in un processo
la qualità di prova alle riproduzioni informatiche di una chat occorre un disconoscimento
"chiaro, circostanziato ed esplicito", che si deve concretizzare "nell'allegazione di elementi
attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta". Sono perciò inefficaci
i semplici richiami, fatti dal ricorrente, ai propri scritti difensivi nei quali dichiarava che
quanto rappresentato dalle riproduzioni informatiche non corrispondesse alla realtà dei fatti
in essa descritta. A precisarlo è la Cassazione confermando in tal modo l'importanza delle
riproduzioni informatiche di conversazioni via sms, messaci mail o whatsapp. Nel caso di
specie, si trattava di una relazione extraconiugale intrattenuta, dal ricorrente a cui i giudici
di merito avevano addebitato le separazioni" (Cass. 12794/2021). Ebbene, nel caso di specie,
parte ricorrente si è limitata ad una mera contestazione generica del contenuto delle
conversazioni oggetto di addebito disciplinare, limitandosi ad eccepire che l'estrapolazione
di singoli stralci risultava avulsa dal contesto e dal tenore complessivo delle comunicazioni
intervenute con la (...), senza ulteriormente precisare ed esplicitare le ragioni della censura
e la non corrispondenza tra realtà fattuale e quella riprodotta. In tali termini, pertanto, non
può ritenersi che sia stata operato un disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito,
come invece richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte sopra riportata.
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A nulla poi rileva la contestazione operata in merito all'inutilizzabilità di tali messaggi, in
quanto oggetto di copia forense operata da tecnico di parte.
Difatti, la stessa giurisprudenza riconosce che "l'acquisizione di dati informatici mediante,
la cosiddetta copia forense è una modalità conforme alla legge, che mira a proteggere,
nell'interesse di tutte le patti, l'integralità e affidabilità del dato così acquisito" (ex multis,
Cass. 1822/2022). Ed invero, anche le singole contestazioni alle modalità di acquisizione
informatica risultano prive di pregio, in quanto dalla relazione tecnica (cfr. doc. 3 fasc. soc.
resistente) si evince che la clonazione del dispositivo della (...) è avvenuto mediante l'utilizzo
di applicativo forense "Ufed" e nella stessa sono puntualmente descritti tutti i passaggi
compiuti dal consulente per l'acquisizione dei dati.
Le censure del ricorrente, sul punto, si appalesano generiche, limitandosi lo stesso senza
elementi specifici a lamentare l'alterazione della procedura.
Ciò posto, nel merito si osserva che, ai sensi dell'art. 2119 c.c. "Ciascuno dei contraenti può
recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo
determinato, o senza preavviso, se il contratto e a tempo indeterminato, qualora si verifichi
una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto
è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete
l'indennità indicata nel secondo comma deli articolo precedente. Non costituisce giusta
causa di risoluzione del contratto la liquidatone coatta amministrativa dell'impresa. Gli
effetti della liquidatone giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e
dell'insolvenza".
Orbene, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento di natura disciplinare,
risulta preliminare l'accertamento della sussistenza del fatto addebitato al lavoratore. Nel
caso di specie, il licenziamento risulta essere stato disposto nei confronti del ricorrente con
lettera dell'11.5.2021, all'esito del relativo procedimento disciplinare, avviato dalla società
convenuta con comunicazione del 26.4.2021.
In particolare, la società, ritenute irrilevanti le giustificazioni rese per iscritto con lettere del
30.4.2021 e dell'8.5.2021, ha posto a fondamento del provvedimento espulsivo la violazione
del codice di comportamento della società resistente.
In particolare, risulta che le condotte ascritte al ricorrente si sostanzino nell'intrattenuta
relazione con una collega del gruppo di lavoro in cui lo stesso risultava inserito nel periodo
da febbraio a luglio 2020, nonché nell'aver adottato un contegno abusivo nei confronti della
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stessa, inducendola a tacere lo stato di gravidanza al datore di lavoro e a rassegnare le
dimissioni per ricollocarsi presso altra società competitor.
Ebbene, dalle conversazioni intercorse tra il ricorrente e la (...) si evince che gli stessi fossero
legati da una relazione di tipo affettivo, celata all'interno della società. Risulta, altresì,
comprovato che il ricorrente abbia creato uno stato di tensione psicologica nella ricorrente,
inducendola dapprima ad interrompere la gravidanza (verosimilmente attribuibile allo
stesso, come si evince dal tenore delle conversazioni versate in atti) e, successivamente, a
tacere la circostanza alla società fino alla data del 15.10.2020, al fine di non ostacolare il
proprio avanzamento di carriera.
Dal tenore delle conversazioni, è emerso altresì che lo stesso ricorrente abbia in diverse
occasioni tentato di allontanare la (...) dal contesto lavorativo, persuadendola a rassegnare
le dimissioni e a ricollocarsi presso altra società competitor del datore di lavoro. Ebbene, in
conformità al codice di comportamento adottato dalla società resistente, lo stesso ricorrente
avrebbe dovuto informare il datore di lavoro della relazione sentimentale intrapresa con la
(...), essendo peraltro pacifico che entrambi fossero adibiti alla stessa commessa affidata dal
Ministero dell'Interno alla società, Difatti, in merito ai "rapporti di parentela e relazioni
personali" il codice dì comportamento sancisce che "(...) riconosce che all'interno di una
grande organizzazione si possano instaurare relazioni personali strette tra colleghi, siano
questi Partner o altri lavoratori. Inoltre, (...) consente riassunzione di persone imparentate
con partner e membri dello staff. Tuttavia, è necessario prestare adeguata attenzione per
garantire che le relazioni personali strette e i rapporti di parentela non creino situazioni in
cui: - membri dello staff beneficino o soffrano a causa di una relazione personale o di
parentela dentro e fuori - sorgano questioni di riservatezza, indipendenza e conflitti di
interesse, questi ultimi anche solo percepiti; - risulti un reale o percepito nepotismo e! o
favoritismo... Partner o membri dello staff non possono essere impegnati nella stessa unità
organizzativa/funzione in cui lavorano parenti o individui con cui hanno stretto una
relazione personale, In nessun caso una delle due persone dovrà, essere il diretto superiore
dell'altro né in alcun modo partecipare ai processi di valutazione, avanzamento di carriera,
assunzioni di responsabilità e decisioni riguardanti il lattamento economico dell'altro,
inoltre, le persone con stretti rapporti di parentela o relazioni personali tra di loro non
possono essere assegnate al medesimo cliente o incarico Inoltre, ai sensi dell'art. 5.4.2 del
codice etico della società "(...) in coerenza con i valori di onestà e correttezza, si impegna a
mettere in atto le misure necessarie a prevenire ed evitare fenomeni di conflitto di interessi
Questo vale tra l'altro nei casi in cui un Destinatario: - persegua un interesse diverso dalla
mission della Società, - si avvantaggi personalmente di opportunità d'affari della Società, -
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agisca in contrasto con i doveri fiduciari legati alla propria posizione. I Destinatari sono
tenuti ad evitare tutte le situazioni e tutte le attività in cui si possa manifestare un conflitto
con gli interessi della Società o che possano interferire con la propria capacità di assumere,
in modo imparziale, decisioni nel migliore interesse della Società e nel pieno rispetto delle
norme del Codice Pitico, del Modello di Organizzazione e Gestione ex D.Lgs. 231/01 della
Società e più in generale di tutte le direttive e procedure aziendali".
A nulla rileva quindi che, come dedotto dal ricorrente, si trattasse di una mera relazione
sessuale caratterizzata da sporadici incontri, posto che il divieto di relazioni tra dipendenti
addetti alla medesima unità risponde all'esigenza di garantire l'imparzialità e la trasparenza
delle scelte lavorative adottate dai lavoratori, nonché la serenità dell'ambiente lavorativo.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, si osserva quanto segue, in merito al giudizio
di proporzionalità tra la condotta e la sanzione disciplinare.
Ebbene, deve ritenersi che l'art. 2106 c.c. imponga al giudice non solo di accertare l'effettiva
sussistenza del fatto contestato al lavoratore, ma anche di valutare se questo fatto sia
talmente grave, da giustificare la sanzione disciplinare in concreto adottata dal datore di
lavoro, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale della condotta del lavoratore.
Nel caso di specie, il fatto ascritto al ricorrente risulta lesivo del codice di comportamento e
del codice etico, adottati dalla società datrice, nonché più in generale dei doveri di
correttezza e lealtà che devono essere rispettati nel rapporto di lavoro. La diligenza richiesta
dall'art. 2105 c.c. nell'espletamento della prestazione lavorativa ricomprende, infatti, anche
l'obbligo di adottare un contegno conforme alle disposizioni organizzative e ai protocolli di
comportamento imposti dal datore di lavoro, a protezione degli interessi aziendali.
A ciò si aggiunga che, dai canone generale di buona fede sorgono obblighi aggiuntivi di
protezione della controparte contrattuale, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio dei propri
interessi.
Non vi è dubbio, quindi, che sul lavoratore incombe l'obbligo di comunicare al datore di
lavoro qualsiasi situazione di potenziale conflitto che possa compromettere gli interessi
aziendali.
Nel caso di specie, risulta che il ricorrente volontariamente abbia anteposto il proprio
interesse personale all'avanzamento di camera, rispetto agli interessi della società resistente,
celando una situazione di potenziale conflitto di interessi in violazione dell'obbligo di
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discosure e compromettendo la serenità sul luogo di lavoro con i componenti del suo gruppo
di lavoro (tale essendo la collega con la quale aveva intrapreso la relazione).
A ciò si aggiunga che, il ricorrente, seppur non essendo formalmente posto in una posizione
di supremazia gerarchica rispetto alla (...) tale da configurare un vincolo di subordinazione
in senso stretto, ricopriva in ogni caso un profilo professionale più elevato.
Da quanto dedotto dalla società, in maniera non specificamente contestata dal ricorrente, la
valutazione professionale dei lavoratori con profilo junior, presuppone il confronto del
dirigente con i senior del gruppo lavorativo.
Tale circostanza induce a ritenere che, il ricorrente, in quanto profilo senior, fosse nella
posizione di esercitare pressioni sulla collega (...) rivestendo quest'ultima il profilo junior.
Ne consegue che, le pressioni esercitate dallo stesso sulla collega al fine di indurla a tacere
finanche lo stato di gravidanza alla società, nonché ad abbandonare il posto di lavoro
assumano il carattere della gravità tale da pregiudicare il vincolo fiduciario di cui all'art. 2105
c.c.
Non nuoce rammentare, infatti, che ai sensi dell'art 2087 c.c. sul datore di lavoro incombe
l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e sulla salute psico-fisica dei dipendenti, assumendo
anche la responsabilità per le condotte abusive adottate nel contesto lavorativo.
Pertanto, la condotta, complessivamente ascrivibile al ricorrente, risulta dal punto di vista
oggettivo e soggettivo connotato da una gravità tale da non ritenere la stessa punibile con
una diversa sanzione conservativa.
Ne consegue che, la sanzione del licenziamento disciplinare, irrogata dal datore di lavoro al
ricorrente, ai sensi dell'art. 238 CCNL di comparto risulta proporzionata rispetto
all'addebito contestato con lettera di contestazione del 26.04.2021.
Difatti, la norma contrattuale collettiva, pacificamente applicabile al caso di specie, nella
individuazione delle diverse sanzioni conservative applicabili al lavoratore, elenca le varie
condotte sanzionabili, graduandone la gravità e prevedendo per ciascuna di esse
l'espressione del potere disciplinare del datore di lavoro.
In particolare, testualmente l'art. 238 prevede che "La inosservanza dei doveri da parte del
personale dipendente comporta i seguenti provvedimenti, che saranno presi dal datore. di
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lavoro in relazione alla entità delle mancante e alle circostante che l'accompagnano: 1)
biasimo inflitto verbalmente per le mancanze lievi; 2) biasimo inflitto per iscritto nei casi di
recidiva delle infrazioni di cui al precedente punto 1; 3) multa in misura non eccedente
l'importo di 4 ore della normale retribuzione di cui all'art. 206; 4) sospensione dalla
retribuzione e dal servizio per un massimo di giorni 10; 5) licenziamento disciplinare senza,
preavviso e con le altre conseguenze di ragione e di legge. Il provvedimento della multa si
applica nei confronti del lavoratore che: - ritardi nell'inizio del lavoro senza, giustificazione,
per un importo pari all'ammontare della trattenuta; - esegua con negligenza- il lavoro
affidatogli; - si assenti dal lavoro fino a tre giorni nell'anno solare senza, comprovata
giustificazione; - non dia immediata notizia all'azienda di ogni mutamento della propria
dimora, sia durante il servizio che durante i congedi. Il provvedimento della sospensione
dalla retribuzione e dal servizio si applica nei confronti del lavoratore che: - arrechi danno
alle cose ricevute in dotazione ed uso, con dimostrata responsabilità; - si presenti in servizio
in stato di manifesta ubriachezza; - commetta recidiva, oltre la terza, volta nell'anno solare,
in qualunque delle mancanze che prevedono la multa, salvo il caso dell'assenza
ingiustificata. Salva ogni altra azione legale, il provvedimento di cui al punto 5
(licenziamento disciplinare) si applica esclusivamente per le seguenti mancanze: - assenza
ingiustificata oltre tre giorni nell'anno solare; - recidiva nei ritardi ingiustificati oltre la
quinta volta nell'anno solare, dopo formale diffida per iscritto; grave violazione degli
obblighi di cui all'art. 233, 1° e 2° cornuta; - infrazione alle norme di legge circa la sicurezza
- per la lavorazione, deposito, vendita e trasporto; - l'abuso di fiducia, la concorrenza, la
violazione del segreto d'ufficio; - l'esecuzione, in concorrenza con l'attività dell'azienda, di
lavoro per conto proprio o di terzi, fuori dell'orario di lavoro; - la recidiva, oltre la terza volta
nell'anno solare, in qualunque delle mancanze che prevedono la sospensione, fatto salvo
quanto previsto per la recidiva nei ritardi. L'importo delle multe sarà destinato al Fondo
pensioni dei lavoratori dipendenti il lavoratore ha facoltà di prendere visione della
documentatone relativa al versamento".
Pertanto, ciascuna sanzione dovrà essere applicata, valutando in concreto non solo la gravità
della condotta e l'entità delle mancanze ascritte al lavoratore, ma anche e specialmente "le
circostanze che le accompagnano"; vale a dire che la singola condotta dovrà essere valutata
anche nel contesto in cui la stessa è stata posta in essere, mutuando da esso il concreto e
specifico disvalore.
Pertanto, tenendo conto che la sanzione del licenziamento disciplinare si applica per;
"assenza ingiustificata oltre tre giorni nell'anno solare; - recidiva nei ritardi ingiustificati
oltre la quinta volta nell'anno solare, dopo formale diffida per iscritto; grave violazione degli
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obblighi di cui all'art, 233, 1° e 2° comma" (art. 238 cit.), deve ritenersi che il provvedimento
irrogato sia proporzionato alla gravità della condotta di cui al presente giudizio, delle
condizioni soggettive del lavoratore, della impossibilità di sanzionare la condotta tenuta con
altre sanzioni di minore gravità, come previste dai punti 1-4 dell'art. 238 ccnl.
Ne consegue, la legittimità della sanzione espulsiva. Il ricorso deve essere deciso come in
dispositivo.
La condanna al pagamento delle spese di lite segue la regola della soccombenza con
liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
Il giudice, definitivamente pronunciando, cosi decide:
- rigetta il ricorso;
- condanna parte soccombente al pagamento delle spese di lite, in favore della società
resistente, che liquida in complessivi Euro 5.323,35, oltre iva e epa come per legge.
Roma, 31 gennaio 2023.
Testo del 2024-04-28 - Fonte: Trib. di Roma
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