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"La linea retta e' la linea degli uomini, quella curva la linea di Dio." - Gaudi'



Anno giudiziario    

Inaugurazione anno giudiziario: i magistrati parlano. La globalizzazione del diritto vivente e l'abuso del ricorso al processo

Non ci stanno ad essere criminalizzati - PDF dalla Cassazione
29.01.2010 - pag. 70968 print in pdf print on web

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E

Ecco i nostri estratti dal rapporto.

Una parte importante sul diritto internazionalizzato vigente e le conclusioni.

Ecco la prima parte sul diritto globalizzato vigente.

1) Verso la globalizzazione del diritto e il diffondersi del “c.d. diritto vivente” (das lebende Recht)

a) la “globalizzazione dei diritti” e la “globalizzazione delle tutele” Ogni ordinamento giuridico, lo si chiami “Stato di diritto”,Rechtsstaat, État de droit, Rule of law, si evolve autonomamente, seguendo le spinte economiche, sociali e civili del proprio Paese.

Tali spinte, nel contesto attuale, sono analoghe a quelle degli altri Stati, e sempre piu' frequentemente si incrociano prescindendo dai confini nazionali, grazie ad una possente globalizzazione tecno-economica (si pensi ad es. che il call center per prenotare, anche dall’Italia, un ristorante a New York si trova in India).

Cio' comporta una “globalizzazione” anche dei costumi, delle idee, dei valori e quindi dei diritti, con tutele che vengono ormai richieste e concesse non piu' solo dalle Corti nazionali, ma anche da quelle sovranazionali, soprattutto dalla CE di Lussemburgo e dalla CEDU di Strasburgo.


A fronte della globalizzazione tecno-economica, il sistema delle tutele dei diritti non puo' restare confinato nel suo originario ambito nazionale.

E cosi' non e', in Italia, anche grazie al nuovo art. 117 Cost. (introdotto con l. cost. 3/2001), che prevede il rispetto, nell’esercizio della potesta' legislativa, dei vicoli derivanti dall’ordinamento comunitario, “nonche'” di quelli derivanti dagli obblighi internazionali.

A tal proposito la Corte costituzionale (348/2007) ritiene che l’art. 117, 1º comma, Cost. condiziona l’esercizio della potesta' legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, fra i quali rientrano quelli derivanti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, le cui norme pertanto, cosi' come interpretate dalla CEDU, costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalita', e la loro violazione da parte di una legge comporta che tale legge debba essere dichiarata illegittima dalla corte costituzionale, sempre che la norma della convenzione non risulti a sua volta in contrasto con una norma costituzionale.

Veniamo ora alle conclusioni

 Siamo alle conclusioni.

L’evoluzione della Giustizia da “potere” a “servizio” e' ormai condivisa;

dietro ognuno dei milioni di fascicoli giudiziari c’e' il cuore palpitante di una persona in attesa.

Il “servizio” si rivolge, appunto, a questa singola persona; e tramite lei alla collettivita', che ne trae benefici di sviluppo e di crescita.

Migliorare il “servizio” deve essere la priorita' assoluta per la Giustizia italiana.

Per conseguirla, dobbiamo capire quali sono le vere cause dei problemi, per poi proporre rimedi adeguati.

Le cause.

Con la stessa franchezza con cui abbiamo fornito elementi dettagliati sui costi abnormi della Giustizia sul sistema Paese; con la stessa onesta' con cui abbiamo indicato le (tante) cose che noi giudici possiamo fare direttamente, senza nuove leggi o nuove risorse ma con una migliore organizzazione, una piu' rigorosa disciplina, un piu' forte impegno, non possiamo non affermare, con altrettanta sincerita', che tali costi non possono essere addebitati – o, almeno, non in prevalenza – ad una pretesa “improduttivita'” della maggioranza dei Magistrati italiani.

I dati della Cassazione rispetto alle altre Corti europee non lasciano dubbi e riflettono una situazione di aggravio di lavoro comune a quasi tutti gli uffici giudiziari italiani.

Non si puo', al tempo stesso, avere la massima produttivita' pro-capite tra le Corti supreme d’Europa e processi piu' lenti che in Gabon.

Il problema principale non e' – o e' solo in parte – nella quantita' di risorse disponibili; non va cercato solo nell’ “offerta” di Giustizia.

Il problema principale risiede nella sua “domanda”: nell’abuso del ricorso al processo, nella carenza di filtri alla abnorme “quantita'” di contenzioso (decine di volte superiore a quello dei partner europei), nel numero eccessivo di avvocati, nella mancata maturazione (sinora) di alternative al ricorso al Giudice.

L’illusione di un accesso indiscriminato al servizio-Giustizia non si traduce in un vantaggio per il cittadino, ma in una restrizione del servizio per chi ne ha davvero bisogno e nella distrazione di un bene pubblico dalla sua vera funzione.

Sviscerate le cause, solo allora si possono proporre i rimedi.

Essi devono essere mirati all’obiettivo da perseguire; accompagnati, ex ante, da un’analisi dell’impatto concreto che ne verra'; seguiti, ex post, da un attento monitoraggio per capire se gli obiettivi sono stati davvero raggiunti e dove bisogna correggere il tiro.

Occorre insistere su tutti e due i motori di cambiamento, quello endogeno e quello esogeno.

Quello esogeno: le riforme legislative.

Si sta perdendo la visione d’insieme del sistema delle regole processuali.

Le misure asistematiche provocano, nella pratica, effetti diversi da quelli voluti, ma cio' non viene monitorato e quindi, di fronte ai primi insuccessi, si procede con nuovi interventi, anch’essi asistematici.

Non si puo' andare avanti a piccoli passi e cambiando strada continuamente.

Serve un disegno organico e di ampio respiro, da attuare con coerenza e senza approssimazioni, tenendo sotto stretta osservazione la fase attuativa.

Il Presidente della Repubblica ha piu' volte evidenziato la “assoluta necessita' di lavorare e di riformare … in un'ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asfittiche, di corto respiro, cui corrispondano conflittualita' deleterie”.

Senza tale disegno, appare difficile che, alla lunga, si possa imporre ex lege una risposta di Giustizia che possa in concreto essere “breve” ed efficace a fronte di un crescente carico di domanda.

Ma, oltre a chiedere agli altri di fare qualcosa, e' sempre bene dare il buon esempio, e pensare a quello che possiamo fare direttamente noi giudici.

E qui viene il fattore endogeno: la professionalita', intesa come preparazione, competenza, capacita' organizzativa, ma anche come rigore, autodisciplina (e “autolimitazione”), senso del dovere, sensibilita' nei confronti dell’umanita' che c’e' dietro ogni caso giuridico.

Giovani colleghi, se mai un messaggio dovesse restarvi, nei lunghi anni in cui spero continuerete ad esercitare con entusiasmo la funzione di giudici, se mai un’indicazione dovesse esservi trasmessa con la giornata di oggi, mi piacerebbe che fosse questa: in ogni caso, e soprattutto nei momenti di dubbio, in cui interrogherete la vostra coscienza, prima di decidere accertate se state rispettando i sette “Principi di Bangalore” (sulla deontologia giudiziaria, adottati nell’ambito del Comitato dei diritti dell’uomo presso l’ONU): “indipendenza, imparzialita', integrita'”, ma anche “decoro, equanimita', competenza e diligenza”79.

“Competenza” e “diligenza” richiedono, rispettivamente, una seria e aggiornata preparazione giuridica e una capacita' di affrontare problemi organizzativi.

E il “decoro” – che comprende anche “l’apparenza del decoro”80 – implica, nel comportamento pubblico, una riservatezza, un self restraint, “coerente con la dignita' della funzione giurisdizionale”. Il Giudice, “in quanto soggetto a costante controllo pubblico, … deve accettare personali restrizioni che possono essere viste come gravose per i cittadini, e deve farlo liberamente e volentieri.”81.

È un mestiere difficile: immerso nel “contesto” sociale per assicurare Giustizia con indipendenza e altruismo, ma senza anelare a fama, potere e ricchezza. Per appagare queste ambizioni ci sono altri mestieri, del tutto legittimi e di pari, se non superiore, utilita' sociale.

Teniamo sempre presente la necessita' di dover “rendere conto” del nostro operato: non solo alla nostra coscienza ma anche “all’esterno”, ai cittadini.

Come ha affermato lucidamente il filosofo (e gia' Magistrato) Luigi Ferrajoli: “ogni Magistrato ... nella sua lunga carriera, incontra migliaia di cittadini: come imputati, come parti offese, come testimoni, come attori o convenuti. Naturalmente non ricordera' quasi nessuna di queste persone. Ma ciascuna di queste … ricordera' quell’incontro.

Indipendentemente dal fatto che abbia avuto torto o ragione, ricordera' e giudichera' il suo Giudice, ne valutera' l’equilibrio o l’arroganza, il rispetto oppure il disprezzo per la persona, la capacita' di ascoltare le sue ragioni oppure l’ottusita' burocratica, l’imparzialita' oppure il pregiudizio.

Ricordera', soprattutto, se quel Giudice gli ha fatto paura o gli ha suscitato fiducia. Solo in questo secondo caso ne avvertira' e ne difendera' l’indipendenza come una sua garanzia, cioe' come una garanzia dei suoi diritti di cittadino. Altrimenti – possiamo esserne certi – egli avvertira' quell’indipendenza come il privilegio di una casta di un potere odioso e terribile”.

Insomma, c’e' tanto, ma davvero tanto, da fare.

Ma si e' anche iniziato un percorso.

La stella polare e' una sola: quella del cittadino, per cui il servizio- Giustizia vive.

Come dice un noto proverbio dell’estremo Oriente, anche un viaggio di diecimila leghe inizia con un semplice passo.

E quel passo (e forse piu' d’uno), in questo triennio, e' stato compiuto, affinche' si possa davvero meritare la rinnovata fiducia dei cittadini e il rispetto per questo servizio essenziale, che


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29.01.2010 Spataro

CortediCassazione.it Link: http://www.cortedicassazione.it

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