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"in un programma scientifico non si può ospitare una persona che dice cose non provate" - Piero Angela



Avvocati    

Gli avvocati cercano di riservarsi per legge le consulenze legali professionali

Art. 2.

(Funzioni dell’avvocato)

1. La professione forense si esplica, in piena autonomia e libertà, attraverso la rappresentanza e la difesa in giudizio e ogni altra attività di assistenza e consulenza giuridica, senza limiti territoriali.

2. Nell’esercizio delle sue funzioni, l’avvocato è soggetto soltanto alla legge.

3. Sono funzioni esclusive dell’avvocato: la rappresentanza, l’assistenza e la difesa nei giudizi avanti a tutti gli organi giurisdizionali, negli arbitrati rituali e nei procedimenti di mediazione e di conciliazione, salve le competenze delle leggi speciali per l’assistenza e la rappresentanza per la pubblica amministrazione.

4. Sono riservate in via generale agli avvocati e, nei limiti loro consentiti da particolari disposizioni di legge, agli iscritti in altri albi professionali, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa in procedimenti di natura amministrativa, tributaria, disciplinare e simili.

5. È riservata, inoltre, agli avvocati l’attività, svolta professionalmente, di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale in ogni campo del diritto, fatte salve le particolari competenze riconosciute dalla legge ad altri lavoratori per particolari settori del diritto.

13.04.2007 - pag. 42029 print in pdf print on web

D

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori CALVI, FINOCCHIARO, BRUTTI Massimo, MANZELLA, LEGNINI, GHEDINI, COSSUTTA, D’AMBROSIO, VALENTINO, ZAVOLI, SERAFINI, RAME, PALUMBO, ALBERTI CASELLATI, BIANCO, BENVENUTO, CASSON, FORMISANO, FRANCO Vittoria, LATORRE, VILLONE, BARBATO, COSTA, AMATI, BARBIERI, BARBOLINI, BATTAGLIA Giovanni, BETTINI, BRUTTI Paolo, DE PETRIS, DI SIENA, DONATI, GARRAFFA, GASBARRI, MELE, MICHELONI, MONGIELLO, MONTALBANO, MONTINO, NEGRI, PECORARO SCANIO, PERRIN, ROSSA, TONINI, VILLECCO CALIPARI e ZANETTIN

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 SETTEMBRE 2006

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Riforma dell’ordinamento della professione di avvocato

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Onorevoli Senatori. – Nel quadro dei problemi della giustizia, che il nuovo Parlamento deve affrontare per superare l’attuale situazione di gravissima crisi, assume notevole rilievo anche la riforma dell’ordinamento professionale forense, perchè le nuove procedure, la nuova riorganizzazione dell’ordinamento giudiziario, l’evoluzione delle strutture sociali, economiche e giuridiche del paese, l’esigenza di uniformare anche la professione forense alle regole comunitarie rendono sempre più inadeguata l’attuale disciplina della difesa ed assistenza giuridica dei cittadini.

La vecchia legislazione e le molte norme di modifica, che si sono succedute nel tempo, perpetuano una disciplina della professione forense che appare del tutto inadeguata, sia per la tutela del diritto alla difesa e della libertà dei cittadini, sia per la dignità e per la concreta possibilità di svolgere con adeguato decoro le proprie delicate funzioni per l’avvocato.
Il problema della riforma dell’ordinamento professionale forense si pone, prima di tutto, come esigenza imprescindibile di attuare il principio costituzionale del diritto alla difesa, del diritto dei cittadini a veder tutelata la propria possibilità di difesa in modo, per quanto possibile, eguale.
Sul piano pratico, ci si può porre il problema se sia preferibile una nuova legge che disciplini la materia con compiutezza ed organicità, oppure una legge che contenga le linee direttive per una nuova disciplina, affidando a future leggi particolari o a decreti delegati una più completa disciplina di singoli istituti.
La constatazione della totale inaccettabilità della disciplina attuale e della impossibilità di innestare su di essa nuovi principi di carattere generale, senza una disciplina particolare che ne consenta la immediata applicazione, rendono senz’altro preferibile la scelta di una legge, che disciplini l’intera materia in modo organico. Solo una legge organica può consentire che, da subito, la professione forense sia rinnovata nelle norme e possa iniziare a rinnovarsi nel suo esercizio.
È da escludere anche che, per l’ordinamento forense, si debba aspettare una nuova legge quadro delle libere professioni. I tempi di questa legge quadro sono incerti e possono essere lunghi, considerando l’esperienza del passato. Inoltre, la professione di avvocato ha caratteristiche così peculiari che richiedono una disciplina autonoma. Tanto è vero che, rispetto al disegno di legge «Vietti» bis, si devono prevedere numerose «deroghe» per la professione di avvocato. Aspettare la legge quadro delle libere professioni significa trovare gravi vincoli dai quali diventerebbe più difficile sciogliersi. La riforma dell’ordinamento forense è inoltre così urgente che appare senz’altro inopportuno attendere le nuove norme sulla disciplina delle libere professioni.
Il nuovo ordinamento forense deve contenere una disciplina nuova della professione legale, proiettata verso una evoluzione della professione di avvocato, certamente necessaria per adeguarla alle attuali esigenze.
Non avrebbe significato approvare norme che non consentissero un mutamento rilevante della professione di avvocato, perchè le trasformazioni economiche, sociali e giuridiche del paese sono state in questi anni di tale rilievo che anche l’avvocatura deve essere strutturata in modo nuovo. Senza una vera e rilevante riforma, che determini un completo rinnovamento della professione, si aggraverebbe quella situazione di ritardo in cui attualmente sui trova l’avvocatura rispetto alla realtà sociale del paese.
Il nuovo ordinamento della professione di avvocato deve dunque tener conto di molte esigenze:

– coordinare le nuove norme con la disciplina comunitaria;

– prescrivere una nuova disciplina di accesso alla professione, che garantisca una adeguata formazione dei nuovi avvocati ed una opportuna selezione tra i molti aspiranti;
– imporre una elevata professionalità a tutti gli iscritti, della quale siano garanti i Consigli dell’ordine, con l’obbligo del costante aggiornamento, per il quale vanno predisposti gli opportuni istituti;
– prescrivere, come essenziale, l’esercizio effettivo e continuativo della professione da considerare quale requisito essenziale per garantire la conservazione della competenza professionale acquisita con l’università, per le nozioni culturali, e con gli istituti previsti per l’accesso, per le nozioni pratiche;
– inserire la nuova disciplina del difensore nel quadro complessivo della riforma della giustizia in atto e di quelle future;
– strutturare la professione di avvocato come strumento di attuazione del diritto costituzionale alla difesa e come principale strumento di tutela della libertà dei cittadini;
– adeguare le strutture della professione alla realtà sociale, economica e politica in continua evoluzione;
– preparare la professione di avvocato ad applicare le regola della concorrenza secondo le norme comunitarie.

Si ritiene essenziale che l’avvocatura venga disciplinata come servizio nell’interesse della collettività e dei singoli, così che la funzione dell’avvocato assuma un grande rilievo di interesse pubblico, pur dovendo restare uno strumento privato ed il più possibile libero.

Affinchè l’avvocato possa svolgere con efficacia questa funzione di rilevantissimo interesse pubblico, deve essergli garantito il massimo di libertà ed autonomia: ogni limitazione alla libertà e all’autonomia dell’avvocato si ripercuote inevitabilmente in una diminuzione del diritto alla difesa ed alla libertà del cittadino.
La libertà e l’autonomia devono essere non solo del singolo avvocato, ma anche della collettività degli avvocati, rappresentata dall’ordine forense, e di tutte le sue strutture organizzative.
Le norme a tutela della libertà e dell’autonomia dell’avvocato e dell’avvocatura non mirano a costituire una corporazione privilegiata, ma a garantire all’avvocato i mezzi necessari per l’adempimento della sua elevata funzione.
L’avvocato deve essere meritevole di fiducia: fiducia di chi si affida a lui per la difesa o l’assistenza, fiducia da parte della società, che egli, in ogni atto della sua attività professionale, si comporti con competenza e in piena coerenza con i valori sociali affidati alla sua tutela.
La delicatezza e il rilievo di carattere costituzionale delle mansioni affidate all’avvocato non possono consentire oltre che la professione forense sia esercitata, come accade troppo spesso ora, con scarsa o, addirittura, senza adeguata qualificazione.
Nella attuale situazione, la necessaria introduzione delle regole comunitarie, rischia di avere effetti negativi: come si può parlare di concorrenza leale e corretta, considerando, ad esempio, che, dopo l’esame di abilitazione, le capacità dell’avvocato non vengono più controllate, con diversità di competenza professionale da rendere assolutamente incomparabili tra di loro gli avvocati e mentre l’evasione fiscale si mantiene a livelli elevati, alterando ogni comparazione di remuneratività del lavoro?
Tra gli elementi, che dovrebbero caratterizzare il nuovo ordinamento professionale dell’avvocatura, si colloca, in modo particolare ma fondamentale, l’esigenza di imporre all’avvocato un elevato grado di professionalità.
Il nuovo ordinamento professionale deve mirare a considerare chiuso un ciclo storico di secoli. La difesa e l’assistenza legale erano affidate, nei tempi antichi, a cittadini genericamente «probi», appartenenti ai ceti sociali dominanti; col tempo, si è richiesta una maggior qualificazione del difensore, ma non si è giunti ad individuare l’esigenza che l’avvocatura sia esercitata esclusivamente con carattere di professionalità.
È certo inammissibile continuare ora a considerare la possibilità di accedere alla professione e di restare iscritti negli albi indifferentemente a coloro che esercitano la professione e che non la esercitano; a coloro che traggono dalla professione i mezzi principali o essenziali per vivere ed a coloro che svolgono l’attività di avvocato in modo assolutamente marginale; a persone che hanno iniziato fin da giovani a fare gli avvocati ed hanno fatto solo gli avvocati ed a persone che, in qualsiasi età, accedono all’avvocatura dopo diverse esperienze di lavoro; ad avvocati che hanno superato tirocinio ed esami e ad altri iscritti di diritto; tuttora la professione di avvocato è ancora un coacervo di persone etereogenee e spesso scarsamente qualificate per un serio ed efficace lavoro professionale.
La complessità dell’organizzazione economica e giuridica della società moderna ed il tecnicismo, che è richiesto per una effettiva ed efficace conoscenza delle leggi, impongono che la professione di avvocato sia esercitata soltanto o prevalentemente da persone qualificate e capaci e che ad essa si dedichino in modo esclusivo o del tutto prevalente.
L’avvocato deve essere un esperto e profondo conoscitore del diritto e deve costituire una guida sicura per i cittadini nell’interpretazione delle leggi e nell’esercizio dei loro diritti. Questa qualificazione impone una trasformazione della professione dell’avvocato in direzione di una accentuata professionalità, con un severo processo di formazione con le scuole forensi o con le scuole di specializzazione e con la pratica professionale culminante con un severo esame, che costituisca il vaglio dell’acquisizione di capacità pratiche del candidato di esercitare la professione.
Saranno illustrate più avanti le novità più rilevanti in tema di tirocinio, per il quale fin d’ora si pone in rilievo l’esigenza che abbia caratteristiche veramente formative del nuovo professionista.
L’esame delle principali innovazioni contenute in questo disegno di legge consente di far comprendere gli aspetti che più lo caratterizzano.
Questo disegno di legge tiene conto dell’ampio dibattito che si sta svolgendo sulla riforma della professione di avvocato e tiene conto non solo di progetti in circolazione, ma anche di tutte le proposte che si sono succedute nel tempo dall’immediato dopo guerra ad oggi.
Si è tenuto conto di quanto si è discusso sull’argomento, in particolare nei congressi giuridici forensi e nei convegni che hanno trattato temi particolari.
È stata considerata la giurisprudenza degli ultimi anni del Consiglio nazionale forense e della Corte di cassazione sui temi che coinvolgono la professione di avvocato.
Per molti aspetti, il progetto rappresenta una sintesi del lavoro e delle idee dei tantissimi che si sono dedicati ai problemi della professione di avvocato.
Per rendere il testo legislativo adeguato alle esigenze attuali, si sono introdotte norme particolari, di cui si farà illustrazione, per rendere più completo il testo normativo.
Il nuovo ordinamento proposto cerca di dare nuova e migliore dignità morale e sociale all’avvocato: professionista di indiscussa ed indiscutibile capacità e serietà, componente sociale indispensabile in una democrazia tesa a migliorarsi, attraverso un processo politico, in cui la giustizia, nel significato più ampio della parola, deve assumere un ruolo di primaria e fondamentale importanza.
Si richiama l’attenzione sulle norme proposte che hanno aspetti particolari, mentre si ritiene superflua l’illustrazione delle parti del testo che ricalcano altre proposte ampiamente discusse in varie sedi.

Norme deontologiche

Vi è l’esigenza che venga esplicitamente affermata la competenza del Consiglio nazionale forense ad approvare il codice deontologico.

Il Consiglio nazionale forense ha già approvato un ampio testo, ritoccato in varie parti, di cui deve essere previsto un aggiornamento periodico.
È importante richiamare l’esigenza del rispetto del diritto comunitario; in proposito si è specificato che esso va attuato «tenendo conto delle consuetudini e delle tradizioni italiane nei limiti della discrezionalità riconosciuta dalle norme comunitarie».
L’esigenza di coordinamento tra codici di condotta a livello comunitario e codici di condotta a livello nazionale è espressa nella proposta di direttiva comunitaria, nota con il nome di Bolkestein, nelle premesse 67, 67-bis e 67-ter.

Società tra avvocati

È stata approvata da tempo una legge che disciplina la società tra avvocati, come società tipica autonoma rispetto ai vari tipi di società disciplinati dal codice civile.

Questa legge ha una grave carenza, per quanto riguarda le regole della contabilità fiscale e le regole previdenziali per gli iscritti, che ne ha praticamente impedito l’utilizzazione.
Per le società multidisciplinari, si prevede che esse debbano essere in ogni caso del tipo a responsabilità illimitata con esclusione cioè di società di capitali. La multidisciplinarietà dovrebbe estendersi a professioni ritenute dal Consiglio nazionale forense «compatibili» con la professione di avvocato.
Le società di capitali, anche se con soci soltanto avvocati, sono da escludere in modo certo, per le molte controindicazioni, mentre, per esse, non vi è una esigenza paragonabile a quella per le professioni tecniche, per le quali la società di capitali può anche essere utile e compatibile.
Varie ragioni rendono impossibile ammettere le società di capitali per gli avvocati:

– le società di capitali hanno essenzialmente uno scopo di profitto, mentre, per l’avvocato, lo svolgimento della sua attività non deve essere condizionato soltanto al profitto, ma deve dare prevalenza alla tutela degli interessi del cliente;

– l’avvocato, che lavora in una società di capitali, diventa assimilabile ad un lavoratore dipendente, la qual cosa confligge con le regole dell’incompatibilità;
– il reddito dell’avvocato, soggetto alle imposte personali ed alla contribuzione previdenziale, potrebbe essere solo il compenso ricevuto dalla società determinato anche arbitrariamente, mentre la società potrebbe avere utili autonomi assoggettati a diverse e più favorevoli regole fiscali e sottratti alla Cassa di Previdenza, con enormi ed incalcolabili danni per questa;
– la società di capitali, comunque, sarebbe assoggettata alle regole previste nel codice civile, che confliggerebbero in modo grave con l’obbligo del segreto professionale: nomina di sindaci anche non avvocati; controllo giudiziario ex articolo 2409, con possibile nomina di un amministratore giudiziario e con conseguente controllo dei rapporti con i singoli clienti per i compensi da essi corrisposti; impugnabilità dei bilanci che possono rendere pubbliche molte vicende assolutamente riservate; necessità del bilancio di competenza, con incalcolabili difficoltà pratiche (bisognerebbe indicare tra le attività tutti i crediti maturati, anche non riscossi); responsabilità ex articoli 2621-2622 e seguenti per false comunicazioni sociali e per altri reati.
Imponendo che le società comprendenti avvocati abbiano necessariamente la natura di società di persone si salvaguardano le regole del segreto professionale e si possono risolvere, in modo corretto, sia i problemi fiscali, sia i problemi previdenziali, equiparando il reddito percepito attraverso la società, per l’attività lavorativa, come reddito di persona.

Le specializzazioni

In tutte le proposte di modifiche dell’ordinamento forense, si prevede la possibilità di specializzazioni.

Si segnala l’esigenza che la dichiarazione, da parte degli avvocati, del possesso di una specializzazione sia limitata al caso in cui questa sia stata conseguita con la frequenza e con esito favorevole di appositi corsi disciplinati con decreto ministeriale di concerto tra i Ministri della Giustizia e dell’Università, su proposta del Consiglio nazionale forense.

Tariffe professionali

L’argomento delle tariffe professionali per l’avvocato è di grande attualità ed oggetto di molte discussioni, specialmente a livello comunitario.

Deve considerarsi certa la legittimità delle tariffe, efficaci se non vi è accordo tra le parti, secondo quanto prescritto dall’articolo 2233 codice civile.
Questa regola deve essere confermata, perchè il criterio supplettivo di ricorrere alle tariffe per calcolare il compenso dell’avvocato è l’unico corretto; senza questo, vi sarebbe l’arbitrio delle parti o l’arbitrio del giudice, il quale sarebbe chiamato a giudicare senza poter disporre di criteri obbiettivi di valutazione.
La questione rimasta aperta è invece quella dei minimi di tariffa.
Il problema va inquadrato nell’ambito del significato delle tariffe professionali.
Il principio fondamentale, che sta alla base delle tariffe, può così individuarsi: le tariffe devono essere strutturate in modo da garantire all’avvocato un equo compenso per la sua attività di lavoro, tenuto conto della importanza dell’affare da lui trattato, e devono essere in grado, se applicate, di garantire all’avvocato una equa retribuzione paragonabile a quella di qualsiasi altro lavoratore autonomo o dipendente.
È evidente che un compenso tariffario troppo basso non può essere considerato idoneo a garantire la dignità del professionista e può essere insufficiente a garantire un compenso paragonabile a quello di altri lavoratori, che eseguano prestazioni per qualità ed importanza paragonabili a quelle per le quali va individuata l’equa retribuzione dell’avvocato.
Le tariffe minime hanno questa funzione.
Non si può affermare che i minimi tariffari contrastino con le regole della concorrenza, perchè, al contrario, compensi inadeguati dovrebbero essere considerati concorrenza sleale in violazione delle regole di una concorrenza corretta.
Su questi presupposti, si possono fare alcune scelte per la disciplina delle tariffe.
In primo luogo, vanno considerate le tariffe giudiziali che, di regola, dovrebbero prevedere minimi inderogabili.
Si tenga presente che gli attuali minimi tariffari delle prestazioni giudiziali sono molto bassi e vanno considerati per valutare, in concreto, il problema.
Occorre soprattutto considerare la delicatezza delle prestazioni giudiziali, per le quali sono spesso in gioco diritti di grande importanza; in relazione ad essi, l’avvocato deve poter svolgere la sua attività professionale in assoluta indipendenza e serenità, che richiedono compensi adeguati.
Al di là della retorica, con la quale spesso gli avvocati difendono i minimi tariffari, occorre considerare che, specialmente nel campo giudiziale, essi svolgono una funzione importante coerente con la tutela di un pubblico interesse.
Su questo argomento sarà importante quanto deciderà la Corte della giustizia europea, presso la quale pendono giudizi in cui si discute della legittimità dei minimi tariffari per l’avvocato.
Si può fare eccezione per una categoria di controversie, per le quali già ora, di fatto, vengono conclusi accordi che prevedono il compenso dell’avvocato ragguagliato al risultato della controversia: si tratta delle azioni giudiziarie civili per le quali è fatta domanda per il pagamento di somme di denaro.
In tal caso, può essere previsto un compenso percentuale rapportato all’utile risultato della controversia.
Si dà così seguito, legittimandolo, nell’ordinamento professioanle, al tanto discusso patto di quota lite.
Affinché questo patto non sia iniquo, è tuttavia necessario che vi siano dei minimi e dei massimi.
I minimi sono previsti anche in quegli Stati dove già il patto di quota lite è ammesso.
Il limite minimo potrebbe essere indicato nel minimo di tariffa secondo lo scaglione più basso.
Scendere sotto questo minimo sarebbe veramente indecoroso per l’avvocato e non rispetterebbe il principio che, in ogni caso, la sua prestazione deve essere retribuita in modo analogo ad ogni altro tipo di lavoro autonomo o dipendente.
Il lavoro dell’avvocato non può essere una attività aleatoria paragonabile ad un gioco o scommessa, con la possibilità che non vi sia una retribuzione. Un fatto del genere non accade per nessun tipo di lavoro.
Il livello massimo dovrebbe essere determinato nelle tariffe e la sua funzione è a garanzia che il cliente non sia indotto a corrispondere compensi sproporzionati rispetto all’entità ed al pregio dell’opera dell’avvocato.
Regole simili sono previste per le prestazioni stragiudiziali, per le quali, a differenza di quelle giudiziali, non vi è la stessa giustificazione per l’imposizione di minimi differenziati per scaglione di valore della controversia.
In ogni caso, però, la prestazione dell’avvocato deve ricevere un compenso, anche se di entità ridotta.
Va conservato il principio che l’avvocato non deve essere cessionario di beni oggetto della controversia, affinché egli sia libero nell’assistere il cliente e non condizionato da un interesse proprio.
È previsto che, in alcuni casi, la misura o le modalità di determinazione del compenso siano concordati per iscritto a pena di nullità.
Appare altresì opportuno riprodurre il testo dell’articolo 68 dell’attuale ordinamento professionale che prevede la solidarietà del diritto al compenso per tutti gli avvocati che hanno assistito le parti costituite in giudizio.

Mandato professionale e procura

Si ritiene opportuno eliminare gli attuali eccessivi formalismi nel rilascio della procura e nella prova di essa, che non trovano corrispondenza nelle legislazioni straniere.

Dovrebbe inoltre essere previsto che solo il cliente possa contestare l’esistenza o la invalidità della procura.
È opportuno altresì precisare che, in caso di procura rilasciata a società o ad associazione professionale, questa è efficace per ogni socio o associato avvocato.
Analogamente, possono essere eliminati i formalismi per le sostituzioni nell’attività processuale. Già attualmente la prassi prescinde da questi formalismi: meglio confermarla normativamente.

Albi, elenchi e registri

La disciplina normativa per albi, elenchi e registri contiene precisazioni opportune ed in gran parte corrispondenti alle norme già vigenti.

Innovativa può essere la previsione dell’elenco delle associazioni e delle società comprendenti avvocati tra i soci.
Innovativo è pure l’elenco degli avvocati non esercenti, di cui si parlerà più avanti.
L’indicazione che l’albo, gli elenchi ed i registri sono a disposizione del pubblico appare opportuna di fronte a dubbi (infondati, ma manifestati) della riservatezza di essi.
Per quanto riguarda l’iscrizione, si segnalano alcune novità:

– si prevede che l’iscrizione debba avvenire non oltre cinque anni dal superamento dell’esame di abilitazione; ciò per evitare che un lungo tempo trascorso abbia fatto in parte dimenticare le nozioni e la preparazione che hanno consentito il superamento dell’esame;

– l’iscrizione deve essere preclusa dopo il compimento del quarantesimo anno di età; ciò allo scopo che non accedano alla professione persone che provengono da altre esperienze di lavoro, che possono essere per nulla o ben poco compatibili con la preparazione alla professione di avvocato, oppure persone che ad essa non si dedicano come impegno prioritario di lavoro; la norma risponde anche ad esigenze di carattere previdenziale, essendo senz’altro preferibile che venga maturato il diritto alla pensione in un solo ente previdenziale, anziché ricorrendo ad istituti, quali la ricongiunzione o la totalizzazione, che consentono trattamenti inferiori.

Per la incompatibilità, è prevista una razionalizzazione delle norme in sostituzione di quelle approssimative e confuse contenute nell’articolo 3 del vigente ordinamento professionale.

Le specificazioni più interessanti sono relative allo svolgimento di attività commerciale in proprio o nella amministrazione di società.
Per le attività agricole, individuali o societarie, sono indicate prescrizioni che superano la mancata previsione della incompatibilità per esse nell’ordinamento vigente.
Per quanto riguarda l’incompatibilità con il lavoro subordinato, è opportuno indicarla in modo assolutamente generico ed omnicomprensivo, perchè ogni specificazione potrebbe essere limitativa per i casi non indicati.
Una segnalazione particolare va fatta per la rilevanza della incompatibilità ai fini dell’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza forense.
La norma attuale (articolo 2 della legge n. 319/76) è troppo rigorosa e punitiva perchè, senza limiti temporali, impone di escludere efficacia alla iscrizione alla Cassa, quando vi siano state incompatibilità, anche se non rilevate dai Consigli dell’ordine.
È opportuno specificare che la incompatibilità, rilevante per escludere l’efficacia di iscrizione alla Cassa, vi sia soltanto quando l’attività incompatibile abbia carattere di prevalenza rispetto all’attività professionale e questo carattere di prevalenza deve essere definito dal comitato dei delegati della Cassa.
Per quanto riguarda le eccezioni sulle norme di incompatibilità, si ritiene che esse possano essere limitate al caso di insegnanti di materie giuridiche nelle università o in scuole pubbliche o private secondarie.
A questo proposito, si osserva: è prescritta la incompatibilità per ogni tipo di insegnamento diverso da quello di materie giuridiche, con una regola omogenea (attualmente è compatibile, ad esempio, l’insegnamento dell’educazione fisica, mentre è incompatibile l’insegnamento in scuole elementari); inoltre, deve essere esclusa ogni distinzione tra scuole pubbliche e private parificate (attualmente, l’esonero dalla incompatibilità vi è solo per le scuole statali con disparità di trattamento assolutamente ingiustificate).
È prevista la sospensione dall’esercizio professionale (non la cancellazione dall’albo) per chi copra cariche pubbliche di particolare rilievo.
È prevista, inoltre, una sospensione volontaria di durata limitata per chi voglia, per qualche tempo, svolgere un’attività incompatibile o che intenda non esercitare temporaneamente la professione con carattere di continuità, ipotesi per le quali altrimenti sarebbe prevista la cancellazione dall’albo.

La continuità dell’esercizio professionale

Le norme sulla «permanenza della iscrizione all’albo» si riferiscono alla necessità che la professione venga esercitata con carattere di continuità.

È questa una delle innovazioni più importanti e caratterizzanti del nuovo ordinamento professionale.
Le prescrizioni debbono essere complete, tenuto conto del loro rilievo e degli effetti che possono derivare dalla inosservanza di esse.
Uno dei punti più delicati è relativo alla prova dell’esercizio continuativo.
Per le esperienze già fatte dalla Cassa nazionale di previdenza forense, non vi è metodo diverso che quello dell’indicazione di un reddito fiscale minimo dichiarato dall’iscritto.
Questo criterio consente controlli semplici e veloci per tutti gli iscritti, mentre qualsiasi altro criterio renderebbe in pratica impossibile il controllo dell’esercizio continuativo.
Si è da taluno prevista la possibilità di deroghe rispetto a questo criterio.
Si tratta di deroghe inopportune, perchè paralizzerebbero ogni effettiva possibilità di controllo.
Bisogna inoltre tener presente che, facendo riferimento ai limiti di reddito previsti dalla Cassa di previdenza, essi sono così bassi, per cui chi non arriva a percepire questo reddito non può certamente essere qualificato come professionista; inoltre, un reddito minimo significa che la professione verrebbe svolta ad un così basso livello da non offrire alcuna garanzia circa la qualità delle sue prestazioni.
Garantiscono l’equità della prescrizione: che si debba tener conto di una media pluriennale, che vi sia esonero dalla prova nei primi anni di professione e dopo il compimento del settantesimo anno di età, oltre agli esoneri per casi di malattia e per le donne in maternità.
Sono quindi dettate importanti norme procedurali per eseguire il controllo ed è imposta una revisione triennale.
Se il Consiglio dell’ordine non provvede alla revisione periodica o compie gravi e numerose omissioni, il Consiglio nazionale forense deve nominare un commissario, affinché provveda in sostituzione.
Per chi non sia in grado di provare l’esercizio continuativo con i dati reddituali, è prescritta la cancellazione dall’albo.
La reiscrizione è ammessa una sola volta. Altrimenti, se fosse concessa dopo ogni cancellazione, questa sarebbe un provvedimento inutile.
Per la reiscrizione sono inoltre previsti un controllo di idoneità, secondo regole che dovrà approvare il Consiglio nazionale forense, assieme alla prova che l’avvocato è dotato dei mezzi indispensabili per l’esercizio della professione.
Infine, è previsto che, entro sei anni dall’entrata in vigore di questa legge, il reddito minimo sia determinato in misura non inferiore al costo dei dipendenti degli studi professionali con la retribuzione più bassa. E’ infatti impossibile ammettere che un avvocato possa decorosamente svolgere la professione se ha un reddito inferiore a quello del meno qualificato dipendente degli studi professionali.

Patrocinio avanti le giurisdizioni superiori

Argomento discusso e controverso è quello relativo alla abilitazione al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori.

Secondo taluni (e con seri motivi), dovrebbe essere necessario il superamento di un apposito esame di abilitazione, da cui dovrebbero essere esonerati solo i docenti universitari che esercitano effettivamente la professione dopo un certo numero di anni.
La regola attuale è che possono essere iscritti tutti gli avvocati dopo un certo numero di anni di iscrizione agli albi.
Ciò ha comportato una inflazione dell’albo speciale, con effetti nocivi sulla entità del contenzioso.
In Francia, gli avvocati abilitati al patrocinio avanti la Cassazione sono in numero limitatissimo (a differenza delle molte migliaia degli avvocati italiani).
Mentre è preferibile il requisito dell’esame, è tuttavia accettabile anche una iscrizione dopo un certo numero di anni (non meno di venti) di esercizio lodevole e proficuo della professione. Il Consiglio nazionale forense deve stabilire quando sussista questo requisito; inoltre deve essere previsto che l’iscrizione per età sia condizionata ad un controllo della capacità professionale con la dimostrazione della qualità, sotto l’aspetto giuridico, degli scritti difensivi stesi dall’avvocato.
È inoltre importante prescrivere che l’iscrizione possa essere conservata solo se viene effettivamente svolta attività di patrocino avanti le magistrature superiori. Ciò per evitare che si perpetui l’inflazione degli iscritti all’albo speciale, con iscrizioni inutili.

Organi e funzioni degli ordini forensi

Non sono molte le regole innovative proposte per quanto riguarda organi e funzioni degli ordini forensi.

Alcune innovazioni sono però di rilevante importanza.
È previsto un aumento del numero dei consiglieri dell’ordine, affinché siano in grado di svolgere le rilevanti nuove funzioni ad esso attribuite.
Per l’elezione, va introdotto il metodo maggioritario, con presentazione di liste.
Tra i compiti e le prerogative del Consiglio, assume particolare rilievo il controllo della formazione permanente degli avvocati, che si aggiunge al controllo del tirocinio, per il quale è previsto un ruolo più importante dei Consigli, soprattutto con la istituzione delle scuole forensi e per il controllo del loro funzionamento.
Si ritiene invece opportuno escludere dai compiti dei Consigli degli ordini la funzione disciplinare da attribuire a Consigli di disciplina distrettuali, come meglio sarà illustrato in seguito.
È infine prevista la possibilità per i Consigli maggiori di funzionare mediante commissione di lavoro.
Il compimento da parte dell’intero Consiglio di tutta l’attività di sua competenza risulta troppo oneroso, soprattutto per i Consigli degli ordini con numerosissimi iscritti.
Non molto rilevanti sono le innovazioni per il Consiglio nazionale forense, per il quale si è ritenuto opportuno specificare tutte le attività di sua competenza, che sono veramente numerose e rilevanti.
L’attività più importante è quella giurisdizionale, che è necessario venga conservata al Consiglio nazionale forense, considerando che già la Corte costituzionale ha più volte affermato la legittimità di questa giurisdizione speciale, per norma contenuta nelle disposizioni transitorie della Costituzione e per la quale però non è prevista scadenza di efficacia. È tuttavia necessario conservare la struttura del Consiglio nazionale forense nell’esercizio della funzione giurisdizionale.
La giurisdizione del Consiglio nazionale forense è d’altronde una essenziale garanzia di autonomia e di libertà della professione.
Una garanzia del rispetto delle norme di legge è assicurata dalla possibilità, confermata, del ricorso per Cassazione contro le sentenze del Consiglio nazionale forense.
Anche per l’attività amministrativa del Consiglio nazionale forense è prevista la possibilità di attività svolte con commissioni, alle quali possono essere chiamati anche non consiglieri nazionali.

Accesso alla professione

La indicazione dei rapporti con l’università è una innovazione voluta da tutti gli avvocati ed è importante per garantire la qualificazione dell’avvocato sia nella fase del tirocinio, sia nella fase di esercizio dell’attività professionale.

Per il tirocinio, si prevedono: la pratica professionale presso un avvocato italiano, una frequenza facoltativa dei corsi integrativi di formazione professionale; la frequenza facoltativa di uffici giudiziari.
L’argomento più delicato è quello della frequenza dei corsi integrativi di formazione professionale.
Secondo molti, questa frequenza dovrebbe essere obbligatoria, mentre deve ritenersi senz’altro preferibile che essa sia, almeno per il momento, solo facoltativa.
I corsi integrativi di formazione professionale sono in fase sperimentale e non sono diffusi su tutto il territorio della Repubblica.
Se si può prevedere, in tempi relativamente brevi, l’istituzione di corsi integrativi di sicura efficienza nei centri maggiori, si deve ritenere che ciò non sia facile nei tantissimi Ordini minori.
Gli iscritti negli Ordini minori, pertanto, avrebbero una grossa difficoltà nel frequentare corsi integrativi resi obbligatori. Per costoro, inoltre, la frequenza potrebbe essere assai costosa e richiedere tempi di trasferta molto rilevanti, che sottrarrebbero tempo alla pratica professionale.
Prima di stabilire la obbligatorietà dei corsi integrativi bisogna sperimentarne la costituzione ed il funzionamento e solo dopo si potrà giudicare se è possibile prescrivere la obbligatorietà della frequenza.
Bisogna inoltre cercare di attenuare possibili discriminazioni tra praticanti di grandi centri e praticanti di zone periferiche ed inoltre tra praticanti di famiglie benestanti e praticanti senza adeguato aiuto economico familiare.
Non appare neppure opportuno affidare ai corsi di formazione il controllo della preparazione dei praticanti sostituendo, in gran parte, la funzione dell’esame.
Si avrebbero delle disparità di giudizi tra le varie scuole molto più gravi di quelle ripetutamente lamentate, mentre servono strumenti idonei ad attenuare questa disparità il più possibile, come si dirà più avanti.
Alcune regole sono previste per stimolare la frequenza dei corsi integrativi: la riduzione del tirocinio da trentasei a ventiquattro mesi; l’esonero dalla preselezione per gli esami di abilitazione; l’attribuzione di un punteggio da sommare al voto complessivo dell’esame scritto e di quello orale, per facilitarne il superamento.
Si prevede che la pratica professionale possa essere fatta anche presso l’Avvocatura dello Stato o un avvocato iscritto all’elenco speciale dei dipendenti degli enti pubblici o presso un avvocato straniero per un tempo limitato.
Il periodo complessivo del tirocinio va fissato in trentasei mesi, riducibili a ventiquattro, per chi abbia superato gli esami dei corsi integrativi delle scuole forensi o delle scuole di specializzazione con esito positivo.
Sono previsti casi in cui si deve provvedere alla cancellazione dal registro e questa prescrizione è resa necessaria dalla confusione attuale, per la quale alcuni Ordini cancellano al rilascio del certificato di compiuta pratica, altri non cancellano mai; inoltre è opportuno specificare quando inizia e quando cessa l’abilitazione al patrocinio sostitutivo perchè anche, per questo caso, vi è disparità di comportamento tra Consigli che cancellano automaticamente alla scadenza dei sei anni e Consigli che non cancellano mai.
La disciplina dei corsi integrativi è necessariamente sommaria e le regole particolari devono essere dettate da organi competenti: di concerto tra vari ministri su parere del Consiglio nazionale forense per i corsi integrativi, dal Consiglio nazionale forense che approva i regolamenti redatti dai Consigli dell’ordine per le scuole forensi.
È’ stata prevista, in alternativa alla pratica presso avvocato, anche la frequenza di uffici giudiziari per non più di dodici mesi.
Questa frequenza può essere utile per apprendere «dall’interno» il funzionamento degli uffici giudiziari e i praticanti possono essere utili per i magistrati per ricerche su argomenti che interessino la redazione delle sentenze.
Un argomento difficile è quello dell’esame di abilitazione.
Non si deve affidare al solo esame, che è sempre molto aleatorio, la verifica della preparazione professionale del laureato.
Però esso deve essere uno strumento di selezione importante, il quale, d’altronde, è necessario come esame di Stato per l’accesso alla professione.
Le modifiche di qualche anno fa non hanno dato un risultato soddisfacente.
Esse hanno tratto spunto da una proposta di legge mai discussa del Senatore Ricci, risalente al 1983, che era stata strutturata in modo da rendere gli esami particolarmente severi e selettivi, ma il testo è stato cambiato con un risultato opposto a quanto era nell’intendimento di quella proposta di legge, perché le disposizioni rigoristiche sono state sostituite da disposizioni troppo permissive. Occorre ripristinare i criteri rigorosi.
Si è poi manifestato, in modo molto grave, il grosso inconveniente degli esami rappresentato dall’eccessiva disparità dei giudizi tra le commissioni dei vari distretti.
Si è cercato di porvi rimedio con l’espediente di far correggere i compiti scritti da commissioni di distretti diversi da quello in cui il candidato deve sostenere l’esame.
In questo modo, le disparità tra distretti di sono attenuate, ma il risultato, nell’insieme, non risulta soddisfacente e ha dato luogo a contestazioni.
Si propongono ora delle innovazioni, che mirano a superare alcuni degli inconvenienti che si sono manifestati.
In primo luogo, si è prevista una preselezione per test, come nei concorsi di magistrato e notaio. Appare poi più che opportuno evitare il cosiddetto «turismo d’esame» e cioè il trasferimento (quasi sempre fittizio) della sede della pratica per poter sostenere l’esame in una sede più benevola rispetto a quella «naturale».
Si propone, a questo fine, che chi trasferisce la sede della pratica debba sostenere l’esame presso una commissione nazionale con sede in Roma.
Si propone poi che questa stessa commissione nazionale sia competente per gli esami orali dei candidati dei distretti nei quali il numero dei candidati ammessi all’orale sia stato il più elevato. Questo fatto dovrebbe suggerire un giusto rigore in tutti i distretti.
Non sono previste innovazioni di rilievo per la composizione delle commissioni.
Per le prove scritte, si conservano il numero e le caratteristiche delle norme attuali, ma si propone che l’esame delle prove scritte venga fatto separatamente per ciascuna di esse e solo alla fine vengano individuati i candidati, così da evitare aggiustamenti del voto per favorire la promozione (sono attualmente troppo numerosi i candidati che ottengono il punteggio complessivo minimo di novanta punti).
Si propone, inoltre, che i punteggi per il superamento della prova debbano essere più elevati, soprattutto se vi è la insufficienza in una di esse.
Si prescrive, infine, la motivazione del voto, che può anche consistere nella annotazione a margine dello svolgimento del tema di osservazioni (positive o negative) sullo svolgimento del tema.
In questo modo, si ottiene anche la certezza che il testo sia stato letto con la dovuta attenzione, mentre sono attualmente troppo numerosi i ricorsi nei quali si contesta che lo svolgimento scritto sia stato esaminato in modo troppo affrettato e superficiale.
Costituisce una innovazione anche la previsione di un punteggio complessivo più elevato rispetto alla somma dei punteggi minimi previsti per ciascuna prova.
Questo punteggio complessivo può essere integrato con il punteggio ottenuto nei corsi di formazione o nelle scuole forensi e da quello per la conoscenza di una lingua straniera, per la quale vi è un apposito articolo che la disciplina.
Per la prova orale, si è chiarito che non costituisce prova autonoma la conoscenza dell’ordinamento forense, che però consente di attribuire un punteggio da comprendere in quello complessivo, assieme al punteggio per i corsi di formazione o delle scuole forensi e quello per la conoscenza della lingua straniera.
Nella indicazione delle materie, che possono essere oggetto di esame orale, si sono escluse quelle troppo spesso scelte perché considerate più facili, limitandole a quelle che sicuramente possono avere rilevante interesse nell’esercizio professionale.
Tra le domande da porre al candidato, è stata anche inclusa la illustrazione della discussione di una massima giurisprudenziale, che dovrebbe dimostrare la capacità di applicare le nozioni ad un caso concreto.
Come accennato, si ritiene di poter considerare anche un punteggio per la conoscenza della lingua straniera da sommare per ottenere il punteggio complessivo nelle votazioni dell’esame.
È noto che gli italiani in genere, ma anche gli avvocati, hanno scarsa conoscenza di lingue straniere e pochi sono coloro che possono utilizzare la lingua straniera nell’esercizio della professione.
Questo è un difetto che bisogna cercare di superare, perché pone gli avvocati italiani in condizione di inferiorità rispetto agli avvocati stranieri, che invece in numero elevato hanno padronanza di più lingue (fanno eccezione gli inglesi, i quali utilizzano una lingua che sta diventando dominante nei rapporti internazionali anche di carattere giuridico).
Il controllo della conoscenza delle lingue straniere va affidato alle Università con regole che garantiscano un controllo effettivo della conoscenza, che deve riferirsi alla capacità di usare la lingua nell’attività professionale e perciò con buona conoscenza dei termini giuridici, senza tener conto della conoscenza di norme giuridiche, che viene verificata solo nell’esame.
Si ritiene importante prevedere il controllo degli esami da parte di ispettori nominati dal Consiglio nazionale forense, che dovrebbero garantire la regolarità delle prove.
Si ritiene infine opportuno attribuire al Consiglio nazionale forense la facoltà di annullare le prove, che non si siano svolte correttamente.
È noto l’episodio scandaloso dei temi di una sede d’esame tutti uguali, perché tutti copiati, per il quale non sono note sanzioni prese nei confronti degli esaminatori e dei candidati così come non è noto se le prove, scandalosamente irregolari, siano state annullate.

Procedimento disciplinare

Per il procedimento disciplinare, l’innovazione principale, che viene proposta, consiste nella istituzione di Consigli distrettuali di disciplina, competenti in via esclusiva al controllo disciplinare degli iscritti.

Molteplici ragioni suggeriscono la istituzione di questi Consigli distrettuali, sottraendo la competenza disciplinare ai Consigli dell’ordine.
Già adesso i Consigli dell’ordine non garantiscono un efficiente controllo della disciplina degli iscritti.
L’attribuzione al Consiglio dell’ordine di nuovi compiti, tra i quali, molto oneroso, il controllo della formazione permanente e dell’esercizio continuativo della professione, fa prevedere che i Consigli dell’ordine non possano esercitare il controllo della disciplina con l’impegno e con la disponibilitùà di tempo necessari.
È poi esigenza molto sentita che l’organo giudicante in materia disciplinare, sia il più possibile neutrale.
Da varie parti si avanzano istanze affinché la competenza disciplinare non sia attribuita agli appartenenti alla stessa professione del giudicando.
Per gli avvocati, pensare a persone estranee all’avvocatura appare pressoché impossibile per l’esperienza necessaria che il giudice disciplinare deve avere delle caratteristica della professione e delle norme deontologiche.
Inoltre, molto spesso, i procedimenti disciplinari coinvolgono questioni di fatto, in merito alle quali è necessaria la massima riservatezza.
Un’equa soluzione può essere quella di attribuire il potere disciplinare ad un organo comprendente avvocati iscritti ad un ordine diverso da quello dell’avvocato che deve essere giudicato.
Scelto questo principio, molte e diverse tra loro possono essere le regole per l’organizzazione di questo nuovo organo.
Per la sua costituzione e per il suo funzionamento, si ritiene molto importante introdurre regole che garantiscano l’indipendenza di giudizio, ispirandosi al nuovo processo penale.
Per quanto riguarda le sanzioni, si è preferito mantenere quelle attuali compreso l’avvertimento.
Si è invece ritenuto opportuno prevedere anche un «richiamo verbale», senza carattere di sanzione, per le infrazioni di minimo rilievo.
È certamente opportuno ripristinare l’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al processo penale, come era già avvenuto con l’approvazione del nuovo codice penale.
Solo successivamente, con norma non chiara in tema di disciplina dei pubblici dipendenti, la pregiudiziale penale è stata reintrodotta con effetti molto gravi.
La pregiudiziale penale impone la sospensione del giudizio disciplinare, col risultato che il giudizio penale deve concludersi prima della celebrazione del procedimento disciplinare, con l’effetto di impedire per troppo tempo l’applicazione delle sanzioni, che diverrebbero esecutive solo a molta distanza di tempo, con efficacia notevolmente ridotta.
Inoltre, notevolmente diversa, in molti casi, può essere la valutazione del fatto sotto il profilo della legge penale e sotto il profilo delle norme deontologiche, cosicché non sempre la condanna penale giustifica la sanzione disciplinare, così come non sempre l’assoluzione penale (che non sia perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso) giustifica l’inapplicabilità di una sanzione disciplinare.
Anche per fatti molto gravi, non è ammissibile una sospensione cautelare a tempo indeterminato; in passato si sono avute sospensioni cautelari per molti anni, seguiti da piena assoluzione con danni gravissimi per il professionista.
Appare, tuttavia, opportuno prevedere la possibilità di effetti sul giudizio disciplinare da parte della sentenza penale.
E ciò nel caso di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, che deve portare anche alla assoluzione disciplinare, pur se diversa è stata la decisione nel giudizio disciplinare.
Inoltre, qualora sia stata pronunciata condanna per fatti che non potevano essere conosciuti nel corso del procedimento disciplinare, è giusto riaprirlo per sottoporre l’esame di essi all’organo disciplinare, sia pure con libertà e autonomia di valutazione.
Per la prescrizione dell’azione disciplinare, si sono coordinati i termini a quelli della prescrizione penale; inoltre, si è previsto un termine massimo per la decisione del procedimento oltre il quale si verifica la prescrizione. Ciò a differenza dalla disciplina attuale che, una volta interrotto il giudizio, ne ammette la continuazione all’infinito; ma questo principio è contestato.
Per quanto riguarda le norme procedurali, appare opportuna una disciplina abbastanza ampia per poter introdurre, con efficacia immediata, norme garantistiche, ispirate al «giusto processo», a contenuto innovativo rispetto alla disciplina attuale.
Anche le norme per la sospensione cautelare, soprattutto per quanto riguarda la durata di essa, devono essere adeguate: non più di un anno, con perdita di efficacia se il Consiglio di disciplina non decide entro sei mesi dal provvedimento di sospensione.
Per quanto riguarda il ricorso delle decisioni della Commissione distrettuale al Consiglio nazionale forense e il ricorso contro la sentenza del Consiglio nazionale forense alle Sezioni unite della Corte di cassazione, si è preferito rinviare alle norme vigenti.
Per quanto riguarda il ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione, la conservazione delle regole attuali è anche necessaria per salvaguardare la giurisdizione del Consiglio nazionale forense, il quale, come giurisdizione speciale, può sopravvivere solo in forza della nota disposizione transitoria della Costituzione, la cui efficacia, senza limiti di tempo, è stata più volte affermata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. Anche nei progetti di legge per la disciplina di tutte le libere professioni, è inclusa la regola che fa salve le giurisdizioni speciali in materia disciplinare per tutte le categorie professionali, per le quali la funzione di giudici speciali degli organi nazionali sia stata approvata con legge anteriore alla Costituzione.
Con questo disegno di legge, vengono sostituite in gran parte le norme vigenti che disciplinano l’avvocatura; ma ve ne sono altre che dovranno essere sostituite da norme nuove. Nel frattempo, le norme non sostituite con il nuovo ordinamento devono poter conservare efficacia fino a quando saranno state approvate tutte le norme innovative.
La legislazione per la disciplina dell’ordine forense si è frammentata in un numero rilevante di norme, in parte autonome e in parte contenute nelle leggi più disparate.
È certamente necessario redigere ora un testo unico per dare (finalmente!) una disciplina completa e chiara alla professione dell’avvocato.

Testo completo della relazione e dei 70 e piu' articoli al link indicato.


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