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"The press must learn that misguided use of a computer is no more amazing than drunk driving of an automobile " - Ken Thompson - 1984



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Condominio: uso diverso delle parti condominiali e ripartizione spese

PARERE PRO VERITATE IN MATERIA DI USO DIVERSO DEI BENI CONDOMINIALI (ASCENSORE - SCALE) E REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI
19.09.2005 - pag. 28911 print in pdf print on web

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Avv. Andrea Giordano Via Muzio Clementi, 58, 00193 Roma Tel. 06 3216186 fax 06 32654678 e-mail degiordy@tiscalinet.it

QUESITO Il Sig. X, proprietario di una mansarda di 25 mq., ritiene che gli oneri posti a suo carico per la manutenzione delle scale e dell’ascensore, sulla base delle nuove tabelle millesimali approvate all’unanimità da tutti i condomini e quindi anche da lui, lo penalizzino eccessivamente. Il Sig. X fa infatti presente che l’ascensore si arresta due rampe di scale al di sotto dell’immobile, che la mansarda non è abitabile né abitata, che di fatto viene utilizzata non più di una settimana l’anno per la manutenzione ordinaria e che per altri appartamenti di ben maggiore consistenza ubicati nell’edificio, ivi compreso il piano attico, è richiesto un contributo proporzionalmente inferiore rispetto al suo. Chiede pertanto il proprietario se, in considerazione della particolare destinazione della mansarda sia possibile pagare la metà del contributo richiesto in applicazione dell’art. 1124 2° comma c.c..

Il quesito posto impone l’esame preliminare delle norme che disciplinano la ripartizione delle spese relative ai beni comuni destinati a servire i singoli condomini in misura diversa. L’art. 1123 comma 2° c.c. stabilisce che in tali fattispecie le spese vengono ripartite in proporzione all’uso che ciascuno dei proprietari dei singoli immobili ubicati nell’edificio, può fare dei beni comuni. Si pensi, per fare un esempio, alle spese per l’ illuminazione e la pulizia delle scale, le quali non sono finalizzate a preservare l’integrità e il valore venale delle cose, ma hanno lo scopo di consentire ai condomini un più confortevole uso e godimento delle cose comuni e di quelle proprie. Ebbene, in tali ipotesi la norma succitata dispone che i condomini sono tenuti a versare un contributo commisurato non già alle tabelle millesimali, ma all’utilitas che ciascuno di loro può trarre dalle scale. Ne consegue che in applicazione di tale principio, i proprietari degli appartamenti posti ai piani superiori saranno tenuti a versare un contributo maggiore rispetto agli altri condomini.

Per quanto poi riguarda la manutenzione e la ricostruzione delle scale, l’art. 1124 c.c., applicabile per analogia anche alle spese relative all’ascensore, (Cfr. Cass. Civ. 5479/1991), seguendo la stessa logica dell’art. 1123 c.c., fissa un criterio ancora più preciso, stabilendo che tali tipologia di oneri condominiali devono essere ripartiti per metà in base al valore di ciascun piano o porzione di piano e per l’altra metà in base all’altezza di ciascun piano del suolo. La ratio di questa norma risiede nel fatto che i proprietari degli ultimi piani oltre a trarre una maggiore utilitas dalle scale e dall’ascensore, utilizzano tali beni comuni certamente di più rispetto agli altri condomini, determinandone con ciò anche una maggiore usura; è sembrato pertanto giusto al legislatore porre a carico di detti proprietari un contributo maggiore.

Ma quid iuris se l’immobile, come afferma l’autore del quesito, non venga di fatto quasi mai utilizzato? L’interrogativo de quo è di non poco conto. Se infatti è vero, come evidenziato supra, che l’obbligo di contribuzione per la conservazione e l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio è legato all’utilitas che il singolo proprietario può trarre dal bene condominiale, il proprietario, che in concreto non consegua tale utilitas, potrebbe ritenersi legittimato a non contribuire a dette spese. Ebbene l’equivoco è stato chiarito in modo giuridicamente inattaccabile dalla Suprema Corte. Afferma il giudice di legittimità che il proprietario dell’immobile, nel momento in cui acquista il bene, subentra pro quota anche nella comproprietà dei beni comuni che servono l’edificio, assumendo in tal modo tutti gli oneri ad essi relativi. In altre parole il proprietario-condomino assume una vera e propria obbligazione propter rem dalla quale può liberarsi soltanto alienando la proprietà dell’immobile. La conseguenza è che ciò che rileva ai fini dell’obbligo di contribuzione, non è il godimento effettivo ma il godimento potenziale che il proprietario può ricavare dalla cosa comune. Del resto l’uso e il godimento di un bene sono mere facoltà dell’agente, sicché il loro mancato esercizio non incide in alcun modo sull’esistenza del diritto soggettivo di cui la facoltà è una semplice modalità di esercizio. Ciò per dire che anche qualora la facoltà non venga esercitata, il diritto soggettivo sul bene continua a produrre i propri effetti nella sfera giuridica del titolare il quale pertanto rimane vincolato agli oneri derivanti dalla proprietà della res. (Cfr. ex plurimis Cass. Civ. 13160/1991).

Ipotesi completamente diversa è quella, indicata dall’autore del quesito, relativa ai proprietari delle soffitte, dei palchi morti e dei lastrici solari e cioè di quegli immobili che ancorché ubicati al di sopra degli altri piani, non hanno una destinazione abitativa e pertanto non sono oggettivamente in grado di produrre quell’usura dei beni comuni che caratterizza il godimento dei piani alti abitabili. Ebbene in tali casi trova applicazione il comma 2° dell’art. 1124 c.c. il quale stabilisce che detti proprietari concorrano soltanto alla metà della spesa necessaria alla manutenzione e ricostruzione delle scale e dell’ascensore in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano. Ovviamente il proprietario di tali immobili per poter accedere alla tutela riconosciuta dalla suddetta norma e versare il contributo in misura ridotta, dovrà porre la questione in assemblea ed ottenere una delibera favorevole. In caso contrario, qualora cioè l’assemblea non ritenga fondata la sua pretesa, egli potrà adire il Tribunale Civile del luogo ove è ubicato l’immobile, instando, previo accertamento del suo diritto, per la pronuncia di una sentenza costitutiva che, modificando il criterio di ripartizione delle spese fino ad allora impiegato dal condominio, riconosca il suo buon diritto a versare il contributo ridotto previsto dal comma 2° dell’art. 1124 c.c..

Tuttavia, nel caso di specie, ciò non è avvenuto. L’autore del quesito infatti, ha approvato insieme agli altri condomini la nuova tabella millesimale che applica criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli indicati nell’art. 1124 c.c.. La conseguenza è che è che il Sig. X non può dolersi di tali criteri censurandone la non conformità alla normativa vigente. Si rammenta infatti che gli artt. 1123 e 1124 c.c. sono liberamente derogabili dal regolamento condominiale il quale ben può stabilire criteri di ripartizione delle spese condominiali diversi da quelli indicati dalla normativa generale.

Esiste però una via d’uscita. L’art. 69 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile consente la revisione e la modifica delle tabelle millesimali. Deve però sussistere almeno una delle seguenti condizioni:

le tabelle devono essere affette da errori; l’esigenza di revisione deve essere collegata alle mutate condizioni di una parte dell’edificio in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata che alterino notevolmente il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano;

Quanto al primo punto, la giurisprudenza ha in particolare precisato che la revisione delle tabelle millesimali deve essere giustificata dalla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, atteso che nell’art. 69 citato, l’errore non viene riferito al consenso del condominio all’approvazione delle tabelle, bensì obbiettivamente ai valori in essa contenuti, comportando tale circostanza la revisione e non l’annullamento dell’atto di approvazione. (Class. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734, Cortesi e altri c. Società Tre Effe, in Arch. loc. e cond. 1989, 693; Arch. civ. 1989, 31).  Costituiscono pertanto errori essenziali e possono, quindi, dar luogo a revisione delle tabelle millesimali in base all’art. 69, n. 1, disp. att. cod. civ., gli errori che attengano alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l’estensione, l’altezza, l’ubicazione, ecc.), che siano errori di diritto (ad esempio, erronea convinzione che nell’accertamento dei valori debba tenersi conto di alcuni degli elementi che, ai sensi dell’art. 68, ultimo comma, disp. att. cod. civ. sono irrilevanti a tale effetto); non possono, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poiché l’errore di valutazione, in sé considerato, non può mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore sulla qualità della cosa, a norma dell’art. 1429 cod. civ.. (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1982, n. 116, Cond. V. S. Grego, c. Soc. Manif. Pesar.).

In ragione di quanto sopra evidenziato, si suggerisce pertanto di incaricare un tecnico al fine di valutare se effettivamente le tabelle millesimali approvate siano affette dalle mende sopra elencate. In caso di accertamento positivo sarà poi opportuno chiedere la fissazione di un assemblea condominiale straordinaria in cui il tecnico potrà illustrare gli errori da cui è inficiata la tabella medesima. A quel punto il condominio potrà recepire i rilievi formulati dal tecnico e approvare all’unanimità il nuovo criterio di ripartizione delle spese o altrimenti non tenere conto di tali rilievi è rifiutare la modifica delle tabelle millesimali. In tale seconda evenienza sarà allora opportuno intentare un giudizio civile ai sensi dell’art. 69 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile per ottenere una sentenza costitutiva che modifichi i precedenti criteri di riparto delle spese. Del resto secondo la consolidata giurisprudenza sia di merito di legittimità, l’accettazione delle tabelle millesimali – desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento delle quote condominiali in base ad esse dovuto – non ne esclude in alcun modo l’impugnabilità, ex art. 69, comma 1° disp. att.. c.c.. (Cfr. Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367, Cond. Palazzo Capodicasa di Corso Gelone n. 52 di Siracusa c. Conigliaro, in Arch. loc. e cond. 1994, 557). Il giudizio consisterà nella verifica, a mezzo di apposita C.T.U., dei valori di tutte le porzioni, avuto riguardo al complesso degli elementi oggettivi — quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione — incidenti sul valore effettivo di esse, al quale saranno poi adeguate le tabelle, eliminando gli errori riscontrati. (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942, Picchioni ed altri c. Agostini ed altri, in Arch. loc. e cond. 1998, 69). Dal punto di vista processuale il contenzioso in questione richiede l’instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dall’ amministratore, in quanto l’oggetto della controversia esorbita dall’ambito delle cose o interessi comuni ed incide sui diritti esclusivi dei singoli condomini, sicché la rappresentanza dell’amministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo. (Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3967, Piantoni A. c. Cond. V. Montello).

Con l’auspicio di aver contribuito a chiarire la problematica sottesa al quesito postomi, rimango a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore approfondimento.

Roma, 15.9.05 Avv. Andrea Giordano  

 

 


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19.09.2005 Spataro

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