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Sentenze e provvedimenti vari

-) ... sull'obbligo di indicare il notaio per la stipula del contratto definitivo di compravendita e le conseguenze del relativo inadempimento anche in ordine al meccanismo della risoluzione per diffida; nonché sull'obbligo di garanzia dell'inesistenza di vincoli

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09.12.2004 - pag. 28258 print in pdf print on web

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Tribunale di Marsala, Sezione distaccata di Mazara del Vallo, Giudice unico dott. Pier Luigi Tomaiuoli

Risoluzione del preliminare di compravendita – diffida ex art. 1454 c.c. - mancata indicazione del notaio rogante – rilevanza- esclusione – inadempimento obbligo di buona fede – configurabilità – infondatezza.

Eccezione d’inadempimento all’obbligo contrattuale di garanzia dell’inesistenza di vincoli sul fondo compravenduto – inclusione dei vincoli generali – interpretazione secondo buona fede e secondo il principio di conservazione degli atti giuridici – fondatezza.

Non incide sulla validità della diffida ex art. 1454 c.c. la mancata indicazione del notaio rogante, del luogo e del tempo della stipula del definitivo. Essa, tuttavia, laddove eccepita, deve essere valutata alla stregua di una eccezione d’inadempimento all’obbligo di collaborazione gravante su entrambi i paciscenti, quale obbligo accessorio di buona fede (ex art. 1175 c.c.) necessario per l’adempimento di quello primario di stipulazione del contratto definitivo.

La clausola negoziale con la quale il promittente venditore garantisce la piena proprietà, la disponibilità e la libertà ipotecaria dell’immobile promesso in vendita, dichiarando che lo stesso è libero da pesi, oneri, vincoli, canoni, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e da diritti di terzi in genere che ne possano limitare o diminuire la piena proprietà, deve ritenersi ricomprensiva anche della garanzia dell’insussistenza di vincoli urbanistici di carattere generale, alla stregua dell’onnicomprensività della dizione letterale utilizzata dalle parti e di un’interpretazione conforme a buona fede ed al principio ermeneutico di conservazione delle pattuizioni di cui all’art. 1367 c.c..

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA

SEZIONE DISTACCATA DI MAZARA DEL VALLO

in persona del dr. Pier Luigi Tomaiuoli, in funzione di Giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 78 R.G. degli Affari Civili Contenziosi dell'anno 2001 e vertente

TRA

Myy ISIDORO, elettivamente domiciliato in Partanna, presso lo studio degli Avv. Giovanni Antonio Rizzo e Stefano Clemenza, Via Vittorio Emanuele n. 37, rappresentanti e difensori come da procura a margine dell’atto di citazione;

attore

E

Sxx MICHELE, elett.te domiciliato in Mazara del Vallo, Lungomare Mazzini, n. 19, presso lo studio dell’Avv. Walter Marino, rappresentante e difensore, unitamente all’Avv. Mario Barracco, come da procura a margine della comparsa di risposta;

convenuto

OGGETTO:

Risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c.; Recesso ed incameramento di caparra confirmatoria.

CONCLUSIONI: come da verbale di causa del 9.3.04.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 9.4.2001, Myy Isidoro conveniva in giudizio Sxx Michele, chiedendo al Tribunale adito di ritenere e dichiarare risolto di diritto il contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti e di dichiarare il diritto dell’attore di trattenere la somma versatagli dal convenuto a titolo di caparra confirmatoria; con vittoria di spese.

Allegava, in particolare, l’attore che con atto di diffida ex art. 1454 c.c. esso aveva risolto di diritto il contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti; che con tale atto, notificato al convenuto a mezzo di ufficiale giudiziario in data 24.3.2000, aveva intimato al Sxx di adempiere entro 15 giorni dalla sua ricezione all’obbligo di stipulare il definitivo di compravendita; che tale diffida non aveva avuto alcun seguito; che, pertanto, il contratto doveva ritenersi risolto di diritto.

Si costituiva Sxx Michele, eccependo la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza del petitum e della causa pretendi; che nell’atto di diffida non si capiva se l’inadempimento della controparte era riferito alla violazione dell’obbligo di non estirpare le colture esistenti sul fondo compravenduto, ovvero all’obbligo di stipulare il contratto definitivo; eccepiva, peraltro, l’inadempimento della controparte, non avendo essa proceduto all’individuazione del notaio e del giorno del definitivo, che, stando al tenore della diffida, avrebbe dovuto essere effettuata di comune accordo; eccepiva, infine, l’inadempimento del Myy all’obbligo di garanzia di assenza di vincoli sul fondo in esame, posto che esso era risultato ricompreso in zona destinata a verde per parchi pubblici; tutto quanto sopra premesso, chiedeva il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese.

All’udienza del 9.3.04 la causa, istruita documentalmente ed a mezzo di interrogatorio formale del convenuto, veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La domanda attrice è infondata ed in quanto tale va rigettata per i motivi di cui appresso.

Il Myy ha chiesto, in primo luogo, l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del preliminare di compravendita di un fondo agricolo stipulato con il convenuto Sxx, deducendo l’avvenuta integrazione del meccanismo solutorio di cui all’art. 1454 c.c., per avere egli inviato al convenuto atto di diffida ad adempiere all’obbligo di stipulare il contratto definitivo entro 15 giorni dal ricevimento della detta diffida, rimasta invece senza alcun seguito.

Va, in primo luogo, chiarito che non incide sulla validità della diffida in esame l’eccepita mancata indicazione in essa del notaio rogante, del luogo e del tempo della stipula del definitivo.

La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito – superando un proprio precedente orientamento contrario (Cass., 13.2.1976, n. 466) – che siffatta indicazione appare ultronea rispetto al meccanismo normativo configurato dall’art. 1454 c.c., in forza del quale l’unico onere gravante sull’intimante è quello di fissare un termine entro il quale l’altra parte dovrà adempiere la propria prestazione (Cass., Sez. II, n. 8910/1998).

Ciò non toglie, tuttavia, che la mancata indicazione suddetta, laddove eccepita come nel caso di specie, debba essere valutata alla stregua di una vera e propria eccezione d’inadempimento ad un eventuale obbligo di collaborazione. Siffatto obbligo, nel caso di specie, non è rinvenibile in capo al promittente acquirente in un’espressa disposizione contrattuale, né su quest’ultimo, in tale qualità, grava in forza di alcuna norma di legge.

Si deve, pertanto, ritenere che esso faccia carico ad entrambi i paciscenti, quale obbligo accessorio di buona fede (ex art. 1175 c.c.) necessario per l’adempimento di quello primario di stipulazione del contratto definitivo, evidentemente gravante su entrambe le parti del preliminare (circostanza questa ben presente allo stesso promittente alienante, il quale nell’atto di diffida invitava il promittente acquirente ad una scelta comune del notaio rogante).

Lo stesso convenuto, tuttavia, in sede di interrogatorio formale, ha riferito che il “vero motivo” della mancata stipulazione del contratto fu la scoperta dell’esistenza di un vincolo a verde pubblico sul fondo promesso in vendita e la sua richiesta, a fronte di tale emergenza, di una riduzione del prezzo.

E’ ovvio che tale circostanza, in quanto favorevole al convenuto, non può di per sé – e salvo quello che si dirà dappresso – ritenersi provata sulla base delle sole dette dichiarazioni.

Da essa, tuttavia, si ricava la prova che la mancata stipulazione del definitivo non è di certo da attribuirsi alla mancata collaborazione dell’attore alla scelta del notaio e del tempo e luogo della stipula, di guisa che deve ritenersi raggiunta la prova dell’insussistenza di un inadempimento colpevole al cennato obbligo di collaborazione in capo al promittente venditore; la relativa eccezione di parte convenuta deve, pertanto, ritenersi infondata.

E’ fondata, invece, l’eccezione d’inadempimento all’obbligo di garanzia dell’inesistenza di vincoli sul fondo compravenduto, sancito a pagina 4 del contratto preliminare, ove si legge: “garantisce il promittente venditore la piena proprietà, la disponibilità e la libertà ipotecaria dell’immobile promesso in vendita dichiarando che lo stesso è libero da pesi, oneri, vincoli, canoni, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e da diritti di terzi in genere che ne possano limitare o diminuire la piena proprietà…”.

Va appurata, in primo luogo, la portata negoziale di tale pattuizione di garanzia, al fine di stabilire se essa ricomprenda o meno anche i vincoli urbanistici di carattere generale (Cass., 12.4.1983, n. 2581), quale quello in esame (derivante, come si evince dalla documentazione prodotta in atti e dalle allegazioni delle parti, da piano comunale).

La soluzione al detto quesito è positiva per le ragioni che seguono.

E’ noto che nell’interpretazione delle disposizioni contrattuali il criterio principe è quello della ricerca della comune intenzione delle parti, che può essere individuata anche alla luce del loro complessivo comportamento posteriore alla conclusione del contratto.

Da una lettura attenta dello stesso si evince che i paciscenti hanno inteso promettere in vendita un appezzamento di terreno agricolo; in tal senso depongono la menzione della qualità di colono del promittente acquirente, il divieto per quest’ultimo sino alla stipula del definitivo di estirpare le “culture attualmente esistenti” e di adibire il fondo a “coltivazioni” differenti dalle predette.

Che oggetto della compravendita fosse un “fondo agricolo” risulta, peraltro, da un’esplicita ammissione dello stesso attore nella missiva inviata al convenuto in data 22.01.1991 e prodotta agli atti del giudizio.

In considerazione, dunque, della comune volontà di compravendere un fondo caratterizzato dalla suddetta natura, l’ampia clausola di garanzia stipulata dalle parti deve intendersi estesa a tutti quei pesi e vincoli, di qualsiasi provenienza e dunque anche urbanistica, atti ad incidere sulla detta natura.

Va considerato, peraltro, alla luce della norma di cui al II comma dell’art. 1362 c.c., che l’attore non ha mai contestato, nemmeno in giudizio, la sussunzione del vincolo de quo nella garanzia pattuita.

Pur ritenendo assorbenti le predette considerazioni, mette conto di motivare che, in ogni caso, anche a voler ritenere sussistente un margine di dubbio ermeneutico, un’interpretazione orientata secondo buona fede, oltre che improntata al criterio della conservazione della pattuizione di cui all’art. 1367 c.c., conduce al medesimo risultato interpretativo.

Si consideri, quanto al criterio di conservazione - alla cui stregua le clausole devono considerarsi nel senso in cui possono avere un qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno –, che opinare diversamente significherebbe svuotare di contenuto pratico la pattuizione in esame (relativa alla garanzia dell’inesistenza di vincoli), posto che essa si limiterebbe a riprodurre il contenuto di quelle legali sancite dagli artt. 1482 c.c. (vincoli derivanti da pignoramento e sequestro) e 1489 c.c. (vincoli non apparenti, tra i quali quelli urbanistici imposti con provvedimento amministrativo particolare e non già generale come nel caso di specie: Cass., 11.1.1992, n. 253; Cass, 12.4.1983, n. 2581; Cass., 11.5.1983, n. 3263; Cass., 7.1.1981, n. 119)

Tanto premesso in punto di estensione della garanzia de qua, va ritenuto l’inadempimento del promittente alienante all’obbligo nascente dalla stessa.

Contrariamente a quanto ritenuto dall’attore, infatti, a fronte dell’eccezione d’inadempimento della convenuta, spettava al secondo provare esclusivamente la fonte dell’obbligo di garanzia (id est, il contratto), mentre sul primo gravava la prova dell’adempimento (Cass., SS. UU, 30.10.2001, n. 13533; Cass., Sez. III, 28.01.02, n. 982), mediante produzione di certificazione urbanistica attestante la non sottoposizione del fondo in esame a vincoli incidenti sulla sua vocazione agricola.

Parte attrice non ha fornito tale prova, ed anzi può ritenersi per converso raggiunta la prova contraria, posto che il convenuto ha prodotto certificazione dell’Ufficio tecnico di Mazara del Vallo che attesta la ricaduta del fondo iscritto in catasto al foglio 122, particelle nn. 153, 154, 3-5-6- in “zona verde per parchi pubblici”.

Pur non risultando dalle allegazioni delle parti e dal contratto prodotto in giudizio gli estremi catastali del fondo promesso in vendita, la mancata contestazione specifica della non identità tra il fondo di cui al certificato suddetto e quello per cui è causa consente di ritenere provata comunque tale convergenza (parte attrice, infatti, ha dedotto genericamente la mancata produzione di documentazione catastale e dell’Ufficio tecnico da parte del convenuto, senza contestare in via specifica la circostanza di cui sopra).

Appurato dunque l’inadempimento dell’attrice all’obbligo di garanzia su di essa gravante, spetta al giudice, a fronte dell’eccezione d’inadempimento sollevata da parte convenuta, valutare comparativamente il comportamento di entrambe le parti inadempienti, in modo da appurare, nell’ambito di un giudizio sinallagmatico e proporzionale, quale dei due inadempimenti possa essere ritenuto colpevole, di guisa da giustificare l’altro (ex multis: Cass., 27.2.1996, n. 1537; Cass., 16.9.1991, n. 9619; Cass., 30.30.1990, n. 2596).

Avuto riguardo alla centralità, per come sopra individuata, della natura agricola del bene compravenduto, nonché alla gravosità del vincolo esistente sullo stesso, deve ritenersi giustificato l’inadempimento del convenuto all’obbligo di stipulazione del definitivo, sino ad una concordata riduzione del prezzo di vendita, e colpevole quello dell’attore all’obbligo di garanzia di cui sopra.

2. Va, altresì, rigettata la domanda dell’attore di incameramento della caparra confirmatoria, da qualificarsi come azione di recesso dal contratto ex art. 1385 c.c., con conseguente diritto alla ritenzione della detta caparra, e non come autonoma richiesta risacitoria con incameramento della stessa in conto danni, azionabile esclusivamente sulla base di una risoluzione costitutiva ex art. 1453 c.c. (Cass., 3.3.1997 n. 1851).

Il rigetto, infatti, si fonda sui medesimi motivi (insussistenza di un inadempimento del promittente acquirente ed inadempimento del promittente alienante) di cui al punto superiore, al quale per brevità espositiva si rimanda.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispostivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattese, così provvede:

1) rigetta la domanda proposta da Myy Isidoro nei confronti di Sxx Michele;

2) condanna Myy Isidoro alla refusione in favore di Sxx Michele delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.420, di cui 650 per competenze e 140 per spese, oltre iva e cpa come per legge.

Mazara del Vallo, 26.06.2004

Il Giudice

Pier Luigi Tomaiuoli


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