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Cassazione 29.04.2022    Pdf    Appunta    Letti    Post successivo  

Cassazione 17 luglio 2007, n. 15892

Controlli difensivi leciti. Indirizzo cambiato, ma ripreso poi nel 2017 con la 10636


Cassazione

 

C

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 17 luglio 2007, n. 15892
Compostadagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott.Salvatore Senese -Presidente-
Dott.Francesco Antonio Maiorano -Consigliere-
Dott.Attilio Cementano -Consigliere-
Dott.Stefano Monaci -Consigliere-
Dott. PaoloStile -rel. Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

Sulricorso proposto da:

P.S.,elettivamente domiciliato in ROMA Via Otranto n. 18, presso lo studiodell'avvocato PANICI PIERLUIGI, che lo rappresenta e difende unitamenteall'avvocato GIOVANNELLI GIOVANNI, giusta delega in atti;

-ricorrente-

Contro

ENISpA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamentedomiciliata in ROMA Via L.G. Faravelli 22, presso lo studio dell'avvocatoMORRICO ENZO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

-controricorrente-

Avverso la sentenza n. 275/05 della corte d'Appello di MILANO, depositata il 26/04/05 –R.G.N. 328/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/07 dalconsigliere Dott. Paolo Stile;

udito l'avvocato PANICI;

udito l'avvocato BOCCIA per delega MORRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo Fuzio cheha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Conricorso depositato in data 17/3/05 Eni s.p.a. conveniva dinanzi alla Corte diAppello di Milano, S.P. chiedendo la parziale riforma della sent. N. 108/04 delTribunale della stessa città nel capo in cui aveva ritenuto illegittimo illicenziamento in tronco adottato il 3 luglio 2002.

Il tribunale, infatti, aveva ritenuto violato l'art. 4, 2∞ comma, legge n.300/70[1], non avendo la società trovato l'accordo con le r.s.a circa l'adozione diapparecchiature che consentivano la possibilità di controllo a distanzadell'attività lavorativa.

L'appellante lamentava che il Giudice, in contrasto con quanto disposto dall'art. 112 c.p.c.avesse ritenuto decisivo, per affermare la illegittimità del licenziamento, unmotivo neppure specificato in ricorso, né indicato come vizio del licenziamentonelle conclusioni; avesse ritenuto applicabile l'art. 4, nonostante si trattassedi controlli diretti a reprimere comportamenti scorretti del lavoratore,estranei all'attività lavorativa e tenuti fuori dell'ambiente di lavoro; nonavesse considerato che l'apparecchiatura era finalizzata a garantire lasicurezza dei garage dove erano parcheggiate le vetture dei lavoratori, i qualiconsapevolmente inserivano il badge, essendo la sbarra aperta solo all'orariodi entrata ed uscita.

Rilevava che il prodotto accordo del 5-6/8/99 era stato concordato, non in applicazionedell'art. 4 Stat.lav., ma per regolare l'orario di lavoro e altre materie.

Sosteneva che il comportamento del lavoratore, malizioso e ripetutamente inadempiente,era comunque idoneo a ingenerare sfiducia, considerando che le sue mansioni nonrichiedevano un'assidua presenza in ufficio; che andava considerata sia laspecifica recidiva nel comportamento sia gli addebiti precedenti di due anni l'ultimo,che non potevano essere considerati ai fini della recidiva; che il fatto potevaessere valutato come giustificato motivo soggettivo.

Si costituiva P., resistendo all'appello con articolate argomentazioni. Ribadiva,con appello incidentale condizionato, che la società aveva contestato due voltela stessa mancanza concernente l'anomalia della prestazione, con lettera 27/5/02per il periodo 6/5 24/5, cui era seguita la sospensione di otto giorni e conlettera 6/6/02, sette giorni prima dell'irrogazione della sospensione, per ilperiodo 10/7-31/5, cui era seguito il licenziamento.

Con sentenza del 17 marzo-26 aprile 2005 la corte di Milano accoglieva il gravame,rigettando tutte le domande avanzate dal P. nell'atto introduttivo. Riteneva laCorte che le due contestazioni erano diverse e che i fatti contestati (illavoratore usciva ed entravaä per propri affari privati) erano risultatiprovati, dissentendo dal primo giudice circa la liceità dell'acquisizione deidati.

Secondo la corte, infatti, in forza del secondo comma dell'art. 4 ("che quiinteressa) il controllo vietato sarebbe solo quello "continuo delcomportamento del lavoratore o comunque attuabile in qualsiasi momento adiscrezione della direzione aziendale". I controlli con il badge anche daun altro varco non invaderebbe la riservatezza non lasciando – si afferma- "alcuna possibilità di rilevare spostamenti all'internodell'azienda". E per le medesime ragioni non si riteneva sussistereneppure la violazione della privacy. E ciò, in particolare, perché il P.neppure poteva essere considerato in "attività quando eludendo i controllivarcava altri successi ed entrava nel garage o ne usciva con la sua auto privata".Considerati legittimi i controlli, la corte riteneva che l'accertatocomportamento del lavoratore, svoltosi in maniera sistematica, fosse di gravitàtale da spezzare il vincolo fiduciario determinando la legittimità del recesso.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre S.P. con tre motivi.

Resiste l'ENI S.p.A. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il P. , denunciando violazione e falsa applicazionedell'art. 41. 20 maggio 1970 n. 300 nonché motivazione omessa e contraddittoriasu punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), sostiene chela sentenza impugnata sarebbe pervenuta ad una conclusione errata basata su diuna interpretazione altrettanto errata dell'art. 4, secondo comma, dellarichiamata legge n. 300, trascurando di considerare che per il legislatore èsufficiente la mera ipoteca possibilità che dall'impianto "derivi" uncontrollo "a distanza" per far scattare il divieto (parziale esuperabile) di installazione. E sarebbe contraddittoria laddove non tiene contodella sostanza dei fatti pacifici, omettendo al contempo di affrontare ilproblema del controllo non "diretto ed esclusivo" ma "possibilee derivato"ä", rispetto ad entrambi i casi essendovi pericolo diinvasione delle sfera privata del lavoratore inconsapevole.

Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Come è noto, l'art. 4 legge n. 300/70, la cui violazione è penalmente sanzionata aisensi dell'art. 38 della stessa legge, fa parte di quella complessa normativadiretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo edirettivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidentinella sfera interna della persona, si ritengono lesive della dignità e dellariservatezza del lavoratore.

Detto art. 4, infatti, sancisce, al suo primo comma,il divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, inprimo luogo, gli impianti audiovisivi, sul presupposto –espressamenteprecisato nella "relazione ministeriale" - che la vigilanza sullavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, vada mantenuta inuna dimensione "umana", e cioè non esasperata dall'uso di tecnologieche possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ognizona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro.

Lo stesso articolo, tuttavia, al secondo comma,prevede che esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoropossano richiedere l'eventuale installazione di impianti ed apparecchiature dicontrollo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanzadell'attività dei lavoratori. In tal caso è prevista una garanzia procedurale avari livelli, essendo la installazione condizionata all'accordo con lerappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, ovvero, indifetto, all'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro.

In tal modo il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza di tutela del dirittodei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore dilavoro, o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente allaorganizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisaprocedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi.

Nel caso di specie – come emerge dalle pronunce di merito e dalle stessedifese delle parti – la società,al fine di agevolare i propri dipendenti muniti di autovettura, aveva predispostoper essi un locale garage ove posteggiarla durante l'orario lavorativo,inserendo, tuttavia, un congegno di sicurezza volto a consentire l'ingresso atale garage solo mediante un meccanismo elettronico attivato da un tesserino –badge – personale assegnato a ciascun dipendente, lo stesso che attivavagli ingressi agli uffici.

Oltre a consentire l'elevazione della sbarra di ingresso al (e uscita dal ) garage,il meccanismo rilevava, dal badge, e registrava l'identità di chi passava nonchél'orario del passaggio. Il che permetteva, mediante l'incrocio di tali dati conquelli rilevati elettronicamente all'ingresso degli uffici, di controllare ilrispetto o non degli orari di entrata e uscita e presenza sul luogo di lavoroda parte dei dipendenti.

Un'apparecchiatura di controllo, dunque, predispostaper il vantaggio dei dipendenti, ma utilizzabile anche in funzione di controllodell'osservanza da parte di questi dei loro doveri di diligenza nel rispettodell'orario di lavoro e della stessa correttezza della esecuzione dellaprestazione lavorativa. Tale apparecchiatura – a differenza di quellaanaloga installata agli ingressi dell'ufficio – non era stata concordatacon le rappresentanze sindacali, né era stata autorizzata dall'Ispettorato delLavoro.

Secondo la corte territoriale la società, nel caso concreto, non avrebbe agito inviolazione del menzionato art. 4, 2∞ comma, poiché "la rilevazione deimedesimi dati da altro varco non è in sé modalità occulta e insidiosa di controllo, né invade la dignità e la riservatezza del lavoratore nellosvolgimento dell'attività: non riguarda, inoltre, aspetti della prestazionediversi da quelli per i quali già avveniva il controllo con il medesimo badge(nominativo, orario di entrata e uscita al varco).

Osserva il Collegio che tale assunto – fondamentalmente volto ad escluderedall'ambito del divieto del controllo a distanza dell'attività lavorativa postodall'art. 4 citato i meccanismi di rilevazione dei dati di entrata ed uscitadall'azienda – non appare condivisibile.

Ed invero, posto – come sembra indubitabile, in mancanza di indicazioni disegno contrario – che ilriferimento all'attività lavorativa, oggetto della fattispecie astratta, nonriguarda solo le modalità del suo svolgimento, ma anche il quantum della prestazione,il controllo sull'orario di lavoro, risolvendosi in un accertamento circaquantità di lavoro svolto, si inquadra, per ciò stesso, in una tipologia diaccertamento pienamente rientrante nella fattispecie prevista dal secondo commadel richiamato art. 4.

Nél'insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendentipuò assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogniforma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore.

Tale esigenza, che, con tutta evidenza, ha indirizzato il giudice a quo a deciderenel senso censurato con il conforto, peraltro, anche di pronunce di questaCorte (in particolare, Cass. 3 aprile 2002 n. 4746), non consente di espungeredalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di queicontrolli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori quandotali comportamenti riguardino, come nel caso l'esatto adempimento delleobbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estraneial rapporto stesso -, ove la sorveglianza venga attuata mediante strumenti chepresentano quei requisiti strutturali e quelle potenzialità lesive, la cuiutilizzazione è subordinata al previo accordo con il sindacato o all'interventodell'Ispettorato del lavoro.

Consegue a tale rilievo la necessità ex art. 4, 2∞ comma dello Stat. Lav. chel'istallazione della contestata apparecchiatura sia oggetto di accordo con ler.s.a. o consentita dall'intervento dell'ufficio pubblico, affinché idipendenti ne possano avere piena conoscenza e possano eventualmente esserestabilite in maniera trasparente misure di tutela della loro dignità eriservatezza.

Nel caso di specie, costituisce circostanza divenuta pacifica, in seguito allaespletata istruttoria in sede di merito, che nessun accordo, neppure tacito, èal riguardo intervenuto tra la direzione aziendale e le r.s.a., e non è statoin alcun modo interessato l'ufficio pubblico in sede di istallazione efunzionamento delle apparecchiature in questione, che consentono, per i rilieviappena esposti, "la possibilità di controllo a distanza dell'attività deilavoratori".

Per tale ragione il controllo operato nei confronti del ricorrente, mediantel'incrocio dei dati, legittimamente acquisiti in quanto comunque concordati,rilevati agli ingressi dell'ufficio con quelli registrati alla sbarra dipassaggio del garage aziendale, è stato effettuato illegittimamente e quindi irisultati di tale controllo sull'attività del P. non possono essere posti afondamento dell'intimato licenziamento.

L'esaminato motivo va, quindi, accolto con assorbimento degli ulteriori due prospetti dalricorrente.

L'impugnata sentenza va, per l'effetto, cassata, e sussistendo i presupposti per ladecisione nel merito, ex art. 384, il licenziamento in oggetto, conformemente alla decisione di primo grado, va annullato, con le conseguenze stabilite all'art. 18 S.L. come modificato dall'art. 1 della legge n. 108 del 1990. Pertanto la società resistente va condannata a reintegrare il ricorrente nelsuo posto di lavoro ed a risarcirgli il danno, versandogli una indennità corrispondente alla retribuzione globale di fatto di § 1.545,90 per quattordicimensilità dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione,con detrazione di quanto eventualmente corrisposto in esecuzione della sentenzadi primo grado, oltre rivalutazione e interessi.

L'accertata condotta, tutt'altro che commendevole, del P. induce a compensare tra le partile spese dell'intero processo.

P.Q.M.

La corte accoglie il primo motivo di ricorso edichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, e decidendo nelmerito, conferma la sentenza di primo grado.

Compensa le spese dell'intero processo.

Roma 13 marzo 2007

Il Consigliere Estensore. Il Presidente

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 17LUGLIO 2007.


29.04.2022 Cassazione



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