Segui via: Newsletter - Telegram
 

"Be the change you want to see in the world" - Gandhi



Penale    

Stenografico su episodio Cancellieri e Ligresti

Informativa del Ministro della giustizia sulla vicenda di Giulia Maria Ligresti e conseguente discussione (ore 16)
06.11.2013 - pag. 88517 print in pdf print on web

Indice generato dai software di IusOnDemand
su studi di legal design e analisi testuali e statistiche

Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 134 del 05/11/2013

 

Informativa del Ministro della giustizia sulla vicenda di Giulia Maria Ligresti e conseguente discussione (ore 16)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: «Informativa del Ministro della giustizia sulla vicenda di Giulia Maria Ligresti».

Ha facoltà di parlare il ministro della giustizia, dottoressa Cancellieri.

CANCELLIERI, ministro della giustizia. Gentile Presidente, onorevoli senatori, mi accingo a riferire a quest'Aula appena rientrata dal mio impegno a Strasburgo, dove ho illustrato, ricevendone ampio apprezzamento, le iniziative del Governo per superare l'emergenza carceraria e in esecuzione della nota sentenza di condanna sul caso Torreggiani.

In questi giorni sono stati posti diversi interrogativi in relazione al mio operato come Ministro della giustizia, cui se ne sono aggiunti altri che riguardano il mio percorso personale e professionale. Nel rispetto del Parlamento, credo sia essenziale offrire innanzitutto una ricostruzione completa dei fatti, che possa consentire il formarsi di un'opinione obiettiva sui miei comportamenti.

Sempre per l'assoluta considerazione che riservo a quest'Aula e ai suoi rappresentanti, prima ancora che mi venisse concessa l'opportunità di intervenire in questa sede, ho ritenuto doveroso scrivere, in data 31 ottobre, una lettera ai Capigruppo, nella stesse ore in cui i media iniziavano ad occuparsi della vicenda di cui riferirò tra poco, manifestando la mia totale disponibilità a ricostruire nel dettaglio l'accaduto. Mi permetto solo di anticipare che, come avrete modo di constatare, a differenza di quanto è stato riportato da alcuni mezzi di informazione, non ho mai sollecitato nei confronti degli organi competenti la scarcerazione della signora Giulia Ligresti, né ho indotto nessun altro ad assumere iniziative in tal senso.

Veniamo ai fatti. Il 17 luglio 2013 viene eseguita una misura cautelare nei confronti di Salvatore Ligresti e delle figlie Jonella e Giulia, ed è riferita a questo episodio una mia telefonata privata che è stata resa nota in questi giorni e della quale parlerò più ampiamente in seguito. Con riferimento invece alla specifica vicenda giudiziaria e penitenziaria che ha riguardato Giulia Ligresti, ne riassumo la scansione temporale, come riferita dalla stessa procura di Torino. Il 2 agosto è stata depositata da Giulia Ligresti istanza di cosiddetto patteggiamento; nella stessa data, la procura di Torino ha espresso parere favorevole su tale richiesta, nonché sull'ulteriore istanza volta ad ottenerne gli arresti domiciliari. Il 7 agosto il gip respinge l'istanza di applicazione degli arresti domiciliari in sostituzione della custodia cautelare in carcere. Il 14 agosto la direttrice del carcere di Vercelli riceve una relazione della psicologa di quel carcere e la trasmette agli uffici giudiziari di Torino. Il 19 agosto il procuratore Vittorio Nessi - lo stesso magistrato da cui poi sono stata ascoltata il 22 agosto come persona informata dei fatti - affida al medico legale il compito di visitare Giulia Ligresti. Il 27 agosto il medico incaricato dalla procura conclude i suoi accertamenti, affermando che, sebbene non risulti una condizione di perentoria incompatibilità, la permanenza in carcere costituisce un concreto danno per la salute del soggetto. Sempre il 27 agosto, alla luce della predetta consulenza, viene depositata una nuova istanza volta a ottenere gli arresti domiciliari, concessi il giorno dopo dal gip.

La ricostruzione dei fatti mette in evidenza un aspetto che dovrebbe risultare dirimente, secondo ogni onesta coscienza, a fondare una valutazione seria e pacata sulla correttezza della mia condotta, sia dal punto di vista amministrativo che politico, e, cioè, che la scarcerazione di Giulia Ligresti non è avvenuta a seguito o per effetto di una mia pressione o per una mia ingerenza - che mai vi è stata, né è stata mai semplicemente concepita - ma per un'indipendente decisione della magistratura torinese, la quale più volte, per bocca del suo vertice, ha chiarito in maniera limpida e inequivocabile come la concessione degli arresti domiciliari alla Ligresti sia stata frutto di un'autonoma valutazione della procura, scevra da influenze e condizionamenti; in altre parole, senza che mai vi sia stato da parte di nessuno il benché minimo tentativo di indirizzare l'esito di quell'importante decisione. Esito che è risultato favorevole all'imputata solo perché - lo ribadisco - l'applicazione libera e coscienziosa delle regole così ha voluto.

Si è molto ironizzato sulla mia affermazione riguardo al carattere umanitario delle preoccupazioni che mi hanno spinto a chiedere notizie sul fatto che il trattamento carcerario di Giulia Ligresti tenesse conto delle sue delicate condizioni di salute. Mi sia consentita tuttavia una precisazione, solo apparentemente di carattere personale. Per mia formazione culturale e per un mio orientamento libertario, ho sempre ritenuto che la questione della pena, del carcere e della sua umanizzazione fosse il pilastro su cui edificare il sistema espiativo in una Nazione degna di essere considerata civile. La nostra Costituzione naturalmente ci richiama a questo obbligo fondamentale, e sento sulla mia pelle, fin dal momento in cui mi è stato riservato l'onore di rivestire l'incarico di Ministro della giustizia, il dovere di tener fede a un proposito di giustizia sostanziale, valido chiunque, donna e uomo, il cui accidentato percorso di vita porti, almeno una volta, a incrociare il carcere. Si dirà: ma non tutti hanno la possibilità di bussare alle porte del Ministro della giustizia; a non tutti è data la facoltà di farsi ascoltare, di poter esprimere un disagio autentico, nella speranza che qualcuno lo raccolga e se ne faccia interprete. È vero, non tutti hanno la possibilità di diretto contatto, e nessuno più di me ne ha l'acuta e desolante percezione, e posso garantire sul mio onore che nessuno più di me avverte questa disparità di situazioni in tutta la sua dolorosa ingiustizia. Di fronte ad una popolazione carceraria di più di 64.000 persone, di cui ben il 25 per cento è in custodia cautelare, è difficile essere vicini a tutti, come si vorrebbe; però non è vero che il destino delle singole persone viene a dipendere da circostanze fortuite occasionali: non posso far correre l'idea che il sistema penitenziario italiano non sia invece già strutturato per rispondere, pur nelle innegabili e oggettive difficoltà, in maniera puntuale e seria a segnalazioni che, in qualunque modo, facciano emergere l'esistenza di situazioni particolarmente critiche per il detenuto. Quando dico «in qualunque modo» voglio proprio dire che le segnalazioni possono provenire sia dall'interno della struttura carceraria, che si attiva in relazione a fatti precisi o a indicatori d'allarme, sia dall'esterno del carcere o dell'amministrazione penitenziaria, in virtù del prodigarsi di familiari o di persone vicine al detenuto o, ancora, per iniziative di associazioni di volontariato sociale, di organismi di garanzia o anche di singoli parlamentari.

È opportuno sapere che di queste segnalazioni spesso mi faccio carico personalmente, in un colloquio quasi quotidiano con i vertici dell'Amministrazione penitenziaria, divenuto una consuetudine della mia giornata di lavoro. È altrettanto importante sapere che all'interno del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria opera da qualche anno un'apposita struttura, alle dipendenze e sotto la diretta responsabilità di uno dei due vice capo dipartimento, cui è attribuito il compito di vigilare sull'integrità psicofisica del detenuto e sulla sua incolumità, stimolando e controllando l'attività dei singoli istituti carcerari. Risponde a un dato di realtà che, da quando è stata messa in campo una rete più strutturata di vero e proprio monitoraggio sistematico delle situazioni più difficili, si è registrata una sensibile flessione degli eventi critici in generale e dei suicidi in particolare, fenomeno che resta tuttavia inaccettabilmente alto. Come ho già detto, ogni vita che si spegne nel corso della detenzione è una sconfitta per lo Stato e per il sistema penitenziario; io ne sento tutto il peso. Proprio per questo, come molti ormai sanno, ho dedicato una parte rilevante del mio impegno di Guardasigilli al problema carceri, inteso soprattutto come miglioramento delle condizioni di vita del detenuto, in quello spirito di umanizzazione e di adeguamento del sistema penitenziario alle previsioni costituzionali e a quelle europee basate sulla finalità rieducativa della pena. Il recente messaggio alle Camere del presidente Napolitano, incentrato proprio sull'emergenza carceraria, è stato la conferma più autorevole dell'importanza del tema e costituisce per me uno stimolo fondamentale per continuare sulla strada intrapresa.

Ieri e oggi a Strasburgo questa linea del Governo ha riscosso, come ho anticipato in apertura, ampia condivisione, sia da parte del Consiglio d'Europa che della Corte europea dei diritti dell'uomo, che hanno riconosciuto la serietà dell'impegno del nostro Paese, delle misure già adottate e di quelle programmate.

Quando pervengono al sistema penitenziario le comunicazioni alle quali ho fatto cenno, nessuno si chiede se dietro di esse ci sia un nome importante o influente: è importante più di tutto e prima di ogni altra cosa accertare la fondatezza della segnalazione. Questo è avvenuto anche nella vicenda della signora Ligresti.

Le sue condizioni critiche, come in seguito ho appreso, erano infatti note al Dipartimento prima ancora che io ne facessi cenno ai vice capi dipartimento, e il carcere di Vercelli aveva già autonomamente approntato tutte le misure finalizzate ad assicurare la salute e l'incolumità della detenuta. Corrisponde, dunque, a una distorta visione dei fatti dire che la vicenda di Giulia Ligresti abbia avuto un trattamento differenziato e privilegiato, diverso da quello che sarebbe naturalmente spettato ad un qualunque altro detenuto.

Sento però l'esigenza di tornare su un tema già accennato, che è tra i più delicati perché offende più di ogni altro il mio onore, adombrando opacità di comportamenti o, peggio, vere e proprie distorsioni e deviazioni dai canoni di imparzialità e di correttezza istituzionale. In altre parole, sarei venuta meno ai miei doveri di ufficio.

Non è mio costume difendermi utilizzando le parole di altri, ma non posso non ricordare - ancora una volta - le ripetute affermazioni del procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, secondo il quale, testualmente, «tutte le risultanze del fascicolo (del procedimento relativo a Giulia Ligresti) testimoniano in modo univoco e incontrovertibile che la concessione degli arresti domiciliari è avvenuta esclusivamente in base alla convergenza di decisive circostanze obiettive: le condizioni di salute verificate con consulenza medico-legale e l'intervenuta richiesta di patteggiamento da parte dell'imputata, risalente al 2 agosto e perciò di molto antecedente le conversazioni telefoniche oggetto delle notizie. Ne deriva» - cito sempre le parole del procuratore Caselli - «che sarebbe arbitraria e del tutto destituita di fondamento ogni illazione che ricolleghi la concessione degli arresti domiciliari a circostanze esterne di qualunque natura». A riprova di questo intendo ribadire che il medico dell'istituto di Vercelli, già il 12 agosto, segnalò al direttore la gravità delle condizioni di salute di Giulia Ligresti. Il direttore, in data 14 agosto, trasmise la relazione all'autorità giudiziaria di Torino. Le mie conversazioni con i due vice capi del DAP sono del 19 agosto, cioè di cinque giorni successive rispetto all'iniziativa intrapresa dai medici del carcere di Vercelli.

Questa semplice scansione temporale degli eventi dimostra come nessun collegamento, a differenza di quanto da taluni ipotizzato, vi possa essere tra il mio comportamento e l'iniziativa assunta dal carcere. Peraltro, la mia comunicazione con i vertici del DAP si è limitata esclusivamente alla trasmissione di un'informazione relativa alle condizioni critiche di salute di una detenuta che si trovava in custodia cautelare.

Non voglio eludere, certamente, un tema su cui sento di dover dare delle spiegazioni, ed è precisamente quello dei miei rapporti con la famiglia Ligresti, che, secondo alcune illazioni, sarebbero stati la causa vera del mio intervento.

Sono stata e sono amica di Antonino Ligresti, conoscenza maturata durante la mia lunga permanenza a Milano, per ragioni del tutto estranee alla mia attività professionale. In nessun modo la mia carriera è stata mai influenzata né da questi né da altri rapporti personali.

È questa la ragione per la quale voglio oggi assicurare che sono e desidero essere considerata come una persona libera, che non ha contratto debiti di riconoscenza a cui non sarebbe in condizione di sottrarsi.

Anche mio figlio, Piergiorgio Peluso, è stato indebitamente trascinato in questa vicenda e, per quanto sia sgradevole toccare un argomento su cui non posso non sentirmi emotivamente coinvolta, avverto anche qui di dover dare un chiarimento ineludibile. Il suo incarico nell'ambito della società Fonsai è frutto esclusivamente della pregressa esperienza nel mondo bancario e finanziario. Tengo anche a sottolineare che mio figlio riceve l'offerta di lavoro da Fonsai il 25 maggio 2011 e, nel successivo mese di giugno, inizia il suo rapporto di lavoro con la stessa società. In quello stesso periodo avevo già cessato le funzioni di commissario straordinario presso il Comune di Bologna ed ero una tranquilla signora in pensione, che mai avrebbe pensato di poter diventare Ministro dell'interno nel successivo novembre. Quanto alla valutazione del suo lavoro in Fonsai, rinvio alla lettura degli atti del processo in corso presso l'autorità giudiziaria di Torino.

Vengo ora alla famosa telefonata del 17 luglio. Con quella telefonata alla signora Gabriella Fragni intendevo manifestare un sentimento di umana vicinanza a una persona che si era venuta a trovare in una situazione di eccezionale impatto emotivo per l'arresto di tutti i familiari. Le espressioni da me usate in quel contesto erano, dunque, finalizzate a creare empatia con una persona profondamente prostrata per l'accaduto. Mi rendo conto che alcune espressioni usate in quella telefonata possano aver ingenerato dei dubbi sul senso delle mie parole. Mi dispiace che sia stato così e mi rammarico di aver fatto prevalere i sentimenti sul doveroso distacco che il ruolo di Ministro avrebbe forse dovuto imporre, ma l'unico modo che ho per dimostrare che il senso di quelle parole fu realmente quello che vi ho ora descritto è invitarvi ad analizzare il mio comportamento successivo a quella telefonata. Dopo quel contatto non ho assunto e non avrei assunto alcuna mia iniziativa se non fossi stata raggiunta dalle informazioni, con le modalità che ho già richiamato, dell'aggravarsi delle condizioni di salute di Giulia Ligresti. Posso serenamente affermare di aver agito, sia pure d'istinto, senza mai derogare dai miei doveri di Ministro e senza che la conoscenza di alcuni componenti della famiglia Ligresti condizionasse il mio operato. Ho agito esattamente nello stesso modo in cui mi sono comportata in molti altri casi. Non ho bisogno di farne l'elenco, sono tanti ed anonimi, più di cento solo negli ultimi mesi; sono tutti agli atti degli uffici a disposizione per chi li volesse visionare.

Infine, anche oggi sulla stampa sono apparse notizie relative ad ulteriori, presunti, favoritismi per il trasferimento della detenuta Jonella Ligresti. Preciso che, dalle verifiche condotte presso il DAP, emerge con chiarezza l'assoluta linearità delle procedure seguite, ivi compreso il nulla osta dell'autorità giudiziaria competente. Mai - dico mai - sono intervenuta su questo caso.

Sono grata a questa Aula di avermi concesso l'opportunità di poter finalmente offrire una versione completa dell'intera vicenda. Da questi miei chiarimenti spero che emerga l'uniformità e la coerenza della mia condotta. Non ho artificiosamente distinto, né ho tentato di farlo, il Ministro dalla persona. Sono stata me stessa in ogni momento.

Non posso nascondere di essere addolorata dall'uso che si è fatto di questa storia e di essere sinceramente rammaricata per il clamore che ne è scaturito, determinando, anche per un fattore emotivo, una situazione della quale mai avrei voluto essere causa.

Considero la fiducia del Parlamento decisiva per la prosecuzione del mio incarico di Ministro. Il Governo ha, infatti, in cantiere, diversi ed importanti provvedimenti sul fronte della giustizia, tutti molto delicati e complessi, che richiedono una forte intesa tra l'Esecutivo e il Parlamento per essere portati a termine.

Non voglio essere di intralcio a questo percorso e, pertanto, non esiterò a fare un passo indietro se dal confronto di oggi dovessi avvertire che è venuta meno o si è incrinata la stima istituzionale su cui ritengo che debbano poggiarsi le basi di ogni mandato ministeriale. (Applausi dai Gruppi PD, PdL, SCpI e Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE, del senatore Naccarato e dai banchi del Governo).

 

 

Tutti gli iscritti a parlare hanno aderito e non contestato la ministra, eccetto m5s. che riportiamo:

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Airola. Ne ha facoltà.

AIROLA (M5S). Signor Presidente, colleghi, signora Ministro, l'affermazione che lei abbia fatto una telefonata per motivi umanitari può essere discutibile, ma di sicuro non è di per sé scandalosa; anzi, speriamo che l'umanità - questa qualità preziosa che manca oggi, e che avrebbe sicuramente evitato un caso come quello della Shalabayeva al suo collega Alfano - venga applicata alle centinaia di casi di incompatibilità con il carcere o ai problemi di cui siamo sicuri lei si occuperà personalmente. È altrettanto vero che la sua telefonata non ha influenzato il comportamento del DAP e probabilmente, proprio per questo, si evidenzia meglio il nocciolo della questione.

Lei, signora Ministro, si è mossa per amicizia, e si è messa a totale disposizione di una famiglia che ha una storia giudiziaria pesantissima, con cui un prefetto prima e un Ministro della giustizia poi non dovrebbero avere rapporti personali. (Applausi dal Gruppo M5S).

Immagino non le sia sfuggito che qui si sta parlando di una famiglia il cui patron don Salvatore, venne definito dalla Cassazione «persona adusata alla corruzione e al venale intrallazzo con pubblici amministratori e politici di rango». Un uomo e la sua famiglia che lei frequenta da decenni e che da decenni è al centro della finanza italiana, condannato per tangenti già più di quindici anni fa, quando dovette lasciare la presidenza di SAI perché privo di requisiti di onorabilità.

Gli affari dei Ligresti hanno rovinato migliaia di risparmiatori di Premafin, di Milano Assicurazioni, di Fondaria; hanno distrutto due grandi e prestigiose assicurazioni (un business sicuro, per cui bisogna veramente impegnarsi per non guadagnare); hanno fatto perdere il posto di lavoro a impiegati, a dipendenti dei gruppi; hanno costretto a ricapitalizzazioni piccoli azionisti (gente comune, non faccendieri) che adesso si trovano con carta straccia in mano. E lui e la sua la famiglia si sono tenuti i soldi. Insomma, un gangster della finanza intrallazzato con politici, faccendieri e potenti.

Non voglio impiegare il suo tempo elencando le malefatte di questi signori che sono all'onore della cronaca giudiziaria; oggi sono finalmente indagati e sotto processo per il danno economico societario incommensurabile fatto al sistema Italia.

Eppure, Ligresti è qua, amico di tutti. I Ligresti hanno amici sia a destra (la dinastia dei La Russa) che a sinistra, soprattutto adesso che con la fusione Fonsai-Unipol si realizza un matrimonio tra "casse bancomat" dei partiti di centrodestra e centrosinistra, proprio come le larghe intese che vanno in scena in questa legislatura (Applausi dal Gruppo M5S). Troviamo singolare anche questo.

È proprio vero quando si dice «mal comune mezzo gaudio»: nessuno in quest'Italia di solidali amicizie e affari comuni sente - diciamo - almeno un disagio nell'avere certe frequentazioni. Forse è per questo che a troppi qui dentro sembra normale spendersi come Ministro nel raccomandare amici pregiudicati ed ecco perché a chiedere le dimissioni siamo solo noi del Movimento 5 Stelle.

Le relazioni sono strette non solo per i rapporti amicali, ma anche per quelli dei suoi congiunti. Se è vero che suo figlio, Gianfraco Peluso, è stato amministratore delegato di Fonsai ed ora è audito come testimone nella vicenda (quindi non è coinvolto penalmente, e ciò non dimostra necessariamente un conflitto d'interessi), è anche vero che certe relazioni dovrebbero procurare almeno il dubbio della loro correttezza. Dovrebbero irritare, essere percepite come sconvenienti; dovremmo tutti indistintamente ritenere pericolosa la posizione di ricattabilità che ne può conseguire.

Qui, invece, si dà per scontato che sia normale, anzi prassi quotidiana, visto che suo figlio, uscito da Fonsai, è entrato in Telecom mentre lei firmava accordi milionari con la stessa società per rinnovare un mostruoso spreco di soldi pubblici quale quello dei bracciali ai detenuti (Applausi dal Gruppo M5S). Non sarà palesemente un conflitto d'interessi o perseguibile penalmente, ma non è neanche una cosa normale. Come non è normale che anche i figli di due figure rilevanti nell'inchiesta - il presidente di ISVAP, Giancarlo Giannini, e l'ex presidente di CONSOB, Lamberto Cardia - fossero anche loro stati assunti da Salvatore Ligresti. Questo tipo di intrecci familiari, anche se non sono illegali, sono quantomeno da evitare qualora si occupino posizioni di controllo e che richiedono imparzialità.

Può un Ministro della giustizia (la dea bendata con in mano la bilancia) «mettersi a disposizione», come lei ha detto nell'intercettazione, di un'intera famiglia per cui ha lavorato anche suo figlio e che viene arrestata per reati gravissimi? Non può. Secondo me, secondo noi, non può. E soprattutto rivela che il tessuto del potere in Italia è un intreccio malsano tra politica, banche, finanza, faccendieri vari, funzionari statali che andrebbe definitivamente bonificato e reso inattaccabile dal ricatto e dagli interessi familiari.

Signora Ministra, considerata la rivendicazione che lei ha fatto della sua integerrima onorabilità, dovrebbe cominciare a dare il buon esempio e dimettersi. (Applausi dal Gruppo M5S).

 


Condividi su Facebook

06.11.2013 Spataro

Senato.it

Segui le novità di Civile.it via Telegram oppure via email: (gratis Info privacy)

    






"Be the change you want to see in the world" - Gandhi








innovare l'informatica e il diritto


per la pace