Ok, ne parlano tutti. Senza mai citare il tweet della discordia.
Si chiama tweet, non twitt, per favore.
Quale il caso ?
Un giornalista italiano legge un tweet inviato da qualcuno, lo trova interessante e lo retwitta (in italiano diciamo twittare...), così come è uso internazionale degli utenti di twitter.
Il tweet ritwittato contiene la url del servizio di riduzione della lunghezza della url di Reuters ed il contenuto è una segnalazione di Reuters, prima delle 16 ore che consente di riutilizzare i titoli delle agenzie stampa. Per capirci: non solo twitter riduce la lunghezza delle url, ma anche Reuters, in modo da poter segnalare viralmente qualcosa.
Al giornalista italiano che, oltre al link, ha indicato la fonte (come se non bastasse il link quale fonte) viene chiesto qualcosa.
Sul punto non è bene dire nulla perchè non abbiamo nulla in mano e giustamente le parti si devono tenere le corrispondenza per i fatti propri.
Sta di fatto che il giornalista de Linkiesta riceve una formale diffida, così sembra, a non twittare nè retwittare nulla di Reuters.
Tutti gli altri giornalisti colleghi immediatamente infiammano il caso e difendono il collega italiano, pur facendo parte di Reuters o di altri giornali.
Casi simili si sono presentati i Inghilterra nei giorni scorsi.
Fino a quando il responsabile dela divisione social network di Reuters, interviene e impone uno stop alle richieste di Reuters.
Semplicemente perchè lui sa come funziona Twitter e come queste cose devono andare. L'ufficio legale aveva adottato la tipica impostazione di interpretare unilateralmente le leggi.
Poteva anche non sbagliare. Non è questo il punto. Il punto è che se usi uno strumento ne accetti le regole scritte e consuetudinarie. E twitter è questo, ed è scritto nelle condizioni d'uso, ma anche nei comportamenti degli utenti.
Inutile quindi, in questo caso, fasciarsi la testa con possibili casi di concorrenza sleale, violazione del copyright o altro ancora. Reuters è su Twitter e tutti su Twitter segnalano alla fonte le notizie, fornendo il link.
E' solo un problema di social media policy.
Quella che i giornalisti di Reuters conoscono, ma non conoscono altri in altri piani di Reuters.
Pensate di usare twitter per segnalare i contenuti di chiunque, aggiungendo un frame ai contenuti segnalati. Questo sì è sfruttamento del lavoro altrui perchè non solo linka, ma aggiunge un proprio tornaconto aggiugendo ai contenuti altrui propri contenuti.
Qui è solo un problema di conoscere le regole del gioco. Se tutti possono citare qualcuno, lo possono fare e basta.
Perchè ci sia concorrenza sleale o appropriazione di contenuti altrui ci vuole molto di piu', ed in astratto non si può escludere.
Ma in questo caso il problema è stato nell'ignoranza delle social media policy da parte di un dipartimento dell'azienda che non ha parlato con chi si occupa di queste cose.
Qualcosa che sto censendo su www.legalgeek.it e che giusto ieri stavo affrontando nel mio ebook su twitter, descrivendo un ipotetico caso come questo, fornendo descrizioni, spiegazioni e soluzioni.
Accidenti. Non è più ipotetico. Avevo visto giusto.
Concludendo sul caso, non ne farei un caso esemplare: ignorando le specifiche contestazioni, ed è megliio cosi', inutile congetturare su di esse.
Restando ai fatti abbiamo una contestazione legale smentita da altri dipendenti della stessa societa'. Non era meglio contattare subito il responsabile del dipartimento social media ?
Ecco il post conclusivo di Goria.
v.