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Assegno divorzile    

Assegno divorzile: la privacy, la posta elettronica e l'istruttoria nel processo di separazione

Nella pratica, accade molto spesso che un coniuge cerchi di precostituirsi elementi di prova a carico del partner da usare nei giudizi di separazione e di divorzio, oppure faccia uso di dati gia' costituiti. Il testo approfondisce questi aspetti

20.05.2011 - pag. 77909 print in pdf print on web

 

PRIVACY ED ISTRUTTORIA NEL PROCESSO DI FAMIGLIA

di Matteo Santini

IL DECRETO LEGISLATIVO 196/2003 (PRINCIPI GENERALI E DEROGHE IN AMBITO GIUDIZIARIO)

 

Il diritto alla riservatezza è un diritto fondamentale della persona, tutelato dalla Carta costituzionale stessa. In particolare, tale matrice costituzionale è rinvenuta nell'articolo 2 della Costituzione, che “garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'”.

Accanto a tali norme di portata generale, il diritto alla riservatezza è indirettamente tutelato anche da ulteriori disposizioni a carattere specifico, come l'articolo 13 sulla libertà personale, l'articolo 14 sull'inviolabilità del domicilio, l'articolo 15 sulla inviolabilità della corrispondenza e l'articolo 21 sul diritto di libera manifestazione del proprio pensiero.

È indubbio, quindi, che lo stesso si collochi tra i diritti fondamentali dell'individuo, ancorati alla Costituzione.

Il diritto dell’individuo a manifestare il proprio pensiero deve anche essere inteso come diritto di decidere e di scegliere i soggetti destinatari delle nostre manifestazioni del pensiero e come diritto di escludere, i soggetti non graditi, dalle nostre conversazioni.

Conseguenza logica è che un diritto di tal rango non può subire compressioni o limitazioni neanche in caso di rapporto di coniugio e/o convivenza. In altre parole, il matrimonio (a cui si deve equiparare una convivenza stabile, come ormai pacificamente riconosciuto dall'unanime dottrina e giurisprudenza) non vale ad escludere il rispetto della privacy dei singoli coniugi; il diritto alla riservatezza, in quanto diritto personalissimo, permane in capo a ciascuno di essi.

Come ha opportunamente rilevato la Cassazione, la disponibilità del domicilio da parte di più soggetti non vale ad escludere il diritto alla riservatezza di ciascun convivente (cfr. Cass. Pen. 9827/06, in tema di reato ex art. 615 c.p.). Se il matrimonio è unione materiale e spirituale, comunque ciascun coniuge ha il diritto di conservare la propria privacy.

Ciò premesso dal punto di vista teorico, nella pratica, accade molto spesso che un coniuge cerchi di precostituirsi elementi di prova a carico del partner da usare nei giudizi di separazione e di divorzio, oppure faccia uso di dati già costituiti (parliamo quindi prove precostituite o costituende).

La questione assume contorni problematici quando tali elementi probatori siano stati ottenuti o comunque trattati in violazione della normativa sulla privacy.

Il testo di riferimento è il Decreto Legislativo 196/2003 (cd. Testo Unico Privacy). Per trattamento di un dato personale, intendiamo sia l’acquisizione sia la rivelazione del dato a terzi sia la diffusione dello stesso.

Per integrare una condotta di “trattamento dati” di cui al D. Lgs. Cit. è sufficiente anche la mera diffusione dei dati (cfr. art. 4 T.U. Cit.), da intendersi anche come produzione degli stessi in giudizio. Pertanto, anche tale condotta, laddove effettuata in spregio alle norme del Testo Unico citato, potrebbe integrare una condotta punibile.

Quindi, ben potrebbe considerarsi responsabile il coniuge che diffonda dati personali del consorte (producendoli in giudizio) in violazione delle norme di cui al D. Lgs.196/03, se dal fatto deriva nocumento per il soggetto passivo (cfr., in particolare, art.167 D. Lgs. Cit.).

A questo punto è necessario, un accenno agli steps da seguire per trattare i dati “lecitamente”, laddove si vogliano poi usare in ambito giudiziario.

In relazione ai dati personali, l'art. 13 T. U. Privacy introduce una deroga all'obbligo di preventiva informativa all'interessato, prevedendo l'esonero dalla stessa quando i dati personali devono essere trattati “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.

In questo caso, quindi, venendo in considerazione un diritto anch'esso costituzionale, il diritto di difesa, e di pari rango rispetto al diritto alla privacy, il legislatore ammette una compressione di quest'ultimo, purchè l'esplicazione del diritto di difesa sia effettuata secondo correttezza.

In particolare, si richiede che;

  • endersi come precisi e rispondenti al vero;
  • solo i contenuti utili per una parte;
  • strettamente necessario e non sproporzionato in relazione al diritto che si intende far valere in giudizio;
  • il trattamento avvenga per il tempo strettamente necessario per fare valere il diritto in giudizio;
  • il trattamento avvenga privilegiando quelli strumenti che garantiscono la minore compromissione possibile della privacy altrui; nel senso che, se lo stesso risultato può essere raggiunto attraverso due differenti metodi di indagine, deve essere privilegiata l’indagine che determina il minore grado di compromissione dell’altrui riservatezza.

 

Normalmente i dati sensibili ( e cioè i dati personali idonei a rilevare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonchè i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale) sono oggetto di una tutela rafforzata. Di fatti, per poter trattare dati sensibili occorre, oltre al consenso dell'interessato e all'informativa (come per i dati personali), anche l'autorizzazione preventiva del Garante per la Protezione dati personali (art. 26 D. Lgs. 196/03).

 

IL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI IN AMBITO GIUDIZIARIO

L'art. 26 cit. prevede al comma 4 la possibilità di trattare dati personali sensibili senza consenso dell'interessato (come da autorizzazione preventiva del Garante della Privacy, la n. 4/2009) “quando il trattamento è necessario per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto , sempre che i dati siano stati trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Se i dati sono idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistere in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. Ancora, l'articolo 60 T.U. Privacy, applicabile al caso di dati sensibili idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale contenuti in atti amministrativi, confermando la rafforzata tutela riconosciuta ai dati sensibili, ribadisce che, laddove manchi il consenso scritto dell'interessato, è possibile richiedere l'accesso agli atti amministrativi che contengono tali dati solo se “la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”. Anche per gli atti giudiziari non è richiesto il consenso dell’interessato, quando il trattamento degli stessi sia strettamente indispensabile per eseguire prestazioni professionali richieste dai clienti per scopi determinati e legittimi e nel rispetto del diritto alla difesa (aut. Gen. 7/2002). In pratica per le finalità sopra descritte non è necessario nè il consenso dell’interessato, nè l’autorizzazione del Garante per trattare dati semplici o sensibili relativi a terzi, ove ciò sia necessario per far valere un diritto in giudizio e sempre nel rispetto dei principi di verita', completezza dei dati, pertinenza e non eccessivita'. La ratio di tali deroghe all’obbligo di rispetto della privacy appare evidente: se devo compiere delle attività investigative per acquisire delle prove da utilizzare nel corso di un giudizio di separazione o di divorzio, se la controparte fosse informata della mia intenzione da un lato cambierebbe il proprio comportamento, proprio nella consapevolezza di essere stata attenzionata, dall’altro negherebbe comunque il consenso al trattamento dei suoi dati personali, ma soprattutto, tenterebbe di celare e di rendere il più difficile possibile per la controparte, la ricerca delle informazioni necessarie per far valere il diritto.

 

Ricapitolando: in relazione al trattamento lecito di dati personali da usare quali prove costituite o costituende;

 

  • informativa solo nelle ipotesi di cui all'articolo 13, comma 5, lett. b) D. Lgs. 196/03;
  • del Garante; si può procedere senza il consenso dell'interessato solo nell'ipotesi di cui all'articolo 26 D. Lgs. 196/03.

 

I DATI PERSONALI TRATTATI IN VIOLAZIONE DEL DECRETO LEGISLATIVO 196/2003

Ciò premesso, a quale sorte vanno incontro i dati trattati in violazione delle disposizioni su indicate? L'articolo 11 D. Lgs. 196/03 sancisce l'inutilizzabilità di tutti quei dati trattati in violazione delle norme di cui al Decreto citato.

 

Tuttavia, in relazione alla possibilità di utilizzazione di tali dati in ambito giudiziario, il legislatore ha introdotto una disciplina particolare, contenuta nell'articolo 160, comma 6, T.U. Privacy, secondo cui “la validita', l'efficacia e l'utilizzabilità di atti, documenti e provvedimenti nel procedimento giudiziario basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali nella materia civile e penale” .

 

E' evidente che l'intento del legislatore è stato quello di evitare caducazioni automatiche di atti e documenti introdotti in un processo, temperando la sanzione di cui all'articolo 11 D. Lgs. 196/03.

 

Tuttavia, in materia penale la sanzione dell'inutilizzabilità è confermata; di fatti, il rinvio è all'articolo 191 c.p.p., che sancisce l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (con le uniche eccezioni di cui all'articolo 189 c.p.p. per le prove cd atipiche e all'articolo 234 c.p.p. per le prove documentali).

 

In materia civile, invece, è difficile delineare una regola generale. Si deve di fatti rilevare che, mentre in ambito penale è il legislatore che ha disposto preventivamente la sanzione dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione delle disposizione di leggi, in ambito civile manca una regola di tal tipo. La valutazione circa l'ammissibilità delle prove è pertanto lasciata al giudice, salvo che disposizioni speciali prevedano diversamente. In altri termini, se nel processo penale si può affermare con certezza che prove assunte violando la normativa Privacy si debbano considerare inutilizzabili, nel processo civile ciò non è disposto preventivamente dalla legge e l'inutilizzabilità non è automatica conseguenza; sarà il giudice a dover valutare circa la loro utilizzabilita', caso per caso e usufruendo del potere discrezionale che gli è concesso dalla legge (art. 116 c.p.c.).

 

Alcune categorie professionali, in particolare gli avvocati, utilizzano dati di carattere personale per svolgere attività investigative e difensive o comunque per far valere un diritto in sede giudiziaria. L’utilizzo di questi dati è imprescindibile per garantire una tutela piena ed effettiva dei diritti, con particolare riguardo al diritto di difesa e al diritto alla prova: un’efficace tutela di questi due diritti non è pregiudicata, ed anzi è rafforzata, dal principio secondo cui il trattamento dei dati personali deve rispettare i diritti, le libertà fondamentali e la dignità delle persone interessate, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e alla protezione dei dati personali.

 

E’ opportuno analizzare nello specifico, la portata e l’estensione del diritto di difesa di rango costituzionale che legittima la compromissione della privacy altrui; è doveroso altresì sottolineare che, per diritto di difesa non si intende solo la difesa da un accusa di un terzo (possa trattarsi della magistratura inquirente o della controparte), ma anche il diritto di agire in giudizio, quindi di far valere un giudizio nei confronti di un terzo (come attore o ricorrente).

 

LE INDAGINI PATRIMONIALI E L’ATTIVITA’ INVESTIGATIVA DI PARTE

Le disposizioni che agevolano il compito dell’avvocato per effetto del bilanciamento operato dal codice della privacy tra diritto alla difesa e gli altri diritti e libertà fondamentali delle persone interessate, non operano solo durante lo svolgimento di un giudizio necessariamente già instaurato. Le disposizioni del Codice della Privacy possono essere utilmente applicate anche (e soprattutto) nella fase propedeutica all’instaurazione del giudizio, se l’attività è finalizzata effettivamente ed esclusivamente a verificare l’esistenza di un diritto da tutelare in giudizio. Anzi è proprio in questa fase che è necessario acquisire degli elementi di prova su cui poi fondare il proprio ricorso introduttivo (ad esempio per separazione o divorzio giudiziale) o la propria comparsa di costituzione (allegando se del caso i documenti relativi alle prove raccolte) .

 

Al contrario, l’esenzione dall’obbligo di notifica al garante o dall’obbligo di ottenere il consenso dell’interessato, non opera per tutto ciò che concerne l’attività puramente stragiudiziale, cioè quell’attività non finalizzata all’instaurazione di un giudizio (come chiarito dal Garante con parere del 3 giugno 2004).

 

Le prove che le parti intendono raccogliere nel corso dei giudizi di separazione e divorzio sono sostanzialmente di due tipi;

 

1) Le notizie dirette ad accertare il patrimonio e lo stile di vita della controparte.

 

2) Le notizie dirette a provare eventuali situazioni di infedeltà del coniuge o del convivente o di grave violazione agli obblighi matrimoniali.

 

In effetti, il problema è quello di comprendere quali sono le prove che posso essere raccolte degli avvocati (e per loro conto dagli investigatori ) nel corso della loro attività di indagine volta all’acquisizione di elementi da introdurre nel procedimento (già instaurato o da instaurarsi) ed in che modo tali informazioni possano “entrare” nel processo.

 

Certamente, è ammissibile l’acquisizione e la produzione di report investigativi diretti a dimostrare l’eventuale infedeltà coniugale; report supportati da fotografie che come ormai pacificamente accettato, sono pienamente ammissibili ove vengono effettuate in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Mentre, nel caso di fotografie scattate in luoghi privati, il problema si fa più delicato e sarà risolto di volta in volta dal singolo tribunale, venendo in questo caso in rilievo il diritto alla privacy ed il diritto alla non intrusione nell’altrui proprietà privata. Può accadere, ad esempio, che il documento raccolto, venga ammesso e valutato come prova dal giudice civile (della separazione) ma che, contemporaneamente, il soggetto ritratto che si ritiene leso nel proprio diritto alla privacy, presenti una querela in sede penale, per interferenze illecite nella vita privata.

 

Ed in questo caso i due procedimenti seguiranno percorsi e sorti diverse. Certamente, se un dato è acquisito e trattato violando la norma penale, e se tale violazione viene accertata tramite una sentenza irrevocabile, il dato non potrà essere utilizzato in un processo civile di separazione o di divorzio; d’altro canto appare evidente che, in considerazione del fatto che i due giudizi (civile e penale) seguono percorsi con tempi differenti, il giudice civile non possa attendere, al fine di giudicare ammissibile o meno, a fini probatori, un documento, l’esito del giudizio penale (può avvenire anche l’opposto e cioè che il giudice penale reputi il comportamento del soggetto che si asserisce aver violato la privacy come penalmente irrilevante, all’esito del processo, mentre il giudice civile, ritenga la prova raccolta violando la privacy come non ammissibile in sede civile)..

 

Per ciò che concerne la corrispondenza, se essa (ordinaria, elettronica, ecc) è diretta ad entrambi i coniugi, ciascuna parte potrà tranquillamente produrla in giudizio; altrimenti si può configurare il reato di cui all’articolo 616 cp (violazione, sottrazione o soppressione di corrispondenza) ovvero il comportamento di chi prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa (violazione), a lui non diretta, oppure sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta (sottrazione), oppure, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime (soppressione).

 

Il secondo comma afferma che se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, con la reclusione fino a tre anni. A giudizio dello scrivente dovrebbe essere considerata come giusta causa (quindi come scriminante), il diritto della parte di far valere il proprio diritto dinnanzi al giudice civile per la dimostrazione di un comportamento illegittimo della controparte.

 

Il concetto sopra indicato si estende alla corrispondenza elettronica. Quindi alle email, ma anche alla cosi detta MESSAGGISTICA ISTANTANEA (messanger, skype, ecc), ma anche ai sociali network (FACEBOOK), e cioè a tutti gli strumenti informativi protetti da password e da nome utente, all’interno dei quali il soggetto, titolare del profilo, interagisce con il mondo esterno esternando fatti e circostanze private o che non desidera che vengano diffuse o conosciute dalla generalità degli utenti.

 

Altro problema è quello dell’utilizzabilità della corrispondenza elettronica, sotto il profilo dell’autenticità delle stesse, delle genuinità e della riconducibilità del messaggio, al presunto autore. Se per la corrispondenza ordinaria, il problema può essere facilmente risolto procedendo ad una perizia sul documento ai fine di accertarne la genuinità della firma, per il documento informatico il problema si complica. Da un lato perchè non tutti i sistemi di messaggistica istantanea consentono di reperire la cronologia delle conversazioni (e questo diventa anche un problema nel caso in cui sia necessario disporre delle intercettazioni per l’accertamento della commissione di reati).

 

Ad esempio sistemi quali SKYPE creati per esigenze di difesa nazionale e muniti di sistemi di difesa particolarmente sofisticati contro le intrusioni, rendono quasi impossibile, una volta cancellata, la ricostruzione della cronologia delle conversazioni (ad esempio skype utilizza un sistema, costituito da algoritmi che creano una criptazione di tutto ciò che viene scritto, nei confronti dell’esterno).

 

Per quello che riguarda i social network è invece più facile ricostruire la cronologia delle conversazioni; però il contenuto delle conversazioni non costituisce una prova certa circa la provenienza delle stesse e la riconducibilità delle stesse al presunto autore. Non sono presenti infatti firme elettroniche e la parte, alla quale la conversazione è imputata, potrebbe benissimo difendersi affermando che qualcun altro è entrato nel suo profilo personale ad ha agito a suo nome. Certo questo non esclude che il giudice nel lambito del suo libero convincimento possa valutare tale prova e convincersi che in realtà l’ipotesi dell’intrusione di terzi nel profilo appare inverosimile.

 

Resta poi il problema della violazione della privacy, relativamente all’accesso abusivo nel profilo altrui, con conseguente commissione del reato di violazione, sottrazione, di corrispondenza; problema che come affermavo prima deve essere valutato caso per caso, per accertare quale sia il diritto prevalente (diritto alla privacy o diritto alla difesa).

 

Il Garante della Privacy con parere del 03 giugno 2004 ha stabilito che, in relazione alle banche dati relative alla solvibilità economica, non è necessaria notificazione (anagrafe tributaria).

 

Potranno certamente essere prodotti documenti relativi alla situazione patrimoniale delle parti (visure immobiliari, visure PRA, dichiarazioni dei redditi nelle parte esente la privacy e cioè i dati oggettivi sull’imponibile; si tratta di informazioni per le quali non potrebbe mai parlarsi di violazione della privacy da parte di un avvocati e ciò per tre ragioni fondamentali;

 

1), l'art. 13 T. U. Privacy introduce una deroga all'obbligo di preventiva informativa all'interessato, prevedendo l'esonero dalla stessa quando i dati personali devono essere trattati “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento).

 

2) depositare la dichiarazione dei redditi della controparte non è una violazione della privacy per il semplice fatto che la controparte è obbligata (per legge) a depositarla nel primo atto difensivo (è lo stesso giudice che con il provvedimento di fissazione di udienza obbligala parte depositare le dichiarazioni dei redditi).Quindi quando la controparte si lamenta perchè abbiamo violata la privacy, dice una grande sciocchezza.

 

3) producendo la dichiarazione dei redditi della controparte (nella parte esente da privacy) io non diffondo il dato a terzi ma unicamente lo comunico al giudice (secondo la forma protetta dell’allegazione al fascicolo processuale). E se ci pensate questa allegazione è il presupposto perchè io possa agire in giudizio con cognizione di causa, quantificando con cognizione di causa l’importo dell’assegno di mantenimento da richiedere nei confronti dei figli; valutando con cognizione di causa se richiedere o meno l’assegno di mantenimento o divorzile al coniuge. Senza tali dati (finanziari o patrimoniali) sarebbe impossibile farsi un quadro obiettivo e vi sarebbe un aumento indiscriminato di azioni, nelle quali una parte prova ad agire nei confronti del coniuge (magari con ricorso per modifica delle condizioni di separazione), nella speranza, basata su dati inesistenti, che vi è stato un mutamento delle condizioni reddituali ed economiche della controparte. Una sorta di tentativo di sparare nel mucchio, sperando di prendere qualche cosa.

 

Maggiori perplessità sussistono per la produzione degli estratti dei conti correnti bancari, dei quali la parte sia venuta a conoscenza ed in possesso mediante l’ausilio di agenzie che si avvalgono di banche dati dirette a reperire conti correnti o tramite incaricati della banca. Per quanto riguarda tale documentazione, sarebbe opportuno che si pronunciasse il garante della privacy anche se un’eventuale pronunzia non risolverebbe tutti i problemi; nel senso che, il giudice civile sarebbe sempre libero nell’ambito dei suoi poteri di valutare quel documento come elemento che concorre a determinarne il convincimento oppure di disporne lo stralcio e la non ammissione;

 

mentre, il giudice penale in caso di querela continuerà a dover valutare caso per caso se vi è stata o meno una violazione della privacy e se essa è motivata o meno dalla necessità di far valere un diritto di pari rango o di rango superiore.

 

Nessun dubbio invece sussiste circa l’utilizzo di mezzi di prova o di mezzi di ricerca e di acquisizione della prova che sono ritenuti illegittimi ai sensi del nostro ordinamento o la cui ammissione è sottoposta a regole e limiti precisi (intercettazioni telefoniche, ecc).

 

Un problema che si presenta molto spesso nell’ambito dei giudizi di separazione e di divorzio è quello relativo all’utilizzabilità delle riprese audiovisive in un procedimento civile. La norma principale sotto il profilo processuale è l'art. 2712 c.c. che sancisce quanto segue;

 

“Le riproduzioni (Cod. Proc. Civ. 261) fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

 

Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che;

 

“il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. (tra le quali sono da includere le riprese adiovisive), che fa perdere alle stesse la loro qualità di prova, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve, tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito ( dovendo concretizzarsi nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta) e..deve essere tempestivo, cioè avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla rituale acquisizione delle suddette riproduzioni dovendo per ciò intendersi la prima difesa in cui la parte sia stata posta in condizione di rendersi immediatamente conto del contenuto della riproduzione. ( Cass. 9526/2010).

 

Alla luce del citato orientamento, il suddetto articolo va temperato con un fondamentale principio espresso dal codice di rito. Infatti, ai sensi dell'art. 116 c.p.c. “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno o dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.

 

Orbene, secondo la Corte di Cassazione “il disconoscimento, che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova e va distinto dal mancato riconoscimento – diretto o indiretto – che non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle riproduzioni legittimamente acquisite, deve essere chiaro e circostanziato ed esplicito con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (Cass. n. 8998 del 2001).

 

anche di recente la Suprema Corte, in un procedimento vertente in materia lavoro, ha avuto modo di precisare che “ Pur non ignorando altro indirizzo secondo cui il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche non consente la formazione della prova piena, ciò non può precludere al giudice la ricostruzione del contenuto della registrazione contestato in modo generico, attraverso elementi gravi, precisi e concordanti ( Cass. 10430/2007).

 

Quindi se pure la parte ha disconosciuto il documento, il giudice può comunque, nell’ambito del proprio libero convincimento, valutare il fatto, sostanzialmente come provato.

 

REATI CONNESSI ALLA VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA PRIVACY

Ciò posto, è opportuno sotto il profilo del diritto sostanziale, valutare se le riprese audiovisive e la loro esibizione nel corso di un procedimento civile possano integrare gli estremi di un reato connesso alla tutela della riservatezza, dell'immagine o del domicilio della persona.

 

Infatti, la suddetta condotta potrebbe integrare il reato di violazione di domicilio, o di violazione della segretezza delle comunicazioni private, o ancora con la violazione di un diritto all'immagine altrui, o quello di trattamento illecito di dati personali ( art. 35 L675/1996 oggi art. 167 Codice privacy del 2003).

 

E opportuno premettere che, quanto segue è frutto di studi effettuati in materia penalistica, ed in relazione al regime probatorio del procedimento penale. É scarsa la giurisprudenza e la dottrina in sede di processo civile.

 

Esaminando preliminarmente la tutela della riservatezza, come già accennato in precedenza, l'art. 24 del Codice Privacy , da coordinarsi con l'art. 13 del medesimo testo normativo, prevede che il consenso non è richiesto quando l'attività è volta a far valere o difendere n diritto in sede giudiziaria.

 

Detto articolo affronta il delicato problema del bilanciamento tra diritto di difesa e diritti della privacy dell'interessato e prevede la possibilità che la controparte di un procedimento giudiziale non sia informata previamente della raccolta di informazioni sul suo conto da parte di terzi.

 

Pertanto, non è soggetto al preventivo consenso, la raccolta di informazioni effettuata al fine esercitare le azioni di tutela e difesa delle proprie ragioni.

 

Sul diritto all'immagine, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, chiamato a pronunciarsi in relazione alla producibilità di immagini fotografiche che ritraevano scene di un adulterio, ha stabilito che “ le finalità della giustizia ( di cui all'art. 4 L. 675/1996), impongono una legittima violazione anche dell'immagine altrui – pena l'impossibilità di far valere un proprio diritto dinnanzi al giudice”.

 

Sulla tutela del domicilio (art. 615 c.p.), in tema di videoriprese in luoghi privati, aperti o esposti al pubblico, la giurisprudenza penalistica ha più volte affermato che la ripresa di aree comuni non può ritenersi indebitamente invasiva della sfera privata dei condomini ai sensi dell'art. 615 c.p. giacchè l'indiscriminata esposizione alla vista altrui di un'area di pertinenza domiciliare non deputata a manifestazioni di vita privata è incompatibile con la tutela penale della riservatezza .

 

La stessa Corte Costituzionale, con sentenza 149 del 16.05.2008 ha sancito che “ il titolare del domicilio non può accampare una pretesa alla riservatezza se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, possa essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti ( ad es. chi si ponga su un balcone prospiciente la pubblica via), negli stessi limiti, l’ attività così liberamente osservata può essere videoregistrata, per confluire, successivamente, nel coacervo probatorio.

 

Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che una normale ripresa in un ambiente esterno può diventare illecita quando si adottano sistemi per superare quei normali ostacoli che impediscono di intromettersi nella vita privata altrui.

 

Per questo, la Corte aggiunge "è necessario bilanciare l'esigenza di riservatezza (che trova presidio nella normativa costituzionale quale espressione della personalità dell'individuo nonchè la protezione del domicilio, pur esso assistito da tutela di rango costituzionale, che dispiega severa protezione dell'immagine), e la naturale compressione del diritto, imposta dalla concreta situazione di fatto o, ancora, la tacita, ma inequivoca rinuncia al diritto stesso, come accade nel caso di persona che, pur fruendo di un sito privato, si esponga in posizione visibile da una pluralità indeterminata di soggetti". (Cass. Pen. 47165/2010).

 

E' opportuno tuttavia segnalare che la giurisprudenza ha elaborato la così detta categoria del “quasi domicilio” ovvero, può ritenersi domicilio penalmente tutelato quel luogo, destinato all'esplicazione anche di un solo atto della vita privata, in cui la persona si senta al riparo da sguardi indiscreti e abbia lo ius excludendi alios (es. abitacolo autovettura, camera d'albergo, androne di un condominio).

 

La Corte Costituzionale, ha comunque affermato che “ stabilire quando la ripresa visiva possa ritenersi finalizzata alla captazione di comportamenti a carattere comunicativo e determinare i limiti entro i quali le immagini concretamente riprese abbiano ad oggetto tali comportamenti, è questione che spetta al giudice a quo risolvere”. Concludendo: ogni ripresa audiovisiva, da chiunque effettuata in aperto luogo pubblico, è ammissibile e probatoriamente utilizzabile sotto forma di “documento” ex art. 234 c.p.p., se eseguita al di fuori del contesto procedimentale, o, se contestualizzata come atto del procedimento, alla stregua di “documentazione” a norma dell’art. 134, quarto comma c.p.p., oppure ai sensi del combinato disposto degli artt. 189 e 190 c.p.p., nel contraddittorio delle parti, in quanto non vietata dalla legge e nella misura in cui sia funzionale all’accertamento dei fatti. La prova verrà così veicolata nel giudizio attraverso la semplice riproduzione del filmato o, se del caso, mediante perizia.

 

Gli stessi argomenti valgono per le immagini e suoni captate in luoghi privati (siano essi aperti, recintati o anche chiusi tra “pareti finestrate”), ma comunque agevolmente osservabili dall’esterno senza l’impiego di particolari strumenti tecnologici (vedi, da ultimo, la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 149 del 2008). Le relative videoregistrazioni sono assolutamente legittime, pienamente utilizzabili nella fase delle indagini preliminari e validamente acquisibili.

 

Anche le videoregistrazioni in ambienti domiciliari (si rimanda a quanto precedentemente esposto per l’individuazione del concetto di domicilio) comunque effettuate dal titolare del relativo diritto e messe a disposizione dell’autorità giudiziaria sono pienamente ammissibili ed utilizzabili come prova documentale ex art. 234 c.p.p.

 

(si pensi, ad esempio, alle immagini estrapolate da un sistema di videosorveglianza installato in un appartamento e messe a disposizione dell’autorità giudiziaria dal proprietario dello stesso).

 

Le videoregistrazioni in ambienti domiciliari, occultamente effettuate dagli inquirenti previo decreto autorizzativo emesso dall’autorità giudiziaria a norma del combinato disposto degli artt. 266, secondo comma, e 267 c.p.p., saranno legittime ed utilizzabili alla stregua di intercettazioni di comunicazioni tra presenti, soltanto se riproducano comportamenti di tipo comunicativo.

 

In assenza di una normativa che le consenta, disciplinandone casi e modi, sono costituzionalmente vietate, e quindi inammissibili, le riprese audiovisive eseguite nell’altrui domicilio e che contengano immagini di comportamenti non comunicativi.

 

Le videoregistrazioni eseguite nel “quasi domicilio” siano esse rappresentative di qualunque comportamento, sono ammissibili e quindi veicolabili come prova atipica nel giudizio, a norma dell’art. 189 c.p.p., soltanto se precedentemente autorizzate con decreto motivato dell’autorità giudiziaria (pubblico ministero o giudice), in guisa da soddisfare il livello minimo di garanzie costituzionali sopra tratteggiato.

 

ISTRUTTORIA PROCESSUALE

(informazioni patrimoniali; attività e facoltà delle parti; poteri del Giudice) E’ opportuno ora individuare la fase processuale in cui gli elementi probatori raccolti dalla parte debbano essere prodotti in giudizio. La fase introduttiva del procedimento è senza dubbio , il momento in cui le parti (ricorrente e resistente) devono indicare gli strumenti di prova, dei quali si vogliono avvalere nel corso del giudizio, per far valere i propri diritti. L’articolo 706 del codice di procedura civile, è piuttosto scarno circa le indicazioni sul contenuto del ricorso e sulle allegazioni documentali delle parti. L’unico obbligo specifico è quello relativo all’allegazione, unitamente al deposito del ricorso e della memoria difensiva, delle ultime dichiarazioni dei redditi delle parti (e questo come ho detto prima ci fa chiaramente comprendere che la parte che deposita le informazioni circa la dichiarazione dei redditi di controparte non commette una violazione della privacy e ciò proprio sul presupposto che la controparte è tenuta nel primo atto difensivo a produrre tali dichiarazioni).

 

Sul contenuto del ricorso è opportuno rilevare che esso dovrà contenere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata. La facoltà concessa dalla legge al ricorrente, di presentare una memoria integrativa, contenente le indicazioni di cui ai numeri 2, 4, 5 e 6 comma 3 dell’articolo 163 c.p.c., palesa la non necessità che nel ricorso introduttivo siano presenti tutti gli elementi sui quali è fondata la domanda (incluse le allegazioni probatorie).

 

Sull’obbligo di deposito in sede di ricorso o di memoria difensiva, delle dichiarazioni dei redditi delle parti, va rilevato che la mancata allegazione agli atti introduttivi, è priva di sanzione, non comportando alcuna ipotesi di nullita'. L’unica conseguenza potrà essere quella della valutazione sfavorevole, da parte del Presidente, del comportamento della parte che ha omesso di depositare le dichiarazioni dei redditi.

 

L’articolo 706 c.p.c. si riferisce genericamente alle “ultime” dichiarazioni dei redditi. In dottrina si è dibattuto se tale indicazioni implichi un obbligo di depositare l’ultima dichiarazione dei redditi presentata dalle parti o se l’obbligo si estenda anche alle precedenti dichiarazioni. In assenza di una specifica disposizione di legge , la questione è stata risolta, come spesso avviene, dalla prassi giudiziaria, dove nei provvedimenti di fissazione di udienza, è indicato l’obbligo di depositare le ultime “tre” dichiarazioni dei redditi. Rispetto all’articolo 5 della legge 1 dicembre 1970, vi è una riduzione dei documenti fiscali che la parte deve allegare al ricorso; tale norma prevedeva infatti l’obbligo per le parti di allegare la dichiarazione dei redditi e ogni documentazione relativa ai redditi e al patrimonio personale. Ciò equivaleva ad imporre a carico di ciascuna delle parti, l’obbligo di allegare tutta la documentazione afferente il patrimonio, come ad esempio le visure del PRA, i certificati della Conservatoria dei Registri Immobiliari, gli estratti dei conti correnti bancari.

 

Oggi , proprio in considerazione della necessità di allegare le solo dichiarazioni dei redditi, saranno le stesse parti che, nell’ambito della loro attività di indagine, potranno acquisire le informazioni e la documentazione diretta a provare la reale situazione reddituale della controparte. Si tratta certamente di una facoltà e non di un obbligo.

 

D’altro lato, nel caso in cui le informazioni o le dichiarazioni dei redditi delle parti, dovessero apparire non verosimili o in contrasto con il tenore di vita del soggetto o se le informazioni di carattere economico fornite dai coniugi non risultino sufficientemente documentate, il Giudice potrà disporre d’ufficio (magari dietro richiesta di una delle parti) le opportune indagini patrimoniali anche a mezzo della Polizia Tributaria.

 

Solitamente le indagini di polizia tributaria vengono espletate secondo due criteri fondamentali: il primo è rappresentato dalla richiesta ed acquisizione di tutta la documentazione relativa al patrimonio mobiliare ed immobiliare del soggetto coinvolto nell’accertamento. Saranno richiesti i certificati presso le Conservatorie dei Registri Immobiliari, presso il Pubblico Registro Automobilistico; verranno effettuate le opportune ricerche volte alla ricerca di conti correnti bancari e alla disponibilità di titoli azionari ed obbligazionari. Saranno altresì oggetto di valutazione ed indagine, le eventuali società di cui il soggetto è socio. Un’attenzione particolare verrà rivolta all’analisi delle dichiarazioni dei redditi, anche al fine di valutarne la correttezza e congruità rispetto al tenore di vita del soggetto. L’indagine potrà poi estendersi alla verifica delle singoli voci indicate nella dichiarazione dei redditi, con particolare riferimento alla verifica sulla veridicità delle singole fatture emesse e di quelle di acquisto, specie sotto il profilo dell’esistenza della prestazione sottostante la fattura.

 

Il secondo criterio di indagine è rappresentato dall’acquisizione di informazioni, per mezzo di soggetti quali dipendenti, datori di lavoro e soggetti che possano essere a conoscenza di informazioni utili dirette ad ricostruire ed accertare il patrimonio ed il tenore di vita del soggetto.

 

Certamente il limite delle indagini di polizia tributaria, espletate nel corso dei procedimenti di separazione e divorzio, è rappresentato dalla difficoltà di individuare quella parte di patrimonio, eventualmente intestata in modo fittizio a terzi soggetti. Per i patrimoni cosiddetti “occulti” dovranno essere le stesse parti, magari più informate sulla situazione economica del coniuge, ad effettuare attività di indagine, all’esito della quale potranno richiedere al Giudice di estendere le indagini a terzi soggetti, suggerendo quegli elementi che inducano l’organo giudicante a ritenere verosimile l’esistenza di una quota di patrimonio occultato. E’ agevole comprendere che le indagini effettuate dalla parte possono essere tanto più complete, quanto più alte sono le disponibilità economiche del soggetto.

 

Assistiamo pertanto a due forme di attività istruttoria, caratterizzate l’una dall’intervento di organi di polizia attivati dietro impulso del giudice, nell’ambito dei suoi poteri di introduzione d’ufficio di mezzi prova, dall’altro dall’attività investigativa delle parti, svolta nell’ambito e nei limiti delle facoltà attribuite ai soggetti in causa di far valere i propri diritti, avvalendosi di strumenti non illeciti, pur in apparente violazione di norme, che sono state concepite per garantire il rispetto della privacy dell’individuo;

 

diritto alla privacy, che come ampiamente illustrato nel corso della nostra esposizione, può subire delle legittime compressioni nel corso di un giudizio di separazione o divorzio, qualora ciò sia necessario per far valere un contrapposto diritto di pari rango o di rango addirittura superiore .

 

E’ doveroso segnalare in questa sede come, ai sensi dell’articolo 155 c.c. le indagini di Polizia Tributaria possono estendersi anche a terzi soggetti che si ritiene detengano o siano intestatari (come prestanome) di beni o attività direttamente o indirettamente riconducibili ad una delle parti in causa. (“ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentali, il giudice dispone una accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”).

 

Sempre con riferimento alla fase istruttoria, l’articolo 709 c.p.p., stabilisce che davanti al Giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articolo 180 e 183, incluso quindi il sesto comma n. 2 di quest’ultimo articolo, a mente del quale il Giudice concede alle parti un termine di 30 giorni per l’indicazione dei mezzi di prove a per le produzioni documentali.

 

Possiamo pertanto affermare che nel corso dei giudizi di separazione e di divorzio, esistono tre fasi processuali previste dal codice civile e di procedura, che consentono alle parti di produrre documenti o di indicare mezzi di prova, da individuarsi la prima, nell’allegazione documentale che avviene al momento del deposito del ricorso introduttivo o della memoria difensiva, la seconda dal deposito in cancelleria della memoria integrativa di cui all’articolo 709 c.p.c. e la terza dal deposito della memoria ex articolo 183, VI comma n. 2.

 

Merita altresì di essere affrontato in questa sede, il problema dell’ammissibilità di un’attività istruttoria, finalizzata all’emanazione da parte del Presidente del tribunale dei provvedimenti temporanei ed urgenti ex articolo 708 c.p.c. . Per quanto riguarda i provvedimenti da emanarsi nell’interesse della prole, la soluzione si rinviene nel dettato normativo dell’articolo 155 sexies c.c., il quale prevede che “prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155 c.c., il giudice, può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova”. La natura pubblicistica degli interessi in gioco, giustifica l’intervento istruttorio del giudice anche in questa fase.

 

Ritengo personalmente che pure in assenza di una specifica norma, tale potere possa estendersi anche ai provvedimenti temporanei ed urgenti da emanarsi nell’esclusivo interesse dei coniugi, consentendo ai Giudice di acquisire prove precostituite e costituende, purchè ciò sia compatibile con la natura urgente del rito.

 

Sulla tipologia delle prove costituende ammissibili nel giudizio di separazione e divorzio è certamente ipotizzabile il ricorso al giuramento, all’interrogatorio formale, alla confessione. Anche sulla prova per testi, non vi sono particolati limitazioni, se non quelle legate alla necessità di adottare una particolare prudenza nell’assumere testi che siano parenti o amici stretti dei coniugi, anche in considerazione del rischio di parzialità degli stessi.



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20.05.2011 Avv. Matteo Santini

Avv. Matteo Santini

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