Nella defizione di reputazione online ho scritto che il vero tema non è la reputazione, ma l'identità online.
Se vi è identità online allora vi sono anche tutti i temi ad essa legati, quali il rispetto, l'onorabilita', la diffamazione, la liberta', eccetera eccetera.
Le Costituzioni riconoscono la libertà delle persone di riunirsi. Su internet si formano gruppi, oppure persone si riuniscono e aderiscono a servizi, e lì si formano gruppi più o meno solidi e duratori.
Ma perchè persone si riuniscano devono esserci persone.
L'identità online passa spesso dall'email usata per creare un account.
Con tutti i servizi che esistono è possibile che qualcuno utilizzi un servizio prima di noi usando un nome che avremmo voluto usare noi.
A volte è omonimia, nel caso di prodotti prevale il marchio, nel diritto d'autore i confini sono più labili.
La parola d'ordine è confusione. L'identità online esiste ed è meritevole di tutela se chi la usa al posto nostro sta confondendo quello che fa lui con quello che facciamo noi.
La confusione è un termine ampio, ma sufficentemente preciso. Il danno non è nemmeno nell'uso commerciale dell'identità altrui, ma nel semplice fatto di confondere il proprio lavoro con quello altrui.
E' anche vero che in tesi minoritaria, ma con seguito anche presso certa giurisprudenza, il semplice uso di un marchio registrato è vietato. Ma il confine tra parola, nome e marchio diventa sempre più labile. Pensiamo al caso Armani, conteso tra un timbrificio e la multinazionale.
Un tema che è stato già approfondito, e intimamente legato con l'identità online, è quello del domain grabbing.
In poche parole: ognuno di noi ha diritto ad un nome e a proteggerlo. Anche online.