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Segnalazione    

La responsabilità del primario verso il paziente è sempre diretta (Cass. Civ. Sez. III, 10/09/2010, n. 19277)

Cortesemente inviata da: Avv. Gennaro Marasciuolo del foro di Trani

"La Suprema Corte “rispolvera” un suo vecchio orientamento per affermare che la responsabilità del primario (medico appartenente alla posizione apicale) verso il paziente è diretta ed ha natura contrattuale."

09.11.2010 - pag. 75656 print in pdf print on web

L

La Suprema Corte “rispolvera” un suo vecchio orientamento per affermare che la responsabilità del primario (medico appartenente alla posizione apicale) verso il paziente è diretta ed ha natura contrattuale.
La vicenda
Un primario, condannato nei primi due gradi di giudizio a risarcire un paziente per avergli procurato gravi lesioni, propone ricorso per Cassazione sostenendo, tra l’altro, che la Corte d’Appello avrebbe errato nel rigettare la propria tesi difensiva secondo la quale le norme del D.P.R. n. 128/1969 disciplinano la responsabilità del primario solo nei confronti dell’ente da cui dipende e, conseguentemente, non potrebbe astrattamente configurarsi una responsabilità diretta tra primario e paziente.
Il giudizio della Corte di Cassazione
La Suprema Corte rigetta questo motivo ritenendo, invece, che proprio l’art. 7 del D.P.R. 128/69, definendo gli obblighi e, quindi, le responsabilità del primario verso i pazienti, configura una responsabilità diretta e tanto è altresì desumibile dall’art. 63 del D.P.R. n. 761/1979, in materia di stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali.
Gli ermellini vanno oltre e specificano che la responsabilità del primario ha natura contrattuale, atteso che al medico ospedaliero in generale e, quindi, anche al primario, è possibile applicare, in via analogica, le norme che disciplinano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica, in esecuzione di un contratto d’opera professionale.

L’orientamento giurisprudenziale attualmente prevalente

Il ricorso all’interpretazione analogica delle norme in materia di contratto di prestazione d’opera professionale, in vero, appartiene ad un orientamento giurisprudenziale relativamente risalente (Cass. 2144/1988; Cass: 5939/1993; Cass. 6318/2000; Cass. 4058/2005), ma coevo all’opposto orientamento sul quale il primario aveva fatto affidamento - forse sin dal primo grado di giudizio (si evidenzia, concluso con sentenza del 2004) - che escludeva una responsabilità diretta del medico ospedaliero (ma anche dell’ospedale) verso il paziente, residuando, al limite, una responsabilità di natura extracontrattuale.

L’orientamento interpretativo risalente ed adottato dalla Corte di Cassazione nella sentenza qui segnalata, riportando il rapporto fra medico e paziente fra le fila della responsabilità contrattuale, provocava rilevanti conseguenza anche sul piano pratico: in primo luogo, alleggerimento dell’onere probatorio del paziente – creditore (ex art. 1218, così come interpretato dalle SS. UU. 30/10/2001, n. 13533), quindi, un periodo di prescrizione più lungo (non più 5 anni, ex art. 2947c.c., bensì 10, ex art. 2946c.c.), nonché l’impossibilità, per il paziente- danneggiato, di chiedere il ristoro dei danni non prevedibili (art. 1225 c.c.).

Ponendo al centro della disamina la prestazione che il medico è chiamato a svolgere, o meglio la sua natura, secondo l’orientamento in questione, era possibile estendere la responsabilità per inadempimento anche all’ente ospedaliero, ma a condizione, però, che fosse accertata la responsabilità del medico ospedaliero.

La giurisprudenza si è evoluta e ha ritenuto che con l’accettazione del paziente, sia che avvenga con il ricovero, che con la visita ambulatoriale, fra la struttura ospedaliera e il paziente stesso viene concluso un contratto atipico di spedalità. Ne consegue l’autonoma responsabilità dell’ente ospedaliero chiamato a prestare un servizio, rispetto a quella del medico dipendente della stessa struttura (Cass. SS. UU. 577/2008).

La responsabilità del medico ospedaliero, poi, sempre secondo questo più recente e predominante orientamento, ha sempre natura contrattuale, poiché, nonostante non sussista un contratto con il paziente, bensì un “contatto sociale”, le prestazioni che il medico è chiamato ad eseguire hanno un contenuto uguale a quelle del contratto d’opera professionale in campo medico.
Il risultato non cambia: sia che si applichino in via analogica le norme in materia di contratto d’opera professionale in campo medico, sia che si faccia ricorso alla figura del “contatto sociale”, la natura della prestazione del medico ospedaliero non cambia: è di tipo contrattuale e la responsabilità verso il paziente è, conseguentemente, diretta. Ciò che muta, invece, è la possibilità di ritenere come autonoma la responsabilità dell’ente ospedaliero verso il paziente (orientamento giurisprudenziale recente), o meno (orientamento risalente).

Avv. Gennaro Marasciuolo del Foro di Trani

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 10031/04 il Tribunale di P. condannava l'Azienda Ospedaliera (OMISSIS), ex USL (OMISSIS), e B.A., primario del reparto di terapia intensiva di cardiologia, al pagamento in solido in favore di D.B. della somma di Euro 159.350,00, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alle gravi lesioni da lui riportate in occasione della sua degenza presso il suddetto presidio ospedaliere dal (OMISSIS), a causa della fuoriuscita dal sistema della vena basilica di destra di liquidi di infusione venosa, somministratigli per fronteggiare una sindrome cardiocircolatoria acuta, estromettendo invece dal giudizio per difetto di legittimazione passiva l'AUSL (OMISSIS), contro la quale l'attore aveva pure rivolto una pretesa risarcitoria.
Contro la suddetta sentenza proponevano appello, in via principale, l'Azienda ospedaliera e, in via incidentale, il B. e il D., mentre l'AUSL (OMISSIS) rimaneva contumace: con sentenza non definitiva depositata il 16.1.2006, la Corte d'appello di P. confermava la sentenza gravata relativamente all'affermazione di responsabilità dell'Azienda ospedaliera e del B., rimettendo la causa all'istruttore con separata ordinanza per quanto riguarda il quantum.
Avverso tale sentenza ha proposto, quindi, ricorso per cassazione il B., con tre motivi, mentre ha resistito con controricorso il D., il quale ha sollevato anche ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, e resistito dal B. con controricorso.
Il D. ha depositato in atti anche una memoria, mentre non hanno svolto alcuna attività difensiva gli altri intimati Azienda Ospedaliera "(OMISSIS)" e AUSL n. (OMISSIS) di P..
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disposta la riunione dei procedimenti ex art. 335 c.p.c..
a) ricorso principale:
Con il primo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la responsabilità del personale sanitario dell'Azienda ospedaliera (OMISSIS), nonchè del Primario di cardiologia.
Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa la valenza probatoria delle risultanze testimoniali.
Con il terzo motivo denuncia l'errore in diritto per la condanna in solido di esso ricorrente.
1. Il primo motivo non è fondato.
Si sostiene, invero, che la Corte di merito non avrebbe sufficientemente motivato la propria pronuncia nella parte in cui ha individuato la presunta esistenza del nesso di causalità tra la somministrazione del farmaco per infusione ed il danno lamentato dal D., da un lato riconoscendo che la terapia infusionale applicata, in ordine alla quale il CTU C. aveva escluso la sussistenza di qualsiasi ipotesi di negligenza od imperizia del personale sanitario ed infermieristico del presidio ospedaliero, aveva determinato la guarigione del paziente dalla patologia per la quale era stato ricoverato e, dall'altro lato, invece imputando alla terapia stessa gli esiti cicatriziali sull'avambraccio del braccio destro del resistente.
Ancora, secondo il ricorrente, poichè la sospensione della terapia infusionale avrebbe di certo cagionato la morte del paziente, afflitto da infarto, la sentenza gravata sarebbe in particolare censurabile nella parte in cui - prendendo le mosse dal rilievo del CTU secondo cui lo spandimento dei liquidi irritanti dai cateteri impiantati nell'arto del resistente avrebbe indicato una ridotta od inadeguata sensibilità del personale parasanitario alle sofferenze del D. - ha inteso attribuire del tutto illogicamente una precisa responsabilità al personale medico ed in particolare al ricorrente, quale primario del reparto di cardiologia al momento dell'evento, dovendosi assolutamente escludere che il medico debba rispondere di una attività meramente pratica, quale quella di controllo delle quantità dei farmaci somministrati mediante infusione in vena, riconducibile invero al personale parasanitario.
In ogni caso, sul punto in questione la Corte di merito avrebbe dovuto giustificare in modo logico ed adeguato il proprio dissenso dalle conclusioni formulate dal CTU. 1.1. In realtà, le censure predette non presentano alcun fondamento.
Ed invero, nel ragionamento logico-giuridico seguito dai giudici d'appello non si rinviene alcuna illogicità o incoerenza nè alcun errore giuridico.
La sentenza impugnata ha giustamente rilevato che nel caso di specie "non sono, tuttavia, in discussione, come ha osservato il Tribunale, tanto la validità e l'efficacia della terapia prescelta, quanto le modalità con cui detta terapia venne eseguita" (v. pagg. 12-13 della sentenza) e che è appunto in relazione a dette modalità che deve essere valutata la condotta del personale ospedaliero, sotto i profili della diligenza e della prudenza, giungendo alla conclusione che nessuna prova risulta fornita dai soggetti interessati (ospedale e primario) che l'evento di danno fosse in concreto dipeso da un avvenimento imprevisto ed imprevedibile, così come è mancata la prova che la terapia infusionale non potesse essere sospesa anteriormente al (OMISSIS).
I giudici d'appello hanno anche correttamente evidenziato come le negligenze od imperizie del personale paramedico ospedaliere, sulle quali aveva posto l'accento il CTU, attribuendo ad esse la causa prima dello spandimento dei liquidi altamente nocivi ai tessuti, pur ricadendo sull'ente da cui il personale medesimo risulta dipendente, non possano che essere addebitate in ultima analisi ai medici curanti, sui quali soltanto può gravare la responsabilità del malato.
La Corte territoriale non ha mancato, dunque, di fornire una logica e corretta motivazione circa il proprio dissenso sul punto in oggetto dalla relazione C..
2. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la parte che si dolga in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, di un'errata valutazione di risultanze probatorie (nella specie, prove testimoniali) ha l'onere di riprodurre nel ricorso, ai fini di una corretta proposizione della censura, il tenore esatto della risultanza probatoria il cui omesso o inadeguato esame è censurato, e ciò al fine di consentire a questa Corte, cui è precluso di ricercare direttamente le prove negli atti di causa, di valutare innanzitutto la pertinenza e decisività dei fatto oggetto della prova stessa (Cass. n. 13953/02).
3. Il terzo motivo è anch'esso infondato.
Infatti, la Corte di merito ha esposto, con motivazione logica ed immune da errori giuridici, le ragioni per le quali ha ritenuto che il B. non possa invocare, per negare la propria responsabilità , le norme del D.P.R. n. 128 del 1969, sul presupposto che le responsabilità del primario, ivi previste, sussisterebbero solo nei confronti dell'ente da cui dipende e perciò non potrebbe configurarsi una responsabilità diretta tra primario stesso e paziente, facendo correttamente riferimento alla circostanza che l'art. 7 di detto decreto prescrive che il primario ospedaliero ha la responsabilità dei malati ricoverati nel reparto e che ha l'obbligo di definire per essi i criteri diagnostici e terapeutici che gli aiuti e gli assistenti devono poi seguire, nonchè di vigilare sulla loro esatta esecuzione da parte dei medesimi (v. Cass. n. 4058/05; n. 6822/01).
La sentenza gravata ha anche correttamente rilevato che, non avendo il B. indicato, ai sensi del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 63, comma 6, il medico cui era stato assegnato all'atto del ricovero il paziente nè avendolo fatto l'Azienda Ospedaliera, doveva in conseguenza presumersi che la responsabilità del resistente dovesse far capo direttamente al B. medesimo.
E' indubbio che la responsabilità del B. nei confronti del D. per i danni da questi subiti a seguito dell'esecuzione della terapia infusionale debba essere inquadrata nell'ambito contrattuale, prescindendo dunque dalla necessità della presenza, nel comportamento del primario stesso, di dolo o colpa grave.
Questo giudice di legittimità ha già stabilito (Cass., n. 4058/05; n. 5939/93) che la responsabilità dell'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, e del medico suo dipendente per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica , inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato) tra l'ente gestore ed il privato, che ha usufruito del richiesto servizio, ha natura contrattuale di tipo professionale.
Ne consegue che la responsabilità diretta dell'ente e quella del medico, inserito organicamente nella struttura del servizio, sono disciplinate in via analogica dalle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale, senza che possa trovare applicazione nei confronti del medico la normativa prevista dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 22 e 23, con riguardo alla responsabilità degli impiegati civili dello Stato per gli atti compiuti in violazione dei diritti dei cittadini.
b) ricorso incidentale.
Tale ricorso, incentrato sulla denuncia della mancata valorizzazione da parte della sentenza impugnata di alcuni elementi rilevanti, emersi nel giudizio di merito, ai fini dell'affermazione della responsabilità del B. e dell'Azienda ospedaliera, resta assorbito dal rigetto del ricorso principale, essendo stato proposto sostanzialmente in via condizionata all'accoglimento eventuale del ricorso principale stesso.
c) Al rigetto del ricorso principale consegue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta quello principale, assorbito quello incidentale, condanna il ricorrente alla rifusione in favore di D.B. delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010


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09.11.2010 Avv. Marasciuolo

Avv. Marasciuolo Link: avv.marasciuolo@email.it

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