Detto in termini civilistici, ma la serenità non è più di questo nostro mondo, ci vuole una diffida.
E la diffida deve essere chiara e sufficientemente completa perchè non sia una richiesta d'estorsione o una richiesta alla quale non si può dare seguito.
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
«Marchi – Internet – Motore di ricerca – Pubblicità a partire da parole chiave (“keyword advertising”) – Visualizzazione, a partire da parole chiave corrispondenti a marchi di impresa, di link verso siti di concorrenti dei titolari di detti marchi ovvero verso siti sui quali sono offerti prodotti di imitazione – Direttiva 89/104/CEE – Art. 5 – Regolamento (CE) n. 40/94 – Art. 9 – Responsabilità del gestore del motore di ricerca – Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”)»
" Da ciò consegue che occorre risolvere la terza questione nella causa C‑236/08, la seconda questione nella causa C‑237/08 e la terza questione nella causa C‑238/08 dichiarando che l’art. 14 della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi."
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Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e 9, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo.
2) Il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet che memorizza come parola chiave un segno identico a un marchio e organizza, a partire da quest’ultima, la visualizzazione di annunci non fa un uso di tale segno ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104 o dell’art. 9, n. 1, del regolamento n. 40/94.
3) L’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.