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"L'oblio e' nemico della verita'" - l'abate, Il nome della rosa



Pubblicità informativa    

Deontologia e informazioni sulla professione

Un approfondimento sulle problematiche concernenti le “informazioni sull’attività professionale” e le “modalità dell’informazione”. Ringraziamo gli autori per il cortese invio a beneficio dei lettori di Civile.it - Tutti i diritti riservati agli autori - autorizzata la diffusione tramite questo sito. - Photo courtesy of rieps
16.07.2009 - pag. 69220 print in pdf print on web

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su studi di legal design e analisi testuali e statistiche

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di Barbara Mantile praticante avvocato del Foro di Napoli e Giorgio Vanacore avvocato. del Foro di Napoli

A)    I profili deontologici della professione forense rivestono una importanza fondamentale nella formazione di un praticante avvocato, in quanto la loro violazione incide sul corretto esercizio della funzione professionale.

La deontologia forense non è espressamente disciplinata da leggi, ma è il risultato di una costante osservanza di norme comportamentali che trovano solo un richiamo sommario nel codice di procedura civile che impone il dovere i comportarsi in giudizio con lealtà e probità (art. 88 c.p.c.).

Per deontologia si intende, pertanto, quel complesso di regole e di valori ai quali deve riferirsi la condotta dell’avvocato e che sono individuati nella formula del nostro giuramento secondo concetti di lealtà, onore e diligenza.

In relazione ai principi sanciti nel codice di deontologia, ho ritenuto opportuno approfondire le problematiche concernenti le “informazioni sull’attività professionale” e le “modalità dell’informazione”, oggetto di recente modifica al fine di adeguare il codice deontologico alle disposizioni della legge n. 248/2006.



B) La formulazione originaria dell’art. 17, cod. deont. forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 17 aprile 1997, prevedeva il divieto di pubblicità per gli avvocati, in linea con il tradizionale atteggiamento di chiusura dimostrato dall’ordinamento professionale italiano.

La norma stabiliva il divieto di qualsiasi pubblicità dell’attività professionale.

Erano consentite solo:

- l’indicazione nei rapporti coi terzi (carta da lettera, rubriche professionali e telefoniche, repertori, banche dati forensi, anche a diffusione internazionale) di propri particolari rami di attività;

- l’informazione agli assistiti e ai colleghi sull’organizzazione dell’ufficio e sull’attività professionale svolta;

- l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che avesse fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo avesse espressamente previsto o avesse disposto per testamento in tal senso, ovvero vi fosse il consenso unanime dei suoi eredi.

L’attività di informazione consentita doveva, in ogni caso, essere attuata in modo veritiero e nel rispetto dei doveri di dignità e decoro.

Successivamente, però, le istanze in seno alla Comunità Europea, rivolte alla liberalizzazione dei mercati, spinsero per un radicale cambiamento della materia. Infatti, l'art. 49 del trattato CE vieta ogni restrizione alla libera circolazione di servizi, tra i quali è ricompresa l'attività libero-professionale.

La direttiva sui servizi, successivamente adottata, prevede una rilevante apertura sulla pubblicità informativa stabilendo la soppressione di ogni divieto in materia pubblicitaria.

L'art. 24 della direttiva, nel consentire la promozione dell'attività professionale, si riferisce esplicitamente alle professioni regolamentate, prevedendo, però, un temperamento che richiede la conformità delle informazioni rese ai terzi alle regole professionali, tenendo conto della specificità della professione, nonché dell'indipendenza, dell'integrità, della dignità e del segreto professionale. Sono dunque ammesse limitazioni, purché non siano confliggenti con i principi di non discriminazione e di proporzionalità e siano giustificate dall'interesse generale.

Infine, il codice deontologico europeo, approvato da ordini ed associazioni forensi aderenti al CCBE, in tema di pubblicità informativa si limita a raccomandare criteri di correttezza e veridicità, nel rispetto della riservatezza e del segreto professionale, indipendentemente dallo strumento impiegato per la diffusione.

L’Italia, dunque, era rimasta uno dei pochi paesi europei a prevedere un divieto assoluto di pubblicità per gli avvocati.

La modifica dell’art. 17 del codice deontologico forense, attuata con delibera del CNF in data 16/10/1999, ha parzialmente eliminato, il divieto assoluto di pubblicità, consentendo all’avvocato di fornire “informazioni sull’esercizio professionale”.

Mentre la vecchia formulazione della norma permetteva al professionista di dare informazioni sulla propria attività ai soli colleghi e clienti – soggetti già sostanzialmente informati – a seguito della modifica l’avvocato italiano aveva la possibilità di dare informazioni sulla propria attività professionale anche a potenziali clienti, secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza, inoltre, venne previsto l’elenco dei “mezzi di informazione” utilizzabili, tra i quali furono inseriti anche “i siti web e le reti telematiche (Internet), purché propri dell’avvocato o di studi legali associati o di società di avvocati, nei limiti della informazione e previa segnalazione al Consiglio dell’ordine”.

Nonostante l’avvenuta riforma e l’abrogazione del divieto di pubblicità, la norma continuava a distinguere tra pubblicità – che ha scopo meramente promozionale e considerata non attinente al decoro della professione - e informazione – che mira, invece, ad esternalizzare l’attività professionale con fini promozionali indiretti.

E’, questa, una soluzione che ha permesso, da un lato, di rimuovere il tabù della pubblicità e, contemporaneamente, di combattere quelle pratiche non rispettose del decoro e della dignità professionale.

Il Codice deontologico prescriveva, infatti, il necessario rispetto dei tre canoni essenziali, in tema di “Informazioni sull’esercizio professionale”:

- correttezza e verità;

- rispetto della dignità e del decoro della professione;

- segretezza e riservatezza.

Ancora, “l’informazione sull’esercizio professionale” era consentita, ma solo nelle modalità definite espressamente dallo stesso articolo.

Secondo la disposizione in esame:

- con riguardo ai mezzi, l’informazione poteva essere data attraverso opuscoli, carta da lettera, rubriche professionali e telefoniche, repertori, reti telematiche, anche a diffusione internazionale;

- con riguardo ai contenuti, era consentita l’indicazione nei rapporti con i terzi di propri particolari rami di attività.

Si consentiva, inoltre, l’indicazione del nome di un avvocato defunto, che avesse fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo avesse espressamente previsto o disposto per testamento in tal senso, ovvero vi fosse consenso unanime dei suoi eredi.

Assolutamente vietata, invece, la forma di pubblicità comparativa, che avrebbe leso il principio di correttezza nei confronti dei colleghi.

La c.d. pubblicità informativa dell’avvocato doveva, pertanto, concretizzarsi in un’attività finalizzata a fornire ai potenziali clienti informazioni corrette e veritiere sull’attività professionale, che fossero utili nell’interesse di questi ultimi.

Era consentita, infine, l’utilizzazione della rete Internet e del sito web per l’offerta di consulenza nel rispetto dei seguenti obblighi:

- indicazione dei dati anagrafici, partita IVA e Consiglio dell’Ordine di appartenenza;      

- impegno espressamente dichiarato al rispetto del codice deontologico. Nel sito avrebbe dovuto essere riprodotto il testo del codice deontologico ovvero precisati i modi o mezzi per consentirne il reperimento o la consultazione;

- indicazione della persona responsabile;

- specificazione degli estremi della eventuale polizza assicurativa, con copertura riferita anche alle prestazioni on-line e indicazione dei massimali;

- indicazione delle vigenti tariffe professionali per la determinazione dei corrispettivi

In materia di consulenze on-line degli avvocati, un cenno deve essere fatto anche alla direttiva europea sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno), attuata in Italia con decreto legislativo n. 70/2003.

Ai fini del citato provvedimento, per servizi della società dell’informazione devono intendersi tutti quelli prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica, mediante apparecchiature elettroniche di elaborazione (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, su richiesta individuale del destinatario dei servizi.

In particolare, la direttiva impone agli Stati membri di provvedere affinché il prestatore di un servizio della società dell’informazione – fatti salvi gli altri obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario –, renda facilmente accessibili in modo diretto e permanente ai destinatari del servizio e alle competenti autorità almeno le informazioni minime elencate nell’art. 5, vale a dire:

a) il nome del prestatore;

b) l’indirizzo geografico dove il prestatore è stabilito;

c) gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lui, compreso l’indirizzo di posta elettronica;

d) qualora il prestatore sia iscritto in un registro del commercio o analogo pubblico registro, il registro presso il quale è iscritto ed il relativo numero di immatricolazione o mezzo equivalente di identificazione contemplato nel detto registro;

e) qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione, gli estremi della competente autorità di controllo;

f) per quanto riguarda in particolare le professioni regolamentate:

- l’ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il fornitore sia iscritto;

- il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato;

- un riferimento alle norme professionali vigenti nello Stato membro di stabilimento, nonché le modalità di accesso alle medesime;

g) se il prestatore esercita un’attività soggetta ad IVA, il numero di identificazione di cui all’articolo 22, par. 1, della direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977.

Delle professioni regolamentate, tra cui figura naturalmente quella forense, la direttiva si occupa anche nell’art. 8:

“1. Gli Stati membri provvedono affinché l'impiego di comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell'informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, siano autorizzate nel rispetto delle regole professionali relative, in particolare, all'indipendenza, alla dignità, all'onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi.

2. Fatta salva l'autonomia delle associazioni e organizzazioni professionali, gli Stati membri e la Commissione le incoraggiano a elaborare codici di condotta a livello comunitario che precisino le informazioni che possono essere fornite a fini di comunicazioni commerciali, nel rispetto del paragrafo 1.

3. Nell'elaborare proposte di iniziative comunitarie eventualmente necessarie per il buon funzionamento del mercato interno relativamente alle informazioni di cui al paragrafo 2, la Commissione tiene in debito conto i codici di condotta applicabili a livello comunitario, e agisce in stretta cooperazione con le pertinenti associazioni e organizzazioni professionali.

4. La presente direttiva integra le direttive comunitarie concernenti l'accesso alle attività delle professioni regolamentate e il loro esercizio.”

È del resto fatta salva dalla direttiva sul commercio elettronico la disciplina contenuta nella direttiva 97/7/CE, attuata in Italia con il D.L.vo 185/1999 e relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.

Ai sensi dell’art. 1 del D.L.vo 185/1999, fornitore è la persona fisica e giuridica che nei contratti a distanza agisce nel quadro della sua attività professionale. Come si vede, il campo d’azione del provvedimento non è limitato alle sole attività di impresa o commerciali e pertanto l’attività legale on-line rientra nel suo ambito di applicazione. L’avvocato è dunque tenuto a rispettare, in particolare, gli obblighi di informazione dettati dall’art. 3 del provvedimento.

In sintesi, la disciplina della comunicazione pubblicitaria
nell’attività forense in Italia cercava di mediare, tra la posizione tradizionale di divieto assoluto di utilizzo del mezzo pubblicitario nell’esercizio della professione forense e l’assimilazione, operata dal diritto comunitario, delle professioni c.d. protette all’attività di impresa.

In linea al dettato della norma, è la giurisprudenza deontologica successiva all’abrogazione del divieto di pubblicità, la quale, sia pure timidamente, consentì all’avvocato di ricorrere ad un’informazione attiva circa la sua attività professionale. Da un rapido excursus della giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense emerge, pacificamente, la tendenza a sanzionare i comportamenti considerati in violazione dell’art. 17 del Codice deontologico con l’avvertimento o con la censura, ovvero con misure che, comunque, non incidono sull’attività del professionista.

Risulta utile, pertanto, enumerare le fattispecie  che la giurisprudenza deontologica ha considerato lesive dell’art. 17:

- divieto di indicare specializzazioni o qualifiche soggettive: salvo i titoli previsti dalla Legge (titolo accademico, diploma universitario, dottorato di ricerca), i titoli rilasciati da privati per i quali non vi è garanzia pubblica di veridicità tali, pertanto, da considerarsi informazioni fuorvianti ed equivoche circa le effettive capacità professionali del professionista;

- Informazioni false;

- Pubblicità in violazione a principi di decoro e dignità professionale;

- Pubblicità di altri prodotti;

- Pubblicità occulta a mezzo stampa e rapporti con la stampa. In tale materia il Codice deontologico è ispirato a criteri di riserbo e di misura per evitare il sovrapporsi indebito tra i piani della discussione politica e dello spazio giudiziario, rilevando inoltre che una pubblicità indiretta va a danno delle pari opportunità e della legale concorrenza tra colleghi;

- Spendita del nome del cliente e diritto di riservatezza. Con tale divieto si intende tutelare il “diritto ad esser dimenticati”, il diritto alla riservatezza oltre ad evitare che vengano diffuse false notizie sulla clientela;

- Divieto di accaparramento di clientela (art. 19 Codice deontologico), se verificatesi con mezzi ritenuti illeciti e contrari ai principi deontologici.

 

C) Infine, è intervenuto il  decreto Legge 4 luglio, n. 223 ("decreto Bersani"), conv. in Legge 4 agosto 2006, n. 248, che all’art. 1 fa riferimento “all’improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione, attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro“, ed all’art. 2 all’esigenza “di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato“, infine, alla lett. b), dello stesso articolo, statuisce l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentare che prevedono il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine.

La finalità della legge è chiara: ogni divieto di diffusione della pubblicità informativa, negli ambiti enunciati dalla legge, è abrogato, con un unico temperamento: il messaggio deve rispondere ai criteri di veridicità e trasparenza.

Conseguentemente, si è reso necessario modificare il testo dell'art. 17, in aderenza al disposto normativo, prevedendo che il contenuto e la forma dell'informazione debbano essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività e debbano rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell'Ordine, mentre i canoni II e III del medesimo art. 17, il primo dei quali prevede che sia vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico ed il secondo dei quali fa divieto all'avvocato di offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata sono stati inseriti nell'art. 19, che concerne il divieto di accaparramento della clientela. L'art. 17 bis è stato, innanzi tutto, modificato nella rubrica, che ora titola "Modalità dell'informazione'' e non più "Mezzi di informazione consentiti", essendosi provveduto, in sede di modifica, ad eliminare le limitazioni concernenti i mezzi di informazione utilizzabili, fermo restando, ovviamente, che questi dovranno essere adeguati al decoro della professione. Inoltre, e coerentemente, è stata abolita la analitica elencazione tassativa dei mezzi di informazione consentiti, ma sono state conservate, come obbligatorie, quelle indicazioni che possono essere effettivamente utili, se non necessarie, a fornire notizie che possano agevolare la scelta del professionista, quali la sede, l'Ordine di iscrizione, il luogo di esercizio, i titoli, le specializzazioni, i settori di attività prevalente, e così via.



Il testo aggiornato è il seguente:

ART. 17. - Informazioni sull'attività professionale.

L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.

Il contenuto e la forma dell'informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell'ordine.

Quanto al contenuto, l'informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano.

Quanto alla forma e alle modalità, l'informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione.

In ogni caso, l'informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.

I - Sono consentite, a fini non lucrativi, l'organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati.

II - E' consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi.

ART. 17 bis. - Modalità dell'informazione.

L'avvocato che intende dare informazione sulla propria attività professionale deve indicare:

- la denominazione dello studio, con la indicazione dei nominativi dei professionisti che lo compongono qualora l'esercizio della professione sia svolto in forma associata o societaria;

- il Consiglio dell'Ordine presso il quale è iscritto ciascuno dei componenti lo studio;

- la sede principale di esercizio, le eventuali sedi secondarie ed i recapiti, con l'indicazione di indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e del sito web, se attivato;

- il titolo professionale che consente all'avvocato straniero l'esercizio in Italia, o che consenta all'avvocato italiano l'esercizio all'estero, della professione di avvocato in conformità delle direttive comunitarie.

Può indicare:

- i titoli accademici;

- i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari;

- l'abilitazione a esercitare avanti alle giurisdizioni superiori;

- i settori di esercizio dell'attività professionale e, nell'ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente;

- le lingue conosciute;

- il logo dello studio;

- gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale;

- l'eventuale certificazione di qualità dello studio; l'avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell'Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l'indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato;

- i settori di esercizio dell'attività professionale e, nell'ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente;

- le lingue conosciute;

- il logo dello studio;

- gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale.

L'avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione tempestiva al Consiglio dell'Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espresso.

Il professionista è responsabile del contenuto del sito e in esso deve indicare i dati previsti dal primo comma.

Il sito non può contenere riferimenti commerciali e/o pubblicitari mediante l'indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo.



D) Da quanto finora esposto si possono probabilmente estrapolare delle linee guida circa le modalità da seguirsi nel campo della pubblicità informativa, e quindi, a titolo meramente esemplificativo:

a)divieto di utilizzo di forme pubblicitarie che, per contenuti e mezzi di diffusione non rispondano ad esigenze esclusivamente informative, ma che risultino invece rispondenti alla finalità di captazione del cliente;

b)la necessità che lo strumento informativo sia, per chiarezza e trasparenza, idoneo a permettere al cittadino una scelta orientata;

c)il divieto della pubblicità elogiativa;

d)il divieto della pubblicità comparativa;

e)il divieto della pubblicità ingannevole;

f)il divieto di pubblicità aggressiva;

g)il divieto della elencazione di nominativi di clienti noti, anche con il loro consenso (in quanto forma elogiativa e/o in violazione del principio di riservatezza);

h)il divieto della promessa di risultati;

i)il divieto dell’indicazione della percentuale di cause vinte;

j)il divieto di promesse generiche e indeterminate sui costi delle prestazioni;

k)il divieto di forme di pubblicità in violazione dell’art. 19 Codice Deontologico;

l)il divieto di utilizzo di forme, immagini, suoni, mezzi non strettamente necessari alla sola finalità informativa, e comunque invasivi e non compatibili con il decoro della professione, quali per esempio e-mail (spamming), contatti telefonici, volantinaggio;

m)il divieto di forme di pubblicità occulta, quali interviste pubblicate a pagamento (senza che di un tanto ne sia data contezza);

n)il divieto di inserzioni pubblicitarie, collocate in pubblicazioni che per forma e/ contenuti e/o argomenti, abbiano caratteristiche prettamente commerciali o comunque non compatibili con il decoro della professione, quali le pubblicazioni formate per lo più da annunci economici;



L’attività professionale, che è e nasce intellettuale (artt. 2229 e ss. c.c.), è, pertanto, destinata ad una lenta ma inesorabile assimilazione all’attività d’impresa, da sempre considerata, nel codice civile e nell’ordinamento giuridico italiano, distinta e diversamente regolamentata dalle professioni intellettuali c.d. protette.



Barbara Mantile praticante avvocato del Foro di Napoli

 

Giorgio Vanacore avocato. del Foro di Napoli


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16.07.2009 Barbara Mantile e Giorgio Vanacore

Barbara Mantile e Giorgio Vanacore

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