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Anno giudiziario    

Inaugurazione anno giudiziario: si' alla condanna per chi non accetta la conciliazione

La Cassazione relaziona
30.01.2009 - pag. 67369 print in pdf print on web

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136 pagine documentare la sfiducia dei cittadini e l'efficienza della Cassazione che dopo anni riesce a fare piu' sentenze di quanti processi arrivano.

Un risultato doppio per l'efficienza dimostrata e per il numero inferiore di ricorsi ricevuto.

Una parte ci piace segnalare:

Oltre alla previsione dell'ampliamento delle modalità di pubblicazione della sentenza (che potrà essere effettuata, ex art. 120 cod. proc. civ., in funzione riparatoria del danno, anche su testate radiofoniche o televisive o su internet), varie novità riguardano la pronuncia sulle spese.

In tale ambito, il disegno di legge, da un lato, ha inteso limitare la discrezionalità del Giudice nella relativa pronuncia (imponendogli di motivare esplicitamente la decisione di compensare le spese di giudizio, e consentendola solo in presenza di «gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione»); dall'altro lato, ha introdotto un meccanismo sanzionatorio a carico della parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, una proposta conciliativa avanzata dalla controparte; infine, aggiungendo un nuovo comma all'art. 96 cod. proc. civ., ha introdotto la possibilità che il Giudice, anche d'ufficio, condanni il soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non inferiore a mille euro e non superiore a ventimila (e ciò anche al di fuori dei casi non solo di temerarietà, ma anche di colpa grave della parte, oggi richiesta dall'art. 385, quarto comma, cod. proc. civ., del quale si prevede l'abrogazione).

La riforma potrebbe così costituire un serio deterrente nei confronti delle azioni o resistenze in giudizio infondate e non solo temerarie e, dunque, una possibile soluzione all'eccesso di litigiosità che notoriamente affligge il sistema processuale italiano.

 

Segnaliamo qui di seguito la rassegna su privacy e libertà di stampa:

2.3. - Il diritto alla riservatezza La materia del diritto alla riservatezza ha dato luogo a pronunce di rilievo caratterizzate dal fatto che la Corte ne ha esaminato il contenuto in rapporto ad altri diritti costituzionalmente garantiti, provvedendo a stabilire – nell‟ottica del bilanciamento dei valori – se e quando la tutela della privacy debba cedere il passo rispetto ad esigenze considerate prevalenti. In particolare, con riferimento al rapporto tra diritto alla riservatezza e libertà di stampa, si segnala la sentenza n. 10690, relativa ad una particolare vicenda in cui alla pubblicazione di un articolo ritenuto lesivo aveva fatto seguito una parziale rettifica e la proposizione, da parte dell‟interessato, di un‟azione risarcitoria; il giornale, peraltro, aveva provveduto a pubblicare anche la lettera con la quale il danneggiato aveva sollecitato il risarcimento, questa volta indicando il nome e cognome della persona, con conseguente asserita violazione del diritto alla riservatezza. La pronuncia ha precisato che il diritto di cronaca e di critica, che trova il suo fondamento nella libertà di stampa costituzionalmente garantita in ragione del fondamentale interesse del pubblico all‟informazione, è suscettibile di risolversi in attività lesive della identità personale delle persone, intesa come immagine sociale, quand‟anche la pubblicazione non ne offenda l‟onore o la reputazione.

 

L‟interesse della persona a preservare quell‟identità è qualificabile come posizione di diritto soggettivo alla stregua dei principi fissati dall‟art. 2 della Costituzione in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, sicché la lesione di tale diritto consente l‟esperibilità dei rimedi inibitori, risarcitori e speciali apprestati dall‟ordinamento. La libertà di stampa prevale sul diritto alla riservatezza e all‟onore solo se la pubblicazione sia giustificata dalla funzione dell‟informazione e sia conforme ai canoni della correttezza professionale; in particolare, è giustificata dalla funzione dell‟informazione quando sussista un apprezzabile interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti privati in considerazione di finalità culturali o didattiche e, più in generale, della rilevanza sociale degli stessi.

 

La sentenza n. 7261 ha affrontato il delicato problema della pubblicazione giornalistica della fotografia di una persona privata della libertà personale. La legge n. 675 del 1996 ha dettato una norma specifica – ossia l‟art. 25, oggi riprodotta nell‟art. 137 del d.lgs. n. 196 del 2003 – secondo cui le disposizioni relative al consenso dell‟interessato e all‟autorizzazione del Garante non si applicano quando il trattamento dei dati, anche sensibili, è effettuato nell‟esercizio della professione di giornalista e per l‟esclusivo perseguimento delle relative finalità. Nel caso specifico, il Garante aveva inibito ad un quotidiano l‟ulteriore diffusione dell‟immagine di un soggetto in stato di coercizione, già pubblicata sul medesimo. Il tribunale aveva accolto l‟opposizione proposta dal giornale contro il provvedimento inibitorio, con pronuncia impugnata dal Garante.

La sentenza in esame compie una importante affermazione, sostenendo che l‟inessenzialità della pubblicazione di una foto in relazione ad un caso di cronaca non trova riscontro nel dato normativo. Al contrario, la liceità di tale pubblicazione trova espressa conferma nell‟art. 114 cod. pen. In altre parole, al di fuori della ristretta ipotesi regolata dalla citata disposizione del codice, la pubblicazione delle immagini di una persona privata della libertà personale deve ritenersi lecita senza, quindi, che la stessa possa considerarsi inessenziale rispetto all‟informazione. Lo stato reale di detenzione evidenziato dalle manette ai polsi o da altre forme di costrizione in quanto tale che rende non pubblicabile la foto, ma la rappresentazione di tale stato con le modalità predette da parte della foto pubblicata. In altri termini, la foto di un imputato in stato di arresto con le manette ai polsi, se ritrae il predetto in una posa in cui non sono visibili le manette, non incontra alcun divieto normativo alla sua pubblicazione.


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