Diritto Tributario

Dal 19.3.2000 la banca dati tributaria doc.

A cura dell'avv. Franco Ionadi e del dott. Spataro



Accertamento induttivo – Impresa in costante perdita – Anomalia che legittima l’accertamento induttivo.


2008-11-03
abstract: Sentenza Cassazione 2.10.2008 n. 24436

Segnalato da Franco Ionadi


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   La  circostanza  che una impresa commerciale dichiari, ai fini   dell'imposta  sul  reddito,  per  piu'  anni  di  seguito  rilevanti perdite, nonche'  una  ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale  anomala,  di per se' sufficiente a giustificare da parte dell'erario una   rettifica   della   dichiarazione,  ai  sensi  dell'art.  39 succitato, a   meno   che   il  contribuente  non  dimostri  concretamente  la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate.

Testo:

Con il  primo  motivo  si  deduce  la  violazione e falsa applicazione delD.P.R. n.  600  del 1973, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, L. n.825 del  1971,  art.  10,  art.  2729  c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 eart. 2697  c.c.,  nonche' dell'art. 12 preleggi e art. 1362 c.c. per non averela C.T.R.,   cosi'   come   la   C.T.P.,  riesaminato,  come  richiesto  dallacontribuente, i  criteri  adoperati  sia dai verificatori che dall'Ufficio nelprocedere all'accertamento.                                                       Contesta, in  primo  luogo, parte ricorrente il fatto che si sia procedutoall'accertamento induttivo  in  assenza  di quegli elementi che sono richiestidal D.P.R.  n.  600,  art.  39  tali  da far presumere l'inaffidabilita' delleregistrazioni contabili     del     contribuente(formalmente    ineccepibili),presunzioni che  devono  essere  gravi  precise e concordanti; elementi che sie' ritenuto  di  riscontrare nel fatto che la societa' aveva contabilizzato lescorte in  base  al valore anziche' per quantita' e per avere aperto un localeristorante attiguo  a  quello  gia'  esistente  malgrado quest'ultimo fosse inperdita gia' da cinque anni.                                                      La societa'  contesta,  inoltre,  anche  il  criterio  di  riscontro usatodagli accertatori  per  desumere  il  presunto reddito fondato sulle quantita'dei materiali  utilizzati  per  l'attivita'  e  sul  loro  valore  di mercato,ritenendolo astratto  e  non  adeguato dato che il calcolo della produttivita'e' molto  complesso  e  deve  tenere  conto  anche di altri requisiti quali ilpersonale, la clientela, l'oggettiva ricettivita' del locale ecc..                Rileva, altresi',  che  la  C.T.R.  cosi'  come  l'ufficio e la C.T.P., sisono affidati  alle  conclusioni  del  p.v.c.  basate  su presunzioni prive diquegli elementi  prescritti  dalla  legge  e senza riscontrarne le risultanze,come sarebbe  stato  suo  compito, anche in raffronto a quanto sostenuto dallacontribuente ed   alla  presenza  di  contabilita'  formalmente  ineccepibile,invertendo illegittimamente  l'onere  della  prova,  ponendolo  a carico dellaparte privata,  incombendo  invece  all'A.F.  dimostrare  l'esistenza di fatticostitutivi della maggiore pretesa finanziaria.                                   Cosi' operando   la   C.T.R.   avrebbe  violato  il  principio  di  tuteladell'affidamento e  della  buona  fede  del contribuente sancito dallo Statutodel contribuente  e  dai  principi  di giurisprudenza, affidamento applicabileanche ai  rapporti  precedenti  all'entrata in vigore della L. n. 212 del 2000in forza della regola dell'interpretazione adeguatrice alla Costituzione.     Rileva, ancora,   parte   ricorrente   che   puo'  farsi  uso  del  metodo  diaccertamento induttivo  solo  quando sussistono gravi incongruenze tra ricavi,compensi e   corrispettivi   dichiarati  e  quelli  desumibili  dall'attivita'svolta o dagli studi di settore, elementi non riscontrabili nella specie.         Con la  seconda  censura  si  denuncia la violazione dell'art. 360 c.p.c.,n. 5  per  omessa,  insufficiente  e  contraddittoria motivazione per avere laC.T.R. omesso  di  esaminare  e  dare una spiegazione in ordine alle deduzionidell'appellante, affermando  che  esse avrebbero potuto essere valutabili soloqualora fossero  state  vere  le  scritture  contabili  considerate  a  priorifalse, valutando   come   vera   la   posizione   dell'amministrazione   senzaverificare quella  dell'altra  parte  in  completa  violazione  del  principiod'imparzialita'.                                                                  La societa',  infine,  insiste  come  nei  precedenti  gradi  di giudizio,sull'insufficienza della  motivazione  per  relationem  al  p.v.c., basata sulfatto della  condivisione  su quanto in esso contenuto, dando per scontato chefosse sufficiente   per   il   diritto  di  difesa  del  contribuente  l'averepresenziato alle   operazioni   e   la   possibilita'  meramente  astratta  dicontestazione in corso di accertamento.                                           Il ricorso e' infondato.                                                      La censura  relativa  alla violazione di legge con particolare riferimentoal D.P.R.  n.  600  del 1973, art. 39, e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies,citati, e'  infondata.  In effetti, quest'ultima norma dispone fra l'altro, alcomma 3,  che  gli  accertamenti  condotti  ai  sensi  del  menzionato art. 39(comma 1,  lett.  d)  "possono  essere  fondati  anche sull'esistenza di graviincongruenze tra  i  ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quellifondatamente desumibili   dalle   caratteristiche   e   dalle   condizioni  diesercizio della  specifica  attivita'  svolta, ovvero dagli studi di settore",cui si  riferisce  il  precedente  art.  62  bis.  In  virtu'  di  tale norma,l'ufficio -  allorche'  ravvisi "gravi incongruenze" fra i valori dichiarati equelli ragionevolmente  attesi  in  base  alle  caratteristiche dell'attivita'svolta od  agli  "studi  di settore" - puo' fondare l'accertamento di maggioriricavi, rispetto  a  quelli  dichiarati, anche su tali "gravi incongruenze" e,quindi, anche  al  di fuori delle ipotesi previste dall'art. 39 citato: il checostituisce, in  pratica,  un  ulteriore  elemento  presuntivo,  di  caratterelegale, certamente  ammissibile  anche in presenza di contabilita' formalmenteregolare (come,  in  genere,  si  verifica  in  presenza  di  gravi, precise econcordanti presunzioni: Cass. nn. 10649/2001, 8494/1998, 4555/1998).             Peraltro anche  il  D.P.R.  n.  600  del 1973, art. 39, comma 1, lett. d),richiamato, dispone  che,  in  tema  di  accertamento  delle imposte, anche inpresenza di  una  contabilita'  formalmente  regolare  come  nella  specie, e'consentito procedere  alla  rettifica  della  dichiarazione dei redditi, senzariscontro analitico   della   documentazione,  secondo  il  metodo  cosiddetto"induttivo", purche'   l'accertamento   in   rettifica   risulti   fondato  supresunzioni assistite  dai  requisiti  previsti  dall'art.  2729  cod.  civ. edesunte da  dati  di  comune esperienza, oltre che da concreti e significativielementi offerti  dalle  singole  fattispecie e la circostanza che una impresacommerciale dichiari,  ai  fini  dell'imposta  sul  reddito,  per piu' anni diseguito rilevanti  perdite,  nonche'  una  ampia  divaricazione  tra  costi  ericavi, costituisce  una  condotta commerciale anomala, di per se' sufficientea giustificare  da  parte  dell'erario  una  rettifica della dichiarazione, aisensi dell'art.  39  succitato,  a  meno  che  il  contribuente  non  dimostriconcretamente la  effettiva  sussistenza  delle  perdite  dichiarate(cfr.  pertutte, cass. civ. sent. n. 21536 del 2007).                                       Nella fattispecie   in   esame,   tale   anomalia   e'   significativa  edulteriormente aggravata   dal   fatto   che,  malgrado  i  risultati  negativiottenuti per  cinque  anni,  per come risultano dalla contabilita' esaminata edisattesa prima  dai  verificatori  e  poi  dall'Ufficio,  la societa' avrebbeinsistito nella   stessa  attivita',  come  rilevato  in  sentenza  in  palesecontrasto "con   i   principi   di  ragionevolezza,  anche  sotto  il  profilodell'antieconomicita' del     comportamento     della     contribuente     cheinspiegabilmente si  sarebbe  decisa  ad  aprire un altro esercizio contiguo".Ne' le  giustificazioni  addotte  dalla  contribuente appaiono ragionevolmentetali da superare quanto affermato e dall'A.F. e dai giudici del merito.           Anche il  denunciato  vizio  di  omessa,  insufficiente  e contraddittoriamotivazione e' inesistente.                                                       Occorre in  primo  luogo  chiarire  che in materia di imposte sui redditi,l'avviso di   accertamento   deve  porre  il  contribuente  in  condizione  diconoscere le   ragioni   della   pretesa  tributaria.  Il  relativo  onere  dimotivazione, posto  a  carico  dell'Amministrazione,  puo' essere assolto "perrelationem", mediante  il  riferimento  a  elementi offerti da altri documenticonosciuti o  conoscibili  dal  destinatario,  come  il  processo  verbale  diconstatazione di  verificatori  degli  Uffici  erariali  o  della  Guardia  difinanza, notificato  o  consegnato  al contribuente, senza che occorra per gliavvisi emessi  in  data  anteriore  all'entrata  in vigore della L. n. 212 del2000 che  siano  allegati  i  documenti cui l'atto fa riferimento. Ne consegueche, ove  vertesi  (come nella specie) in ipotesi, di dedotta motivazione "perrelationem" dell'atto  di  accertamento  -  il  quale richiamava un verbale diconstatazione effettuato   nei   confronti  della  contribuente  consegnato  onotificato, il  giudice  tributario  e'  solo  tenuto a verificare se gli attinotificati alla    contribuente   contengano   gli   elementi   necessari   adindividuare la  pretesa  tributaria, rivestendo, in caso positivo, l'eventualerichiamo ad  altri  documenti  carattere aggiuntivo e non essenziale (cfr., exmultis, cass. civ. sentt. nn. 4989 del 2003 e 12394 del 2002).                    La conoscenza  del  verbale  di  constatazione non e' mai stata contestatadalla contribuente  e  per  quanto  attiene  ai  giudici  tale  conoscibilita'risulta dalla  sentenza  nella  quale  si  fa  riferimento ad una quantita' dielementi che ne presuppongono la piena cognizione.                                La C.T.R.  osserva,  inoltre,  che,  nel caso di specie, l'ufficio avrebbelegittimamente applicato  il  metodo  induttivo  per  la  ricostruzione  degliesatti ricavi,  giungendo  a  risultati  accettabili,  in  presenza di un datocerto ed  obbiettivo  costituito  dalle  quantita' di commestibili in concretoutilizzati dal  ristorante,  partendo  da  quantita' di materie prime per ognivivanda senza   altro  superiore  a  quella  normalmente  impiegata,  criteriodotato di  assoluta  attendibilita'  o  quantomeno maggiore di quello dato dalnumero di  tovaglioli  lavati,  invocato  dalla  ricorrente,  che  non puo' inalcun modo    risultare    piu'   attendibile   tenuto   anche   conto,   comeragionevolmente supposto  dalla  C.T.R.,  della  possibilita'  d'uso,  per  lepizze, per i pasti dei soci e dei dipendenti, dei tovaglioli di carta.            In realta',  vengono  anche  enumerati  altri  dati  giustificativi  dellapresunzione di  reddito,  affermando  che relativamente ai pasti consumati daidipendenti (sei  a  tempo  indeterminato  e quattro a tempo determinato) per iquali la  societa'  ha  invocato  la  detrazione  dalla  quantita'  dei  pastiaccertati, la  stessa  non  ha  mai provato ne' il numero degli stessi ne' chequesti fossero  stati  somministrati a titolo gratuito. In base a questi dati,che la  commissione  regionale  ritiene  congruamente  accertati, il giudice aquo perviene  alla  conclusione  che  l'accertamento  dell'Ufficio,  oltre chelegittimo, deve  ritenersi  valido  anche  sotto l'aspetto quantitativo stantel'iter logico  seguito  per  la ricostruzione dei ricavi; per cui il risultatodell'accertamento, desunto  da  tali  fatti  noti,  e'  logico  e conseguente.Peraltro, una   volta   che   l'Amministrazione   finanziaria  ha  provato  lafondatezza della  pretesa  fiscale,  e'  onere  del  contribuente  provare glieventuali fatti  impeditivi  o  contrari,  onere  ritenuto  non  assolto dallaC.T.R..                                                                           Appare evidente,  quindi,  dall'esame  della  sentenza  impugnata,  che lamotivazione sopra  riassunta  e'  esaustiva  e  coerente sicche' la censura diessa e' infondata.                                                                Ne', infine,  e'  compito  di questa Corte rivalutare nuovamente tutti glielementi di  fatto  gia'  portati all'attenzione del giudice di merito, la cuivalutazione, risolvendosi  nell'apprezzamento  di  elementi  di  fatto, non e'censurabile in  sede  di  legittimita', se sorretta da motivazione adeguata edimmune da  vizi  logici  o  giuridici.  Il  giudice del merito, infatti, ha ilpotere discrezionale   di   fondare   il   proprio   convincimento  su  alcunerisultanze probatorie   anziche'   su   altre,   purche'   ne   dia   adeguatamotivazione, dalla   quale,  peraltro,  e'  sufficiente  che  risulti  che  ilconvincimento nell'accertamento  dei  fatti  si  sia  formato  attraverso  unavalutazione complessiva   delle  risultanze  probatorie  ed  appaia  logico  ecoerente il  preminente  valore  attribuito,  sia  pure  per  implicito,  allerisultanze utilizzate,   senza  necessita'  di  esplicita  confutazione  dellealtre (cfr., ex multis, cass. civ. nn. 10484 e 5235 del 2001).                    Sotto tale  profilo  -  in  quanto  riferibile  alla  valutazione data dalgiudice di  merito  agli elementi indiziati, esaminati con adeguata e coerentemotivazione -  la  censura  sarebbe anche inammissibile, perche' colpirebbe ilrisultato di  un  giudizio  di  fatto,  come  tale  non sindacabile in sede dilegittimita'.                                                                     Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.                     Nulla si  deve  decidere  in  ordine  alle  spese del presente giudizio dicassazione, poiche'  in  questa  fase  la  parte intimata non ha svolto alcunaattivita' difensiva.                                                                                                                                                                            P.Q.M.                                                                                                                      La Corte rigetta il ricorso.                   

 


2008-11-03 Segnalato da Franco Ionadi








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