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Osservatorio sul diritto e telecomunicazioni informatiche, a cura del dott. V. Spataro dal 1999, 9341 documenti.

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Partita iva 24.01.2008    Pdf    Appunta    Letti    Post successivo  

La Cassazione 11141 del 1996 sulla tassazione di prestazioni pubblicitarie eseguite da soggetti stranieri. Applicabile l'iva a Google Adwords ?

Cassazione Sezione I del 13/12/1996 n. 11141 -Photo credit to fabrahams
Spataro

 

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P

Per evitare equivoci raccomandiamo: parlatene con il vostro commercialista e non tirate conclusioni affrettate !

Particolarita' del caso:

  1. si applica a chi acquista spazi pubblicitari da imprese estere per pubblicare pubblicità all'estero
  2. la stabile organizzazione all'estero di chi "veniva pagato" e
  3. l'effettuazione di pubblicità all'estero !

Il caso non riguarda Google, ma per la singolarità della questione offre spunti di riflessione.

 

Cassazione Sezione I del 13/12/1996 n. 11141



Massima dell'agenzia delle entrate:

 

"non si considerano effettuate nel territorio dello Stato italiano e percio' non sono assoggettabili ad IVA, le prestazioni di servizi pubblicitari eseguite, da soggetti stranieri, a soggetti domiciliati nel territorio dello Stato o a soggetti ivi residenti, quando esse siano utilizzate fuori dell'area CEE, per luogo di utilizzazione deve intendersi non gia' quello in cui viene acquisito il finale risultato "economico" della prestazione, ma quello in cui e' stata concretamente esplicata l'attivita' oggetto della prestazione."



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



L'Amministrazione finanziaria dello Stato ricorre avverso la decisione n. 3676 del 26.5.92 con cui la Commissione tributaria centrale, nella controversia tra l'Ufficio IVA di Milano ed il Fallimento della ___ spa concernente l'accertamento (del 28.6.85) di quella imposta per l'anno 1982, respinse il ricorso proposto dall'Amministrazione contro la decisione della Commissione di secondo grado; accolse il ricorso incidentale della societa' contribuente; dichiaro' esistente, per effetto di sanatorie, le violazioni relative ai rilievi 1, 12, 14, 16 dell'avviso di accertamento; assorbiti il terzo motivo del ricorso principale ed il terzo ed il quarto dell'incidentale; annullo' la decisione impugnata in relazione al motivo accolto ed alle dichiarate estinzioni e l'avviso di accertamento in relazione ai rilievi nn.ri 1, 10, 12, 14, 15 e 16.



Contro il menzionato avviso di accertamento, il "fallimento" della ___ spa aveva contestato la legittimita' dell'atto per insussistenza dei presupposti che legittimano l'applicazione del metodo induttivo di accertamento e, in subordine, la fondatezza di nove dei sedici rilievi.



La Commissione tributaria di primo grado rigetto' il ricorso.



Quella di secondo determino' l'I.V.A. dovuta per l'82 in lire 6.427.824.000 e le pene pecuniarie in 12.870.548.000, annullando i rilievi di cui nn.ri 5, 6, 7a. Quanto ai rilievi nn.ri 12 e 16 - omessa conservazione di ventisei "fatture" di acquisto e di cento "bolle" di accompagnamento, ridimensiono' le pene riconoscendo la detraibilita' dell'I.V.A. corrisposta sugli acquisti per l'importo di L. 307.995.000. Confermando la decisione sugli altri punti.


L'Amministrazione finanziaria propose ricorso alla Commissione tributaria centrale deducendo la illegittimita' della decisione impugnata per i capi concernenti i rilievi nn.ri 5, 6, 7a, 12, 16 dell'accertamento nulla deducendo in ordine al riconoscimento della detraibilita' dell'IVA sugli acquisti per L. 307.995.000.



Con ricorso incidentale, il Fallimento della ___ spa contesto' la decisione relativamente ai capi 1, 10, 14, 15 dell'avviso di accertamento.



Successivamente, il "Fallimento", essendo entrato in vigore il di' n. 69-89 convertito nella L. n. 154-89, chiese la dichiarazione di estinzione delle violazioni di carattere formale contestate con i rilievi 1, 12, 14, 16 dell'avviso di accertamento.



La CTC affermo', in relazione alle fatturazioni di operazioni inesistenti, che l'art. 21, settimo comma, del dpr 633-79, non aveva carattere sanzionatorio e che solo riconoscendolo sarebbe stata corretta la pretesa di corresponsione, senza recupero, dell'IVA di riferimento. In effetti, se le fittizie cessioni dovevano ritenersi soggette all'imposta doveva, in tal caso, seguirsi il normale regime di tassazione, cosi' evitando ogni possibile duplicazione di imposta.


Sottolineo', inoltre, quanto alla territorialita' dell'imposta, che non era legittima la decisione della Commissione di secondo grado laddove aveva considerato imponibile il servizio pubblicitario ricevuto all'estero da un "cedente" extracomunitario qualora se ne avvantaggiava un "residente" atteso che il "residente" non cessava di essere tale per avere all'estero una stabile organizzazione.


Sull'impugnazione incidentale rilevo' che la fattura commerciale doveva considerarsi "emessa" con la registrazione mentre la "consegna o la spedizione" al destinatario segnavano la decorrenza del termine per la registrazione. Con la conseguenza che, in mancanza di consegna o di spedizione e di registrazione effettuata, era dalla data di questa operazione che doveva considerarsi emessa la fattura.



Sottolineo', inoltre, che le operazioni non imponibili restano tali anche se erano state oggetto di simulazione.



Ricorre, dunque, l'Amministrazione finanziaria dello Stato sulla base di due motivi. Resiste, con controricorso, il "Fallimento" della ___ spa.



MOTIVI DELLA DECISIONE



Con la prima censura, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.li 8, comma 2 21, commi 4, 6 e 7; 23, comma 1: 27, comma primo, 28 e 43 del dpr 26.10.72 n. 633; omesso esame di punti decisivi in relazione all'art. 360 nn.ri 3 e 5 cpc.



Deduce, in particolare, che nel corso del 1982, la ___ spa aveva effettuato acquisti ed importazioni, "senza pagamento" dell'IVA per lire 43.221.572.000, avvalendosi dell'art. 8, comma secondo, del cit. dpr e, quindi, dichiarando l'intenzione di esportare i beni acquistati. Gran parte dell'importo riguardava importazioni dagli USA di beni forniti da ___ spa non aveva pagato l'IVA all'importazione e non aveva subito la rivalsa ex art. 18 del cit. dpr. Deduce, inoltre, che tra il febbraio ed il novembre dell'82, la societa' aveva redatto ai sensi dell'art. 21 ed annotato ex art. 23, comma 1, nell'apposito registro, 44 fatture relative a cessioni di beni per complessive lire 44.724.640.000, senza addebito di IVA a carico dei cessionari e senza versamento di IVA, essendo state le cessioni qualificate "non imponibili" ex art. 8 cit. (cessioni all'esportazione).



La ricorrente sottolinea che le operazioni di importazioni dagli Usa e di esportazione erano state considerate "inesistenti" senza esauriente esplicitazione delle ragioni a confronto dell'affermazione di cui al processo verbale della polizia tributaria. Esaminando il comportamento difensivo della contribuente, l'A.F. rileva che, dopo avere sostenuto nel primo grado di giudizio, di avere "emesso ed annotato" le fatture, tutte riferibili ad operazioni non imponibili ex art. 8, 1 comma, sicche' nessun danno era stato arrecato all'erario; dopo aver dichiarato che la maggior parte delle fatture era stata pagata in tutto o in parte, dopo non aver lamentato alcunche', in sede di appello, in ordine alle annotazioni, delle importazioni "senza pagamento" dell'IVA ed in ordine alle cessazioni all'esportazioni, nel corso del giudizio di secondo grado, il "Fallimento" aveva capovolto la propria linea difensiva sostenendo la inesistenza delle cessazioni all'esportazioni, precisando, anzi, che le relative fatture non erano state spedite ai cessionari esteri.



Sottolinea l'AF che la decisione della CTC - pronunziata con riferimento alla linea difensiva adottata dal "Fallimento" nel giudizio di appello - nell'affermare il principio che la simulazione concerne una cessione non imponibile quella cessione non muta regime sol perche' simulata, e' erronea. Ed invero, secondo la ricorrente, la norma di cui all'art. 21, comma settimo, e' di portata generale e non prevede eccezioni; sarebbe incongrua l'indagine sul suo carattere sanzionatorio o sulla sua natura simulata; la decisione, e la sua motivazione, lungi dal trovare conforto in principi logici, come sostenuto dalla CTC, sono contrarie alla lettera ed allo spirito della disciplina IVA. Ne' poteva attribuirsi rilievo alla asserita mancanza di danno per l'erario, in ragione della impossibilita' per i cessionari statunitensi di utilizzare le fatture per detrarre l'IVA, atteso che l'evento dannoso, come elemento della fattispecie impositiva, non e' previsto. Ne' e' da trascurare che la possibilita' di danno e', secondo l'AF, comunque, possibile in riferimento ad operazioni inesistenti, diverse da quelle corrispondenti ad operazioni imponibili. Al riguardo, la ricorrente afferma che operazioni inesistenti, apparentemente esenti, possono alterare, in danno del fisco, il c.d., "pro rata"; che cessioni all'esportazione inesistenti possono essere utilizzate per acquisire i molteplici vantaggi accordati agli esportatori dalla normativa IVA; che operazioni inesistenti apparentemente esenti o non imponibili possono essere utilizzate per sottrarre al "sistema" IVA beni ceduti o servizi prestati a soggetti che, per varie ragioni, non possono recuperare l'IVA "a monte"; che siffatte operazioni possono essere utilizzate per evadere gli obblighi di versamento IVA dovuta dal soggetto passivo. Da ultimo, la ricorrente rileva che l'errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTC avrebbe determinato l'omesso esame di punti decisivi concernenti, tra l'altro, la sorte dei beni non trovati nei luoghi di esercizio dell'attivita' del contribuente.



Il motivo non e' fondato.



E' convincimento di questa Corte che l'accertamento della rilevanza della simulazione concernente operazioni esenti - e, quindi, operazioni contabilizzate, per loro natura esenti ma che si accertino essere inesistenti - ai fini dell'applicabilita' dell'imposta sul valore aggiunto dovuta a termini dell'art. 21, 7 comma, del dpr n. 633-72, ha priorita' logica rispetto all'accertamento della rilevanza giuridica della "fattura" in quanto "emessa" alla stregua della normativa del dpr 633-72 e succ. modificazioni. Il primo aspetto dell'indagine, se risolto in aderenza al principio che un'operazione di per se' "non imponibile" non diviene "imponibile" per essere stata simulata, assorbe il secondo che ha ambito meno vasto e carattere meno risolutivo.



Orbene, che operazioni contabilizzate, ma che si accertino essere inesistenti, determinino l'applicazione dell'IVA secondo il citato articolo 21, 7 comma, non comporta che la medesima disciplina si applichi alle operazioni che il legislatore ha definito "esenti". La diversa conclusione, innegabilmente fondata sul presupposto che la "simulazione" di una operazione attribuirebbe ad essa diversi caratteri mutandone la natura (da "esente" ad "imponibile"), non trova conforto ne' in principi logici - come ha pertinentemente asserito la Commissione tributaria centrale nella decisione impugnata - ne' nelle finalita' e nel contenuto della norma. Adottando conclusioni diverse, si introdurrebbe nel sistema una sostanziale sanzione non prevista dal legislatore in spregio del principio di "cartolarita'" che caratterizza la specifica disciplina dell'IVA.



L'affermazione dell'AF, secondo cui l'obbligo di corrispondere l'imposta sorge anche in riferimento alla fatturazione di operazioni inesistenti "non tassate", non e' confortata dalle considerazioni gia' formulate dalla ricorrente. Per vero, la asserita generalita' dell'articolo 21, comma 7, e la sua operativita' "senza eccezioni", non incide sulla questione in esame atteso che la c.d. "portata generale" non implica che quella norma regoli fattispecie che il legislatore ha espressamente esentato dalla imposta (art. 8 del dpr 633-72). Il quesito da risolvere concerne la individuazione dell'ambito in cui la norma deve operare da esso sono escluse le operazioni inesistenti "esenti". Come ha fondatamente sottolineato il controricorrente, allorche' il legislatore, nel sanzionare la fatturazione fittizia, ha stabilito che l'imposta e' dovuta per l'intero ammontare indicato nella scrittura contabile ha inteso far riferimento all'imposta astrattamente dovuta per la operazione dichiarata nella fattura. Ma se per quella operazione non e' dovuta l'imposta in ragione di espressa esenzione, non ricorre affatto la possibilita' applicativa dell'art. 21, 7 comma, che, lo si ripete, disciplina operazioni, non esistenti, ma contabilizzate ed astrattamente imponibili.



Cio' rende superfluo l'esame della compatibilita' della norma con l'art. 21, lett. c, della VI Direttiva CEE del 17.5.77 n. 338.



Quanto all'affermazione che l'evento dannoso non costituisce un dato della figura impositiva prevista dall'art. 21, 7 comma, e' sufficiente rilevare, per un verso, che la esclusione delle operazioni esenti, per le ragioni espresse, e' risolutivo ed assorbente; per l'altro, che con il riferimento al danno si e' inteso unicamente additare il fine che ha mosso il legislatore. Gli altri inconvenienti segnalati dalla ricorrente (possibilita' di pregiudizio economico per l'erario nel caso prevalesse la interpretazione espressa nella decisione impugnata), essi, prescindendo da ogni altra considerazione, non possono conferire alla norma significati diversi da quelli suoi propri: Siccome sono stati esposti. La censura di omesso esame non ha consistenza giuridica atteso che essa prescinde dalle contestazioni effettuate alla contribuente e, dunque, dall'effettivo, formale oggetto della controversia. La Commissione tributaria centrale non doveva portare il proprio esame su questioni estranee al processo tributario.



Con il secondo motivo, l'Amministrazione finanziaria denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cc; degli art.li 7, comma quarto; 17, comma terzo, 21, comma quinto, 41, comma primo, del dpr n. 633-72, come da applicarsi nel 1982; omesso esame di punti decisivi, in relazione all'art. 360 nn.ri 3 e 5 cpc. Deduce, in particolare, la illegittimita' dell'affermazione, resa dalla CTC nella decisione impugnata, secondo cui non e' assoggettabile ad IVA una operazione pubblicitaria eseguita da imprenditore statunitense, negli Stati Uniti d'America, a favore della ___ spa, contribuente residente in Italia, utilizzata fuori dell'area CEE.



Cio' in relazione alla contestazione di omessa autofatturazione. La questione si risolve nell'individuare il luogo di utilizzazione. Se, come afferma la ricorrente, esso coincide con il luogo in cui il committente acquisisce il finale risultato economico della prestazione o se, in base al principio enunciato nella decisione impugnata, esso va additato con riferimento al luogo in cui e' stata realizzata l'attivita' oggetto della prestazione.



La censura - formulata nel presupposto che si debba aver riguardo alla residenza o alla sede del committente del servizio pubblicitario e non del prestatore del servizio e che l'eccezione: "a meno che non siano (le prestazioni) utilizzate fuori dalla CEE" debba essere provata dal committente - e' priva di fondamento giuridico. Alla decisione contestata, la CTC e' pervenuta nel convincimento che la tesi dell'Ufficio finanziario snaturerebbe la norma (art. 7 del dpr n. 633-72) atteso che, se fosse esatto lo assunto dell'AF, il servizio pubblicitario ricevuto all'estero da un "cedente" extracomunitario sarebbe sempre "imponibile" per il solo fatto che a trarne vantaggio economico finale e' un "residente".



In effetti, la norma, nel tasto in vigore al tempo della contestazione, escludeva l'applicazione dell'IVA per le operazioni pubblicitarie fornite da soggetti esteri in favore di residenti purche' "la utilizzazione del servizio avvenisse fuori dei territori CEE".



Ora, le condizioni previste sono state, legittimamente, ritenute esistenti della CTC, poiche' il processo di identificazione del luogo di utilizzazione del servizio pubblicitario comporta, per esigenze di razionalita', che se esso (luogo di utilizzazione) sia fuori dai territori CEE, e, quindi, se la utilizzazione della prestazione pubblicitaria e' fatta in favore del "contribuente", fuori dalla CEE per la sua attivita', l'imposta non deve essere applicata.


Deve, in sostanza, escludersi che il luogo di utilizzazione possa farsi coincidere con quello in cui il committente acquisisce il finale risultato "economico" della prestazione; lo si deve, invece, identificare con quello in cui e' stata esplicata l'attivita' oggetto della prestazione, utilizzata, per l'appunto, "in quel luogo" dal committente sia pure con piu' diretto riferimento alla sua attivita' estera. Diversamente, il servizio pubblicitario, realizzato all'estero da soggetto extracomunitario, ed utilizzato dal contribuente - residente, magari attraverso la propria stabile orgnizzazione locale, sarebbe sempre imponibile, contrariamente alla chiara volonta' del legislatore. Puo' concludersi che il richiamo al luogo di acquisizione del "finale risultato economico" - secondo la proposizione dell'Amministrazione ricorrente - introduce nella vicenda tributaria un elemento del tutto estraneo, e, comunque, non direttamente rilevante per la realizzazione dei fini tributari, essendo "luogo di utilizzazione" - lo si ribadisce - quello in cui l'attivita' oggetto della prestazione e' stata utilizzata, anche attraverso la propria emanazione estera, dal committente per la sua attivita'.



Nella singolarita' della questione i giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimita'.



P.Q.M.



La Corte respinge il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimita'. Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.

24.01.2008 Spataro
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