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"Il sogno e' volare insieme all'aria, non ad un balcone." - V.S.



Sportivo    

Corpi perfetti tra pillole e falsi traguardi

Il "nostro" Alberto Foggia su SocialNews
08.11.2007 - pag. 45917 print in pdf print on web

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su studi di legal design e analisi testuali e statistiche

    S

    Su SocialNews possiamo leggere l'articolo di Alberto Foggia curatore della banca dati Sportivo su Civile.it che riportiamo qui su autorizzazione dell'autore.

    Al link sopra indicato l'articolo alla fonte.

    L'avv. Foggia cura sportivo e procedura civile su Civile.it


    Chi assume sostanze dopanti può incorrere, oltre che in gravi conseguenze fisiche e alterazioni psichiche in illeciti sportivi e in reati. Inoltre, dietro il commercio degli integratori alimentari autorizzati dalla legge, si nascondono spesso floridi mercati clandestini che senza alcun controllo introducono nelle nostre palestre prodotti che possono addirittura rivelarsi letali

     

    Sport = salute psicofisica; Sport = divertimento; Sport = abilità; Sport = coraggio; Sport = spirito di iniziativa; Sport = difesa da molti mali sociali (droga, solitudine, stress …); Sport = serenità; Sport = aggregazione; Sport = … (e potremmo continuare all’infinito …) Peccato, però, che oggigiorno tutto ciò sia diventato troppo bello per essere vero! In effetti ora lo Sport è spesso sinonimo di soldi, trucchi, raggiri, violenza e, soprattutto, doping! Il doping (il cui termine pare risalente ad un’antica tribù dell’Africa Sud Orientale che col termine “dop” indicava un forte liquore che utilizzava come stimolante in occasione delle cerimonie religiose) è da intendersi come l’assunzione/somministrazione di medicinali o effettuazione di pratiche mediche illecite non giustificate da condizioni patologiche, ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni degli atleti; tale modus operandi si è ormai sviluppato (senza alcun ritegno) a macchia d’olio in tutte le pratiche sportive sia nell’attività agonistica che non, e perfino in età scolare. Studi recenti hanno messo in luce, soprattutto tra i giovani sportivi che svolgono attività amatoriale, sia una superficiale conoscenza delle problematiche connesse al doping sia la tendenza ad assumere anche sostanze dopanti pur di raggiungere traguardi ambiti; molti di tali giovani si trovano nelle palestre nostrane ed è facile riconoscerli: fisici scultorei e armoniosi, a volte perfetti. Ma il gioco vale la candela? Chi assume sostanze dopanti può incorrere, oltre che in gravi conseguenze fisiche invalidanti, alterazioni psichiche e, talvolta, secondo l’attività praticata (professionistica o amatoriale), in illeciti sportivi e anche in reati. Senza poi trascurare che dietro il commercio di integratori alimentari (dalla legge autorizzati), si nascondono spesso floridi mercati clandestini – i più attivi provenienti dall’Europa dell’Est – che, senza alcun controllo, introducono nelle nostre palestre prodotti che in talune occasioni possono addirittura rivelarsi letali. Ben venga quindi l’opera di prevenzione finalmente attuata con ottimi risultati dalle Autorità di Pubblica Sicurezza nostrane e dalle Istituzioni tese – da una parte – a sensibilizzare maggiormente gli sportivi sulla natura, gli effetti e le conseguenze delle sostanze dopanti (le recenti campagne antidoping del Ministero della Sanità ne sono un esempio), e – dall’altra – a delineare chiaramente i confini tra lecito e illecito (lo testimonia la legge 376/2000).

     

    Evoluzione legislativa

    L’inquadramento giuridico dell’allarmante fenomeno del doping è cosa tutt’altro che semplice a causa dei numerosi provvedimenti legislativi che, nel tempo, si sono succeduti nel settore, l’ultimo dei quali intervenuto ad opera della legge n.376 del 2000: un breve excursus storico seguito dalle risposte ad alcuni dei più frequenti interrogativi in merito all’applicazione della attuale legge in vigore può comunque servire ad orientare il lettore in questo labirinto di leggi e decreti tanto caro al legislatore italiano.

    1) La legge 26 ottobre 1971, n. 1099 (Tutela sanitaria delle attività sportive).

    Per la prima volta, nella nostra legislazione si prevede come reato sia la condotta dell’atleta che fa uso di sostanze (nocive alla salute) al fine di alterare le proprie prestazioni agonistiche sia quella di colui che somministra tali sostanze allo sportivo.

    Purtroppo, nella sua applicazione pratica la legge si è rivelata scarsamente efficace nel combattere il doping sia a causa della tenuità delle sanzioni penali previste (solo un’ammenda) sia perché l’elenco delle sostanze dopanti non è mai stato aggiornato ai nuovi farmaci via via introdotti sul mercato.

    Oltretutto, la legge n. 689 del 1981 ha depenalizzato i reati in questione derubricandoli a semplici illeciti amministrativi, al pari dell’eccesso di velocità o della sosta vietata! è di tutta evidenza, dunque, che le conseguenze sull’effetto deterrente esercitato da sanzioni di così modesta entità vengano quasi sempre vanificate.

    2) La legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive).

    Seppure introdotta essenzialmente per altro scopo, ovvero per cercare di combattere il fenomeno delle scommesse clandestine sportive, tale normativa sembra punire anche il doping nelle competizioni sportive organizzate dal Coni, dall’Unire o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato. Le opinioni in proposito degli operatori del diritto sono diametralmente opposte, con buona pace per le soluzioni semplici. La querelle nasce essenzialmente dal tenore letterale della disposizione di legge che prevede la punizione di chiunque “compie atti fraudolenti … al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione”. Secondo una corrente di pensiero, il doping sarebbe da considerarsi un atto fraudolento che l’atleta compie con il fine di alterare l’esito della competizione sportiva; per un’altra, invece, la condotta fraudolenta sarebbe esclusivamente quella dell’accordo tra lo sportivo e un soggetto esterno che paga l’atleta per pilotare il risultato finale della competizione già stabilito a tavolino. Può essere utile a questo proposito riportare il dictum di una tra le tante pronunce della Corte di Cassazione in materia, secondo la quale “i comportamenti fraudolenti previsti dalla suddetta norma consistono in attività proiettate all’esterno delle persone che le hanno deliberate ed in qualche modo sinallagmatiche posto che collegano alla distorsione della gara, che il soggetto esterno persegue, denaro od altra utilità perseguita dall’altro soggetto partecipante alla gara: dette caratteristiche mancano nei fenomeni autogeni di doping che trovano adeguata sanzione negli ordinamenti sportivi”.

    3) La legge 14 dicembre 2000, n. 376 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping). Viene introdotta col compito di ricomporre i piccoli frammenti di tutela confusamente sparsi in alcune (precedenti) leggi speciali. La nuova legge – in cui si richiama il decreto del Ministero della Salute del 15 ottobre 2002 recante l’elenco dei farmaci, delle sostanze biologicamente e farmacologicamente attive e delle pratiche mediche dopanti (emanato solo il 15 ottobre 2002) – ha inteso privilegiare soprattutto il valore della salute dell’atleta e della sua integrità psicofisica Ciò è facilmente ricavabile dalla dizione del suo art. 1, comma 1, per il quale “L’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere informata al rispetto dei valori etici e dei principi educativi richiamati dalla Convenzione di Strasburgo contro il doping”.

    Tale legge, nei successivi commi 2 e 3 dello stesso art. 1 sopra citato, definisce doping “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti” (comma 2), e la somministrazione delle stesse sostanze “finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e della pratiche indicati nel comma 2” (comma 3). Con tale normativa, quindi, vengono ora equiparati al doping vero e proprio anche le condotte cosiddette “mascheranti”, ovvero l’assunzione di farmaci o pratiche che consentono di nascondere, in occasione dei controlli, gli effetti del doping (si pensi alla sostituzione o manomissione delle urine).

     

    Ma quali sono, oltre a quella sopra citata relativa al perseguimento degli “agenti mascheranti”, le più importanti novità della legge 376/2000?

    Innanzitutto, l’introduzione di responsabilità penali gravi, mai in passato previste, sia a carico dell’atleta che di chi somministra le sostanze proibite; in secondo luogo, un’estensione della normativa a tutte le competizioni agonistiche in cui siano coinvolti gli atleti (e non solo a quelle organizzate dal Coni, dall’Unire o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato, come era previsto dalla precedente legge); inoltre, specifiche sanzioni accessorie (interdizione temporanea o permanente dall’attività sportiva e sanitaria) per chi assume e somministra sostanze vietate; pene consistenti per chi commercia illegalmente farmaci o sostanze dopanti; istituzione di una Commissione di Vigilanza e di Controllo (Commissione Antidoping) di nomina ministeriale. La nuova legge prevede anche un’articolata casistica di reati, in particolare:

    a) Il delitto di procacciamento, somministrazione, assunzione o favoreggiamento dell’utilizzo di sostanze dopanti, punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la sanzione da tre mesi a tre anni di reclusione e con la multa da 2.582,00 a 51.645,00 Euro. Viene dunque punito nello stesso modo sia l’atleta che assume sostanze dopanti sia chi ne favorisce il suo uso.

    b) Il delitto di adozione o sottoposizione a pratiche mediche dopanti punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, sempre con la sanzione da tre mesi a tre anni di reclusione e con la multa da Euro 2.582,00 a Euro 51.645,00.

    Vi rientrano tutte le attività di prescrizione e predisposizione di pratiche mediche dopanti comprendenti, oltre che l’utilizzo dei sopra citati “agenti mascheranti”, anche il cosiddetto “doping ematico o trasfusione ematica” (autologa e/o eterologa).

    c) Il delitto di commercio illegale di farmaci o sostanze dopanti.

    Viene punito chi commercia farmaci e sostanze dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci destinati alla loro utilizzazione sul paziente.

    Ad oggi, da una disamina delle varie pronunce in materia, non è ancora ben chiaro e definito se per commercio di sostanze dopanti debba intendersi esclusivamente un’attività organizzata, svolta in modo continuativo, o anche qualsiasi forma di cessione dietro compenso.

    Vi sono poi circostanze che aggravano il reato quando:

    a) dal fatto deriva un danno per la salute;

    b) il fatto è commesso nei confronti di un minorenne;

    c) il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del Coni, ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal Coni. In tal caso, a tale condanna consegue l’interdizione permanente del reo dagli uffici direttivi del CONI, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di promozione riconosciuti dal CONI. Se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue anche l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione.

     

    Alla legge n. 376 del 2000 ha fatto seguito il già citato decreto del Ministero della Salute 15 ottobre 2002, recante l’elenco dei farmaci proibiti e con esso è sorto subito un dubbio interpretativo: posto che la nuova legge ha introdotto una serie di reati prima non previsti e posto che solo nel 2002 è stato stabilito da un punto di vista strettamente farmacologico quali siano le sostanze dopanti, tutti coloro che hanno commesso quei reati prima del 2002 possono essere puniti a prescindere dal fatto che ancora non si sapesse con precisione quali sostanze fosse o meno lecito somministrare, assumere o commerciare a vario titolo? Nullum crimen sine lege recita un famoso brocardo latino che riassume uno dei principi fondamentali del nostro diritto penale: nessuno può essere punito per un fatto che nel momento in cui è stato commesso non era previsto dalla legge come reato. Inutile dire che anche in questo caso si sono formati due diversi orientamenti come per molti altri aspetti della legge antidoping: da un lato c’è chi ritiene che i reati di doping introdotti dalla legge 376/00 sono configurabili anche se i relativi fatti sono stati commessi prima della emanazione del Decreto Ministeriale del 2002 di ripartizione in classi delle sostanze dopanti, sempre che si tratti di farmaci inclusi nella legge 522/95 con la quale è stata ratificata in Italia la Convenzione di Strasburgo contro il doping del 16 novembre 1989; dall’altro, c’è invece chi non ritiene condivisibile questa conclusione, poiché se il legislatore avesse voluto ritenere direttamente applicabile la Convenzione di Starsburgo lo avrebbe fatto in maniera esplicita. Il caso è arrivato fino alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che hanno risolto tale conflitto giurisprudenziale, statuendo che il reato di doping è ascrivibile anche a coloro che abbiano assunto o somministrato sostanze dopanti prima che il Ministero della Salute emanasse la “black list” dei farmaci vietati.

    Legge 376/2000:cosa manca e cosa migliorare.

     

    Sulla regolamentazione sportiva nulla da dire, mentre la normativa 376/2000, presenta almeno tre grandi lacune:

    a) persegue e punisce (sostanzialmente) solo gli atleti professionisti (e non anche quindi quelli dilettanti ed amatoriali, come invece era previsto nel testo licenziato dal Senato prima della sua modifica definitiva), né – tantomeno – ad es. il cittadino che frequenta una palestra;

    b) fa riferimento ad un elenco di sostanze e di pratiche dopanti che, seppure aggiornato, come per legge, con cadenza semestrale, non assicura la possibilità di individuare le varie metodiche e i prodotti dopanti che sono in continua evoluzione;

    c) difetta di prevedere responsabilità penali a carico di chi rifiuta di sottoporsi ai controlli antidoping – oggi punito solo dal punto di vista sportivo –.

    Si potrebbe quindi intervenire per colmare le lacune suindicate:

    a) estendendo la portata sanzionatoria della normativa non solo agli atleti dilettanti, ma anche a tutti gli amatoriali;

    b) prevedendo l’applicazione della normativa anche all’uso di sostanze e di pratiche dopanti “affini” a quelle menzionate nell’elenco sopra citato;

    c) applicando le stesse sanzioni tanto a chi dai controlli risulti positivo quanto a chi invece si rifiuti di effettuarli.

     

    Il doping in palestra.

    Principio informatore della legge 376/2000 è, ovviamente, non solo quello di assicurare una sostanziale equità nella possibilità di raggiungere validi risultati sportivi, ma è anche – e soprattutto – quello di tutelare quel bene costituzionalmente garantito che è la salute dei cittadini. L’arretratezza della norma in questione balza di tutta evidenza quando si consideri come l’attuale generale interesse per la forma fisica e la “bellezza” del corpo abbia spinto e spinga una grandissima percentuale (giovane e meno giovane) di cittadini a frequentare assiduamente centri fitness e palestre, fenomeno questo, assolutamente sconosciuto solo qualche decennio fa. Il considerare oggetto della normativa solo la “casta” degli atleti (professionisti), si estrinseca in una inammissibile cecità o rifiuto di porre attenzione a quello che è oggettivamente un fenomeno universale e cioè che prima o poi, con maggiore o minore frequenza, ognuno di noi si trova a frequentare una palestra. Considerato ciò, non è forse condannabile non tenere conto che è proprio il singolo cittadino, non assistito e tutelato da medici o equipes di preparatori come per gli sportivi professionisti, a correre il più grave pericolo di assumere sostanze dopanti (anche per un semplice gesto di imitazione ed emulazione), con un apparato fisico certamente di qualità inferiore (a quello di un atleta) e quindi più a rischio?

     

    Alberto Foggia

    Avvocato, specializzato in diritto civile e societario

    autore della banca dati sul diritto sportivo

     


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    08.11.2007 Avv. Alberto Foggia

    Avv. Alberto Foggia Link: http://www.civile.it/sportivo

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