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"Chi rappresenta il popolo non puo' permettersi di suscitare il minimo dubbio sulla propria condotta morale." - Rita Borsellino



Sciopero    

Come scioperano gli avvocati: il testo della Commissione di Garanzia Scioperi

COMMISSIONE DI GARANZIA

PER L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO

NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

Delibera n. 02/137 Regolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati e

procuratori legali (pos. 9172)

Seduta: 4.7.2002

LA COMMISSIONE

su proposta dei Proff. Ghezzi, Pinelli e Santoni, ha adottato all’unanimità la

seguente delibera:

PREMESSO

1. che un primo “codice di autoregolamentazione dello stato di agitazione

dell’Avvocatura”, deliberato in data 19.1.1996 dall’Organismo Unitario

dell’Avvocatura Italiana, e trasmesso alla Commissione con nota del 3.4.1996,

venne valutato non idoneo con delibera n. 231/5.1 dell’11.7.1996;

2. che neppure un successivo “codice di autoregolamentazione delle

astensioni forensi dalle attività giudiziarie”, approvato congiuntamente dalle Giunte

dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana e dell’Unione delle Camere Penali

Italiane il 6.6.1997, inviato alla Commissione in data 11.6.1997, ottenne un giudizio

di idoneità da parte della Commissione, la quale invece, con delibera n. 97/447 del

12.6.1997, ebbe ad invitare le associazioni in parola a “rivederlo ed integrarlo” alla

luce delle osservazioni critiche contenute nella delibera medesima;

3. che in data 23.10.2000, le associazioni di cui al “considerato” che precede

hanno ritrasmesso alla Commissione ulteriore copia del predetto codice di

autoregolamentazione del 6.6.1997, integrato il 30.3.2000;

4. che le “revisioni ed integrazioni” di cui al rammentato invito della

Commissione – relative, in particolare, al contenuto delle prestazioni indispensabili

– non sono, tuttavia, state compiute, ed anzi, a tale proposito, il testo inviato alla

Commissione il 23.10.2000 è simile, nella sua sostanza, a quello risalente al

6.6.1997;

5. che l’art. 2 della legge n. 83/2000 fissa un termine di sei mesi dalla data di

entrata in vigore della legge stessa, decorsi i quali, qualora i codici di

autoregolamentazione non siano stati ancora adottati, la Commissione di garanzia,

compiuta la procedura rammentata nel “considerato” n. 7, “delibera la provvisoria

regolamentazione”;

6. che, tuttavia, il termine di cui al punto che precede, fissato dalla legge per

l’emanazione dei codici di autoregolamentazione del lavoro autonomo, ivi compreso

quello professionale, ovvero per il loro adeguamento alla legge di riforma, è

scaduto, senza che la Commissione abbia ricevuto notizie ufficiali in ordine, per lo

meno, a tale adeguamento;

7. che, di conseguenza, per accertare se sussista una concreta possibilità di

adozione di un codice di autoregolamentazione, la Commissione ha convocato

l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana e l’Unione delle Camere Penali

Italiane, già autori congiunti del codice di autoregolamentazione del 6.6.1997

(supra, “considerati” n. 2, 3 e 4), con l’esplicita avvertenza che, in caso di mancata

autoregolamentazione, la Commissione avrebbe comunque provveduto, con propria

delibera, ai sensi e secondo la procedura di cui all’art. 13, comma 1, lett. a), alla

formulazione di una proposta – come richiede la legge – “sull’insieme delle

prestazioni, procedure e misure da considerarsi indispensabili”, e, se del caso, ad una

provvisoria regolamentazione (delibera n. 02/78 del 2.5.2002);

8. che l’audizione in parola si è svolta il 22.5.2000, con esito interlocutorio:

registrandosi una favorevole convergenza di opinioni, tra i rappresentanti delle

menzionate organizzazioni, sulla necessità, per lo meno, di predeterminare la durata

delle singole astensioni collettive ispirandosi a criteri di progressività; di prevedere,

in caso di reiterazione della protesta, una ragionevole distanza di tempo; di

contemplare l’obbligo di comunicare le motivazioni della protesta stessa, dedicando

una accurata regolamentazione alla comunicazione dell’astensione collettiva, e

descrivendo altresì una più completa disciplina delle prestazioni indispensabili, da

salvaguardare anche durante i periodi di astensione; ma emergendo, al contempo,

anche alcune propensioni a riproporre i termini dei problemi sollevati dalle

astensioni collettive degli Avvocati dalle udienze in sede politica e parlamentare;

9. che, infine, la Commissione ha formulato, nella seduta del 23.5.2002, ai

sensi di quanto dispongono l’art. 2 bis, comma 1, e l’art. 13, comma 1, lett. a) della

l. n. 146/1990, così come novellata dalla l. n. 83/2000, nonchè ai sensi dell’art. 2,

comma 2, di quest’ultima, una proposta sull’insieme delle prestazioni, procedure e

misure da considerare indispensabili, avvertendo le associazioni interessate che, in

caso di mancata pronuncia da parte loro , nel rispetto di quanto previsto dall’art. 13,

lett. a) , terzo e quarto periodo della legge citata, avrebbe adottato con propria

delibera la prevista provvisoria regolamentazione, comunicandola – come recita la

norma da ultimo citata – alle parti interessate, “che sono tenute ad osservarla, agli

effetti dell’art. 2, comma 3 (della legge stessa) fino al raggiungimento”, nel caso, di

un codice di autoregolamentazione valutato idoneo;

10. che la proposta in parola è stata notificata all’Organismo Unitario

dell’Avvocatura Italiana ed all’Unione delle Camere Penali Italiane in data,

rispettivamente, del 28 e del 29.5.2002, e comunicata altresì, con nota del 23.5.2002,

alle Organizzazioni dei Consumatori e degli Utenti riconosciute ai sensi della legge

n. 281/1998;

11. che, con lettera del 31.5.2002, l’Unione Nazionale Consumatori ha

espresso parere favorevole, riguardo alla menzionata proposta, “in ordine alle

prestazioni minime che saranno prestate in occasione di sciopero”;

12. che, invece, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha comunicato, con

lettera del 24.6.2002, di aver deliberato, “allo stato”, “anche per i motivi già espressi

durante l’audizione del maggio u.s., di non pronunziarsi sulla proposta medesima e

di rinunciare altresì alle audizioni previste dall’art. 13, lett. a) della legge”; mentre,

parallelamente, anche l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, con lettera del

26.6.2002, ha reso noto che il medesimo, “allo stato, non intende modificare il

proprio codice di autoregolamentazione, ritenendolo comunque conforme ai principi

generali e ritenendo in ogni caso sussistere quelle motivazioni politiche che hanno

indotto anche l’OUA a contestare la competenza della Commissione”, ribadendo

pertanto, anch’esso, di non volersi pronunziare sul merito della proposta ed

espressamente rinunciando, esso pure, alle audizioni previste dall’art. 13, lett. a)

della legge: aggiungendo, infine, che “la questione deve essere affrontata dal punto

di vista politico anche in relazione ai precisi impegni parlamentari assunti a monte

dell’approvazione della legge n. 83/2000”;

13. che le comunicazioni di cui al “premesso” che precede valgono, con ogni

chiarezza, quali espresse dichiarazioni di indisponibilità, ai sensi dell’art. 13, lett. a),

terzo periodo della menzionata legge, ad elaborare il richiesto codice di

autoregolamentazione o comunque a modificare quello di cui ai “premesso” nn. 2, 3

e 4;

14. che, pertanto, sono presenti tutte le condizioni legislativamente previste

per l’emanazione di una delibera di provvisoria regolamentazione ai sensi dell’art.

13, lett. a), terzo e quarto periodo, della legge n. 146/1990, come riformulata dalla

legge n. 83/2000;

CONSIDERATO

1. che la l. n. 146/1990, all’art. 1, comma 1, lett. a), individua

“l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti

restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonchè ai processi

penali con imputati in stato di detenzione”, come un servizio pubblico essenziale

rientrante nel campo di applicazione della legge medesima;

2. che la Corte costituzionale, con sentenza n. 171/1996, ha riaffermato

l’esigenza del rispetto, nel caso di astensioni collettive degli avvocati dalle attività

giudiziarie e di udienza, di un congruo termine di preavviso e di un ragionevole

limite temporale, nonchè di strumenti idonei a individuare (e assicurare) le

prestazioni essenziali durante l’astensione;

3. che, pertanto, la Commissione ha ribadito, in parecchie circostanze, la

soggezione delle astensioni collettive degli avvocati dalle udienze – quantunque

qualificate come esercizio di facoltà ricompresa nel diritto di associazione – almeno

ai principi fondamentali della l. n. 146/1990: principi tra i quali non può non

ricomprendersi la competenza e quindi il possibile intervento della Commissione

stessa;

4. che, successivamente, la l. n. 83/2000, confermando tale interpretazione, ha

espressamente incluso, col suo art. 2 (divenuto l’art. 2 bis della l. n. 146/1990), nel

campo di applicazione della normativa in questione, anche le astensioni collettive

dalle prestazioni contrattualmente convenute poste in essere dai professionisti;

5. che il comma 1 del citato art. 2 bis della l. n. 146/1990, così come novellata

dalla menzionata legge di riforma n. 83/2000, prevede la doverosità, nei casi in

esame, del “rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni

indispensabili”di cui all’art. 1 (vedasi, supra, il “considerato” n. 1), ed afferma che

la Commissione “promuove l’adozione, da parte delle associazioni o degli organismi

di rappresentanza” del lavoro autonomo, ivi compreso quello prestato dai

professionisti, “di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di

astensione collettiva, il contemperamento con i diritto della persona

costituzionalmente tutelati”;

6. che, secondo tale norma, i codici in parola “devono in ogni caso prevedere

un termine di preavviso non inferiore” a quello, tipico, di dieci giorni, nonchè

“l’indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva”; e debbono

altresì “assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalità”

(di contemperamento nell’esercizio di diritti costituzionali e di effettività, anche di

fronte all’esercizio del diritto di sciopero, nel loro contenuto essenziale, dei diritti

costituzionali della persona) “di cui al comma 2 dell’art. 1”;

7. che, a proposito delle prestazioni indispensabili, sono emersi, negli

orientamenti seguiti dalla Commissione e anche nell’audizione di cui al

“considerato” n. 8, alcuni nodi problematici riguardanti, in particolarissimo modo, la

materia del processo penale;

8. che non pochi dubbi ha infatti sollevato, negli orientamenti fino ad ora

seguiti dalla Commissione, la lett. e dell’art. 4 del codice di autoregolamentazione

del 6.6.1997, dalla quale si desume chiaramente, che l’imputato detenuto possa

“non” chiedere espressamente “che sia celebrata l’udienza” (ove lo chieda, invece,

lo stesso codice non consente la possibilità dell’astensione vuoi del difensore di

fiducia, vuoi di quello d’ufficio); analoghi dubbi sono stati sollevato anche riguardo

alla lett. b dello stesso art. 4;

9. che, ad un primo esame, non sembrerebbe invero riscontrarsi, nella lett. e di

quell’art. 4, quella ratio fondamentale di non sacrificare in alcun caso il bene

supremo della libertà personale, che ispira, ad es., le lett. c e d del medesimo art. 4;

10. che, più in specifico, la previsione in parola si pone, presa a se stante, e al

di fuori di un più ampio contesto interpretativo, in letterale contrasto con quanto

dispone l’art. 1, lett. a, della stessa l. 146/1990 (non riformata, sul punto, dalla l.

83/2000), che ha inteso garantire il servizio essenziale dell’amministrazione della

giustizia “con particolare riferimento ai processi con imputati detenuti”;

11. che, in effetti, il codice di autoregolamentazione adottato in data 16 giugno

2001 dalla Associazione nazionale magistrati (valutato idoneo con delibera n.

01/100 del 13 settembre 2001) riprende testualmente, senza differenziazione alcuna,

il disposto di legge;

12. che, tuttavia, non può trarsi, a tale proposito, un meccanico parallelismo

con quanto si legge nel codice di autoregolamentazione della magistratura ordinaria,

stante il ben diverso rapporto che intercorre tra l’imputato ed il suo difensore:

rapporto fiduciario di inequivocabile fonte contrattuale, ed al quale -per quanto

svolto all’interno d’un ordinamento professionale che ne regola inderogabilmente le

più tipiche ed esclusive modalità di esercizio (rappresentanza, assistenza, difesa in

giudizio e diretta collaborazione con il giudice nel corso del processo)- viene

comunemente attribuito carattere personale ed infungibile;

13. che, nella previsione in parola, può invece esser colto e sottolineato

l’aspetto di una scelta, da parte dell’imputato detenuto (il quale può sempre chiedere

che il processo si faccia subito anche in caso di astensione collettiva degli avvocati

dall’udienza), in cui si estrinseca una particolare modalità di esercizio del diritto di

difesa da parte dell’imputato medesimo, qualitativamente non dissimile dal

significato che rivestono altre facoltà processuali espressamente previste dalla

legge, quali, ad es., la facoltà di rinunzia all’impugnazione della sentenza di

condanna a pena detentiva immediatamente eseguibile (art. 589 c.p.p.), ovvero la

mancata proposizione della richiesta di riesame di provvedimenti che dispongono

misure coercitive (art. 309 c.p.p.), o, ancora, su un piano più generale, la stessa

mancata richiesta dell’imputato “che si proceda in assenza del difensore impedito”

(art. 420 ter, comma 5, c.p.p., nel testo innovato dalla legge 479/1999);

14. che, in effetti, si tratta, nel caso, come in quelli contemplati dalla stessa

legge, rammentati nel “considerato” che precede, di un’ipotesi nella quale l’imputato

sceglie, benchè detenuto, di non attivare la possibilità contingente di difesa offertagli

dal momento processuale, determinando allora la scelta stessa, come unica

conseguenza pratica, un mero differimento dell’opportunità di esercizio del diritto di

difesa;

15. che possa richiamarsi, al riguardo, anche l’insegnamento che si legge nella

sentenza n. 0125/1979 della Corte costituzionale, là ove si afferma che, se

“l’imputato non può rinunziare ai diritti inviolabili dei quali è titolare, né può

disporre delle garanzie che gli derivano dalle norme costituzionali”, egli può, ciò

non di meno, “astenersi dal compiere concrete e contingenti attività difensive intese

a far valere quei diritti, senza che, per altro, da suo questo suo atteggiamento possa

dedursi una rinunzia ad essi, alla possibilità cioè di farli valere in un momento

successivo del procedimento, o, comunque, anche dopo la conclusione di esso, nei

modi e salve le preclusioni che fossero stabilite dalla legge processuale in termini

costituzionalmente corretti”;

16. che la fattispecie in esame è del tutto indifferente rispetto ai termini

massimi di custodia cautelare (art. 304 c.p.p.), e che la sospensione dei detti termini

che ne deriva determina altresì, (almeno) per gli imputati detenuti, la sospensione

anche del decorso della prescrizione del reato, a norma dell’art. 159, comma 1, c.p.;

17. che anzi, a tale ultimo proposito, va rilevato come le Sez. unite penali della

Corte di cassazione (11 gennaio 2002, imp. Cremonese) abbiano recentemente

enunciato il principio di diritto secondo il quale l’art. 159, comma 1, c.p. deve

essere addirittura interpretato nel senso che “la sospensione o il rinvio del

procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche

se l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento

dell’imputato o del suo difensore, salvo quando siano disposti per esigenze di

acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa” (e la

giurisprudenza prevalente riconosce che il c.d. “sciopero” degli avvocati costituisce

legittimo impedimento del difensore che abbia tempestivamente comunicato la sua

adesione all’astensione proclamata dalle associazioni di categoria: Cass., sez. IV,

pen, 5 aprile 1996, imp. Chillocchi);

18. che, in conclusione, dai citati indirizzi giurisprudenziali emerge una linea

che conforta pienamente la tesi, i cui punti salienti in termini costituzionali sono i

seguenti:

1) il diritto di difesa è irrinunciabile in via di principio

2) altro è la rinuncia, cioè la spoliazione della titolarità del diritto, e altro è “il

rifiuto di (id est, nel nostro caso, la rinunzia ad) acconsentire al compimento

di determinate attività difensive”, che riguarda le modalità di esercizio del

diritto e che non può comportare “preclusione assoluta allo svolgimento di

altre ulteriori” (vedasi ancora la citata sentenza n. 0125/1979 della Corte

costituzionale);

3) la facoltà attribuita all’imputato detenuto di acconsentire a che il proprio

difensore si astenga dalle udienze in ragione di un’adesione all’astensione

proclamata dalle associazioni rappresentative della categoria professionale

degli avvocati può rientrare nel concetto esposto sub 2), a condizione di

rispettare i limiti cui la stessa giurisprudenza dianzi citata fa riferimento.

Laddove infatti l’astensione si protraesse oltre la singola udienza, o poche e

consecutive al massimo, e prima ancora non si prevedessero limiti alla

proclamazione e all’effettuazione delle astensioni, verrebbe violato il canone

di ragionevolezza, con la conseguenza che il carattere irrinunciabile del

diritto di difesa verrebbe svuotato del proprio significato;

19. che, in effetti, la facoltà di scelta dell’imputato in stato di detenzione, se

investe direttamente, considerata a sé stante, soltanto il tema delle modalità di

esercizio del diritto alla difesa, non esclude che, di fatto pur se indirettamente, la

stessa garanzia della libertà personale (sancita, anzitutto, non per il difensore, ma per

il difeso: art. 24 Cost.) possa venir concretamente incisa dalle protesta collettiva

degli avvocati, specie ove questa sia protratta nel tempo o ripetuta;

20. che, di conseguenza, lo scopo del contemperamento tra diritti costituzionali

(nel caso: quello alla difesa ed alla libertà personale da un lato, e quello, d’altro lato,

che si manifesta nella libertà di coalizione degli avvocati, da cui discende il loro

diritto di astensione collettiva dalle udienze: Corte cost. n. 171/1976), scopo in cui si

rinviene la stessa ragion d’essere dell’operato della Commissione di garanzia, debba

indurre a predeterminare, come si è detto, talune modalità di esercizio della facoltà

dell’imputato detenuto (modalità per altro conformi al generale canone di

ragionevolezza) di non chiedere la celebrazione dell’udienza;

21. che tali limiti, nella fattispecie, vadano individuati tanto nella stessa

ricorrenza di tutti i requisiti derivanti dalla legge o dal codice di

autoregolamentazione che rendono legittima l’astensione de qua, quanto sul piano

temporale;

22. che, pertanto, la facoltà dell’imputato detenuto, di cui si parla, possa essere

consentita solo per un tempo limitato –che la Commissione stima pari a non più di

tre udienze consecutive-, e, in ogni caso, soltanto, complessivamente, per una volta

nel corso di astensioni collettive dalle udienze ritualmente proclamate dagli organi a

ciò abilitati dal codice di autoregolamentazione e riferite, in via esclusiva o

prevalente, alla medesima motivazione;

23. che, conclusivamente, la Commissione è ormai, allo stato, in grado di

formulare la provvisoria regolamentazione prevista dall’art. 13, comma 1, lett. a)

della legge, riprendendo in parte significativa lo stesso codice di

autoregolamentazione, più volte citato, del 6.6.1997, ma rivedendone ed

integrandone alcune disposizioni;

24. che la Commissione non ritiene infatti di scostarsi significativamente dal

testo di cui al “considerato” che precede, pur rilevando talune anomalie che esso

presenta (ad es., la previsione di doveri di informazione a carico di soggetti che non

intendano aderire all’astensione, doveri che in realtà si risolvono in richiami ai

canoni di correttezza professionale propri dell’ordinamento deontologico forense);

25. che, con riferimento ai casi in cui le organizzazioni proclamanti non sono

tenute al rispetto del termine di preavviso, la formula “astensioni proclamate in

difesa .... delle garanzie essenziali del processo” va intesa come ricompresa nelle

ipotesi che immediatamente la precedono (“difesa dell’ordine costituzionale” e

reazione a “gravi attentati ai diritti fondamentali del cittadini”);

26. che deve essere, comunque, ricompresa, nell’ambito delle prestazioni

essenziali, con riferimento ai processi civili, la garanzia dei procedimenti ex art. 28 l.

n. 300/1970, per quanto attiene alla loro fase di cognizione sommaria, e di quelli

aventi ad oggetto licenziamenti individuali e collettivi e trasferimenti;

27. che, in ogni caso, e quanto sopra premesso e ritenuto, la Commissione

ribadisce la propria competenza in tema di astensioni collettive degli Avvocati dalle

udienze, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1, della legge n. 83/2000, non dispiegando

alcun effetto, sotto il profilo del diritto vigente, eventuali diverse propensioni emerse

durante o a conclusione del dibattito parlamentare diretto all’approvazione della

legge n. 83/2000, e delibera pertanto la seguente

REGOLAMENTAZIONE PROVVISORIA

DELL’ASTENSIONE COLLETTIVA DEGLI AVVOCATI

DALL’ATTIVITA’ GIUDIZIARIA

Articolo 1

1. La presente normativa disciplina le modalità dell’astensione collettiva degli

avvocati dall’attività giudiziaria, di seguito denominata “astensione”, al fine di

garantire il godimento dei diritti della persona, la libertà e la dignità

dell’avvocatura, nonché il diritto di azione e di difesa tutelato dall’art. 24 della

Costituzione e di assicurare le prestazioni indispensabili di cui ai successivi art. 4

e 5.

Articolo 2

1. L’astensione è proclamata con congruo preavviso di almeno dieci giorni

prima dell’inizio della stessa e con l’indicazione delle specifiche motivazioni

e della sua durata, al fine di consentire ai titolari degli uffici giudiziari di

predisporre le misure che si possano rendere necessarie.

2. Della proclamazione e della specifica motivazione dell’astensione è data

immediata notizia al Presidente della Corte d’Appello e ai Presidenti degli

uffici giudiziari civili, penali, amministrativi e tributari interessati, nonché -

anche quando l’astensione riguardi un singolo distretto o circondario - al

Ministro della Giustizia ed agli altri Ministri eventualmente competenti. I

soggetti sindacali proclamanti sono inoltre tenuti a darne pubblica

comunicazione, nelle forme adeguate, almeno cinque giorni prima dell’inizio

dell’astensione.

3. Potrà non essere rispettato l’obbligo di preavviso ai sensi anche dell’art. 2,

comma 7 della l. n. 146/1990 come modificata ed integrata dalla l. n.

83/2000, nei soli casi in cui l’astensione venga proclamata in difesa

dell’ordine costituzionale ovvero per gravi attentati ai diritti fondamentali dei

cittadini e alle garanzie essenziali del processo.

4. L’astensione, anche in caso di successive proclamazioni da parte del

medesimo o di altro soggetto sindacale, non può protrarsi nel medesimo

ambito per cui è proclamata per oltre trenta giorni consecutivi ovvero

calcolati nell’arco di un trimestre. Superato tale termine, una nuova

astensione riguardante il medesimo ambito di riferimento è consentita, quale

che sia il soggetto sindacale proclamante, e qualora sia riferita, in misura

esclusiva o prevalente, alla medesima motivazione, per la stessa durata

massima, soltanto decorsi ulteriori novanta giorni. In ogni caso, la prima

astensione, quale ne sia la motivazione, non può eccedere sette giorni. Tali

limitazioni non si applicano nei casi in cui è prevista la proclamazione

dell’astensione senza preavviso.

Articolo 3

1. Nel processo civile, amministrativo e tributario, se taluna delle parti costituite

che non stanno in giudizio personalmente non compare nell’udienza fissata

durante lo svolgimento dell’astensione, le parti o una di esse potranno

chiedere al giudice di fissare una nuova udienza immediatamente successiva

allo scadere dell’astensione.

2. Nell’ambito del procedimento penale, il difensore che non intende aderire alla

astensione proclamata deve comunicare prontamente tale sua decisione

all’autorità procedente ed agli altri difensori costituiti.

3. Nel processo civile, amministrativo e tributario, l’avvocato che non aderisca

alla astensione deve informare preventivamente gli altri difensori costituiti o

di cui conosca la presenza nel processo e, ove questi aderiscano alla

astensione, è tenuto a non compiere atti pregiudizievoli per le altre parti in

causa.

4. Per le udienze che possono celebrarsi anche in assenza del difensore, questi,

qualora intenda astenersi, deve darne comunicazione all’autorità procedente.

5. Il diritto di astensione può essere esercitato in ogni stato e grado del processo

sia dal difensore di fiducia che da quello di ufficio.

Articolo 4

1. L’astensione non è consentita nella materia penale in riferimento:

a) alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo, a quelle afferenti misure

cautelari, agli interrogatori ex art. 294 del codice di procedura penale,

all’incidente probatorio, al giudizio direttissimo e al compimento degli atti

urgenti di cui all’articolo 467 del codice di procedura penale, nonché ai

procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il

periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini preliminari,

entro 360 giorni, se pendenti in grado di merito, entro 180 giorni, se pendenti nel

giudizio di legittimità, entro 90 giorni;

b) nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di

custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato chieda espressamente,

analogamente a quanto previsto dall’art. 420 ter comma 5 (introdotto dalla l. n.

479/1999) del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l’astensione

del difensore. In tal caso il difensore, di fiducia o d’ufficio, non si considera

legittimamente impedito ed ha l’obbligo di non astenersi.

2. Tuttavia, anche quando l’imputato sottoposto a custodia cautelare o a

detenzione non formuli l’espressa richiesta di cui al comma 1, lett. b),

l’astensione sarà consentita, se riferita in via esclusiva o prevalente alla stessa

motivazione, per non più di tre udienze consecutive per ogni grado del

giudizio e, in ogni caso, soltanto per una volta nel corso di ciascuna

astensione ritualmente proclamata.

Articolo 5

1. L’astensione non è consentita, in riferimento alla materia civile, nei

procedimenti relativi:

a) a provvedimenti cautelari, allo stato e alla capacità delle persone, ad alimenti,

alla comparizione personale dei coniugi in sede di separazione o di divorzio e

all’affidamento di minori;

b) alla repressione della condotta antisindacale, nella fase di cognizione sommaria

prevista dall’art. 28 della l. n. 300/1970, ed ai procedimenti aventi ad oggetto

licenziamenti individuali o collettivi ovvero trasferimenti, anche ai sensi della

normativa di cui al d.lgs. n. 165/2001;

c) a controversie per le quali è stata dichiarata l’urgenza ai sensi dell’art. 92,

comma 2, del r.d. n. 12/1941 e successive modificazioni ed integrazioni;

d) alla dichiarazione o alla revoca dei fallimenti;

e) alla convalida di sfratto, alla sospensione dell’esecuzione, alla sospensione o

revoca dell’esecutorietà di provvedimenti giudiziali.

2. L’astensione non è consentita, in riferimento alla materia amministrativa e

tributaria:

a) nei procedimenti cautelari e urgenti;

b) nei procedimenti relativi a questioni elettorali.

Articolo 6

1. I comportamenti individuali con i quali si attua l’astensione debbono essere

rigorosamente conformi alla deontologia professionale e alle prescrizioni fissate

negli atti che l’hanno proclamata, in quanto compatibili con la presente

regolamentazione.

2. Rimane ferma, quanto alle violazioni delle disposizioni concernenti la

proclamazione e l'attuazione dell'astensione, oltre a quanto previsto dagli artt. 2

bis e 4, comma 4 della l. 146/1990 così come riformulati dalla l. n. 83/2000,

anche l’eventuale valutazione dei Consigli dell’Ordine in sede di esercizio

dell’azione disciplinare.

AVVERTE

che la provvisoria regolamentazione di cui alla presente delibera è vincolante

per le parti ai sensi dell’art. 2, comma 3 della legge n. 146/1990, come modificata

dalla legge n. 83/2000, e cioè fino al raggiungimento di un codice di

autoregolamentazione valutato idoneo;

che, come previsto dalla legge n. 146/1990, modificata dalla legge n.

83/2000, in caso di inosservanza delle disposizioni contenute nella provvisoria

regolamentazione, si applicheranno, valutate le cause di insorgenza, le sanzioni

previste dall’art, 4, comma 4 della stessa legge. Resta fermo, altresì, quanto previsto

dall’art. 4, comma 4 ter della medesima legge n. 146/1990, come modificata dalla

legge n. 83/2000;

DISPONE

la notifica della presente delibera all’Organismo Unitario dell’Avvocatura

Italiana e all’Unione delle Camere Penali Italiane e la sua trasmissione ai Presidenti

delle Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia,

nonchè al Consiglio Nazionale Forense;

DISPONE INOLTRE

ai sensi dell’art. 13, lett. l) della legge n. 146/1990 come modificata dalla legge

n. 83/2000, la pubblicazione della regolamentazione provvisoria di cui alla presente

delibera sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

18.04.2007 - pag. 42062 print in pdf print on web

C

COMMISSIONE DI GARANZIA PER L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO
NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI
Delibera n. 02/137 Regolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati e
procuratori legali (pos. 9172)
Seduta: 4.7.2002
LA COMMISSIONE
su proposta dei Proff. Ghezzi, Pinelli e Santoni, ha adottato all’unanimità la
seguente delibera:
PREMESSO
1. che un primo “codice di autoregolamentazione dello stato di agitazione
dell’Avvocatura”, deliberato in data 19.1.1996 dall’Organismo Unitario
dell’Avvocatura Italiana, e trasmesso alla Commissione con nota del 3.4.1996,
venne valutato non idoneo con delibera n. 231/5.1 dell’11.7.1996;


2. che neppure un successivo “codice di autoregolamentazione delle
astensioni forensi dalle attività giudiziarie”, approvato congiuntamente dalle Giunte
dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana e dell’Unione delle Camere Penali
Italiane il 6.6.1997, inviato alla Commissione in data 11.6.1997, ottenne un giudizio
di idoneità da parte della Commissione, la quale invece, con delibera n. 97/447 del
12.6.1997, ebbe ad invitare le associazioni in parola a “rivederlo ed integrarlo” alla
luce delle osservazioni critiche contenute nella delibera medesima;

3. che in data 23.10.2000, le associazioni di cui al “considerato” che precede
hanno ritrasmesso alla Commissione ulteriore copia del predetto codice di
autoregolamentazione del 6.6.1997, integrato il 30.3.2000;

4. che le “revisioni ed integrazioni” di cui al rammentato invito della
Commissione – relative, in particolare, al contenuto delle prestazioni indispensabili
– non sono, tuttavia, state compiute, ed anzi, a tale proposito, il testo inviato alla
Commissione il 23.10.2000 è simile, nella sua sostanza, a quello risalente al
6.6.1997;

5. che l’art. 2 della legge n. 83/2000 fissa un termine di sei mesi dalla data di
entrata in vigore della legge stessa, decorsi i quali, qualora i codici di
autoregolamentazione non siano stati ancora adottati, la Commissione di garanzia,
compiuta la procedura rammentata nel “considerato” n. 7, “delibera la provvisoria
regolamentazione”;

6. che, tuttavia, il termine di cui al punto che precede, fissato dalla legge per
l’emanazione dei codici di autoregolamentazione del lavoro autonomo, ivi compreso
quello professionale, ovvero per il loro adeguamento alla legge di riforma, è
scaduto, senza che la Commissione abbia ricevuto notizie ufficiali in ordine, per lo
meno, a tale adeguamento;

7. che, di conseguenza, per accertare se sussista una concreta possibilità di
adozione di un codice di autoregolamentazione, la Commissione ha convocato
l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana e l’Unione delle Camere Penali
Italiane, già autori congiunti del codice di autoregolamentazione del 6.6.1997
(supra, “considerati” n. 2, 3 e 4), con l’esplicita avvertenza che, in caso di mancata
autoregolamentazione, la Commissione avrebbe comunque provveduto, con propria
delibera, ai sensi e secondo la procedura di cui all’art. 13, comma 1, lett. a), alla
formulazione di una proposta – come richiede la legge – “sull’insieme delle
prestazioni, procedure e misure da considerarsi indispensabili”, e, se del caso, ad una
provvisoria regolamentazione (delibera n. 02/78 del 2.5.2002);

8. che l’audizione in parola si è svolta il 22.5.2000, con esito interlocutorio:
registrandosi una favorevole convergenza di opinioni, tra i rappresentanti delle
menzionate organizzazioni, sulla necessità, per lo meno, di predeterminare la durata
delle singole astensioni collettive ispirandosi a criteri di progressività; di prevedere,
in caso di reiterazione della protesta, una ragionevole distanza di tempo; di
contemplare l’obbligo di comunicare le motivazioni della protesta stessa, dedicando
una accurata regolamentazione alla comunicazione dell’astensione collettiva, e
descrivendo altresì una più completa disciplina delle prestazioni indispensabili, da
salvaguardare anche durante i periodi di astensione; ma emergendo, al contempo,
anche alcune propensioni a riproporre i termini dei problemi sollevati dalle
astensioni collettive degli Avvocati dalle udienze in sede politica e parlamentare;

9. che, infine, la Commissione ha formulato, nella seduta del 23.5.2002, ai
sensi di quanto dispongono l’art. 2 bis, comma 1, e l’art. 13, comma 1, lett. a) della
l. n. 146/1990, così come novellata dalla l. n. 83/2000, nonchè ai sensi dell’art. 2,
comma 2, di quest’ultima, una proposta sull’insieme delle prestazioni, procedure e
misure da considerare indispensabili, avvertendo le associazioni interessate che, in
caso di mancata pronuncia da parte loro , nel rispetto di quanto previsto dall’art. 13,
lett. a) , terzo e quarto periodo della legge citata, avrebbe adottato con propria
delibera la prevista provvisoria regolamentazione, comunicandola – come recita la
norma da ultimo citata – alle parti interessate, “che sono tenute ad osservarla, agli
effetti dell’art. 2, comma 3 (della legge stessa) fino al raggiungimento”, nel caso, di
un codice di autoregolamentazione valutato idoneo;

10. che la proposta in parola è stata notificata all’Organismo Unitario
dell’Avvocatura Italiana ed all’Unione delle Camere Penali Italiane in data,
rispettivamente, del 28 e del 29.5.2002, e comunicata altresì, con nota del 23.5.2002,
alle Organizzazioni dei Consumatori e degli Utenti riconosciute ai sensi della legge
n. 281/1998;

11. che, con lettera del 31.5.2002, l’Unione Nazionale Consumatori ha
espresso parere favorevole, riguardo alla menzionata proposta, “in ordine alle
prestazioni minime che saranno prestate in occasione di sciopero”;

12. che, invece, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha comunicato, con
lettera del 24.6.2002, di aver deliberato, “allo stato”, “anche per i motivi già espressi
durante l’audizione del maggio u.s., di non pronunziarsi sulla proposta medesima e
di rinunciare altresì alle audizioni previste dall’art. 13, lett. a) della legge”; mentre,
parallelamente, anche l’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, con lettera del
26.6.2002, ha reso noto che il medesimo, “allo stato, non intende modificare il
proprio codice di autoregolamentazione, ritenendolo comunque conforme ai principi
generali e ritenendo in ogni caso sussistere quelle motivazioni politiche che hanno
indotto anche l’OUA a contestare la competenza della Commissione”, ribadendo
pertanto, anch’esso, di non volersi pronunziare sul merito della proposta ed
espressamente rinunciando, esso pure, alle audizioni previste dall’art. 13, lett. a)
della legge: aggiungendo, infine, che “la questione deve essere affrontata dal punto
di vista politico anche in relazione ai precisi impegni parlamentari assunti a monte
dell’approvazione della legge n. 83/2000”;

13. che le comunicazioni di cui al “premesso” che precede valgono, con ogni
chiarezza, quali espresse dichiarazioni di indisponibilità, ai sensi dell’art. 13, lett. a),
terzo periodo della menzionata legge, ad elaborare il richiesto codice di
autoregolamentazione o comunque a modificare quello di cui ai “premesso” nn. 2, 3
e 4;

14. che, pertanto, sono presenti tutte le condizioni legislativamente previste
per l’emanazione di una delibera di provvisoria regolamentazione ai sensi dell’art.
13, lett. a), terzo e quarto periodo, della legge n. 146/1990, come riformulata dalla
legge n. 83/2000;


CONSIDERATO


1. che la l. n. 146/1990, all’art. 1, comma 1, lett. a), individua
“l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti
restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonchè ai processi
penali con imputati in stato di detenzione”, come un servizio pubblico essenziale
rientrante nel campo di applicazione della legge medesima;
2. che la Corte costituzionale, con sentenza n. 171/1996, ha riaffermato
l’esigenza del rispetto, nel caso di astensioni collettive degli avvocati dalle attività
giudiziarie e di udienza, di un congruo termine di preavviso e di un ragionevole
limite temporale, nonchè di strumenti idonei a individuare (e assicurare) le
prestazioni essenziali durante l’astensione;
3. che, pertanto, la Commissione ha ribadito, in parecchie circostanze, la
soggezione delle astensioni collettive degli avvocati dalle udienze – quantunque
qualificate come esercizio di facoltà ricompresa nel diritto di associazione – almeno
ai principi fondamentali della l. n. 146/1990: principi tra i quali non può non
ricomprendersi la competenza e quindi il possibile intervento della Commissione
stessa;
4. che, successivamente, la l. n. 83/2000, confermando tale interpretazione, ha
espressamente incluso, col suo art. 2 (divenuto l’art. 2 bis della l. n. 146/1990), nel
campo di applicazione della normativa in questione, anche le astensioni collettive
dalle prestazioni contrattualmente convenute poste in essere dai professionisti;
5. che il comma 1 del citato art. 2 bis della l. n. 146/1990, così come novellata
dalla menzionata legge di riforma n. 83/2000, prevede la doverosità, nei casi in
esame, del “rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni
indispensabili”di cui all’art. 1 (vedasi, supra, il “considerato” n. 1), ed afferma che
la Commissione “promuove l’adozione, da parte delle associazioni o degli organismi
di rappresentanza” del lavoro autonomo, ivi compreso quello prestato dai
professionisti, “di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di
astensione collettiva, il contemperamento con i diritto della persona
costituzionalmente tutelati”;
6. che, secondo tale norma, i codici in parola “devono in ogni caso prevedere
un termine di preavviso non inferiore” a quello, tipico, di dieci giorni, nonchè
“l’indicazione della durata e delle motivazioni dell’astensione collettiva”; e debbono
altresì “assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalità”
(di contemperamento nell’esercizio di diritti costituzionali e di effettività, anche di
fronte all’esercizio del diritto di sciopero, nel loro contenuto essenziale, dei diritti
costituzionali della persona) “di cui al comma 2 dell’art. 1”;
7. che, a proposito delle prestazioni indispensabili, sono emersi, negli
orientamenti seguiti dalla Commissione e anche nell’audizione di cui al
“considerato” n. 8, alcuni nodi problematici riguardanti, in particolarissimo modo, la
materia del processo penale;
8. che non pochi dubbi ha infatti sollevato, negli orientamenti fino ad ora
seguiti dalla Commissione, la lett. e dell’art. 4 del codice di autoregolamentazione
del 6.6.1997, dalla quale si desume chiaramente, che l’imputato detenuto possa
“non” chiedere espressamente “che sia celebrata l’udienza” (ove lo chieda, invece,
lo stesso codice non consente la possibilità dell’astensione vuoi del difensore di
fiducia, vuoi di quello d’ufficio); analoghi dubbi sono stati sollevato anche riguardo
alla lett. b dello stesso art. 4;
9. che, ad un primo esame, non sembrerebbe invero riscontrarsi, nella lett. e di
quell’art. 4, quella ratio fondamentale di non sacrificare in alcun caso il bene
supremo della libertà personale, che ispira, ad es., le lett. c e d del medesimo art. 4;
10. che, più in specifico, la previsione in parola si pone, presa a se stante, e al
di fuori di un più ampio contesto interpretativo, in letterale contrasto con quanto
dispone l’art. 1, lett. a, della stessa l. 146/1990 (non riformata, sul punto, dalla l.
83/2000), che ha inteso garantire il servizio essenziale dell’amministrazione della
giustizia “con particolare riferimento ai processi con imputati detenuti”;
11. che, in effetti, il codice di autoregolamentazione adottato in data 16 giugno
2001 dalla Associazione nazionale magistrati (valutato idoneo con delibera n.
01/100 del 13 settembre 2001) riprende testualmente, senza differenziazione alcuna,
il disposto di legge;
12. che, tuttavia, non può trarsi, a tale proposito, un meccanico parallelismo
con quanto si legge nel codice di autoregolamentazione della magistratura ordinaria,
stante il ben diverso rapporto che intercorre tra l’imputato ed il suo difensore:
rapporto fiduciario di inequivocabile fonte contrattuale, ed al quale -per quanto
svolto all’interno d’un ordinamento professionale che ne regola inderogabilmente le
più tipiche ed esclusive modalità di esercizio (rappresentanza, assistenza, difesa in
giudizio e diretta collaborazione con il giudice nel corso del processo)- viene
comunemente attribuito carattere personale ed infungibile;
13. che, nella previsione in parola, può invece esser colto e sottolineato
l’aspetto di una scelta, da parte dell’imputato detenuto (il quale può sempre chiedere
che il processo si faccia subito anche in caso di astensione collettiva degli avvocati
dall’udienza), in cui si estrinseca una particolare modalità di esercizio del diritto di
difesa da parte dell’imputato medesimo, qualitativamente non dissimile dal
significato che rivestono altre facoltà processuali espressamente previste dalla
legge, quali, ad es., la facoltà di rinunzia all’impugnazione della sentenza di
condanna a pena detentiva immediatamente eseguibile (art. 589 c.p.p.), ovvero la
mancata proposizione della richiesta di riesame di provvedimenti che dispongono
misure coercitive (art. 309 c.p.p.), o, ancora, su un piano più generale, la stessa
mancata richiesta dell’imputato “che si proceda in assenza del difensore impedito”
(art. 420 ter, comma 5, c.p.p., nel testo innovato dalla legge 479/1999);
14. che, in effetti, si tratta, nel caso, come in quelli contemplati dalla stessa
legge, rammentati nel “considerato” che precede, di un’ipotesi nella quale l’imputato
sceglie, benchè detenuto, di non attivare la possibilità contingente di difesa offertagli
dal momento processuale, determinando allora la scelta stessa, come unica
conseguenza pratica, un mero differimento dell’opportunità di esercizio del diritto di
difesa;
15. che possa richiamarsi, al riguardo, anche l’insegnamento che si legge nella
sentenza n. 0125/1979 della Corte costituzionale, là ove si afferma che, se
“l’imputato non può rinunziare ai diritti inviolabili dei quali è titolare, né può
disporre delle garanzie che gli derivano dalle norme costituzionali”, egli può, ciò
non di meno, “astenersi dal compiere concrete e contingenti attività difensive intese
a far valere quei diritti, senza che, per altro, da suo questo suo atteggiamento possa
dedursi una rinunzia ad essi, alla possibilità cioè di farli valere in un momento
successivo del procedimento, o, comunque, anche dopo la conclusione di esso, nei
modi e salve le preclusioni che fossero stabilite dalla legge processuale in termini
costituzionalmente corretti”;
16. che la fattispecie in esame è del tutto indifferente rispetto ai termini
massimi di custodia cautelare (art. 304 c.p.p.), e che la sospensione dei detti termini
che ne deriva determina altresì, (almeno) per gli imputati detenuti, la sospensione
anche del decorso della prescrizione del reato, a norma dell’art. 159, comma 1, c.p.;
17. che anzi, a tale ultimo proposito, va rilevato come le Sez. unite penali della
Corte di cassazione (11 gennaio 2002, imp. Cremonese) abbiano recentemente
enunciato il principio di diritto secondo il quale l’art. 159, comma 1, c.p. deve
essere addirittura interpretato nel senso che “la sospensione o il rinvio del
procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche
se l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento
dell’imputato o del suo difensore, salvo quando siano disposti per esigenze di
acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa” (e la
giurisprudenza prevalente riconosce che il c.d. “sciopero” degli avvocati costituisce
legittimo impedimento del difensore che abbia tempestivamente comunicato la sua
adesione all’astensione proclamata dalle associazioni di categoria: Cass., sez. IV,
pen, 5 aprile 1996, imp. Chillocchi);
18. che, in conclusione, dai citati indirizzi giurisprudenziali emerge una linea
che conforta pienamente la tesi, i cui punti salienti in termini costituzionali sono i
seguenti:
1) il diritto di difesa è irrinunciabile in via di principio
2) altro è la rinuncia, cioè la spoliazione della titolarità del diritto, e altro è “il
rifiuto di (id est, nel nostro caso, la rinunzia ad) acconsentire al compimento
di determinate attività difensive”, che riguarda le modalità di esercizio del
diritto e che non può comportare “preclusione assoluta allo svolgimento di
altre ulteriori” (vedasi ancora la citata sentenza n. 0125/1979 della Corte
costituzionale);
3) la facoltà attribuita all’imputato detenuto di acconsentire a che il proprio
difensore si astenga dalle udienze in ragione di un’adesione all’astensione
proclamata dalle associazioni rappresentative della categoria professionale
degli avvocati può rientrare nel concetto esposto sub 2), a condizione di
rispettare i limiti cui la stessa giurisprudenza dianzi citata fa riferimento.
Laddove infatti l’astensione si protraesse oltre la singola udienza, o poche e
consecutive al massimo, e prima ancora non si prevedessero limiti alla
proclamazione e all’effettuazione delle astensioni, verrebbe violato il canone
di ragionevolezza, con la conseguenza che il carattere irrinunciabile del
diritto di difesa verrebbe svuotato del proprio significato;
19. che, in effetti, la facoltà di scelta dell’imputato in stato di detenzione, se
investe direttamente, considerata a sé stante, soltanto il tema delle modalità di
esercizio del diritto alla difesa, non esclude che, di fatto pur se indirettamente, la
stessa garanzia della libertà personale (sancita, anzitutto, non per il difensore, ma per
il difeso: art. 24 Cost.) possa venir concretamente incisa dalle protesta collettiva
degli avvocati, specie ove questa sia protratta nel tempo o ripetuta;
20. che, di conseguenza, lo scopo del contemperamento tra diritti costituzionali
(nel caso: quello alla difesa ed alla libertà personale da un lato, e quello, d’altro lato,
che si manifesta nella libertà di coalizione degli avvocati, da cui discende il loro
diritto di astensione collettiva dalle udienze: Corte cost. n. 171/1976), scopo in cui si
rinviene la stessa ragion d’essere dell’operato della Commissione di garanzia, debba
indurre a predeterminare, come si è detto, talune modalità di esercizio della facoltà
dell’imputato detenuto (modalità per altro conformi al generale canone di
ragionevolezza) di non chiedere la celebrazione dell’udienza;
21. che tali limiti, nella fattispecie, vadano individuati tanto nella stessa
ricorrenza di tutti i requisiti derivanti dalla legge o dal codice di
autoregolamentazione che rendono legittima l’astensione de qua, quanto sul piano
temporale;
22. che, pertanto, la facoltà dell’imputato detenuto, di cui si parla, possa essere
consentita solo per un tempo limitato –che la Commissione stima pari a non più di
tre udienze consecutive-, e, in ogni caso, soltanto, complessivamente, per una volta
nel corso di astensioni collettive dalle udienze ritualmente proclamate dagli organi a
ciò abilitati dal codice di autoregolamentazione e riferite, in via esclusiva o
prevalente, alla medesima motivazione;
23. che, conclusivamente, la Commissione è ormai, allo stato, in grado di
formulare la provvisoria regolamentazione prevista dall’art. 13, comma 1, lett. a)
della legge, riprendendo in parte significativa lo stesso codice di
autoregolamentazione, più volte citato, del 6.6.1997, ma rivedendone ed
integrandone alcune disposizioni;
24. che la Commissione non ritiene infatti di scostarsi significativamente dal
testo di cui al “considerato” che precede, pur rilevando talune anomalie che esso
presenta (ad es., la previsione di doveri di informazione a carico di soggetti che non
intendano aderire all’astensione, doveri che in realtà si risolvono in richiami ai
canoni di correttezza professionale propri dell’ordinamento deontologico forense);
25. che, con riferimento ai casi in cui le organizzazioni proclamanti non sono
tenute al rispetto del termine di preavviso, la formula “astensioni proclamate in
difesa .... delle garanzie essenziali del processo” va intesa come ricompresa nelle
ipotesi che immediatamente la precedono (“difesa dell’ordine costituzionale” e
reazione a “gravi attentati ai diritti fondamentali del cittadini”);
26. che deve essere, comunque, ricompresa, nell’ambito delle prestazioni
essenziali, con riferimento ai processi civili, la garanzia dei procedimenti ex art. 28 l.
n. 300/1970, per quanto attiene alla loro fase di cognizione sommaria, e di quelli
aventi ad oggetto licenziamenti individuali e collettivi e trasferimenti;
27. che, in ogni caso, e quanto sopra premesso e ritenuto, la Commissione
ribadisce la propria competenza in tema di astensioni collettive degli Avvocati dalle
udienze, ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1, della legge n. 83/2000, non dispiegando
alcun effetto, sotto il profilo del diritto vigente, eventuali diverse propensioni emerse
durante o a conclusione del dibattito parlamentare diretto all’approvazione della
legge n. 83/2000, e delibera pertanto la seguente


REGOLAMENTAZIONE PROVVISORIA
DELL’ASTENSIONE COLLETTIVA DEGLI AVVOCATI
DALL’ATTIVITA’ GIUDIZIARIA


Articolo 1
1. La presente normativa disciplina le modalità dell’astensione collettiva degli
avvocati dall’attività giudiziaria, di seguito denominata “astensione”, al fine di
garantire il godimento dei diritti della persona, la libertà e la dignità
dell’avvocatura, nonché il diritto di azione e di difesa tutelato dall’art. 24 della
Costituzione e di assicurare le prestazioni indispensabili di cui ai successivi art. 4
e 5.


Articolo 2
1. L’astensione è proclamata con congruo preavviso di almeno dieci giorni
prima dell’inizio della stessa e con l’indicazione delle specifiche motivazioni
e della sua durata, al fine di consentire ai titolari degli uffici giudiziari di
predisporre le misure che si possano rendere necessarie.


2. Della proclamazione e della specifica motivazione dell’astensione è data
immediata notizia al Presidente della Corte d’Appello e ai Presidenti degli
uffici giudiziari civili, penali, amministrativi e tributari interessati, nonché -
anche quando l’astensione riguardi un singolo distretto o circondario - al
Ministro della Giustizia ed agli altri Ministri eventualmente competenti. I
soggetti sindacali proclamanti sono inoltre tenuti a darne pubblica
comunicazione, nelle forme adeguate, almeno cinque giorni prima dell’inizio
dell’astensione.


3. Potrà non essere rispettato l’obbligo di preavviso ai sensi anche dell’art. 2,
comma 7 della l. n. 146/1990 come modificata ed integrata dalla l. n.
83/2000, nei soli casi in cui l’astensione venga proclamata in difesa
dell’ordine costituzionale ovvero per gravi attentati ai diritti fondamentali dei
cittadini e alle garanzie essenziali del processo.


4. L’astensione, anche in caso di successive proclamazioni da parte del
medesimo o di altro soggetto sindacale, non può protrarsi nel medesimo
ambito per cui è proclamata per oltre trenta giorni consecutivi ovvero
calcolati nell’arco di un trimestre. Superato tale termine, una nuova
astensione riguardante il medesimo ambito di riferimento è consentita, quale
che sia il soggetto sindacale proclamante, e qualora sia riferita, in misura
esclusiva o prevalente, alla medesima motivazione, per la stessa durata
massima, soltanto decorsi ulteriori novanta giorni. In ogni caso, la prima
astensione, quale ne sia la motivazione, non può eccedere sette giorni. Tali
limitazioni non si applicano nei casi in cui è prevista la proclamazione
dell’astensione senza preavviso.


Articolo 3
1. Nel processo civile, amministrativo e tributario, se taluna delle parti costituite
che non stanno in giudizio personalmente non compare nell’udienza fissata
durante lo svolgimento dell’astensione, le parti o una di esse potranno
chiedere al giudice di fissare una nuova udienza immediatamente successiva
allo scadere dell’astensione.


2. Nell’ambito del procedimento penale, il difensore che non intende aderire alla
astensione proclamata deve comunicare prontamente tale sua decisione
all’autorità procedente ed agli altri difensori costituiti.


3. Nel processo civile, amministrativo e tributario, l’avvocato che non aderisca
alla astensione deve informare preventivamente gli altri difensori costituiti o
di cui conosca la presenza nel processo e, ove questi aderiscano alla
astensione, è tenuto a non compiere atti pregiudizievoli per le altre parti in
causa.


4. Per le udienze che possono celebrarsi anche in assenza del difensore, questi,
qualora intenda astenersi, deve darne comunicazione all’autorità procedente.
5. Il diritto di astensione può essere esercitato in ogni stato e grado del processo
sia dal difensore di fiducia che da quello di ufficio.


Articolo 4
1. L’astensione non è consentita nella materia penale in riferimento:


a) alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo, a quelle afferenti misure
cautelari, agli interrogatori ex art. 294 del codice di procedura penale,
all’incidente probatorio, al giudizio direttissimo e al compimento degli atti
urgenti di cui all’articolo 467 del codice di procedura penale, nonché ai
procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il
periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini preliminari,
entro 360 giorni, se pendenti in grado di merito, entro 180 giorni, se pendenti nel
giudizio di legittimità, entro 90 giorni;


b) nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di
custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato chieda espressamente,
analogamente a quanto previsto dall’art. 420 ter comma 5 (introdotto dalla l. n.
479/1999) del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l’astensione
del difensore. In tal caso il difensore, di fiducia o d’ufficio, non si considera
legittimamente impedito ed ha l’obbligo di non astenersi.


2. Tuttavia, anche quando l’imputato sottoposto a custodia cautelare o a
detenzione non formuli l’espressa richiesta di cui al comma 1, lett. b),
l’astensione sarà consentita, se riferita in via esclusiva o prevalente alla stessa
motivazione, per non più di tre udienze consecutive per ogni grado del
giudizio e, in ogni caso, soltanto per una volta nel corso di ciascuna
astensione ritualmente proclamata.


Articolo 5
1. L’astensione non è consentita, in riferimento alla materia civile, nei
procedimenti relativi:
a) a provvedimenti cautelari, allo stato e alla capacità delle persone, ad alimenti,
alla comparizione personale dei coniugi in sede di separazione o di divorzio e
all’affidamento di minori;
b) alla repressione della condotta antisindacale, nella fase di cognizione sommaria
prevista dall’art. 28 della l. n. 300/1970, ed ai procedimenti aventi ad oggetto
licenziamenti individuali o collettivi ovvero trasferimenti, anche ai sensi della
normativa di cui al d.lgs. n. 165/2001;
c) a controversie per le quali è stata dichiarata l’urgenza ai sensi dell’art. 92,
comma 2, del r.d. n. 12/1941 e successive modificazioni ed integrazioni;
d) alla dichiarazione o alla revoca dei fallimenti;
e) alla convalida di sfratto, alla sospensione dell’esecuzione, alla sospensione o
revoca dell’esecutorietà di provvedimenti giudiziali.
2. L’astensione non è consentita, in riferimento alla materia amministrativa e
tributaria:
a) nei procedimenti cautelari e urgenti;
b) nei procedimenti relativi a questioni elettorali.


Articolo 6
1. I comportamenti individuali con i quali si attua l’astensione debbono essere
rigorosamente conformi alla deontologia professionale e alle prescrizioni fissate
negli atti che l’hanno proclamata, in quanto compatibili con la presente
regolamentazione.


2. Rimane ferma, quanto alle violazioni delle disposizioni concernenti la
proclamazione e l'attuazione dell'astensione, oltre a quanto previsto dagli artt. 2
bis e 4, comma 4 della l. 146/1990 così come riformulati dalla l. n. 83/2000,
anche l’eventuale valutazione dei Consigli dell’Ordine in sede di esercizio
dell’azione disciplinare.


AVVERTE
che la provvisoria regolamentazione di cui alla presente delibera è vincolante
per le parti ai sensi dell’art. 2, comma 3 della legge n. 146/1990, come modificata
dalla legge n. 83/2000, e cioè fino al raggiungimento di un codice di
autoregolamentazione valutato idoneo;
che, come previsto dalla legge n. 146/1990, modificata dalla legge n.
83/2000, in caso di inosservanza delle disposizioni contenute nella provvisoria
regolamentazione, si applicheranno, valutate le cause di insorgenza, le sanzioni
previste dall’art, 4, comma 4 della stessa legge. Resta fermo, altresì, quanto previsto
dall’art. 4, comma 4 ter della medesima legge n. 146/1990, come modificata dalla
legge n. 83/2000;
DISPONE
la notifica della presente delibera all’Organismo Unitario dell’Avvocatura
Italiana e all’Unione delle Camere Penali Italiane e la sua trasmissione ai Presidenti
delle Camere, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia,
nonchè al Consiglio Nazionale Forense;
DISPONE INOLTRE
ai sensi dell’art. 13, lett. l) della legge n. 146/1990 come modificata dalla legge
n. 83/2000, la pubblicazione della regolamentazione provvisoria di cui alla presente
delibera sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.


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"Chi rappresenta il popolo non puo' permettersi di suscitare il minimo dubbio sulla propria condotta morale." - Rita Borsellino








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