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Anno giudiziario    

Cassazione: relazione di Nicastro su anno giudiziario 2006 (testo con note e sintesi)

Testo completo con note
29.01.2007 - pag. 39949 print in pdf print on web

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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Inaugurazione Anno Giudiziario 2007 Gaetano Nicastro “Relazione sull’attività Giudiziaria nell’anno 2006” Roma, 26 gennaio 2007

Indice

Saluti e ringraziamenti

Considerazioni preliminari

Il contenzioso civile nel decorso anno

Il contenzioso penale

Il patrocinio a spese dello Stato

Lo Stato italiano e il giusto processo

Norme interne e Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo

La criminalità, con particolare riguardo alla criminalità organizzata

Il mandato di arresto europeo

Le riforme più significative ed il loro impatto sull’esercizio della giurisdizione

La tutela ambientale in particolare

La riforma dell’ordinamento giudiziario

La Corte di Cassazione. Il settore civile

La Corte di Cassazione. Il settore penale

L’informatizzazione del processo e le banche dati della Corte.

La Biblioteca Centrale Giuridica

Considerazioni conclusive

Saluti e ringraziamenti.

Prima di rendere conto al Paese dell’andamento della giustizia nello scorso anno non posso esimermi dal rivolgere, a nome mio personale e di tutti i partecipanti all’Assemblea Generale di questa Corte, un deferente saluto al sig. Presidente della Repubblica, unitamente ad un vivo ringraziamento per l’interesse che, con la Sua ambita partecipazione, mostra ai problemi della Giustizia, ribadito anche in un recentissimo documento.

Ringrazio altresì:

- Il Cardinale Vicario di Sua Santità, card. Ruini; - I Presidenti emeriti della Repubblica; - I Presidenti del Senato e della Camera; - Il Presidente del Consiglio dei Ministri; - Il Presidente della Corte Costituzionale; - Gli onorevoli Ministri, e particolarmente il sig. Ministro della Giustizia, - Il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura - I Capi delle Forze Armate e delle Forze dell’ordine; - Le altre Autorità qui presenti e tutti gli intervenuti.

Un grazie particolare al Vice Presidente della Commissione Europea, Commissario responsabile per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, ai signori Ministri della Giustizia degli Stati membri dell’Unione Europea ed ai rispettivi ambasciatori, che per la prima volta ci onorano, indicando, con la loro presenza, come siano diventati angusti i confini nazionali e come i problemi dell’amministrazione della giustizia – non solo penale, quanto anche civile - si proiettano e vanno considerati nell’ambito del più vasto spazio europeo.

Un saluto a tutti i colleghi ed agli avvocati, che attraverso i loro rappresentanti partecipano ormai, a pieno e buon diritto, a questa cerimonia e senza il cui apporto, nella dialettica delle singole posizioni, sarebbe inane parlare di giustizia.

Mi sia consentito, infine, rivolgere un omaggio alla sensibilità istituzionale del Presidente Aggiunto della Corte.

Considerazioni preliminari

Di fronte al ripetersi, allarmato ed allarmante, di anno in anno, di dati che evidenziano le disfunzioni della giustizia, è legittimo chiedersi se ha ancora un significato questa pubblica solenne cerimonia, come, del resto, già alcuni si sono chiesti. Ma presenze qui sì autorevoli confermano l’interesse che può avere per il Paese la panoramica che vi si svolge, se non rimane fine a se stessa ma, facendo emergere a livello ufficiale, unitamente all’attività della magistratura ed all’impatto – positivo ma anche, eventualmente, negativo - delle leggi che si sono succedute nel tempo sull’esercizio della giurisdizione, i gravissimi problemi che la attanagliano, possa essere di stimolo alla loro soluzione.


Lo sfascio richiede soluzioni invocate e non realizzate
Ché il problema del "giusto processo", che sulla scia della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della correlativa Convenzione Europea adottata proprio qui a Roma il 4 novembre 1950 (resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, che all’art. 6 parla, più adeguatamente, di "processo equo"), ha trovato la sua consacrazione nell’art. 111 della Costituzione, attiene a diritti fondamentali della persona umana; la "ragionevole durata" del processo, che, unitamente alle altre garanzie vi si collega, sulla quale si appuntano i maggiori strali, non ne costituisce un corollario secondario, attenendo al diritto degli utenti del servizio giustizia a che quell’unicuique suum (che qui intendiamo in senso onnicomprensivo) trovi tempestiva attuazione non solo nell’interesse del singolo ma della società nel suo insieme, quale condizione dell’ordinato vivere civile e dello sviluppo della sua economia e dell’intero Paese.

Il contenzioso civile nel decorso anno.

La comprensione delle condizioni in cui opera la magistratura e delle conseguenti disfunzioni non può prescindere dall’analisi di alcuni dati statistici.

Pur facendo grazia di minuti riferimenti numerici, da quelli forniti dalla Direzione generale di statistica del Ministero si deduce una lieve diminuzione, nel periodo considerato (1 luglio 2005 – 30 giugno 2006), dei procedimenti introdotti dinanzi ai Giudici di pace (- 4,4%, essendo sopravvenuti 1.473.926 procedimenti rispetto ai 1.542.239 del precedente periodo), ed ai tribunali (2.560.490, con una diminuzione del 2,8% in primo grado, che ampiamente compensa, tenuto conto della sproporzione dei dati (27.479 procedimenti), l’aumento del 16,8% per il secondo); un aumento si riscontra, viceversa, nei giudizi di primo grado presso le corti di appello (25.521 procedimenti, con un aumento di ben 69,3%), cui corrisponde una diminuzione del 3,5% in secondo grado (123.091 sopravvenienze rispetto a 127.528 dell’anno precedente). I dati più eclatanti sono costituiti dall’aumento del 16,8 % dei giudizi in grado di appello dinanzi ai tribunali e del 69,3% dei giudizi di primo grado dinanzi alle 6 corti di appello,


In appello preoccupante aumento del contenzioso di ogni grado
aumenti che non destano, numericamente considerati, particolare allarme in quanto riferiti a limitati dati iniziali, sui quali incidono percentualmente in misura elevata anche piccole variazioni assolute. L’aumento dei procedimenti di primo grado presso le Corti di appello preoccupa sotto altro profilo, ove si consideri la correlativa limitata competenza dell’organo, indicando una massiccia incidenza delle richieste di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (cd.a "legge Pinto", l. 24 marzo 2001, n. 89), come, del resto, confermano quasi tutte le relazioni pervenute dai vari distretti. L’entità dei dati relativi al giudizio di appello presso le Corti deriva invece da una serie di leggi che hanno riversato sulle stesse materie e procedimenti già di competenza di altri organi, senza la loro tempestiva ed adeguata riorganizzazione (d. l.vo 19 febbraio 1998, n. 51, contenente "norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado"; l. 22 luglio 1997, n.276, "disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente: nomina di giudici onorari aggregati e istituzioni delle sezioni stralcio dei tribunali ordinari"; d.lvo 3 febbraio 1993, n. 29, sulla istituzione della sezione lavoro; trasferimento al giudice ordinario delle controversie relative al pubblico impiego, ecc.), segnalati in una relazione redatta a suo tempo dal sottoscritto e dall’attuale presidente della Corte di appello di Roma, cui non è seguito alcun effetto pratico:

di tal che del tutto inane è rimasto lo snellimento del giudizio di appello attuato con la legge 26 novembre 1990, n. 353, da concentrare in una o due udienze allorché non sia necessaria l’ammissione di nuove prove, e si assiste ormai alla fissazione della precisazione delle conclusioni spesso oltre l’anno.

Dall’analisi della composizione dei procedimenti sopravvenuti emerge una discreta diminuzione delle separazioni personali, tanto consensuali (- 4,9%) quanto giudiziali (- 6,5%), che si aggiunge a quella del precedente periodo, una lievissima diminuzione dei divorzi giudiziali (- 0,1%) ed un leggero aumento di quelli su ricorso congiunto (1,3%), rispetto al notevole aumento dell’anno precedente, segno che la famiglia rimane ancora salda in Italia; il prevalere delle separazioni consensuali (72.628), rispetto a quelle giudiziali (33.062), e dei ricorsi congiunti per il divorzio, più che doppi rispetto agli altri (41.494 contro 19.659), denota inoltre una maturazione della società italiana, malgrado gli efferati delitti cui si è assistito nell’anno per risolvere in modo cruento situazioni di crisi. Una confortante, anche se limitatissima, diminuzione hanno avuto le procedure fallimentari (- 0,1%) e i procedimenti esecutivi mobiliari (- 3,9%):

possiamo affermare, ottimisticamente, che si tratta di un primo, stentato segnale di ripresa, pur in un periodo di stagnazione? Un leggero decremento ha subito tuttavia, nel periodo, il numero dei procedimenti esauriti tanto presso i Giudici di pace (- 3,8%), quanto presso i tribunali (- 4% per quelli di primo e – 9,3% per quelli di secondo grado), che trova spiegazione nelle carenze di organico dei magistrati e del personale amministrativo (che raggiunge la ragguardevole incidenza del 30%, in alcuni distretti, quale quello di Milano) per effetto del rinvio dei concorsi, mentre un incremento hanno realizzato le corti di appello (20,9% in primo e 5,7% in secondo grado). Il numero di procedimenti esaminati ed esauriti rimane comunque enorme, segno che la magistratura, pur con le limitate risorse disponibili, è in grado di impegnarsi per la soluzione dei problemi che attanagliano la giustizia, apportando anch’essa il proprio contributo.


I tempi dell'ingiustizia
Inaccettabilmente elevato rimane, comunque, il tempo necessario perché si pervenga alla sentenza nelle controversie civili: 340 giorni presso il giudice di pace, 887 per i giudizi di primo grado dinanzi ai tribunali e 394 giorni per le corti di appello (rispetto ai 1.215 giorni per le corti ed agli 808 giorni per i tribunali necessari nel 1994 ed alla punta di 1.529 giorni del 2000 presso questi ultimi); 808 e 1.020 giorni rispettivamente, per il secondo grado; la giacenza si riduce di poco nelle controversie in materia di lavoro (731 giorni per il primo e 740 giorni per il secondo grado) ed in materia di previdenza e assistenza (872 giorni per il primo e 889 giorni per il secondo grado), denotando il fallimento della riforma del processo del lavoro in mancanza di mezzi adeguati. E’ da notare, inoltre, che le medie indicate vengono calcolate con una formula matematica (D = (Pi+Pf) :

(S + E) x 365), sicché maggiore potrebbe essere la giacenza effettiva (che sarà utilizzata per la Corte di cassazione). Si tratta, lapalissianamente, di standard ancora e spesso lontanissimi da quelli individuati dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo: alle medie, inoltre, si sovrappongono chiaramente i dati specifici di quei tribunali e di quelle corti che maggiormente se ne distaccano, evidenziando l’esistenza di situazioni notevolmente allarmanti.

Il contenzioso penale. La consistente diminuzione dei procedimenti penali sopravvenuti presso il Giudice di pace (da 218.961 a 205.372, pari a - 16,7%), anche per effetto delle depenalizzazioni, e la lieve riduzione avvertita per i tribunali per i minorenni (da 3.846 a 3.817 = - 0,8 %), e per i tribunali ordinari in primo grado (da 345.860 a 342.833, pari a -0,6% %), che compensa l’aumento dei giudizi di appello (da 2.278 a 2.531, pari al 12%), non consente, per la sua stessa limitatezza, alcuna conclusione sociologica, salvo l’eventuale conferma che si potrà avere negli anni successivi; ad un incremento si è assistito presso le corti di assise (+ 6%), le corti di appello (+13,4%) e le corti di assise di appello (+ 0,8%), cui non corrisponde un incremento dei procedimenti esauriti (tranne che presso i g.i.p. ed i g.u.p. dei tribunali per i minorenni). Riduzioni si sono avute, viceversa, presso le procure, i g.i.p. ed i g.u.p.. Ove si considerino i procedimenti che si esauriscono con decreto di archiviazione (197.460 dinanzi al giudice di pace; ben 1.086.623 dinanzi al g.i.p. presso i tribunali, 18.620 presso i tribunali per i minorenni), le sentenze di proscioglimento e di assoluzione (3.680 a seguito di giudizio abbreviato; 116.967 da parte dei tribunali; 1.560 da parte dei tribunali per i minorenni e 6.312 dal giudice di pace) e quelle di non luogo a procedere (27.327), rispetto al totale dei procedimenti instaurati (265.448 per il giudice di pace, 1.858.735 presso il g.i.p. ed il g.u.p. e 331.858 per i tribunali), emerge che il ricorso al giudice penale, anche attraverso la denuncia o la querela, non risponde sempre ad una esigenza di giustizia ma evidenzia un certo grado di ormai risalente deterioramento dei rapporti sociali


deterioramento dei rapporti sociali
. Oggetto di sconcerto presso la pubblica opinione rimane, inoltre, la permanenza negli uffici di pubblici dipendenti che si sono macchiati di gravi reati contro la pubblica amministrazione, condannati con sentenza passata in giudicato: apprezzabile che sul problema siano stati di recente presentati alcuni disegni di legge.

La giacenza media (concetto – come si è evidenziato - statisticamente diverso dalla giacenza effettiva) presso tutti gli uffici si attesta tra i 300 ed i 400 giorni, con un picco di 630 giorni per il rito collegiale presso i tribunali (termini cui vanno aggiunti quelli necessari per le indagini ed i vari provvedimenti che precedono il giudizio), e di 603 giorni per le corti di appello; il termine è invece di 426 giorni per le corti di assise e di 242 giorni per le corti di assise di appello.

Fra le novità più significative introdotte nell’anno vanno richiamate la l. 20 febbraio 2006, n. 46, in tema di impugnazione delle sentenze di proscioglimento, e la l. 13 febbraio 2006, n. 59, che ha modificato l’art. 52 cod. pen., in materia di legittima difesa.

Tra le problematiche più rilevanti che sono derivate dalla prima emerge la limitazione dell’appello dell’imputato e, soprattutto, del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento ai soli limitatissimi casi in cui sia possibile prospettare l’esistenza di una prova nuova "sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio" di primo grado e sempre che la stessa sia "decisiva" (art. 593 cod. proc.

pen., nella nuova formulazione), sì da legittimare la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen.. La norma è applicabile anche agli appelli pendenti, divenuti in conseguenza inammissibili, ma con la possibilità di proporre ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica del relativo provvedimento (art. 10 della legge). La stessa ha dato luogo a dubbi di costituzionalità, in riferimento agli artt. 111 (sulla parità delle parti come espressione del giusto processo), 3 (parità di trattamento) e 112 Cost. (obbligatorietà dell’azione penale), sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale con circa trenta ordinanze (la trattazione è stata fissata nei giorni 23 e 24 di questo mese).

Discussa è, inoltre, la ricaduta della modifica e della soppressione, nell’art. 576 cod. proc. pen., dell’inciso che richiamava i mezzi previsti per il P.M. sul potere di impugnazione della parte civile, in presenza del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione ed in mancanza di alcuna norma in materia di appello della parte privata: la questione, pur in presenza di alcune decisioni delle sezioni semplici, è attualmente pendente dinanzi alle Sezioni Unite penali.

Degna di maggiore riflessione è la modifica dell’art. 52 del cod. pen. (difesa legittima), operata dalla l. 13 febbraio 2006, n. 59, che, sotto la spinta dell’allarme sociale di ripetuti e gravi deprecabili fatti, ha istituito legislativamente (così come si è espressa questa Corte con la sentenza 28 giugno 2006, n. 25339) un rapporto di proporzionalità nel caso di violazione di domicilio tra il fatto e l’uso delle armi legittimamente detenute.

Nel corso dell’anno ha subito alcuni "ridimensionamenti" la l. 5 dicembre 2005, n. 251 (cd.a "ex Cirielli"), per la quale sono note le contestazioni e le critiche avanzate, in particolare alla rideterminazione dei termini di prescrizione, agli effetti della interruzione, in relazione alla tipologia di particolari reati od alla loro gravità ovvero alla recidiva, alle circostanze ed alla loro comparazione (artt. 62-bis ss., 157, 160 e 161 cod. pen.), regolamentati in modo più favorevole all’imputato in molti casi, peggiorativo in altri. La salvaguardia che la legge aveva introdotto all’applicabilità dei più brevi termini ai procedimenti pendenti con riferimento alla dichiarazione di apertura del dibattimento è venuta meno con la sentenza della Corte Costituzionale 23 novembre 2006, n. 393, secondo la quale la retroattività della legge più favorevole, anche se non di rango costituzionale, si fonda su un complesso di fonti normative sovranazionali che le imprimono carattere generale, rispetto al quale quella scansione temporale non rispondeva ad un principio di ragionevolezza. La sentenza del giudice delle leggi non ha inciso sulla inapplicabilità delle nuove disposizioni più favorevoli nei giudizi in fase di impugnazione (Cass. 27 novembre 2006, n. 1503). La legge ha subito un ulteriore infortunio dinanzi alla Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo anche l’art. 30-quater della l. 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), nella formulazione introdotta con l’art. 7 della stessa, nella parte in cui non prevede che il permesso premio possa essere concesso sulla base della normativa previgente ai condannati che, prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto.


tutela dei dati acquisiti in sede di indagini preliminari
Un problema che si è insistentemente riproposto, rispetto al ripetersi di alcuni fatti, è la tutela dei dati acquisiti in sede di indagini preliminari, con i normali mezzi di investigazione ed in particolare mediante le intercettazioni, dei quali si sono spesso impadroniti i mass-media, con danno per la prosecuzione delle indagini e talvolta dello stesso indagato; soprattutto coinvolgendo anche soggetti terzi, persino per fatti strettamente personali e del tutto estranei a quel procedimento. Un malcostume ricorrente che va colpito anche penalmente e che non si sa quanto consono alla stessa deontologia giornalistica.

Va ancora segnalata l’attività di stimolo nell’adeguamento delle garanzie dell’imputato, svolta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Grande Chambre, in particolare, nel corso dell’anno (sentenza del 1° marzo 2006 - Sejdovic c. Italia) ha confermato la precedente sentenza della prima sezione (sentenza 20 novembre 2004) che, con riferimento sempre all’esigenza di equità del processo, aveva ritenuto e dichiarato che l’art. 175 cod. proc. pen. (nel testo vigente all’epoca dei fatti, del quale la Corte Cost.le aveva escluso il contrasto con la nostra Carta Costituzione con la sentenza n. 399 del 1998) violava l’art. 6 C.E.D.U. per le limitazioni poste alla riapertura del processo contumaciale ed "in assenza di meccanismi volti a garantire il diritto delle persone condannate in contumacia – non informate in modo effettivo dei capi d’accusa e che non abbiano rinunciato in maniera inequivoca al diritto a comparire – di ottenere che una giurisdizione decida di nuovo dopo averli sentiti sul merito dell’accusa", nel rispetto delle esigenze di quella norma. Alla precedente sentenza il nostro Paese si era peraltro immediatamente adeguato riformulando il secondo comma dell’art. 175 cod. proc. pen. con la l. 22 aprile 2005, n. 60, di conversione del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17.

La Corte europea ha invece escluso che il collegamento in videoconferenza ponga la difesa in una posizione di "svantaggio sostanziale" rispetto alle altre parti, riconoscendo che la stessa consente pienamente all’interessato di esercitare i diritti e le facoltà collegabili alla nozione di processo equo (sent. 5 ottobre 2006, Marcello c. Italia).

Nello scorso anno ha turbato gravemente le coscienze il grande numero di infortuni sul lavoro, con una notevole ed inaccettabile incidenza di esiti nefasti, problema sul quale è intervenuto accoratamente ed autorevolmente anche il Presidente della Repubblica. L’intervento del giudice penale non potrà ridare la vita né l’integrità fisica, rimanendo mera parvenza di ripristino della legalità: si tratta piuttosto di operare preventivamente per la scrupolosa e completa osservanza delle norme di prevenzione e per la predisposizione di tutti quei mezzi che impediscano il ripetersi di simili dolorosi episodi.

Altro grave problema emerso imperiosamente, che ha riempito le pagine dei mass-media, dando luogo ad appassionati dibattiti, è stato quello di stabilire se e quando sia legittimo interrompere il trattamento terapeutico nei malati terminali (il rispetto che nutro per i drammi umani venuti alla luce mi impedisce di citarne i protagonisti, del resto a tutti noti). Alla soluzione sono indubbiamente connessi profondi problemi etici, che investono il significato stesso della vita umana e diritti ritenuti indisponibili (art. 5 cod. civ.). E’ difficile appellarsi, allo scopo, alla nota legge 598/1993, che collega la morte alla "cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo", dettata ad altri fini (ed in particolare ai fini dell’espianto degli organi), mentre è indubbio che la nostra Costituzione esclude che si "possa essere obbligat(i) a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" (art. 32), garantendo il diritto alla salute e contemporaneamente, all’autodeterminazione (dei soggetti capaci: cfr. decreto della Corte d’appello di Milano 15 novembre – 16 dicembre 2006). Di fronte al progresso della farmacologia e dell’ingegneria medica rimane ambiguo il concetto stesso di accanimento terapeutico (escluso in uno dei casi dal Consiglio Superiore di Sanità, nel parere espresso il 20 dicembre 2006), sicché appare indispensabile ed urgente un intervento del legislatore che affronti e chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si presentano al giurista ed al medico.

Il patrocinio a spese dello Stato.- Da quasi tutti i distretti si segnala il costante aumento del ricorso al patrocinio a spese dello Stato, sia nel settore civile, sia, soprattutto, nel settore penale (artt. 74 ss. d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115), cui fanno ricorso imputati, condannati e persone offese dal reato, con un abnorme impatto sulla finanza pubblica, pur nel doveroso impegno dello Stato italiano a rendere accessibile la giustizia anche ai non abbienti (art. 24 Cost.). La facilità dell’ammissione al gratuito patrocinio, sulla base di una semplice autocertificazione (art. 79.1, lett.

c, della legge citata) si risolve essa stessa in un moltiplicatore di litigiosità, al di là di ogni effettiva esigenza di giustizia, disincentivando il ricorso ai riti alternativi e moltiplicando le impugnazioni manifestamente dilatorie, proposte anche nell’interesse di imputati rimasti contumaci in primo grado e finalizzate alla liquidazione dei compensi. Il fenomeno riguarda anche il difensore di ufficio degli imputati irreperibili, che beneficia della liquidazione dei compensi nella misura e con le modalità previste per il patrocinio a spese dello Stato e trova implicita conferma nell’allarme lanciato dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano e dalla Camera penale dello stesso capoluogo, che ha fatto affiggere nelle aule delle udienze monocratiche un "decalogo" a difesa della deontologia professionale (cfr. Corriere della Sera, 5 gennaio 2007, pag. 7).

Nel settore penale, in particolare, le liquidazioni degli onorari in favore dei difensori, cui si aggiungono le ordinanze rese sulle relative opposizioni, costituiscono una parte non indifferente dei provvedimenti camerali.

Si rende quindi necessario un più penetrante ed immediato controllo delle dichiarazioni di autocertificazione che accompagnano le domande di ammissione al patrocinio, allo stato non adeguatamente garantito; da alcuni distretti è stato inoltre consapevolmente proposto di prevedere l’esclusione degli onorari nei giudizi di impugnazione nei casi di manifesta infondatezza (la cui valutazione è già demandata ai Consigli dell’Ordine in sede di ammissione anticipata e provvisoria in materia di spese di giustizia nel processo civile amministrativo contabile e tributario), e la reintroduzione nel terzo comma dell’art. 571 cod.

proc. pen. dei limiti all’appello delle sentenze contumaciali da parte del difensore, che ne era legittimato "solo se munito di specifico mandato rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste", eliminati dall’art. 46 della l. 16 dicembre 1999, n. 479.

Lo Stato italiano e il diritto al giusto processo.-


Impossibile risarcire tutti per la lentezza dei processi.
Se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti per l’irragionevole durata dei processi non basterebbero – è stato detto – tre finanziarie. Il problema non è tuttavia quello di evitare le condanne dello Stato italiano, bensì di assicurare quello che è ormai definito, con termine in fondo improprio ma caustico, il "giusto processo", il tempestivo riconoscimento del diritto, il tempestivo proscioglimento dell’innocente o l’applicazione della pena al colpevole.

Nel 2006 la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo non appare costellata, come negli anni precedenti, di condanne dell’Italia per la violazione della ragionevole durata del processo. Ma ciò si deve, chiaramente, all’applicazione della cd.a "legge Pinto" (l. 24 marzo 2001, n. 89), che ha previsto e regolamentato l’equa riparazione, demandando alle corti di appello i relativi accertamenti e le corrispondenti liquidazioni. Dopo alcune controverse decisioni, si può dire che le Corti italiane (ivi compresa la Corte di cassazione) si siano ormai adeguate ai parametri della Corte europea, evitandosi in tal modo il ricorso a quest’ultima in una funzione di supplenza, chiarimento ed integrazione.

Così sin dalla fine del precedente anno 2005 si é chiarito che "il diritto all’equa riparazione del pregiudizio verificatosi prima della entrata in vigore della legge, va riconosciuto dal giudice nazionale anche in favore degli eredi della parte che abbia introdotto prima di tale data il giudizio del quale si lamenta la durata eccessiva, con il solo limite che la domanda di equa riparazione non sia stata già proposta alla Corte di Strasburgo e dalla stessa dichiarata ricevibile" (Cass. SS. UU., 23 dicembre 2005, n. 28.507), mentre di recente è stata affermata l’irretroattività della legge 24 marzo 2001, n. 89, mancando una norma che ne preveda espressamente l’applicabilità alle situazioni esaurite, al di là delle ipotesi contemplate nella disposizione transitoria contenuta nell’art. 6 della legge (Cass., sez. I, 24 aprile 2006, n. 9526).

Vistosa eccezione alla limitazione degli interventi della Corte europea le otto sentenze pronunciate dalla Grande Chambre il 29 marzo 2006 per violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione: nonostante la ragionevolezza dei tempi della procedura per conseguire l’equa riparazione, i ricorrenti avevano dovuto attendere vari mesi e in alcuni casi iniziare una procedura esecutiva prima di ottenere l’indennizzo loro riconosciuto: per essere efficace, il rimedio – secondo la Corte - deve essere accompagnato da previsioni di bilancio adeguate al fine di dare immediata esecuzione alle sentenze (vi si segnala altresì che certe spese fisse, come quelle di registro, possono ridurre grandemente l’efficacia del risarcimento).

Per una riduzione dei tempi del processo, può fare ben sperare il fatto che sin dalla conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio abbia indicato tra le priorità il nodo della giustizia e che il Ministro della giustizia abbia predisposto le linee guida di una offensiva legislativa mirante a ridurre i tempi, tanto nell’ambito penale quanto in quello civile, al fine di rispettare gli standards indicati dalla Corte europea, da introdurre per legge nel nostro ordinamento.

Sarebbe prematuro analizzare qui le singole disposizioni fra le quali ritengo siano da condividere - superando sottili ma anchilosate distinzioni – la tendenza a chiarire sin dall’inizio del processo penale le questioni relative alla competenza, in modo da evitare che della stessa si possa discutere ancora – con risultati eventualmente opposti – nel giudizio di cassazione, o l’introduzione di quell’udienza preliminare e di programma nel giudizio civile, che individui ab initio la scansione temporale del processo, costringendo le parti a "giocare a carte scoperte". Tanto la magistratura quanto l’avvocatura, ove prive di posizioni preconcette, sono in grado di avvertire che non si tratta di provvedimenti limitativi della libertà e del diritto di difesa, o punitivi per alcuno, quanto di porre il processo su basi più rispondenti alle esigenze di una società moderna.

L’Italia ha una schiera di valorosi giuristi ed in particolare di processualisti in grado di approfondire i problemi e di fornirne le soluzioni più adeguate, anche al di là di schemi vetusti, pur apprezzabili ed apprezzati nel passato, com’è avvenuto con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. La magistratura potrà fornire il contributo della sua esperienza e dei suoi approfondimenti, nell’ambito della funzione consultiva attribuita alle assemblee generali delle corti dall’art. 93 dell’ordinamento giudiziario 30 gennaio 1941, n. 12, di cui si è avuta positiva conferma nel parere richiesto ed espresso in ordine al decreto legislativo appena richiamato. E siamo certi che il sig. Ministro della giustizia, che con essa ha saputo instaurare un colloquio, pur nell’ambito della assoluta autonomia propositiva e decisionale che gli compete, saprà cogliere i frutti migliori.

Ma non basta, ovviamente, la fissazione di termini, della cui efficacia, perentoria od ordinatoria, si potrà discutere, come si fa già per altri in vigore, o dalla cui violazione possa derivare una responsabilità disciplinare, ma occorre contemporaneamente che gli uffici siano forniti delle risorse necessarie, umane e materiali, essendo a tutti noto come nell’anno testé decorso da più parti si siano levate fondate proteste – cui hanno dato spazio i mass media – per la mancanza di fondi per supplire ad esigenze elementari, quali i computer e la loro manutenzione, gli straordinari del personale e persino, in taluni casi, la carta per le fotocopiatrici, proteste elevate pressoché da tutti i presidenti di Corte (presso la stessa Corte di cassazione si era presentato, nel 2005, il problema del rinnovo degli abbonamenti alla riviste giuridiche).

L’impegno di ulteriori risorse, per quanto necessarie, presuppone di analizzare se ed in quali limiti la distribuzione di quelle esistenti risponda alle esigenze dei singoli uffici giudiziari, anche sotto il profilo della loro distribuzione territoriale, e se una migliore distribuzione non possa già sortire maggiori e migliori risultati, mediante l’adozione di quei semplici provvedimenti ordinamentali resi possibili dalla legge sulla istituzione del giudice unico di primo grado.

Norme interne e Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. - Sempre più la nostra giurisprudenza si trova a confrontarsi con le convenzioni internazionali e con il riconoscimento in quei testi di ampi diritti fondamentali.

Chiarificatrice, al riguardo, ed in linea con numerose pronunce della nostra Corte Costituzionale (dinanzi alla quale è stato ripetute volte sollevato conflitto da parte dei tribunali italiani) la sentenza della Corte europea 20 aprile 2006 (Patrono e altri c. Italia), in ordine al problema della immunità parlamentare prevista dall’art. 68 della Costituzione, con la quale è stato ribadito che sussiste la violazione della Convenzione allorché le deliberazioni del Parlamento vengano a paralizzare le azioni dei privati a tutela della loro reputazione, in assenza di un evidente collegamento tra le condotte ascritte e l’attività parlamentare, rilevandosi che nella fattispecie sottoposta al suo giudizio non era stato rispettato "il giusto equilibrio tra le esigenze del generale interesse della comunità e gli imperativi della tutela dei diritti fondamentali della persona", anche perché i parlamentari non avevano manifestato, in quella circostanza, opinioni politiche, ma avevano espresso esclusivamente affermazioni denigratorie nei confronti dei ricorrenti.

Con numerose pronunce la Corte ha censurato il meccanismo dell’occupazione appropriativa, considerata quale forma di "espropriazione indiretta", che, permettendo all’amministrazione di superare le regole del procedimento di espropriazione, consolida una situazione di illegalità che contrasta con il principio di legalità che deve presiedere all’attività della pubblica amministrazione (sentenza 2 febbraio 2006, Genovese e altri c. Italia; sent. 9 febbraio 2006, Prenna e altri c. Italia; e, recentissimamente, sent. 21 dicembre 2006, De Angelis e altri c. Italia); né vale a sanare tale illegittimità l’art. 43 del testo unico sulla espropriazione per pubblica utilità (d.p.r. 8 giugno 2001, n.

327), poiché l’occupazione acquisitiva, anche se disciplinata dalla legge, non può costituire una alternativa alla procedura "en bonne et due forme" (sent. 12 gennaio 2006, Sciarrotta e altri c. Italia). La Grande Chambre ha preso posizione anche sulla determinazione della indennità di espropriazione, ponendo chiaramente in discussione il sistema italiano dell’art. 5 bis d.l. n. 333 del 1992, convertito in legge n. 359 del 1992, e l’art. 37 del t.u. n. 327 del 2001: pur riconoscendo la discrezionalità degli Stati, che in via eccezionale possono fissarne l’entità in misura non coincidente con l’integrale compensazione, ha ritenuto che l’art. 1 del I° protocollo addizionale della Convenzione impone in ogni caso di mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze riconducibili all’interesse generale della comunità e la salvaguardia del diritto fondamentale dell’individuo al rispetto dei propri beni (sent. 29 marzo 2006, Scordino c. Italia). Il contrasto della disciplina interna con la Convenzione universale dei diritti dell’uomo e col suo I° Protocollo addizionale, come interpretato dalla Corte europea, ha indotto la Corte di cassazione a sollevare la questione di costituzionalità delle norme interne in tema di indennità di espropriazione (Cass., ord. 29 maggio 2006, n. 12810) e di risarcimento da occupazione appropriativa (Cass., ord. 20 maggio 2006, n.. 11887), sotto il profilo, tra l’altro, della violazione dell’art. 117, c. 1, della Costituzione (nel testo risultante dalle modifiche apportate al titolo V) e delle norme convenzionali, cui quel testo avrebbe conferito valore di "norme interposte".

Importanti affermazioni concernono, inoltre, la limitazione dei diritti elettorali del fallito, la sua iscrizione nell’apposito registro ed il tempo previsto per la riabilitazione (sent. 23 marzo 2006, Albanese c. Italia), l’impossibilità per il singolo creditore di agire in giudizio per ottenere il pagamento delle somme dovute prima del deposito dello stato passivo nel corso di una procedura di amministrazione straordinaria ex l. 95 del 1979 e r.d. 267 del 1942 (sent. 2 febbraio 2006, Chizzotti c Italia)

La criminalità, con particolare riguardo alla criminalità organizzata. - Dai dati forniti dall’ISTAT risulta che nel periodo considerato (1 luglio 2005 – 30 giugno 2006) è considerevolmente diminuito il numero dei reati denunciati (da 2.855.372 a 2.526.486, con una riduzione dell’11,51%), anche se eccessiva rimane la percentuale di quelli ad opera di ignoti (1.992.943). Un dato confortante deriva dalla riduzione pressoché generalizzata di tutte le tipologie di reati, ivi compresi gli omicidi volontari (passati da 3.074 a 2.759 = -10,24%; purtroppo con una incidenza notevole di quelli commessi all’interno del nucleo familiare o fra persone legate tra loro da vincoli affettivi) e gli omicidi colposi (da 8.330 a 7.540 = -9,48%), ma anche le rapine, che raggiungono una riduzione del 15,83%, passando da 53.805 a 45.285, anche se talvolta con conseguenze luttuose, le estorsioni (da 217 a 173) ed i sequestri di persona (da 615 a 545), i reati di violenza sessuale (da 5.505 a 5.026), le truffe (da 150.148 a 116.122) e persino il traffico di stupefacenti (da 35.390 a 33.859); un prevedibile aumento, del 62%, hanno subito le violazioni delle leggi in materia di immigrazione (da 12.512 a 20.270), la contraffazione e l’alterazione di marchi e l’uso di marchi contraffatti (da 14.743 a 17.305: + 17,37%), nonché il traffico illecito di rifiuti (da 40 a 51: +27,5%); in leggera diminuzione, infine, il numero di minorenni resisi responsabili di reati (da 19.459 a 18.812).

Nella lotta alla criminalità si sono distinte, come per il passato, le forze dell’ordine – Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, preziosa nelle indagini relative ai reati di matrice economico finanziaria, ed altri Corpi – che, talvolta tra non poche difficoltà, hanno saputo assolvere ai loro compiti istituzionali con competenza e spirito di sacrificio, fornendo alla magistratura inquirente un qualificato e leale supporto e meritandosi la gratitudine dei cittadini anche per l’aiuto spesso spontaneamente prestato in situazioni difficili.

Fruendo ormai, come hanno evidenziato recentissimi fatti (cui non possono far ombra eventuali sporadiche deviazioni), dell’ausilio di competenze e dei mezzi scientifici dei quali sono dotati, che presuppongono altissime specializzazioni, hanno raggiunto risultati notevolmente positivi. Anche la Polizia Penitenziaria ha svolto con abnegazione il suo compito nella difficile situazione delle affollate carceri italiane. E rivolgendomi a loro mi permetto di invitarle a non farsi prendere dallo scoramento allorché la loro azione sembra frustrata dall’applicazione di alcune leggi. Da fedeli servitori dello Stato, tutti dobbiamo sottostarvi, considerando i grandi ideali che ad esse sono spesso sottesi, anche se talvolta si possano essere rivelati utopici, con la privazione della libertà personale prima della sentenza definitiva limitata ai casi di effettiva necessità o pericolo e nella sua durata, da un lato, gli strumenti per il recupero del condannato, consacrato dall’art. 27 della Costituzione, attraverso l’intervento del giudice di sorveglianza, dall’altro.

*****

Alle note organizzazioni criminali di matrice interna - mafia (Cosa Nostra), ‘ndrangheta, camorra, Sacra Corona Unita, "stidda" (nella zona di Gela), considerate ancora "realtà di estremo rilievo", si uniscono ora, stabilmente installate nel nostro territorio, organizzazioni criminali straniere ognuna, secondo l’analisi della D.N.A., con proprie caratteristiche: mi riferisco alla criminalità albanese, rumena, bulgara, russa, nord-africana e sud-americana (in particolare colombiana), cinese, che opera in gruppi stabilmente od occasionalmente organizzati. Desidero chiarire – anche se può considerarsi lapalissiano – che con tali raggruppamenti di matrice etnica non si intendono esprimere giudizi criminalizzanti su intere compagini nazionali quanto individuare quei limitati gruppi criminali enucleatisi dalle stesse, come, del resto, per le organizzazioni autoctone di origine regionale. Né si può ignorare il contributo che i lavoratori stranieri danno alla nostra economia, confermato da recenti indagini.

Attività comune alle mafie nostrane è il traffico di stupefacenti (eroina e cocaina) con un intreccio di rapporti tra loro e con le organizzazioni criminali del resto d’Europa (soprattutto Albania e Paesi dell’Est europeo), della Turchia e dell’America Latina (in particolare Colombia ed Argentina), e basi "logistiche" – specie della ‘ndrangheta - anche in altri paesi europei, quali l’Olanda e la Spagna. Si aggiungono, per "Cosa Nostra", l’usura e le estorsioni, attraverso intimidazioni, anche per mezzo di attentati incendiari, con un pesante condizionamento delle attività economiche, ma soprattutto l’inserimento negli appalti – di tal che gli imprenditori, prima di concorrervi, chiedono se la gara sia "libera" - e nello smaltimento dei rifiuti.

Dopo i colpi inferti dalle forze dell’ordine, anche attraverso l’applicazione di misure patrimoniali su beni di rilevante entità, e la cattura di importanti personaggi - fra i quali, dopo quarantatre anni di latitanza, del noto Bernardo Provenzano, assicurato alla giustizia attraverso l’opera coordinata ed intelligente della D.N.A. e delle forze di polizia - le organizzazioni mafiose, che avevano tenuto negli ultimi anni, dopo la dolorosa uccisione di valorosi colleghi e di esponenti delle forze dell’ordine, un "basso profilo", si trovano in una fase di transizione dagli esiti imprevedibili. Come hanno confermato le indagini e le intercettazioni collegabili agli ultimi arresti, l’organizzazione gode purtroppo di una vasta rete di fiancheggiatori nell’ambito di una certa "borghesia mafiosa", fatta di tecnici, di professionisti, di imprenditori, di esponenti politici (v. la custodia cautelare in carcere, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., disposta dal g.i.p. di Palermo nei confronti di un deputato dell’Assemble Regionale Siciliana) e della burocrazia.


concorso esterno
A fugare equivoci è tuttavia opportuno richiamare le precisazioni offerte dalle Sezioni Unite con la sentenza del 12 luglio 2005 (nel procedimento che aveva visto coinvolto un noto uomo politico meridionale), in ordine al cd. "concorso esterno". La Corte ha infatti chiarito – ritengo definitivamente – che, "in tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di concorrente esterno il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa e privo dell’affectio societatis fornisce uno specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi una effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su vasta scala, come "Cosa Nostra", di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione anche parziale del programma criminoso della medesima".

Una analoga, se non maggiore strategia dell’"inabissamento" ha adottato la Sacra Corona Unita, con una diminuzione degli scontri armati. La Puglia è divenuta un importante posto di transito degli stupefacenti; pur fronteggiando l’Albania, l’organizzazione sembra invece in parte estranea al traffico di essere umani e all’immigrazione clandestina, dei quali si occupano soprattutto organizzazioni criminali albanesi, turche, iraniane e nord-africane. La brillante operazione che ha recentemente assicurato alla giustizia gli assassini di un giovane sportivo – condannato per "viltà" - evidenzia l’esistenza, anche in questa organizzazione, di un proprio "codice d’onore".

Della ‘ndrangheta sono note e vieppiù emergono le ampie infiltrazioni negli apparati pubblici e nelle amministrazioni locali (e, purtroppo, non solo, come conferma un recente anche se del tutto eccezionale doloroso episodio), viene rilevato l’ingresso nella lucrosa attività del traffico di esseri umani, destinati al mercato del lavoro nero e della prostituzione mentre la sua attività si concretizza in manifestazioni di particolare aggressività ed in atti intimidatori anche nei confronti di pubblici amministratori, culminati nell’omicidio dell’on.

Fortugno ed in altri numerosi reati che ruotano, negli ultimi tempi, intorno al territorio della Locride.

Alla struttura piramidale di queste organizzazioni fa riscontro la polverizzazione della camorra, a prevalente conduzione familiare: nel solo capoluogo partenopeo operano circa cento gruppi camorristici fra i quali si distribuisce un ferreo controllo del territorio, in un equilibrio instabile che nell’anno ha dato luogo a ricorrenti guerre tra i vari clan. Con le attività criminose comuni agli altri gruppi, una caratteristica della camorra rimane l’organizzazione del lotto, del toto e, in genere, di gare clandestine, il contrabbando di tabacco e di merci contraffate, introdotte attraverso il porto di Napoli, nonché una attività tesa al condizionamento dei risultati elettorali, in occasione di consultazioni amministrative, tendente ad infiltrare la pubblica amministrazione per orientarne le scelte, altamente lesiva per la democrazia.

Caratteristiche comuni alle "mafie" alloctone sono, in generale:

- ciascuna realtà criminale ha una propria specificità operativa, connessa agli ambiti culturali di provenienza; - le organizzazioni criminali straniere preferiscono, di norma, insediarsi nelle regioni dove minore è la presenza di "mafie tradizionali" (e quindi, soprattutto, nelle regioni centro settentrionali, anziché in quelle meridionali, fatta eccezione della Campania); - tendono a non formare alleanze con le "mafie tradizionali", se non per specifici affari; - gli affiliati sono, in massima parte, clandestini.

La recente entrata nella U.E. della Romania e della Bulgaria mi induce a soffermarmi brevemente – fatta salva la riserva iniziale – sui gruppi criminali di quei Paesi.

Le compagini criminali rumene, in particolare, risultano attualmente impegnate spesso, non di rado in collaborazione con gruppi albanesi ed ucraini, nella tratta di esseri umani, nella immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione, con metodi particolarmente violenti e forme di coartazione fisica e psicologica nei confronti delle donne sfruttate; stessa violenza viene esercitata nelle rapine. Altra attività che le caratterizza, la clonazione ovvero la contraffazione degli strumenti elettronici di pagamento e la loro utilizzazione: tra l’ottobre del 2005 ed il giugno del 2006 sono stati arrestati decine di cittadini di quel Paese (ben 547), resisi responsabili dei descritti reati.

Oltre che alla tratta, le organizzazioni bulgare risultano dedite ai furti con destrezza, cui si dedicano per l’intera giornata, e con estrema mobilità sul territorio, centinaia di donne, spesso minori non imputabili, nomadi di particolari etnie, ovvero minori reclutati e presi in affitto dalle famiglie meno abbienti della zona centro-settentrionale del Paese.

Degni di rilievo e di apprezzamento sono quindi i recenti contatti che il Ministero dell’Interno e la Direzione di Polizia hanno intrattenuto con i corrispondenti organi di tali Paesi per uno scambio di informazioni ed il memorandum precedentemente siglato tra la nostra D.N.A. e la Procura Generale della Repubblica di Bulgaria per il rapido scambio di notizie, informazioni e dati.

Per quanto concerne i reati commessi da cittadini extracomunitari, spesso clandestini, si segnala la difficoltà della loro identificazione in quanto gli stessi forniscono spesso false generalità, declinando dati anagrafici non corrispondenti al vero, eventualmente al fine di beneficiare del divieto di espulsione previsto per i minori dall’art. 19 del testo unico sull’immigrazione (d. lgs. 25 luglio 1998, n.

286), mentre sono ancora da verificare gli effetti della legge n. 189/2002 che ha previsto come obbligatori i rilievi foto-dattiloscopici "qualora vi sia motivo di dubitare della identità personale" (art. 7, che ha modificato il 4° comma dlel’art. 6 d. lgs. 286/1998). Non minore difficoltà presentano l’identificazione e, soprattutto, i procedimenti a carico degli "scafisti", nei ricorrenti sbarchi che si sono succeduti negli anni, in quanto le fonti di prova sono normalmente costituite dalle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dai clandestini che forniscono una qualche collaborazione e dai riconoscimenti fotografici o de visu, ma spesso privi di riscontri obiettivi utili a dirimere eventuali dubbi circa le effettive responsabilità; gli sbarchi coinvolgono normalmente, inoltre, centinaia di persone e l’intervento della Guardia Costiera, della Marina o degli altri Corpi avviene spesso in condizioni avverse del mare se non in occasione di naufragi in cui non possono non prevalere le esigenze di salvaguardia della vita umana (va ascritto a merito dei nostri militari il senso di umanità – che è anche segno di civiltà – che normalmente accompagna i loro interventi, pur nel rispetto dei compiti istituzionali).

Il mandato di arresto europeo. La presenza del Vice Presidente della Commissione europea, Commissario responsabile per la giustizia, e di illustri titolari dei dicasteri della giustizia degli Stati Europei, unitamente con le caratteristiche internazionali assunte dalla criminalità, induce a soffermarmi sul "mandato di arresto europeo", previsto dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, la cui ratio sta nel superamento dell’istituto dell’estradizione fra gli Stati membri e nella sua sostituzione con un sistema di consegna fondato sulla fiducia reciprocamente riposta nei vari sistemi giudiziari, con l’obiettivo che l’Unione Europea nel suo insieme costituisca uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.


Il mandato di arresto europeo
I nodi della legge 22 aprile 2005, n. 69, che vi ha conformato il diritto interno, sono esplosi in relazione ad alcuni vincoli ostativi alla consegna, esulanti talvolta persino dalla precedente regolamentazione dell’estradizione, che hanno dato luogo a notevoli controversie, soprattutto in relazione alla necessità della sussistenza di "gravi indizi di colpevolezza" allorché la richiesta sia fondata su un titolo cautelare (e non esista ancora una sentenza irrevocabile di condanna), cui fa riferimento il comma 4 dell’art. 17 della legge, ed all’interpretazione dell’art. 18, lett. e), che impone "il rifiuto di consegna…se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva".

Sotto il primo profilo questa Corte ha precisato che il riferimento ai "gravi indizi di colpevolezza" non comporta una nuova e pregnante valutazione delle fonti di prova, bensì esclusivamente la verifica che il mandato emesso all’estero, per il suo contenuto intrinseco o per gli altri elementi raccolti in sede investigativa o processuale, sia fondato su un compendio indiziario ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente evocativo di un fatto reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (ex plurimis: Cass. sez. VI, 3 – 7 marzo 2006, n. 7915).

Maggiormente controversa è risultata l’individuazione dei requisiti perché possa riscontrarsi l’esistenza di "limiti massimi della carcerazione preventiva", ove ad una interpretazione secondo cui sarebbero sufficienti, a tal fine, sistemi di controllo della durata della custodia cautelare equipollenti, anche se non perfettamente identici a quello italiano (così la citata sent. n. 7915 del 2006), si sono contrapposte altre decisioni restrittive che considerano la disciplina italiana assunta dal legislatore quale "esclusivo parametro di riferimento" (Cass. Sez. VI, sent. 8-15 maggio 2006, n. 16542): la questione è attualmente al vaglio delle Sezioni unite (ord. 10 ottobre 2006, n. 38852) mentre la Corte di appello di Venezia ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità della norma (ord. 25 ottobre 2006), in riferimento agli artt. 3, 11 e 117.1 Cost., per contrasto con la disciplina europea e per "l’irragionevolezza del considerare la nostra soluzione nazionale dei limiti massimi come parametro non solo interno, ma da imporre agli Stati esteri pur in un contesto in cui quegli Stati consapevolmente hanno disciplinato il problema (la verifica della opportunità e legittimità del protrarsi della custodia cautelare) risolvendolo con soluzioni valutate come maggiormente adeguate del nostro dalla Corte europea dei diritti dell’uomo".

Le riforme più significative ed il loro impatto sull’esercizio della giurisdizione.- L’attività legislativa si è mossa, nell’anno, lungo quattro direttrici:

a) emanazione di leggi di rilevanza comunitaria e di attuazione di Convenzioni internazionali; b) attuazione delle deleghe legislative; c) emanazione di testi unici, dei quali si sentiva specialmente l’esigenza su materie unitarie spesso regolate da un legislazione farraginosa e sparsa fra diverse leggi: alcuni di essi sono stati adottati a seguito di specifica delega legislativa che autorizzava l’adeguamento e talvolta la modifica dei precedenti testi.

d) riforme legislative ed ordinamentali.

Oltre alle leggi che si è avuto modo di citare, o che si esamineranno specificamente, fra i principali provvedimenti aventi qualche implicazione sull’attività giurisdizionale si ricordano:

Fra quelli di attuazione di direttive comunitarie o di impegni internazionali dell’Italia, oltre alla legge comunitaria 2005 (l. 25 gennaio 2006, n. 29), per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla C.E., la l. 10 novembre 2006, n. 278, che converte il d.l. n. 258, dello stesso anno, recante disposizioni urgenti di adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia del 14 settembre (in causa C-228/05) in tema di detraibilità dell’IVA, e, soprattutto, la l. 9 gennaio 2006, n. 12, in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (con modifica dell’art. 5 della l. n. 400/1988). Fondamentale importanza assumono, inoltre, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che attua alcune direttive comunitarie nella materia ambientale, adottando misure contro l’inquinamento atmosferico, delle acque e da rifiuti; il codice dei contratti pubblici, da lunghi anni atteso (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che ugualmente attua, fra l’altro, alcune direttive comunitarie), e le nuove norme in materia di proprietà intellettuale: d.l. 10 gennaio 2006, n. 3, convertito con l. 22 febbraio 2006, n. 78, di attuazione della direttiva 98/44/CE, in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; il d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, col quale è stata data attuazione alla direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, ed infine il d.lgs. 13 febbraio 2006, n. 118, in attuazione della direttiva 2001/84 CE, che ha disciplinato il diritto d’autore sulle opere d’arte nelle successive vendite dell’originale.

Con l. 9 gennaio 2006, n. 14, è stata operata inoltre la ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio sottoscritta a Firenze.

In materia di assicurazioni è stato emanato il d.p.r. 18 luglio 2006, n. 254, in attuazione dell’art. 150 del codice delle assicurazioni approvato con d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che disciplina il risarcimento diretto dei danni da circolazione stradale, il quale potrà influire positivamente sul relativo contenzioso.

Una più complessa portata, con incidenza sul diritto sostanziale e processuale, ha la l. 8 febbraio 2006, n. 54, recante disposizioni in materia di separazione e di affidamento condiviso dei figli, dei quali è riconosciuto il diritto di mantenere, in via di principio, un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, e la l. 14 febbraio 2006, n. 55, che introduce modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia, destinata a modificare la disciplina dell’impresa familiare, leggi le quali, secondo le segnalazioni di vari presidenti di Corte, hanno dato luogo a notevoli difficoltà interpretative ed applicative.

Nell’ambito della legislazione sociale vanno segnalati il d.lgs. 10 aprile 2006, n. 155, sulla disciplina dell’impresa sociale, e, nel quadro della progressiva eliminazione di ogni discriminazione, il d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il codice delle pari opportunità, a norma dell’art. 6 della l. 28 novembre 2005, n. 246, ed il d.lgs. 1 marzo 2006, n. 67, contenente misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni, per la promozione della piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità per le stesse, al fine di garantire il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali.

Inserendosi in un più vasto programma di riordinamento delle professioni, vanno citati il d. lgs. 2 febbraio 2006, n.30, il quale opera la ricognizione dei principi fondamentali in materia, il d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, che contiene una nuova disciplina del concorso notarile, ed il d.lgs. 1 agosto 2006, n. 249, il quale ha riformulato l’obsoleto e poco incisivo procedimento disciplinare a carico degli stessi, dettando norme in materia di assicurazione della responsabilità civile e per la istituzione di un Fondo di garanzia.

Tende a garantire maggiormente la privacy, il d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159, che ha introdotto modifiche al codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82), ed in particolare all’art. 56, riguardo ai dati identificativi delle questioni pendenti innanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado ed all’accessibilità telematica di essi.

Merita infine di essere citato (oltre al più recente e complesso d. l. 3 ottobre 2006, n. 262, ormai convertito in legge) il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (cd. decreto "Bersani"), conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha anticipato alcune misure atte a fronteggiare la difficile contingenza economica, con disposizioni per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la liberalizzazione di settori produttivi e per la tutela dei consumatori, incidenti sull’attività professionale anche degli avvocati (liberalizzazione delle tariffe, pubblicità, ecc.); l’art. 21 in particolare, concerne le spese di giustizia, e, al fine di fronteggiare la difficile contingenza economica, ha, fra l’altro, ridotto i già esigui stanziamenti di € 50.000.000 per l’anno 2006 e, ancor più drasticamente, di € 100.000.000 per il 2007 e di € 200.000.000 a decorrere dal 2008.

Particolare importanza assumono, ovviamente, i provvedimenti che incidono sul processo, su alcuni dei quali ci si è soffermati od occorrerà soffermarsi più specificamente (anche se brevemente): il d.lgs. 9 gennaio, n. 5, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 5, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, con la riforma organica delle procedure concorsuali in senso ampiamente innovativo; la l. 23 febbraio 2006, n. 51, che, convertendo il d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 (recante definizione e proroga dei termini), ha confermato la data del 1° marzo 2006 per l’entrata in vigore delle disposizioni sul processo civile introdotte dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 (conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80), e prorogato il mandato ai giudici onorari.

Da richiamare anche la l. 12 luglio 2006, n. 228, che ha convertito il d.l. 12 maggio 2006, n. 173, con nuovi termini per l’adozione di disposizioni integrative e correttive della riforma delle discipline concorsuali e di altre norme concernenti il procedimento civile davanti al Tribunale per i minorenni (oltre che la tutela del risparmio, il codice in materia di dati personali, le norme in materia ambientale, al testo unico sull’edilizia ed il codice degli appalti pubblici); il d. lgs 2 febbraio 2006, n. 40, che, in attuazione della delega della l. 14 maggio 2005, n. 80, ha apportato importanti modifiche al processo di cassazione, sul quale ci soffermeremo in seguito, riorganizzando funditus la disciplina dell’arbitrato; la richiamata l. 20 febbraio 2006, n. 46, recante modifiche al codice di procedura penale.

Un’attività legislativa, com’ognun vede, complessa ed importante, sotto parecchi profili anche degna di apprezzamento, ma talora tumultuosa che, se da un canto è riuscita a svecchiare ... v. link


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