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Affido condiviso    

Separazione e figli minori: conflittualità non più motivo sufficiente per l'affido esclusivo *

Ottimo commento da non perdere
14.09.2006 - pag. 29858 print in pdf print on web

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Ottima decisione in materia di separazione coniugale della Corte d’Appello di Bologna (Decreto 12 maggio 2006 [PDF], qui pubblicato con ringraziamenti a www.civile.it e all’avv. Antonia Mancini per la segnalazione).

Rigettando un reclamo contro i provvedimenti provvisori adottati dal Presidente del Tribunale, come ora consentito dall’ultimo comma del nuovo art. 708 c.p.c., la Corte d’Appello ha infatti stabilito quello che, a nostro parere, dovrebbe diventare un fondamentale principio applicativo della legge n. 54 del 2006. L'ordinanza confermata aveva difatti disposto – secondo il dettato della nuova legge – l’affidamento condiviso dei due figli minori di una coppia di professionisti, in quanto allo stato degli atti “non risultava che uno dei due coniugi fosse privo di idoneità genitoriale”.

Inoltre, il Presidente del Tribunale aveva stabilito che la prosecuzione della convivenza con i genitori dei due ragazzi, nati rispettivamente nel 1990 e 1992, sarebbe stata disciplinata secondo modalità inconsuete per la nostra mentalità, in quanto poco sperimentate anche nelle rarissime decisioni di affidamento congiunto che la giurisprudenza di merito aveva adottato sotto il vecchio regime: entrambi i figli infatti avrebbero dovuto alloggiare, a settimane alternate, rispettivamente con il padre e la madre.

Quanto alle condizioni economiche della separazione, il marito si era spontaneamente offerto di coprire non solo tutte le spese di mantenimento dei figli, ma anche quelle dell’appartamento nel quale avrebbe dovuto trasferirsi la moglie, a seguito dell’intervenuto sfratto dall’abitazione coniugale. Per la verità, la moglie si era costituita lamentando che tale sfratto sarebbe stato meramente simulato, al fine di costringerla ad uscire di casa. Questo tuttavia non toglie che il marito – che a quanto pare gestisce mediante una società un rilevante patrimonio immobiliare – aveva anche messo a disposizione della coniuge “un’ampia e prestigiosa unità abitativa da scegliere tra nove immobili”, fermo restando che avrebbe provveduto lui alle spese di locazione, comprese le rate condominiali e le utenze.

Il Presidente del Tribunale, dal canto suo, oltre ad accogliere le offerte del ricorrente, aveva stabilito che quest’ultimo avrebbe dovuto pagare un ulteriore contributo provvisorio di mantenimento a favore della moglie pari a diecimila euro mensili, calcolati sulla base delle condizioni economiche dei coniugi che risultavano allo stato degli atti.

Comprensibilmente (si fa per dire …) insoddisfatta, la moglie ha quindi subito sfruttato la nuova possibilità di reclamo offerta dal novellato art. 708 c.p.c., ricorrendo davanti alla Corte d’Appello, per ottenere l’affidamento esclusivo dei figli a proprio favore e, previo accertamento della simulazione dello sfratto, l’assegnazione della abitazione coniugale. La reclamante ha altresì chiesto che il marito fosse condannato a rimborsarle, in aggiunta al canone e a tutte le spese accessorie, anche gli stipendi del personale addetto al servizio domestico.

Quanto al mantenimento dei figli, la coniuge ha ritenuto congrui 7.500 euro mensili per ciascuno dei due ragazzi, oltre a tutte le spese scolastiche, mediche e ricreative, vacanze comprese. Per se stessa, ha inoltre preteso che l’assegno fosse portato da 10.000 a 25.000 euro mensili (e qui, per quel che può valere, lasciateci aggiungere che siamo decisamente d’accordo con lei: va bene le spese pagate, va bene la prestigiosa unità abitativa, va bene che mediante l’affidamento condiviso le spese per i figli si sarebbero comunque divise in due, però diecimila euro mensili – diconsi diecimila, e mensili – che il Presidente aveva fissato in via provvisoria per il suo mantenimento personale, senza nemmeno aggiungervi gli stipendi della servitù, in effetti apparivano ictu oculi come un trattamento inadeguato e quasi un po’ offensivo per una signora).

Nella propria decisione, la Corte d’Appello ha in primo luogo respinto l’eccezione della difesa del marito, secondo la quale il reclamo sarebbe stato inammissibile in quanto non si allegavano “fatti nuovi intervenuti dopo il provvedimento”. Su questo punto il Collegio ha precisato – a nostro parere in modo ineccepibile – che la nuova formulazione dell’art. 708, quarto comma, c.p.c. non prevede nemmeno per implicito che il reclamo debba basarsi su variazioni dello stato di fatto: essendo stato abolito dalla novella il criterio del “mutamento delle circostanze”, che in precedenza condizionava il ricorso al giudice istruttore per la modifica dei provvedimenti presidenziali, a maggior ragione si deve ritenere che il reclamo in Corte d’Appello sia stato previsto al solo fine di introdurre una possibilità di immediato riesame dei provvedimenti del Presidente del Tribunale.

Tale nuova possibilità, che molti commentatori hanno giudicato eccessiva, anche alla luce della provvisorietà e modificabilità dei suddetti provvedimenti per opera del giudice istruttore, a ben vedere non ci pare affatto superflua. E’ difatti innegabile che nella prassi giurisprudenziale si sia verificata la tendenza delle decisioni presidenziali a condizionare l’intero l’andamento e l’esito della causa di separazione, così come le possibilità di addivenire ad un accordo anticipato tra i coniugi.

Nonostante la possibilità di modificare liberamente detti provvedimenti introdotta con il nuovo art. 709 ultimo comma c.p.c., tuttora è difficile pensare che i giudici istruttori saranno più portati a contraddire le decisioni del proprio Presidente di Tribunale, per quanto le stesse vengano prese in base ad una semplice delibazione degli atti introduttivi. Inoltre, la Corte d’Appello, per il solo fatto di decidere su posizioni che poi non conoscerà nel merito, e che riguardano tutti i Tribunali della propria circoscrizione, grazie ai nuovi reclami ex art. 708 c.p.c. potrà anche esercitare di fatto una funzione nomofilattica, per rendere più omogenea l’applicazione della nuova disciplina dell’affidamento dei figli minori.

Del resto, a nostro parere proprio questo è avvenuto nella decisione in esame: la Corte d’Appello ha osservato – in punto di diritto, a prescindere dal merito della vicenda – che la principale ragione oggettiva addotta dalla moglie per chiedere l’affidamento esclusivo dei figli era l’elevata litigiosità tra se stessa e il marito. Come a dire che, nella sua prospettazione, la situazione di conflitto tra i genitori avrebbe reso la condivisione dell’affidamento “contraria all’interesse dei minori” ai sensi del nuovo art. 155 bis cod. civ.

Su questo tema, la Corte ha dato atto di come nel regime previgente la giurisprudenza avesse in effetti elaborato il principio per il quale la forte conflittualità coniugale era di per sé un sufficiente fattore ostativo, rispetto all’ipotesi di affido congiunto. Tuttavia, ora che la scelta a favore dell’affidamento condiviso è stata operata dallo stesso legislatore, secondo il Collegio bolognese tale criterio generale non è più applicabile, in quanto è divenuto necessario che sia provata anche la “inidoneità genitoriale” del soggetto che si vorrebbe escludere dalla potestà sui figli.

Parimenti, secondo la decisione in esame, non era ostativa alla condivisione della potestà l’allegata maggiore “permissività” del padre verso i figli. Secondo la reclamante questa avrebbe dovuto rappresentare un ulteriore motivo di affidamento esclusivo a suo favore; al contrario, la Corte ha ritenuto che le differenze di stile educativo tra i genitori sono inevitabili e in certa misura fisiologiche, e soprattutto che le stesse sono connaturate all’affido condiviso.

Vale a dire che tali differenze non solo non consentono di superare la preferenza operata dal legislatore, ma anche che si presume che esse siano state tenute presenti nella elaborazione della nuova disciplina normativa. Anziché essere un problema, le diversità di stile sono state giudicate dal legislatore come un fattore di arricchimento per l’educazione della prole, anche in presenza della separazione dei genitori.

Il salto culturale suggerito da questa motivazione ci appare dunque assai importante, e coinvolgente tutti gli operatori del diritto di famiglia: le differenti attitudini dei genitori, che fino ad ora erano state guardate con un certo sospetto, al punto da essere ritenute un motivo sufficiente per preferire di default l’affidamento alla sola madre, ora invece dovranno essere riguardate come una ricchezza da salvaguardare, nonostante la separazione genitoriale, e nonostante le difficoltà e i conflitti personali ad essa connessi.

Ne consegue che, almeno secondo la Corte d’Appello di Bologna, l’impostazione assai diffusa secondo la quale una situazione di forte conflitto tra i genitori è tanto dannosa per l’educazione dei figli da rendere preferibile, nel loro interesse, l’allontanamento dalla potestà di quello non convivente con essi (che poi sappiamo tutti qual è, nella stragrande maggioranza dei casi) è decisamente da superare. Questo proprio nell’interesse dei figli, la cui frequentazione di entrambi i genitori ora dovrà essere salvaguardata al punto da passare – finchè possibile – da una mera regolamentazione delle “visite” del non affidatario, ad una disciplina della convivenza con entrambi i genitori nonostante l’intervenuta crisi familiare.

Nel prosieguo della motivazione, la Corte d’Appello di Bologna ha espressamente aggiunto che “l’affidamento condiviso … comporta una comune responsabilizzazione della coppia che non necessariamente si esplica nella forma … dell’affidamento alternato”. Gli inconvenienti pratici ai quali potrebbe dare luogo il criterio adottato nella specie dal Presidente del Tribunale (una settimana a turno con ciascun genitore) sono difatti facilmente intuibili, particolarmente nelle situazioni in cui i due genitori separati si fossero recati a vivere ad una notevole distanza l’uno dall’altra.

Riteniamo però che, laddove possibile, la sperimentazione del sistema delle settimane o dei mesi alternati potrebbe mostrare una sua validità pedagogica, e quindi dovrebbe essere preso in considerazione dagli operatori. Rispetto alla tradizionale soluzione che lasciava al padre non affidatario il solo diritto di visita – spesso concepito come una gentile concessione – garantire la convivenza dei figli con ciascun genitore per un periodo più significativo dei soliti fine settimana alternati dovrebbe favorire una maggiore stabilità di rapporti, nonché agevolare entrambi i genitori separati nell’assolvimento delle loro responsabilità educative.

Un altro punto importante è che la decisione in esame abbia ribadito come il favor legislativo per l’affido condiviso comporti di per sé l’onere di una “comune responsabilizzazione della coppia”. In termini pratici, i genitori non devono più essere in alcun modo incoraggiati a scaricare sul giudice l’incapacità di trovare soluzioni concordate nell’interesse dei figli (e questo dovrebbe essere motivo di riflessione anche e soprattutto per gli avvocati “dal 710 facile”, come si dice in gergo forense): questa sembra chiaramente la ratio della legge n. 54 del 2006, che difatti con i nuovi art. 155 bis cod. civ. e 709 ter c.p.c. – a prescindere dalla discutibile efficacia dei rimedi proposti – ha anche espressamente previsto sanzioni a carico dei genitori che abusino dei ricorsi giudiziari od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento.

A nostro parere, l’esperienza di decenni ha dimostrato che la possibilità riconosciuta alla madre di ottenere l’affidamento esclusivo dei figli in modo pressoché automatico non abbia fatto altro che favorire una conflittualità che altrimenti avrebbe potuto essere meglio prevenuta. L'affidamento monogenitoriale sempre più spesso comportava che, almeno nelle separazioni più conflittuali, l'onere dei contributi fissi per il mantenimento dei figli, nonchè il rispetto di orari di visita rigidamente predeterminati, diventasse per il genitore non affidatario (diciamo pure il padre) un fardello sia economico che emotivo sempre più intollerabile.

Difatti, non ci si può nascondere che, tanto più la crisi familiare era conflittuale, tanto più il genitore che ben sapeva che sarebbe stato affidatario esclusivo della prole era portato ad avanzare per essa richieste economiche esorbitanti. Allo stesso modo, dopo la separazione effettiva, se le tensioni personali tra i genitori rimanevano forti, l'affidatario era portato ad eludere il più possibile il diritto di visita dell'altro.

Certi diffusi atteggiamenti dell'affidatario, ai limiti del vessatorio quando non del ricattatorio, erano di per sè tali da esasperare l'altro genitore. Ma la situazione che si creava finiva per diventare di per se stessa, secondo la giurisprudenza, come un motivo sufficiente per rigettare qualsiasi istanza di affidamento congiunto. Quindi, paradossalmente, il sistema dell'affidamento esclusivo nelle separazioni più difficili finiva per essere sia la causa che l'effetto di un ulteriore aumento della conflittualità.

Persino una rapida lettura del reclamo in questione, nel quale la coniuge che si opponeva all’affidamento condiviso aveva unito alla propria istanza una richiesta di 7.500 euro al mese per il solo argent de poche dei due figli preadolescenti (visto che le spese ordinarie e straordinarie per il mantenimento degli stessi erano state richieste a parte), ci sembra indicativa degli abusi al quale può portare il legame quasi indissolubile che esiste tra affidamento esclusivo e assegni di mantenimento. Ciò senza nulla voler inferire, ovviamente, sul fatto legittimo che il tenore di vita al quale la famiglia del caso di specie era abituata fosse – fortunatamente per loro – senza dubbio assai elevato.

Anche per questo ci appare fondamentale che, almeno in linea di principio, la conflittualità coniugale che nel vecchio regime era di per sé riconosciuta come motivo sufficiente per disporre l’affidamento esclusivo dei figli alla madre, e che pertanto in casi nemmeno troppo estremi si trasformava in un improprio strumento giudiziario per ottenere di più dall’altro genitore, ora incominci perlomeno a non essere più ritenuta rilevante. Pensiamo che, anche se difficilmente i nuovi criteri favoriranno il calo della diffusa iperconflittualità tra i coniugi in crisi, che di certo ha cause ben più profonde, quantomeno potranno renderne più difficile l’utilizzo distorto in sede processuale, a tutto discapito dell’interesse dei figli minori.

In altri termini, se il principio affermato dal decreto in esame si consoliderà ed entrerà a fare parte della cultura giuridica degli operatori del diritto di famiglia, è possibile che la consapevolezza di non poter più sfruttare un atteggiamento intransigente e rivendicativo al fine di escludere l’altro genitore dalla vita dei figli finirà per favorire la riduzione, anziché l’aumento, della ostilità giudiziaria tra i coniugi.

Proprio il contrario di quel che paventano i detrattori della legge n. 54 del 2006, che sul presupposto dell’inevitabilità del conflitto coniugale, sostengono che l’obbligo di condividere le responsabilità genitoriali anche dopo la separazione finirà per aumentare anziché ridurre la tendenza a ricorrere al Tribunale per ogni minima questione.

Ma appunto, affinchè questo rischio non si verifichi, occorre che l’atteggiamento della giurisprudenza si mostri recettivo del significato e delle esigenze della nuova legge: la decisione della Corte d’Appello di Bologna ci sembra essersi mossa in questo senso, non lasciando spazio alle rivendicazioni di un coniuge che, a prescindere dal suo atteggiamento piuttosto esigente anche sul piano economico, non aveva potuto minimamente comprovare alcun motivo di inidoneità genitoriale a carico dell’altro. (M.F. 13.9.06)


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