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"Nella vita possono toglierti tutto ma non quello che hai imparato studiando. Ecco perche' non dovrai mai smettere di studiare e migliorarti." - Gioacchino Cartabellotta



Sciopero    

Giurisprudenza sullo sciopero degli avvocati: la Cassazione

Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 26 ottobre-24 novembre 2005, n. 24816
11.07.2006 - pag. 29767 print in pdf print on web

P

Presidente Nicastro – Relatore Scarano Pm Russo – conforme – ricorrente A. – controricorrente M. ed altri

Svolgimento del processo

Nel giugno del 1978 la sig.ra R. A. V. conveniva avanti al Tribunale di Vibo Valentia i propri germani A., F. e L. , nonché G. M. e V. M., rispettivamente moglie e cognato di A. A., per ivi sentir dichiarare aperta la successione del padre M. ; emettere le opportune disposizioni per la formazione della massa, previa declaratoria della simulazione di due compravendite stipulate dal de cuius dissimulanti delle donazioni in favore del figlio A. ; ad essa attribuita la quota di legittima di spettanza, previo annullamento o riduzione delle disposizioni del testamento pubblico con il quale il defunto aveva lasciato la disponibile ai figli A., F. e L.; ordinare a chi di dovere la resa del conto e il pagamento dei frutti percetti sul supplemento di legittima a far data dall’apertura della successione. Nella resistenza dei soli G.a e V. M. nonché A. e F. A.., essendo rimasti contumaci L. A. e gli altri convenuti T., F., S. e F. A., figli del de cuius nei cui confronti era stata disposta ed eseguita l’integrazione del contraddittorio, l’adito tribunale in accoglimento dell’eccepita prescrizione con sentenza non definitiva del 28 febbraio 1991 respingeva la domanda di simulazione. L’immediato gravame interposto al riguardo dalla R. A., cui resistevano soltanto A. e F. A. nonché V. M., veniva rigettato dalla Corte d’appello di Catanzaro, avverso la cui decisione la medesima proponeva ricorso per cassazione. Con sentenza 7682/97 la Sc accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro. Con sentenza del 20 aprile 2001 il giudice di rinvio, nella causa riassunta con atto del 10 novembre 1998 dalla A. nei confronti della sig.ra G. M. ed altri, in accoglimento della sollevata eccezione ex articolo 393 Cpc dichiarava estinto il giudizio, nonché non luogo a provvedere in ordine alle spese dell’intero processo, rimanendo le stesse a carico delle parti che le avevano anticipate. Avverso tale sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorre ora per cassazione la R. A., sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso G. M. e M. A.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia violazione di legge in relazione agli articoli 392 e 393 Cpc e all’articolo 1, comma 1, legge 742/69, deducendo che erroneamente la corte di rinvio ha ritenuto tardiva la riassunzione del processo avvenuta il 10 novembre 1998. Pacifica l’applicazione nel caso della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, la ricorrente si duole in particolare che la corte di merito abbia affermato che la riassunzione della causa avanti al designato giudice di rinvio dovesse essere effettuata entro 1 anno e 46 giorni decorrenti dal 16 settembre 1997, con scadenza il 2 novembre 1998. Atteso che la data di pubblicazione della sentenza disponente il rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro cadeva nel periodo feriale, lamenta che erroneamente non sia stato nel caso computato il periodo compreso tra la data di deposito della sentenza (18 agosto 1997) e il giorno della cessazione del periodo feriale (15 settembre 1997). A fortiori in quanto in altre situazioni “analoghe” (per le quali fa richiamo a Cassazione 4294/97 e Cassazione 200/01), il termine di scadenza di 1 anno e 46 giorni risulta computato due volte per intero. Risulta a tale stregua integrato. sostiene la ricorrente, una «macroscopica disparità di trattamento», ridondante in termini pregiudizievoli sul diritto di difesa, con conseguente violazione degli articoli 3 e 24 Costituzione, determinata dalla diversa considerazione della disciplina applicabile a seconda che il termine inizi ovvero scada nel corso del periodo feriale, mentre deve adottarsi, un parametro interpretativo omogeneo, nel senso che il periodo feriale va sempre computato due volte, altrimenti determinandosi un’«inammissibile situazione di privilegio», in ragione della notevole limitazione del diritto di difesa «di coloro che si trovassero nella situazione in cui il decorso del termine inizi nel periodo feriale, in quanto essi godrebbero di una quantità di giorni minore rispetto a coloro che si trovassero nella situazione in cui il termine processuale scada nel periodo feriale». Costringendosi altresì «l’interprete ad effettuare operazioni aritmetiche che danno luogo a situazioni di incertezza ... una situazione di palese discriminazione che mal si concilia con una materia, qual è quella dei termini, che necessita di una disciplina uniforme, uguale per tutti e comunque non affidata all’alternanza e al susseguirsi di operazioni matematiche che finiscono, come nel caso di specie, per danneggiare una parte processuale e a favorire l’altra quale che sia il merito della controversia». Il motivo è manifestamente infondato. In tema, questa Suprema corte ha già avuto modo di affermare, con particolare riferimento al termine annuale di decadenza previsto dall’articolo 327, comma 1 Cpc, che la sospensione dei termini processuali prevista all’articolo 1 della legge 742/69 dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno si applica non tenendo conto nel computo dei giorni compresi tra il 1° agosto e il 15 settembre dell’anno della pubblicazione della sentenza impugnata, a meno che la data di deposito cada durante lo stesso periodo feriale, nel qual caso, in base al principio secondo cui “dies a quo non computatur in termine”, esso decorre dal 16 settembre v. Cassazione, 5896/79). Ove il termine, come sopra calcolato, non scada prima dell’inizio del periodo feriale dell’anno successivo, trova applicazione l’ulteriore sospensione di diritto per il nuovo periodo feriale (v. Cassazione, 6748/05; 18704/04; 15530/04; 3773/01; 200/01; 4294/97; 1382/94; 4791/85; 1584/82). Là dove, si è ulteriormente precisato, il decorso del termine ha inizio, come nel caso in esame, durante il periodo di sospensione, al sensi dell’articolo 1 della citata legge 742/69 esso è differito alla fine di detto periodo, il giorno 16 settembre dovendo essere compreso nel novero dei giorni concessi dal termine (v. Cassazione, 6635/00); e se il termine cade di giorno festivo, esso, giusta il disposto di cui all’articolo 155, comma 3, Cpc, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo v. Cassazione, 6748/05).

Il periodo feriale è infatti «neutro», e deve poter essere rispettato interamente. Ad un tanto è appunto finalizzato il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine annuale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale (cfr., con riferimento all’articolo 327 Cpc, Cassazione, 13383/05; 1220/03; 7278/02; 14219/99; 2978/98; 3613/87; 2359/81), come del pari il suindicato differimento dell’inizio del decorso del termine cadente durante il periodo feriale a dopo la fine del medesimo. È d’altro canto pacifico in giurisprudenza di legittimità che la detta sospensione riguarda indistintamente tutti i termini processuali (v. Cassazione, 4297/04; 12392/00; 7850/96; 12426/93; 3589/86; 6667/81; 2359/81; 5896/79), la relativa disciplina applicandosi anche a quello previsto dall’articolo 392 Cpc per la riassunzione dinanzi al giudice del rinvio disposto dalla Corte di cassazione (v. Cassazione, 9968/94). Anche la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente risulta pertanto, alla stregua di quanto sopra, manifestamente infondata sotto tutti i profili, giacché la diversa regolamentazione delle suindicate ipotesi è non già contrastante bensì pienamente consentanea con il principio di cui all’articolo 3 Costituzione, assicurando la tutela della medesima esigenza pur in presenza di differenti ipotesi. Così come d’altro canto la decorrenza del termine dal 16 settembre non viola, ma anzi salvaguarda, il diritto di difesa, che rimarrebbe invero pregiudicato laddove, disattendendosi il segnalato carattere «neutro» del periodo feriale, il termine in questione venisse fatto per converso decorrere durante e non già dopo la fine del medesimo.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge, in relazione agli articoli 392 e 393, 152 Cpc, 24, 18 e 40 Costituzione, dolendosi che la corte di merito non abbia nel caso tenuto conto che «tra il mese di Novembre 1997 e il mese di Novembre 1998 sono state proclamate dagli avvocati giornate di sciopero sia a livello nazionale che locale per complessivi 15 gg. circa»; e non abbia conseguentemente considerato che tale circostanza era «idonea a determinare lo slittamento di almeno 15 giorni della scadenza del termine di riassunzione rispetto alla data dell’1 novembre 1998 indicata dalla corte stessa quale termine finale per la riassunzione stessa». Si sono così trascurati, sostiene la ricorrente, gli effetti che l’esercizio del diritto di sciopero, di rilevanza costituzionale, determina sul piano di un’attività per il cui espletamento la parte deve essere necessariamente rappresentata da un difensore, con particolare riflesso sul piano dei termini processuali, tanto più se previsti a pena di decadenza. Il principio di perentorietà dei termini non potendo «assurgere a dogma», tanto che in talune occasioni, come quello del mancato funzionamento degli uffici giudiziari, si è pervenuti «ad una proroga legale dei termini perentori», con tanto di avallo da parte della Corte costituzionale (sentenza 191/71). Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Come la Sc ha già da tempo avuto modo dì affermare, gli avvocati sono dei liberi professionisti, e pertanto i c.d. “scioperi degli avvocati” non costituiscono esercizio del diritto di cui all’articolo 40 Costituzione (v. Cassazione, 2009/65), come confermato da Corte costituzionale 171/96, che ha negato potersi «l’astensione da ogni attività defensionale» da parte degli avvocati configurare in termini di esercizio del «diritto di sciopero», non ricadendosi pertanto nel caso «sotto la specifica protezione dell’articolo 40».

A parte ogni considerazione circa l’incertezza e la genericità dell’assunto della ricorrente, sintomaticamente evincentisi già alla stregua della meramente indicativa e non specifica indicazione al riguardo formulata in ordine alla stessa durata complessiva del dedotto sciopero «a livello nazionale e locale» («circa 15 gg.»), sulla scorta della richiamata pronunzia della Corte Costituzionale va in argomento ulteriormente ribadito il principio che l’astensione collettiva degli avvocati dall’attività giudiziaria deliberata dal Consiglio nazionale forense consente invero ai professionisti di astenersi dalla partecipazione alle attività di udienza (civile o penale), ma ‑ferma restando la previsione di svolgimento obbligatorio dell’attività di patrocinio in ipotesi puntualmente descritte‑ non legittima anche l’astensione dal deposito degli atti processuali (cfr. Cassazione, 21344/04, ove si è confermata la declaratoria del giudice di merito di decadenza di una parte dall’assunzione della prova delegata, non ritenendosi legittimo impedimento, atto a giustificare il ritardo del deposito dell’istanza di proroga, lo sciopero degli avvocati). Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione in favore di M. G. e di A. M. che liquida in complessivi euro 2.600, di cui euro 2.500 per onorari ed euro 100 per spese.


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