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LOCAZIONI ABITATIVE: l’ art. 13 L. 431/98 nell’ interpretazione della Cassazione e del Tribunale di Milano ( parte prima)

A distanza di quasi sei anni dall’ entrata in vigore della nuova disciplina in materia di locazioni interveniva la Suprema Corte con sentenza n° 16089/2003 per comporre il contrasto interpretativo insorto sull’ art. 13, 1°e 2° co. L 431/98.
12.06.2006 - pag. 29695 print in pdf print on web

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A distanza di quasi sei anni dall’ entrata in vigore della nuova disciplina in materia di locazioni interveniva la Suprema Corte con sentenza n° 16089/2003 per comporre il contrasto interpretativo insorto sull’ art. 13, 1°e 2° co. L 431/98. In particolare, la Corte si è trovata a pronunciarsi in merito alle conseguenze dell’ inosservanza dell’ obbligo di registrazione e, quindi, sul significato da attribuirsi al 1°e 2° comma dell’ art. 13, L. 431/98 i quali, come è noto, sanciscono testualmente la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, prevedendo che il conduttore possa proporre, entro sei mesi dalla riconsegna dell’ immobile locato, azione per la restituzione delle somme indebitamente versate. Non v’è dubbio che la norma richiamata sembrerebbe espandere la funzione della registrazione, la quale, da strumento di opponibilità degli effetti del contratto ai terzi, ai sensi dell’ art. 2704 c.c., diviene, nei rapporti fra le parti, anche criterio di prevalenza fra contrastanti convenzioni.

Ma, secondo la Suprema Corte, la mancata registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo, in base alla disciplina dettata dalla L. 431 del 1998, non determina alcuna nullità. “ Pertanto un contratto di locazione, concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante fra le parti e può essere fatto valere in giudizio.” Ergo: non incidendo l’ inadempimento fiscale nei rapporti fra le parti, deve escludersi che l’ art. 13 co 1° e2° (applicabili tanto al modello contrattuale libero quanto a quello concordato) voglia sanzionare con la nullità la fattispecie indubbiamente meno grave della pattuizione scritta ma non registrata in cui il canone locatizio ecceda quello risultante dal contratto scritto e registrato. Nè, a parere della Corte, l’ art. 13, 1° co, potrebbe riferirsi all’ ipotesi della simulazione parziale del contratto di locazione relativa all’ entità del canone. Ed infatti, nell’ ipotesi di intervenuto accordo simulatorio trasfuso in una controdichiarazione, la quale indichi il canone effettivamente dovuto per il godimento dell’immobile in un importo superiore a quello risultante dal contratto apparentemente concluso, la soluzione dovrebbe ricavarsi dall’art. 1414 cc.: tra le parti diviene vincolante il canone della scrittura dissimulata, cioè quello effettivamente voluto dai contraenti. Effetto che non dà luogo a problema alcuno per i contratti del modello libero, di cui all’art. 2, co. 1°, fatta salva la regolarizzazione fiscale della controdichiarazione che avrebbe effetto sanante ex tunc e, quindi, a far data dalla sua stipulazione; mentre, in caso di contratto del modello convenzionato, di cui all’art. 2, co. 3°, una volta che sia stata accertata la simulazione, il conduttore potrà ottenere la declaratoria di nullità della pattuizione di canone superiore a quello massimo definito dagli accordi locali secondo quanto previsto dall’art. 13, co. 4°. Il significato dato dalla Corte all’art. 13, co. 1° è che la norma intende sanzionare la stipula di pattuizioni maggiorative del canone originariamente stabilito, qualora intervenute nel corso del rapporto. In altri termini, la disposizione affermerebbe " il principio della invariabilità del canone fissato nel contratto originariamente stipulato " tutelando l’esigenza del conduttore di godere dell’immobile per tutta la durata del rapporto «a condizioni economiche stabili ed immutabili». Statuendosi, così, il principio che, per i contratti di cui all’art. 2, co. 1°, la iniziale libera determinazione del canone riconosciuta in sede di stipula non implica anche la libera rinegoziazione del corrispettivo nel corso di svolgimento del rapporto. Conseguentemente, nonostante l’apparente silenzio normativo, la liberale Riforma delle locazioni abitative del 1998 finirebbe per reprimere i patti di maggiorazione del canone nel corso del rapporto in maniera ancora più intransigente di qualsiasi altra disciplina del passato.

Ma, nonostante l’ interpretazione " costituzionalmente orientata " della Cassazione, forti dubbi permangono e numerosi sono gli interrogativi insoluti. Ed infatti, l’ art. 13, proprio in considerazione della sua formulazione, non presta il fianco ad interpretazioni sulle clausole contrastanti in termini di anteriorità - posteriorità, nè può d’ altro canto avallarsi una lettura della norma intesa quale limite allo jus variandi delle condizioni economiche nel corso del rapporto, in quanto tale limite, che non discende in via immediata dalla prescrizione di registrazione, può ricavarsi semmai solo da una lettura sistematica della L. 431/98,

Ugualmente difficile da condividersi è il riconoscimento di efficacia sanante ex tunc alla registrazione tardiva della controdichiarazione: la conseguenza sarebbe unicamente che gli strumenti di tutela previsti dalla L. 431/1998 perderebbero ogni credibilità civilistica e che il locatore, ogni qual volta dovesse produrre in giudizio la pattuizione più esosa, per dimostrare la morosità del conduttore o per resistere ad un’azione di ripetizione dei canoni indebitamente versati rispetto all’importo scritto e registrato, potrebbe recuperare con effetti retroattivi l’accordo dissimulato, rendendolo originaria e vincolante regola del rapporto negoziale.

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