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Consumatori    

Vendita dei beni di consumo: dal codice civile al Codice del consumo: la garanzia del produttore 2/2

Vendita dei beni di consumo: dal codice civile al d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo). In particolare, la cd. garanzia di fabbrica del produttore: parte seconda.

di Giorgio Vanacore

avvocato in Napoli

giorgiovanacoreavv@libero.it

14.02.2006 - pag. 29389 print in pdf print on web

L

Le disposizioni in tema di vendita di beni di consumo, già collocate agli artt. 1519 - bis e ss. del codice civile (introdotti dal d. lgs. 2 febbraio 2002 n. 24, attuativo della direttiva 1999/44/CE), poi agli artt. 128 e ss. del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), suggeriscono la trattazione di un tema spesso trascurato nei dibattiti sulla compravendita nel quadro del rapporto trilatero produttore - venditore - consumatore: la cd. garanzia di fabbrica del produttore, che, si badi bene, non è expressis verbis regolata dalla citata disciplina normativa, ma, come vedremo, finisce per esserlo quasi per un “riflesso incondizionato” del legislatore, che non ha inteso regolarla ex professo nella disciplina a tutela del consumatore. In premessa, la locuzione “garanzia di fabbrica del produttore” si riferisce, come è noto, a quel (frequentissimo nella prassi) contratto (o convenzione) in virtù del quale il produttore si obbliga nei confronti dell’acquirente – perciò in incertam personam – a garantire per un dato tempo (solitamente un anno o più) che il bene acquistato, per lo più presso la catena dei rivenditori, sia privo di difetti di costruzione e/o relativi al design e/o ai materiali impiegati et similia. Si tratta, pertanto, di una obbligazione del tutto peculiare che il fabbricante del prodotto assume nei confronti dell’utente finale, con il complessivo risultato, per quest’ultimo, di una tutela aggiuntiva e giuridicamente ulteriore rispetto a quella a lui derivante dalle azioni contrattuali per vizi (artt. 1490 e ss), ovvero dalla garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.), ovvero, da ultimo, dalla citata disciplina sulla vendita di beni di consumo (artt. 128 e ss. Codice di consumo, già artt. 1519 - bis e ss. del codice civile): rimedi, questi ultimi, tutti esperibili nei confronti del venditore. In dottrina, si sono prospettate tre tesi ricostruttive della detta figura contrattuale (per un esame, Luminoso A., voce Vendita, Digesto disc. priv. - sez. civ., Torino, 1999, 651, id., I contratti tipici ed atipici, Milano, 1995, 160), e segnatamente: a) contratto innominato ex art. 1322, comma 2, c.c.; b) promessa al pubblico ex art. 1989 e ss. c.c.; c) contratto con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333 c.c.. Le soluzioni suggerite, qualunque di esse si voglia preferire, mostrano che l’inadempimento del produttore alle clausole della garanzia – di cui è sintomatica, in fatto, la manifestazione di difetti alla cosa acquistata presso il rivenditore – comporti indiscutibilmente, sul piano civilistico, una di lui responsabilità contrattuale, fondata, a seconda che si aderisca alla tesi del contratto innominato, della promessa al pubblico ovvero del contratto con obbligazioni del solo proponente, rispettivamente sui menzionati artt. 1322, comma 2, 1989 e ss., ovvero 1333 c.c.. A riprova, si è autorevolmente affermato che dalla dichiarazione di garanzia predisposta dal fabbricante “. . . sorge un rapporto diretto tra produttore e consumatore, al quale il venditore rimane estraneo . . .” (in tal senso, Luminoso A., I contratti, loco ult. cit.). Ferma la citata tutela, la responsabilità in parola sarebbe comunque enucleabile dall’art. 1218 c.c. che, vera grundnorm del diritto delle obbligazioni, così dispone: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Da rammentare, con riferimento alle obbligazioni ex contractu, l’innovativo orientamento inaugurato da quasi un lustro dalla S.C. in materia di alleggerimento dell’onere probatorio in capo al creditore che agisca deducendo l’inadempimento del debitore: “ . . . il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte . . .” (Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533). Fermo tutto quanto fin qui detto, la vincolatività sul piano civilistico del contratto di garanzia di fabbrica, è pianamente enucleabile dalle citate disposizioni a tutela del consumatore riportate nel titolo della presente indagine, e ciò nonostante il fatto che esse, si ripete, sono impiantate non già sul rapporto, trilaterale, produttore - rivenditore - consumatore (cui si riferisce il tema della garanzia di fabbrica), ma su quello, bilaterale, tra venditore - professionista ed acquirente - consumatore. In particolare, degno di nota è l’art. 128, lett. e) del Codice del consumo (già art. 1519 - bis, comma 2, lett. e) c.c.), che così definisce la garanzia convenzionale ulteriore: “. . . qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità”. Parimenti d’ausilio al tema della presente indagine, è l’art. 133 del Codice del consumo, che qui si riporta integralmente per comodità espositiva: 1. La garanzia convenzionale vincola chi la offre secondo le modalità indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicità. 2. La garanzia deve, a cura di chi la offre, almeno indicare: a) la specificazione che il consumatore è titolare dei diritti previsti dal presente paragrafo e che la garanzia medesima lascia impregiudicati tali diritti; b) in modo chiaro e comprensibile l'oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, compresi la durata e l'estensione territoriale della garanzia, nonchè il nome o la ditta e il domicilio o la sede di chi la offre. 3. A richiesta del consumatore, la garanzia deve essere disponibile per iscritto o su altro supporto duraturo a lui accessibile. 4. La garanzia deve essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue. 5. Una garanzia non rispondente ai requisiti di cui ai commi 2, 3 e 4, rimane comunque valida e il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l'applicazione. Riassumendo, l’art. 128, lett. e) del Codice del consumo qualifica la garanzia in parola come “impegno di un venditore o di un produttore”, laddove l’art. 133 statuisce che essa “vincola chi la offre”, non escludendone, quindi, l’ambulatorietà passiva. In conclusione, la citata normativa, pur nata per regolare i rapporti tra venditore e consumatore, ha finito, forse per obiter dicta, per regolare anche la garanzia in parola, conferendole il crisma dell’obbligatorietà iure privatorum, in tal modo configurando una significativa affermazione di responsabilità in capo a colui che ne è, naturaliter, e prima del rivenditore, l’offerente, vale a dire il produttore - fabbricante. Giorgio Vanacore avvocato in Napoli giorgiovanacoreavv@libero.it


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14.02.2006 Spataro

Giorgio Vanacore

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