Segui via: Newsletter - Telegram
 

Break in VIDEO: C'e' bisogno di zebra - Oblivion



Affido condiviso    

Affidamento condiviso: la relazione

Relazione al pdf 66 poi unificato in quello approvato
25.01.2006 - pag. 29332 print in pdf print on web

X

XIV LEGISLATURA PROGETTO DI LEGGE - N. 66 Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge accoglie le indicazioni e le richieste che giungono dalle famiglie separate e si basa essenzialmente su uno studio condotto dall'associazione Crescere insieme (Maglietta M., "Il figlio diviso ", in Testimonianze, anno XLI (398), p.p. 111-125, 1998). La necessità di un intervento nella normativa che disciplina l'affidamento dei figli minori di genitori separati nasce, infatti, da circostanze oggettive, che evidenziano un profondo e diffuso malessere. E' anzitutto da ricordare che la problematica investe un elevatissimo numero di persone, essendo il tasso annuo di separazione (rapporto tra il numero di coppie che si separano e il numero di coppie che contraggono matrimonio) intorno al 25 per cento e i figli minori di genitori separati oltre un milione, secondo i dati dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) del 1998. Questi, secondo la medesima fonte e per lo stesso anno, nel 90,9 per cento dei casi sono affidati esclusivamente alla madre, cifra da considerare ancora più prossima alla quasi totalità dei casi normali, ove si tenga conto che la maggior parte delle soluzioni diverse (il padre, i nonni, i servizi sociali, l'affidamento congiunto, eccetera) è riconducibile a situazioni in cui mancava la richiesta materna di affidamento o esistevano nella madre gravi carenze (psicopatie, uso di droga, alcolismo, eccetera). C'è da aggiungere che la possibilità di accesso per il genitore non affidatario, in questi affidamenti a un solo genitore, è abitualmente limitata a un fine settimana alternato e a 15 giorni in estate. In questa situazione, che trasforma di fatto la separazione tra i genitori in perdita per i figli del genitore non-affidatario (Barbagli M. Saraceno C. "Separarsi in Italia", Bologna, Il Mulino, 1998 p. 190), non può stupire che si riscontri una altissima percentuale di minori disadattati che, nei casi meno gravi, necessitano di trattamenti di psicoterapia, per avere sviluppato una condizione di dipendenza da un genitore (in genere la madre) e di rifiuto nei confronti dell'altro (quasi sempre il padre). A ciò si aggiunge l'elevata conflittualità tra gli ex-coniugi, per i quali frequentemente ai motivi personali di rancore si sommano le tensioni per un rapporto con i figli mal risolto per entrambi. In sostanza, quindi, l'affidamento a un solo genitore, ben lungi dal privilegiare gli interessi del minore, come pure si propone in teoria la legge vigente (che riforma le norme del codice civile in materia di diritto di famiglia, legge 19 maggio 1975, n. 151), si dimostra funzionale e perfettamente, solo agli interessi di padri poco consapevoli e responsabili, che chiudendo i rapporti con l'ex-coniuge pensano di non avere più altro dovere verso i figli che la corresponsione di un assegno, e di madri frustrate o morbosamente possessive che intendono servirsi dei figli per consumare vendette nei confronti dell'ex-marito. A questi problemi, costanti in tutti i Paesi ove esistano separazione e divorzio, si è da tempo cercato di dare risposta mediante forme diverse di affidamento ad entrambi i genitori, utilizzate in misura crescente praticamente in ogni parte civilizzata del mondo. Per quanto riguarda, in particolare, l'Europa, i vari Paesi stanno modificando uno dopo l'altro i propri ordinamenti giuridici per riconoscere nella condivisione dell'affidamento la soluzione più idonea a salvaguardare l'interesse del minore. Così hanno fatto, ad esempio, Paesi largamente eterogenei come la Svezia, la Grecia e la Spagna (fino dal 1981); il Regno Unito (Children Act del 14 ottobre 1991); la Francia (legge 8 gennaio1993); il Belgio (legge 13 aprile 1995); la Russia (legge federale n. 223 del 29 dicembre 1995); l'Olanda (legge 1^ gennaio l998); la Germania (legge 1^ giugno 1998). In questo modo l'Europa si sta adeguando alla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. In Germania, addirittura, si concede al figlio di almeno di 14 anni di età di opporsi alla richiesta di un singolo genitore che abbia chiesto l'affidamento esclusivo, mentre in Francia, dove la "garde conjointe" copre già il 90 per cento delle separazioni, con nuova legge (giugno 2001) si stabilisce di evitare che per sentenza sia fissata un'unica collocazione abitativa per i figli, essendosi constatato, sulla base del rapporto Dekeuwer-Defossez, che anche tale scelta da parte del giudice, creando una discriminazione, induce risentimento tra gli ex-coniugi e fa sì che gli enti pubblici - come istituti scolastici e aziende sanitarie - finiscano per fare capo solo al genitore convivente, riproducendo gli inconvenienti dell'affidamento esclusivo. Per quanto riguarda, dunque, il nostro Paese, negli anni settanta (legge n. 151 del 1975) fu introdotto l'affidamento congiunto, un istituto che, come disse il senatore Lipari nel presentarlo al Senato della Repubblica, si propone di superare la deleteria divisione in genitori del quotidiano e genitori del tempo libero. D'altra parte, il progressivo adeguamento dell'ordinamento giuridico non solo al principio della parità e delle pari opportunità, ma al concreto mutamento del costume, può essere visto nel coerente succedersi di leggi e sentenze volte a riconoscere la plausibilità e opportunità pratica della paritetica utilizzazione delle risorse che l'uno e l'altro dei genitori possono mettere a disposizione dei figli, dall'estensione al padre del diritto di assentarsi dal lavoro per malattia del figlio (legge n. 903 del 3 dicembre 1977), ampliato in seguito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 1 del 1987 e n. 341 del 1991) fino al riconoscimento del diritto ai riposi giornalieri per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (179/1993). Per concludere con la legge sui congedi parentali che riconosce a entrambi i genitori piene capacità nelle funzioni di assistenza e di cura dei figli e mutua intercambiabilità (legge 8 marzo 2000, n. 53) e con il testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151. Analogamente, si sarebbe quindi dovuta osservare una larghissima applicazione dell'affidamento congiunto che invece solo negli ultimi anni sta presentando un significativo incremento che, pur lasciandolo quantitativamente a livelli percentuali irrisorie (3,9 per cento nel 1998), dimostra senza dubbio la validità della sua idea base. Ciò mentre si continua a favorire una soluzione, quella monogenitoriale, che oltre tutto disattende completamente l'articolo 30, primo comma, della Costituzione, secondo cui il diritto-dovere di ciascuno dei genitori verso i figli non si esaurisce con il mantenimento economico, ma si estende ai ben più importanti compiti di educazione e istruzione: e non si può certo sostenere che "vigilare sull'educazione" sia uguale a educare. Una analisi delle modalità secondo le quali è assunta la decisione dell'affidamento induce a ritenere che alla procedura va attribuita una buona parte delle responsabilità della situazione attuale. Infatti, in sostanza l'affidamento viene oggi stabilito nella rapidissima udienza presidenziale, nella quale il magistrato non ha ancora elementi di giudizio per scegliere consapevolmente entro l'intera gamma di possibilità offerte dalla legge e quindi si affida alla tradizione, consegnando quasi sempre, come rilevato, i figli alla sola madre; né serve che tale provvedimento sia provvisorio, perché anche quando, al termine di un giudizio, si conclude che sarebbe stata preferibile una soluzione diversa, essendo ormai passato molto tempo si finisce per lasciare le cose come stanno per evitare di turbare nuovamente i figli. Né appare convincente la giustificazione ufficiale del modo di operare descritto, che riposa nella cosiddetta "dottrina della tenera età" secondo cui, essendo i figli in massima parte piccolissimi al momento della separazione, si deve tenere conto del fatto che il cordone ombelicale con la madre non è ancora stato tagliato. La falsità di tale affermazione è infatti chiaramente evidenziata dalle statistiche ufficiali: ad esempio i dati ISTAT 1998 attestano che solo l'11,3 per cento dei figli ha al momento della separazione da zero a tre anni, che la percentuale di essi affidata alla madre è del 94,75 per cento e che a diciassette anni, la più alta delle età minori, è ancora dell'88,1 per cento. Lo stesso errato presupposto è utilizzato da una antiquata dottrina che ha avuto ampio seguito (Trabucchi A. in "Rivista di Diritto Civile", II semestre 1987, p. 134) laddove si sostiene che l'affidamento congiunto non è consigliabile perché il "bimbo" ha bisogno di sentirsi protetto entro un unico "nido", ove sarà orientato in modo univoco, e quindi bene; a dispetto anche dell'universale riconoscimento della funzione educativa della pluralità delle idee, nonché dell'ovvia considerazione che si è minori fino a diciotto anni di età e quindi il "bimbo" attraverserà sicuramente età nelle quali la mancanza del padre gli risulterà gravissima. Forse, tuttavia, se l'affidamento congiunto ha incontrato scarsissima fortuna in Italia è stato in larga misura a causa della chiave di lettura che esso ha avuto da noi (di tale istituto, infatti, esistono versioni che variano da un ordinamento giuridico all'altro). Orbene, nei pochi casi in cui è stato sperimentato lo si è costantemente inteso come "esercizio congiunto della potestà", nel senso che anche le decisioni su questioni di minimo rilievo devono avere il nulla osta contemporaneo di entrambi i genitori; e si è così andati incontro a frequenti fallimenti del tutto scontati. Inoltre, questa lettura strettamente associativa dell'affidamento congiunto ha fatto sì che una bassissima conflittualità ne fosse indispensabile premessa, rendendo con ciò effettivamente l'istituto un inutile artificio giuridico (Canova L., Grasso L. in "Diritto di famiglia e delle persone", Milano, Giuffré, 1991) poiché ovviamente in tale ipotesi funziona bene qualunque soluzione. Per giunta, sono stati anche introdotti, e in larga misura richiesti, altri "prerequisiti" - dalla vicinanza delle abitazioni all'età elevata dei figli - che ne hanno ulteriormente ridotto le possibilità di applicazione (Miglietta M., "I presupposti dell'affidamento congiunto", nota a Trib. Genova, 18 aprile 1991, in Giustizia civile, 1991, pt. I, p. 3095). Nel presentare una nuova proposta di legge è apparso quindi indispensabile, per evitare pericolosi equivoci, sottolineare la diversità dei suoi contenuti rispetto a quelli assegnati in giurisprudenza all'affidamento congiunto abbandonando tale termine e sostituendolo con quello di "affidamento condiviso", anche se in sostanza si intende solo mantenere il tipo di relazione genitori/figli vissuto in costanza di matrimonio, superando del tutto il concetto di affidamento come "novità" specifica, riservata alla coppia separata con prole. In definitiva, constatate le oggettive difficoltà, legate a tempi, procedure e contenuti, che portano i magistrati a ripetere costantemente le medesime infelici formule, si è ritenuto opportuno alleggerirne il compito trasferendo presso appositi centri quegli aspetti che non hanno nulla di giuridico - come il tentativo di riconciliazione e l'individuazione delle più corrette modalità per realizzare un nuovo assetto familiare - nonché, fondamentalmente, eliminando il problema della scelta del genitore più idoneo ad essere unico affidatario - nella convinzione che i genitori sono "entrambi" necessari ai figli per una crescita armoniosa e che quella conflittualità così spesso invocata per giustificare la soluzione monogenitoriale è invece in gran parte la "conseguenza" di essa (Ronfani P., "Sociologia del diritto, n. 3. 1989, p. 102). Ciò spiega la non casuale rigidità con la quale è stato privilegiato l'affidamento condiviso - con parallela drastica riduzione dei margini di aleatorietà dei procedimenti giudiziali - rigidità alla quale hanno del resto contribuito altre rilevanti considerazioni di opportunità, come la convinzione che essere sicuri fin dall'inizio che rispetto ai figli la conclusione sarà equa non può che facilitare il raggiungimento di accordi anche sulle altre questioni, evitando quella battaglia "a vincere" che spesso guasta irreparabilmente i rapporti tra gli ex-coniugi. Centrale nella proposta di legge è infatti l'idea espressa in modo specifico all'articolo 155 novellato del codice civile, che la bigenitorialità non è solo una legittima rivendicazione del genitore escluso dall'affidamento e relegato alla mera funzione sostentatrice, ma un "diritto soggettivo del minore", da collocare nell'ambito dei diritti della personalità. Di modo che per ciascuno dei genitori la presenza nella vita dei figli non è più una facoltà che si può non esercitare o di cui si può privare l'altro, ma un diritto-dovere, per il quale è prevista una tutela, se minacciato, e al quale non ci si può sottrarre, ove faccia comodo, come del resto e sancito dall'articolo 30, primo comma, della Costituzione. Si è quindi elaborata una normativa che garantisca l'effettività di questa fondamentale affermazione in una dimensione non meramente programmatica, bensì immediatamente precettiva. Lo strumento giuridico adatto allo scopo è stato visto, come già accennato, nel mantenimento dell'affidamento a entrambi i genitori, indicato come "affidamento condiviso", articolo 155, secondo comma, coerentemente configurato quale soluzione principale e ordinaria, e non più meramente residuale rispetto all'affidamento monogenitoriale, nonché irrinunciabile quando ne sussiste l'applicabilità (articolo 155, quarto comma). Si è dunque voluto sottolineare che i genitori "restano" responsabili nei confronti dei figli e "restano" investiti dei compiti di educazione e cura, a prescindere dall'evoluzione dei loro rapporti interpersonali; tanto che su chi propone qualcosa di diverso incombe l'onere della prova che si tratterebbe di una soluzione migliore, come avviene negli ordinamenti di Svezia, Olanda, Germania, ecc. D'altra parte, per evitare gli inconvenienti dell'affidamento congiunto, solo le decisioni più importanti, come la scelta del medico o della scuola, saranno obbligatoriamente congiunte (come già avviene ora anche per l'affidamento esclusivo), ma per il resto il giudice valuterà se il grado di conflittualità esistente permette un esercizio congiunto della potestà, oppure conviene assegnare a padre e madre compiti distinti, e quindi facoltà decisionali separate (articolo l55-bis, secondo comma). In questo modo si realizza comunque la naturale prosecuzione del regime precedente alla separazione, eventualmente con una alternanza nelle responsabilità che non è legata al calendario (come nell'affidamento alternato), ma a specifiche attività o momenti di vita (acquistare un oggetto, frequentare una palestra), come avviene nella famiglia unita. In altre parole, si è lasciato al giudice solo il compito di stabilire - in assenza di accordo - come organizzare un nuovo sistema di vita nel quale, pur essendoci una partizione tra padre e madre dei momenti di convivenza, i ruoli rimangono intatti, nel rispetto del dettato costituzionale delle pari opportunità e della conservazione dei diritti-doveri, e soprattutto evitando di mettere i figli nella necessità di scegliere tra i due genitori, una condizione per essi penosa e drammatica, che non ha niente a che fare con il diritto dei minori all'autodeterminazione ai sensi della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, (fatta a Strasburgo, il 25 gennaio 1996), il cui evidente e dichiarato scopo è quello di accrescere le possibilità dei minori di realizzare i propri desideri e non di obbligarli ad un'atroce opzione che, proprio se espressa, violenta le loro aspirazioni e li fa soffrire ancora più di prima. E' opportuno, infine, mettere in evidenza, in una fase di evoluzione della società in cui le preoccupazioni per le sorti della famiglia diventano sempre più pressanti, che l'affidamento condiviso (all'opposto di quello esclusivo) mantenendo gli ex-coniugi in contatto per il fine educativo dei figli, senza vincitori né vinti e quindi senza spirito di rivincita, crea le condizioni ideali perché ogni minimo spiraglio per una riconciliazione possa essere convenientemente sfruttato. L'articolo 155-bis prospetta le modalità pratiche di una effettiva realizzazione dell'affidamento condiviso, pur salvaguardando le esigenze di semplicità di vita del bambino. E' questo un punto nel quale è sembrato opportuno dispiegare la massima flessibilità. In sostanza si riconosce un ampio grado di libertà autorizzando una scelta caso per caso delle soluzioni, ma si sottolinea che comunque dovrà essere fatto ogni sforzo per mantenere ampi spazi ad entrambi i genitori. In altre parole, quale che sia il genitore al momento convivente, tutte le possibilità di contatto dei figli con l'altro dovranno essere raccolte e utilizzate; non sarà più pensabile che si opponga rifiuto all'offerta da parte del genitore al momento non convivente di assumersi il compito di andare regolarmente a prendere il figlio a scuola o in palestra, per accompagnarlo ove sia fissato che vada. Naturalmente, in mancanza di accordo per poter attribuire ai genitori compiti specifici il giudice utilizzerà quanto riferito dai genitori stessi congiuntamente, in caso di accordo, o separatamente, in caso contrario. D'altra parte, lo strumento fondamentale per assicurare un'effettiva e serena presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli è il "mantenimento diretto", un altro punto centrale della proposta di legge (articolo 155, terzo comma), che si accompagna inevitabilmente all'affidamento condiviso, sostituendo in tutto o in parte l'assegno. E' evidente, infatti, che se dei figli si occuperanno in misura significativa entrambi i genitori tutti e due dovranno provvedere a coprire necessità economiche, volendo evitare la rischiosissima condizione che uno decida e l'altro paghi. Tanto vale, allora, tenere conto dell'assoluta inidoneità del meccanismo dell'assegno - altamente conflittuale (Chambers D., "Rethinking the substantive roles for custody disputes in Divorce, 83 Michigan Law Rev., p. 128, 1984) e corrisposto regolarmente e per intero solo nel 43 per cento dei casi - e attribuire a ciascuno dei genitori distinti capitoli di spesa, lasciando all'assegno solo una funzione perequativa, nell'eventualità che il contributo diretto dell'uno o dell'altro risulti inadeguato, considerati i rispettivi redditi e valutando economicamente anche la misura in cui su ciascun genitore gravano i compiti di cura. Una quantificazione per la quale si stanno anche approntando apposite tabelle elaborate su base ISTAT, da utilizzare in mancanza di accordo diretto, per ottenere stime oggettive, uniformi e prevedibili (Maglietta M. et al., Atti del Convegno "Le politiche sociali in Toscana", Siena, 16 febbraio 2001). In questo modo si potranno conseguire tutta una serie di vantaggi, che vanno dalla piacevole e gratificante sensazione per il bambino che entrambi i genitori si occupano di lui, alla molto migliore protezione della prole dai rischi di mancata assistenza economica (Del Boca D., "Biblioteca della libertà", n. 101, p. 107, 1988), alla garanzia che il peso fisico dell'allevamento dei figli verrà condiviso, alla possibilità per entrambi i genitori di partecipare a momenti di scelta. Questa profonda innovazione merita qualche ulteriore commento. Ci si è infatti chiesti se tale soluzione rappresenti una maggiore o una minore tutela per le donne - oggi investite in larga prevalenza dell'affidamento esclusivo - e quindi se vada incontro o meno alle loro aspirazioni. In particolare, ci è preoccupati per le donne che abbiano trascorso da casalinghe gli anni del matrimonio e si separino in età troppo avanzata per entrare facilmente nel mondo del lavoro. Difatti la forma diretta di mantenimento dei figli non ha nulla a che vedere con l'assegno al coniuge. Si consideri, ad esempio, una coppia con due figli, madre casalinga di 45 anni di età e padre che produce un reddito di lire 6 milioni al mese. In questo caso, ammettendo che occorrano 2 milioni al mese per il mantenimento dei figli e altrettanti per la madre, con il mantenimento diretto il padre continuerà a versare alla madre 2 milioni di lire per le sue necessita, ne aggiungerà un terzo per i figli e si assumerà l'onere della copertura diretta di altre fonti di spesa per un importo di un quarto milione di lire. Quindi ciò che cambierà sarà solo la gestione di una parte delle risorse destinate ai figli. Più in generale, occorre ricordare che il meccanismo dell'assegno si è già dimostrato largamente inefficace nel tutelare sia le madri che i figli. E' stato, inoltre, verificato che il coinvolgimento dei padri nella cura della prole quasi raddoppia il loro impegno contributivo (Del Boca D., "Offerta di lavoro e politiche pubbliche", 1988, p. 84). Definitivamente convincente è poi il testo della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132, che, dopo aver sottolineato che uomini e donne hanno responsabilità comuni nella cura di allevare i figli e di assicurare il loro sviluppo, auspica l'impegno degli Stati firmatari perché siano assicurati agli uomini e alle donne "gli stessi diritti e le stesse responsabilità come genitori, indipendentemente dalla situazione matrimoniale, nelle questioni che si riferiscono ai figli" (articolo 16, comma 1, lettera a)), concetti, oltre tutto, ribaditi dal documento conclusivo della IV Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995). In questa ottica I l'articolo 155-ter del codice civile si preoccupa di fornire ai genitori, ove necessario, un supporto (centro familiare polifunzionale) per impostare correttamente un nuovo tipo di vita, accettando i necessari sacrifici non tanto per venire incontro ai desideri dell'altro, quanto per rispettare le esigenze del bambino. E che l'interesse di quest'ultimo sia ora effettivamente al primo posto è sottolineato dalla possibilità di una sua presenza al momento di stabilire il nuovo assetto familiare, non più per rispondere ad assurde richieste di scelta tra un genitore e l'altro, ma per partecipare, in un contesto non traumatico, alla costruzione della sua futura giornata, suggerendo ciò che per lui possa risultare più agevole o meno scomodo. Il centro è stato pensato come unità in grado di offrire ogni genere di aiuto di cui la coppia possa necessitare: non solo mediazione, ma anche consulenza e terapia familiare. Centri di questo genere - o studi professionali con l'una o l'altra delle qualifiche - sono già attivi in Italia, per cui non esiste un concreto problema di disponibilità di competenze. Appare, tuttavia, necessaria una legge istitutiva che ne disciplini caratteristiche e funzionamento e per essa si è preferito rimandare ad un apposito provvedimento. Si ritiene che il numero delle coppie che sentirà il bisogno di trovare aiuto in tali strutture, sia per meglio comprendere l'importanza e l'utilità della presenza di entrambi i genitori per la crescita equilibrata dei figli, sia per costruire concretamente degli accordi, sarà certamente indispensabile nella prima applicazione della legge, venendo da una lunghissima tradizione monogenitoriale, ma che evolvendo il costume diventerà sempre meno necessario, rimanendone, tuttavia, essenziale la funzione preventiva rispetto alle separazioni, dovendosi intendere i centri come servizi ai quali si potrà rivolgere in qualsiasi momento ogni coppia in difficoltà. L'istituzione dei centri, d'altra parte, soddisfa anche l'esigenza di affidare un tentativo di riconciliazione tra i coniugi a personale con preparazione specifica e con ampie disponibilità di tempo in tutti quei casi in cui il giudice ne ravvisi la possibilità di successo, come disposto al terzo comma del novellato articolo 155 del codice civile. E' forse anche utile sottolineare come il modo in cui è prevista la partecipazione della coppia ad un attuale percorso di mediazione rispetti tutti i requisiti richiesti per essa dalla maggior parte dei centri già esistenti in Italia, che sono quelli volontarietà, della segretezza e della separazione dall'ambito giudiziario. Infatti:

a) è obbligatoria, se disposta dal giudice, solo la partecipazione alla fase informativa sulle modalità e potenzialità della mediazione, ciascuno restando libero di porvi termine quando crede;

b) le questioni economiche che diano luogo a contestazione restano affidate agli avvocati e discusse in altro ambito, pur potendo essere inserite nell'accordo finale, se raggiunto;

c) in caso di disaccordo sono le parti ad inviare al giudice il proprio progetto educativo, redatto da esse stesse senza che il consultorio compili alcuna relazione o esprima alcun giudizio di "idoneità".

Il terzo comma, dell'articolo 155-ter, d'altra parte, introduce il fondamentale concetto di "progetto educativo" con il quale, in caso di disaccordo, ciascun genitore chiarisce secondo quali criteri intende che sia regolata la vita dei figli, con particolare riguardo alle possibilità pratiche di contatto con i due genitori. In questo modo sono messe a disposizione del giudice le informazioni necessarie per assumere consapevolmente le decisioni di cui all'articolo 155-bis nel caso in cui, persistendo il disaccordo, queste siano rimesse a lui. Informazioni che gli daranno anche la possibilità di scoraggiare atteggiamenti possessivi, privilegiando per la convivenza il genitore più "corretto e disponibile", meglio disposto a lasciare spazio all'altro e a rispettarne la figura e il ruolo, secondo un concetto già entrato nella legislazione anglosassone, nonché secondo un orientamento già da tempo affermato presso gli psicologi (vedi ad esempio Cigoli V., Gulotta G. Santi G. "Separazione, divorzio e affidamento dei figli", Milano, Giuffré, 1997). L'articolo 155-quater del codice civile affronta il problema della ineluttabilità o meno dell'affidamento condiviso. Pur essendo certamente auspicabile su di esso il consenso di entrambi i genitori ed essendo certamente tenuto a lavorare a tale scopo il centro familiare, nello spirito dell'articolo 155 e per i motivi illustrati nel commento all'articolo 155-bis, si è ritenuto giusto e opportuno che non fosse condizione indispensabile e si è limitata la soluzione monogenitoriale ai casi di vera indegnità o incapacità di uno dei genitori, disincentivando i tentativi di pretestuose e interessate opposizioni (secondo comma). E' interessante rammentare che per l'affidamento congiunto si è sostenuto (Scannicchio N., in "Nuove leggi civili commentate", II semestre 1987, p. 972) che esso, implicando associazione dei genitori nell'esercizio della potestà, può essere adottato solo se c'è accordo, e che la prima questione sulla quale l'accordo deve esistere è il ricorso stesso a tale istituto. Di qui seguirebbe che esso non può essere imposto, ma può essere disposto solo consensualmente, con il rischio di doverlo escludere anche quando una delle parti ha un interesse solo venale - e quindi non meritevole di tutela - per l'affidamento esclusivo. E' un' obiezione che fondamentalmente non riguarda l'affidamento condiviso, che ha come prassi ordinaria l'esercizio separato della potestà. Tuttavia, può essere utile osservare quanto sia assurda e contraddittoria la logica che, sulla base di una divergenza di opinioni, conduce a imporre per sentenza una soluzione ugualmente non concordata e per giunta completamente squilibrata - che non potrà che esaltare il disaccordo delle parti - anziché una che ne rispetti dignità, competenze e ruoli. Non a caso in Germania avviene tutto il contrario: è l'affidamento esclusivo che, se chiesto da uno dei genitori, non può essere concesso, salvo casi particolari, senza il consenso dell'altro. L'articolo 155-quinquies, al primo comma, mira a ricondurre l'assegnazione della casa coniugale all'esclusiva funzionalità del nuovo assetto, eliminando la possibilità che il continuare a fruire di essa comporti un vantaggio economico iniquo, visto che anche il genitore che trascorre minore tempo con i figli ha la necessità di disporre del medesimo spazio per accoglierli nei momenti stabiliti, circostanza che oggi in pratica non viene mai considerata, quasi nel presupposto che sicuramente il genitore non affidatario finirà per scomparire e quindi non ne avrà bisogno; addirittura, non è infrequente che proprio la mancanza di un alloggio adeguato per ospitare i figli costituisca in giudizio motivo per richiedere o disporre la pressoché completa cessazione dei contatti. Il vantaggio di questa precisazione (la valutazione economica della disponibilità della casa) è particolarmente evidente ove si pensi quanto spesso finora si siano scatenate false dispute sull'affidamento dei figli che avevano in realtà come unico scopo la conservazione dell'abitazione, sapendo che di questa si sarebbe fruito in pratica gratuitamente; infatti l'elementare principio della valutazione del bene assegnato è oggi quasi sempre disatteso, trovando solo sporadico riconoscimento in alcune sentenze isolate della Corte di cassazione, come l'importante sentenza a sezioni unite n. 11490 del 29 novembre 1990, dalla lunga e articolata motivazione. Si è perciò ritenuto necessario proporne con forza il definitivo riconoscimento legislativo. Il secondo comma dell'articolo 155-quinquies affronta il grave problema del trasferimento di uno dei genitori in località remota - fenomeno in vertiginosa crescita - che nella situazione attuale viene spesso deliberatamente cercato dal genitore affidatario soltanto per tagliare del tutto i ponti con il proprio passato, in totale contrasto con l'esigenza dei figli di restare legati ad esso. In Francia la Commissione Dekeuwer-Defossez ha suggerito che non possa avere luogo un cambiamento di residenza che comporti un mutamento delle relazioni con l'altro genitore senza un preventivo accordo tra il padre e la madre. Evitando imposizioni, il regime dell'affidamento condiviso disincentiva automaticamente unilaterali ed egoistiche decisioni, rendendo possibile al figlio che non desideri mutamenti nella sua vita di relazione di restare con il genitore che non si sposta. Ci si è quindi limitati ad una sottolineatura del problema e ad una richiesta di impegno da parte dei genitori. Con l'articolo 155-sexies si intende dare indicazioni sulla corretta impostazione dei rapporti nella famiglia separata. Sicuramente si tratta di un problema culturale. La prassi attuale, che per evitare ogni contrasto tra i genitori separati semplicisticamente toglie la parola a uno di essi, trova la propria giustificazione nel principio che ai figli giovi ricevere una educazione monocorde ("unicità del modello educativo") e che si debba evitare che un bambino frequenti pariteticamente i due genitori perché in tale modo riceverebbe messaggi "confusi". Prescindendo dal fatto che appare altamente opinabile che il danno di perdere un genitore, inevitabilmente legato all'affidamento esclusivo, sia meno grave della ipotizzata confusione di idee, la presente proposta di legge nasce invece nella convinzione che per i figli sia forse addirittura vantaggioso ascoltare più opinioni e confrontare idee e scelte di vita. Si può dare per sicuro, infatti, che normalmente i motivi di divergenza che hanno portato i coniugi alla rottura riguardavano i loro caratteri e le loro persone e non certo il bene dei figli, del quale sono entrambi ugualmente preoccupati. Può darsi benissimo che vi siano tra loro differenze ideologiche o di concezione e di stile di vita, ma non si comprende perché caricare solo di valenze negative una circostanza che porta invece con sé tanti vantaggi da essere, ad esempio richiesta alla scuola. E si ritiene anche che l'attuale frequente aggressività tra ex-coniugi sia in gran parte frutto di una visione sbagliata del problema, generata e incoraggiata da quella stessa prassi che, preoccupandosi primariamente dei "poteri" dei genitori, li fa sentire protagonisti e non mette adeguatamente l'accento sul loro "dovere" di evitare certi comportamenti perché lesivi dell'interesse del minore, e a tale punto da essere perseguibili. In altre parole, le indicazioni date dall'articolo 155-sexies suonano certo come pura utopia nella cultura attuale, ma non all'interno della normativa qui proposta, perché per i genitori è ben diverso operare nell'ambito di una giurisprudenza che più o meno velatamente autorizza a considerare "indebita ingerenza" ogni forma di partecipazione del genitore non affidatario alla vita dei figli (Scannicchio N., opera citata) e la scoraggia, o sapendo che dalla legge questa partecipazione è ricercata e protetta. In particolare, avere posto il diritto del minore alla bigenitorialità quale elemento centrale e portante della nuova normativa comporta un adeguamento delle tecniche di sanzione dei comportamenti con i quali uno dei genitori cerchi di impedire o pregiudicare i rapporti con l'altro. Comportamenti che, oltre a configurare la violazione di un obbligo di carattere non patrimoniale nei confronti dell'altro genitore (Tribunale di Roma n. 18439 del 2000) e a costituire elusione dolosa dei provvedimenti del giudice in violazione dell'articolo 388 (Cassazione VI penale n. 2925 del 2000), rappresentano un vero e proprio illecito a danno del minore. Ciò porta ad applicare i tradizionali strumenti civilistici a tutela del diritto soggettivo leso dall'altrui comportamento doloso o colposo:

a) azione inibitoria (articolo 155-sexies, secondo comma) disciplinata per quanto concerne i tempi e le procedure di attuazione (onde evitare un eccessivo protrarsi nel tempo dei comportamenti dannosi e il consolidarsi di situazioni rimediabili solo a prezzo di ulteriori traumi per il minore), e rimessa invece al prudente apprezzamento discrezionale del giudice per ciò che concerne la individuazione dei provvedimenti preclusivi. Quando però il tipo di condotta lesiva è strettamente correlato con la prevalente collocazione presso uno dei genitori (si pensi, ad esempio ma non solo, alla sistematica violazione dell'attuale "diritto di visita") e sia inoltre recidivo rispetto a precedenti comportamenti lesivi, già accertati e interdetti dal giudice, è previsto l'automatico trasferimento della collocazione abituale presso l'altro genitore (terzo comma);

b) risarcimento del danno a favore del minore, liquidato in via equitativa dal giudice e identificato nella lesione in se stessa considerata di un suo diritto soggettivo della personalità (quarto comma). Al fine di evitare una degenerazione del contenzioso e abusi degli strumenti predisposti si è limitata la loro esperibilità a fattispecie già intrinsecamente lesive del diritto.

Analoghe considerazioni valgono per l'elemento soggettivo dell'illecito: le caratteristiche dei comportamenti sanzionati e la loro recidività sono tali da rendere ben difficile non ravvisare in esse una volontà quanto meno negligente e da imporre una presunzione di colpa superabile solo attraverso la prova di fattori impedienti di oggettiva gravità. L'articolo 155-septies tutela il minore dalle possibili "fughe" di uno dei genitori di fronte ai doveri economici, di cui sottolinea la gravità attraverso il ricorso al codice penale. Si sottolinea, d'altra parte, che la quantificazione del contributo non deve più essere affidata a valutazioni improvvisate del magistrato di turno, ma essere agganciata a parametri oggettivi e uniformi, come avviene da tempo in Germania. L'articolo 155-octies riconosce esplicitamente la possibilità di modificare il regime successivamente ai primi impegni presi, ovviando alla attuale rigidità delle disposizioni, per la quale provvedimenti assunti "al buio" in sede di udienza presidenziale si trascinano poi per anni prima che sia possibile apportare dei correttivi. L'articolo 155-novies estende alla famiglia di fatto la protezione dei diritti dei figli minori, tenendo conto dell'alta incidenza delle separazioni proprio nelle famiglie che nascono con le minori tutele. Nello stesso spirito, l'articolo 155-decies estende le tutele previste per i figli minori ai figli maggiorenni portatori di handicap grave. Mentre gli articoli 3, 4, 5 e 6 della proposta di legge recano adeguamenti del codice civile alla nuova normativa, con le norme transitorie (articolo 7) al comma 1 si intende evitare che problemi di copertura finanziaria o ritardi nella istituzionalizzazione dei centri familiari possano fare rinviare l'applicazione della legge, indicando la possibilità di affidare temporaneamente le funzioni di assistenza di cui all'articolo 155-ter del codice civile a personale che svolge le medesime funzioni ivi previste. I commi 2 e 3 intervengono in merito alle situazioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge, prevedendo che ad esse si applichino ugualmente, le disposizioni della legge.


Condividi su Facebook

Segui le novità di Civile.it via Telegram oppure via email: (gratis Info privacy)

    






Break in VIDEO: C'e' bisogno di zebra - Oblivion








innovare l'informatica e il diritto


per la pace