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"La filosofia non e' uno strumento per essere popolari ne' e' adatta a ostentarne la conoscenza; non e' nelle parole, ma nelle cose concrete di ogni giorno." - Seneca, Epistulae ad Lucilium 16, 3-5



Cogne    

Daniele Pizzi ci informa di prima mano sulla terza udienza del caso Cogne **

“L’ARMA DEI CARABINIERI E’ IL NOSTRO NEMICO”

Così l’Avvocato Taormina alla terza udienza del processo d’Appello per il delitto di Cogne

di DANIELE PIZZI

29.11.2005 - pag. 29140 print in pdf print on web

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Torino, 28 novembre 2005. Terzo appuntamento nel capoluogo torinese per Annamaria Franzoni, che questa mattina si è nuovamente presentata davanti alla Corte d’Appello nel processo per l’omicidio di suo figlio Samuele, brutalmente assassinato a Cogne (AO) il 30 gennaio 2002. L’udienza odierna si è aperta con l’audizione di Saverio Paolini, appuntanto dei carabinieri in servizio al RIS di Parma, in merito al materiale videofotografico che ancora non era stato acquisito agli atti del procedimento. Pesante assenza quella del colonnello Luciano Garofano, comandante del Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri diventato obiettivo di sottili ed ironiche frecciate dell’Avvocato Taormina. “Le alte sfere hanno pensato bene di mandare un povero appuntato al massacro” ha detto, rivolgendosi alla Corte. Proprio per la presenza di un esponente del RIS di Parma, tema della mattinata è subito diventato l’asserita mancanza di centinaia di fotografie effettuate dai Carabinieri di Aosta la mattina del delitto sulla scena criminis. Il Professore ha infatti tenuto a sottolineare duramente come dalle testimonianze dei militari sentiti in aula (la volta scorsa era stato sentito l’Appuntato Piras di Aosta), possa chiaramente desumersi la presenza di moltissime altre fotografie, dalla difesa mai conosciute, proprio come avvenuto per il filmato materializzatosi, non si sa come, soltanto poche settimane fa, a quasi quattro anni dalla morte di quel bimbo. Sulla mancanza del materiale fotografico è stato dunque interrogato il malcapitato appuntato dei RIS, che ha illustrato come, nell’elaborazione degli album fotografici di sopralluogo viene effettuata già in prima istanza una cernita delle foto, secondo un criterio di mera utilità presunta. Ed è su questo punto che il Professore si è battuto a lungo, evidenziando come un consulente tecnico di parte dovrebbe attenersi al dato oggettivo, omettendo – ove non specificamente richiesto nei quesiti peritali – di fare valutazioni soggettive e trarre conclusioni proprie. Lo stesso, soffermandosi inoltre su altri punti oscuri dell’affaire “foto”, ha quindi concluso la sua arringa con la richiesta all’autorità giudiziaria di promuovere un’attività di indagine in merito, individuando i responsabili e facendo sì che “anch’essi, come tutti i cittadini italiani, paghino per lo sbaglio compiuto”. Con un avvincente alternarsi delle parti, si è così giunti a far luce anche sull’articolo apparso qualche giorno fa su un noto quotidiano nazionale, secondo cui il Procuratore Generale Vittorio Corsi (che, lo ricordiamo, in questo procedimento rappresenta la pubblica accusa) avrebbe ricevuto del materiale direttamente dai Carabinieri, saltando a piè pari il collegio giudicante, a cui invece sarebbe dovuta spettare, per competenza, l’acquisizione di simili elementi. A tal proposito, emblematica è stata l’affermazione del difensore di Annamaria Franzoni: “Ci è dispiaciuto aver dovuto apprendere dai giornali la notizia che il Procuratore Generale intrattiene rapporti diretti con l’Arma dei Carabinieri che, in fondo, in questo procedimento rappresenta il nostro principale nemico”. Controversa è stata, per diverso tempo, la questione circa il numero di fotografie scattate nella stanza del delitto (Taormina sosteneva fossero più di 100, Corsi generalizzava su numeri inferiori) e, per la precisione, sul pavimento (quattro) ove si evincerebbe un’impronta di scarpa. Opposizione da parte della difesa, infine, per la nuova perizia psichiatrica ordinata dalla Corte, giudicata inutile e al momento assolutamente priva di significato e valenza, essendovene già una valida effettuata in primo grado e non essendo subentrate da allora nuove circostanze. Ed è stato proprio durante la proiezione in aula delle foto, che si è verificato l’unico momento di cedimento di Annamaria Franzoni: anche lei, donna forte e tutta d’un pezzo, non ha saputo resistere di fronte alla vista del sangue di Samuele, in un’aula commossa e impietosita verso una mamma colpevole soltanto di aver visto il proprio figlio morire. Sì, perché fino a questo momento di prove a suo carico non ce ne sono. Così come non c’è un’arma del delitto e non c’è un movente. Tanti indizi, questo sì. Ma come ben insegna la dottrina processualpenalistica italiana, tanti indizi non costituiscono una prova. E lei, giovane donna che d’improvviso s’è vista cascare il mondo addosso e s’è trovata a dover sopportare i pesi più duri, in un breve colloquio finale avuto con chi scrive, non riesce che scoppiare in un piccolo sfogo, concludendo ironicamente dicendomi “studiando questo processo, non avrai che da sbizzarrirti”. Una carezza sulla guancia dunque, a prescindere da qualsiasi verdetto o convinzione, se la merita davvero.


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29.11.2005 Daniele Pizzi

Daniele Pizzi

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