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Danno non patrimoniale    

Danno non patrimoniale - Risarcibilità quando derivi da fatto illecito non corrispondente ad una fattispecie astratta di reato

Ordinanza emessa il 3 marzo 2004 dal tribunale di Ancona
08.06.2004 - pag. 27916 print in pdf print on web

G

GU n. 1001 del 3-6-2004 Testo: IL TRIBUNALE

Letti gli atti del procedimento civile n. 7352/99 r.g. ha emesso 1a seguente ordinanza. L'avv. Marco Polita proponeva azione civile contro il comandante della compagnia Carabinieri di Jesi Romeo Letterio, esponendo che quest'ultimo aveva redatto un'informativa destinata al PM, inducendo in errore l'autorità giudiziaria requirente circa una possibile commissione del reato di cui all'art. 323 comma I c.p. da parte del Polita medesimo, quale sindaco del comune di Jesi «..... per avere abusato del suo ufficio al fine di consentire la realizzazione di un impianto di fitodepurazione malgrado esistessero precise prescrizioni, non osservate, e vi fossero omissioni di natura regolamentare da parte della ditta appaltatrice dei lavori... » nonchè del reato di cui all'art. 734 c.p. in concorso «... per avere distrutto ed alterato le bellezze di luoghi sottoposti a vincoli ambientali». Esponeva l'attore che da tale informativa era scaturito un avviso di garanzia emesso dal p.m., con grande risalto sugli organi d'informazione e gravissimo danno nei suoi confronti; che la vicenda era grave anche perchè il suo operato di sindaco era stato, al contrario, quello di disporre la sospensione dei lavori attraverso il dirigente preposto all'ufficio urbanistica del comune, essendo peraltro in precedenza del tutto all'oscuro sulla vicenda. Chiedeva pertanto la condanna al risarcimento dei danni «... all'immagine, alla vita di relazione, da quantificarsi in corso di causa o secondo equita». Si costituiva il Letterio, lamentando la temerarietà della domanda ed il carattere diffamatorio delle espressioni difensive usate da controparte, sottolineando che le indagini erano ancora in corso; che in ogni caso egli, quale ufficiale di polizia giudiziaria, aveva il potere-dovere di indagare, anche d'iniziativa, su fatti che potevano costituire reato, riferendone al p.m.; che per l'appunto ciò era stato fatto e ne era scaturita delega per ulteriori indagini, le quali avevano portato alla notifica dell'avviso di garanzia; che i fatti portati all'attenzione del p.m. erano stati forniti a quest'ultimo così come erano emersi, e la relativa documentazione era stata trasmessa nella sua interezza, senza alcuna maliziosa manipolazione come adombrava controparte; che in ogni caso le lamentele di parte attrice avevano un contenuto generico ed inconsistente, tanto da rendere difficile il diritto alla controprova sul punto. Il convenuto spiegava domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla sconsiderata azione intrapresa da controparte. Nel corso della trattazione istruttoria venivano assunte abbondanti prove costituende ed acquisita documentazione. Nel frattempo nei confronti dell' attore veniva emesso decreto di archiviazione. Tanto premesso,questo giudice ritiene che nella condotta del convenuto possa rinvenirsi un atteggiamento antidoveroso sub specie di condotta negligente e superficiale. Esclusa ovviamente ogni volontà di recare intenzionalmente danno al Polita (come specialmente negli scritti difensivi conclusionali sottolinea l'attore), anche sotto il profilo di un dolo «eventuale» (per usare termini penailistici), poichè non emerge alcun elemento che dia conto ditale intento doloso, non potendosi ovviamente ricavare tale elemento soggettivo dalle sole dichiarazioni accusatorie del Letterio, va osservato che le testimonianze escusse hanno dato conto che il Polita, peraltro sindaco di una città di circa 40.000 abitanti e con un comune avente una consistente articolazione amministrativa, era del tutto estraneo alla vicenda burocratica sottostante, almeno nelle sue prime battute, nel senso che addirittura non se ne era occupato. Il dirigente del settore urbanistico di Jesi, sentito quale teste, ha riferito che, per quanto concerne la decisione dell'appalto alla ditta (asseritamente soggetto extraneus interessato rispetto all'ipotizzato abuso), esso non rientrava nelle competenze comunali e che il rilascio di concessione edilizia non era di competenza del sindaco ma del dirigente dell'ufficio Urbanistico. Dà conto di una serie di comportamenti del sindaco incompatibili non solo con una mera connivenza, ma anche solo con una disattenzione alla problematica. Altri dati cartolari e testimoniali concordano con il quadro tratteggiato. L'estraneità del sindaco appariva evidente ed un minimo di doverosa attenzione avrebbe reso palese tale estraneita'. Invece le espressioni dell'estensore dell'informativa sono categoriche in senso contrario: «..... questa Arma, in fase di indagine, si è formata una serie di convincimenti, basati peraltro su dati di fatto oggettivi ed inoppugnabili sulla scorta dei quali si può tranquillamente asserire che sono emerse le violazioni di seguito meglio evidenziate ...». Invocare la sovraordinazione del p.m. procedente rispetto all'ufficiale di polizia giudiziaria, sia per dare conto della legittimità del comportamento dell'ufficiale di polizia giudiziaria,proprio per il «filtro» esercitato dal pm stesso, sia per sottolineare la mancanza di connessione causale tra evento produttivo di danno (l'informazione di garanzia da cui sarebbe partito il nocumento per l'attore) e condotta del convenuto, non coglie nel segno. In primo luogo perchè il Pm non era nelle condizioni di rendersi conto appieno dell'erroneità delle impostazioni di indagine, proprio perchè organo che le aveva delegate e che poteva solo riscontrare qualche illogicità e genericità nell'informativa di reato, elementi peraltro di non grande rilievo, e non sotto il suo diretto controllo, all' inizio del raccoglimento della notitia criminis. In secondo luogo perchè in ogni caso l'informativa redatta si pone come concausa necessaria dell'avviso di garanzia (rectius, del perdurante procedimento penale, per quel che rileva sul fronte del danno lamentato dall'attore), per cui il nesso causale tra condotta del Letterio e danno rimane ben saldo in ogni caso. In terzo luogo perche', ammesso che il p.m. fosse animato da fervore garantistico così forte da sconfessare «al buio» ed in liminis l'operato del suo diretto collaboratore investigativo, le due ipotesi che poteva scegliere, al posto dell'emissione dell'informazione di garanzia, erano la richiesta di archiviazione diretta (ipotesi di scuola) ovvero la continuazione delle indagini con emissione di atti equipollenti all'informazione di garanzia. E, a tal proposito, si osserva che incentrare l'attenzione sull'informazione di garanzia come causa del danno lamentato non è esatto: com'è noto, si tratta di atto a difesa dell'indagato, che però si presta ad un uso improprio quando l'indagato medesimo goda di una certa notorieta'. Il danno per l'interessato è dato, ovviamente, non dall'avviso, bensi' dalla risonanza infamante che può avere un certo procedimento penale in danno di un personaggio pubblico, risonanza rispetto alla quale l'avviso di garanzia non è che un improprio strumento in mano ai media, che secondo la legge non avrebbero alcun diritto di venirne a conoscenza (e ne vengono puntualmente a conoscenza, invece). La predetta condotta è inquadrabile nella colpa grave, che da' quindi luogo a responsabilità civile anche nella presente fattispecie, pur ammettendo che si applichino in via estensiva, rispetto a tutti coloro che sono legati da un rapporto d'ufficio con lo Stato, le limitazioni di cui all'art. 23 TU impiegati civili dello stato (in tal senso cfr. Cass. Sez. legge n. 1890 del 18 febbraio 2000). Non va dimenticato che si trattava di un funzionario di polizia giudiziaria di grado elevato, con notevoli responsabilità di coordinamento di sottoposti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, e le sviste riscontrate non appaiono frutto di valutazioni meramente opinabili, per cui si poteva e doveva prevedere un'attenzione che è stata in toto trascurata. Dall'analisi sin qui condotta, doverosa per dare conto dei profili di incostituzionalità che appresso si verranno a trattare, discende che v'è un comportamento illecito cui non corrisponde alcuna figura astratta di reato. Non esiste, in altre parole, il reato di diffamazione o di calunnia colposo. Qui è appena il caso di ricordare, inoltre, che l'inosservanza di norme cautelari o la violazione della diligenza doverosa, quali elementi oggettivi dell'imputazione soggettiva, acquistano rilievo non solo come fondamento di una specifica forma di colpevolezza (artt. 42 - 43 c.p.) ma già sul piano della tipicita', poichè ogni reato colposo riceve la sua fisionomia, differenziandosi dalla corrispondente forma dolosa, già nella struttura della fattispecie obiettiva. In altre parole, o v'è diffamazione o calunnia, o v'è condotta colposa che non può corrispondere,nemmeno strutturalmente, al reato. Deve quindi ritenersi che il sostenere la possibilità astratta di un reato anche nell'ipotesi in esame, così come sopra inquadrata, sarebbe mero esercizio nominalistico. La questione della tutelabiità della predetta condotta solo colposa sotto il profilo del danno non patrimoniale è molto importante, se si tiene presente la dinamica dell'elaborazione giurisprudenziale recente sul danno non patrimoniale. Vanno riassunti i seguenti punti di rilievo: 1) il risarcimento veniva riconosciuto con l'entrata in vigore del codice del 42, solo per il danno patrimoniale, quello cio' riguardante il patrimonio del soggetto leso in senso stretto,sia pure sotto tutti i suoi vari profili; 2) il risarcimento del danno non patrimoniale veniva riconosciuto quale eccezione alla regola generale, che si presupponeva posta dall'art. 2059 c.c., secondo la quale esso si sarebbe attuato «solo nei casi determinati dalla legge», da ritenersi come normative esplicite; 3) i casi determinati dalla legge con esplicito richiamo al danno non patrimoniale erano rarissimi e di questi solo l'ipotesi di cui all'art. 185, secondo comma c.p. («ogni reato,che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole...») aveva effettivo rilievo pratico; 4) il caso di cui all'art. 185 c.p., sopra richiamato e,più in generale, gli altri rari casi di riconoscimento normativo esplicito del risarcimento del danno non patrimoniale, venivano rapportati alla definizione di «danno morale», espressione ripresa pari pari dal «dommage moral» della dottrina francese. Definizione non solo inutile, ma tendenzialmente infausta per la chiarezza concettuale, dal momento che il danno così denominato come «morale» non puo' contrapporsi al danno non patrimoniale ma è semmai solo una parte di esso. Tale inconveniente, tuttavia, non emerse subito, in quanto, di fatto, con la supremazia della tutela penale rispetto alle altre forme di tutela, segnatamente quelle civilistiche, si giustificava in qualche modo la sola tutela del danno non patrimoniale nascente da reato, cosicchè danno morale e danno non patrimoniale facevano entrambi parte della strumentazione ausiliaria della sanzione penale, e tendevano a confondersi nella percezione degli operatori; 5) sebbene si tenda a pensare che le problematiche introdotte dalle dispute sul c.d. danno esistenziale siano nuove, in realta', quando ancora non si parlava nemmeno di danno biologico, anche il danno non patrimoniale, laddove fosse necessario accedere alla determinazione pecuniaria del risarcimento - e lo era quasi sempre, tranne casi marginali in cui il risarcimento in forma specifica, ove possibile fosse completamente satisfattivo (es. pubblicazione su giornali, ma nemmeno questo era per lo più considerato completamente satisfattivo) - dava origine a molte critiche. Guarda caso, 30 o 40 anni fa si discuteva già sull'inestimabilità pecuniaria degli interessi non patrimoniali. La dottrina più attenta di allora negava l'incommensurabilità dei valori non economici per mezzo del denaro, così come non accettava l'orientamento di chi vedeva, nella possibilità di rapportare il risarcimento del danno non patrimoniale al denaro, l'espressione di una tendenza rilassata, utilitaristica e materialistica. Si parlava piuttosto di un'estensione/deviazione della funzione del denaro. E, sempre allora, si faceva riferimento alla difficoltà della prova sia nell'an che nel quantum, alla necessaria soggettivizzazione del dolore, ecc. 6) negli anni 70 alcuni giudici di merito emettono sentenze che riconoscono il risarcimento (non per equivalente ma necessariamente) pecuniario del c.d. danno biologico, che sostanzia una lesione all'integrità psicofisica, diritto costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.). Nel volgere di pochi anni il risarcimento da danno biologico entra a far parte del c.d. diritto vivente, trovando una conferma ed una rielaborazione nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale; 8) alla fine i tempi divengono maturi per importanti arresti giurisprudenziali. Veniva accertato giudizialmente che un padre si era sistematicamente reso inadempiente del suo obbligo di mantenimento nei confronti del figlio. E' importante notare che nello specifico caso, sebbene la statuizione del giudice civile avesse riguardo al solo inadempimento civilistico, sullo sfondo si era svolto un processo penale in relazione all'art. 570 c.p., senza che si addivenisse ad una condanna penale dell'obbligato/imputato, per questioni processuali. La Cassazione (sez. I, n. 7713/2000) investita del caso, affermava tra l'altro «è assorbente comunque il rilievo che ciò che soprattutto la Corte veneziana, nella specie, ha inteso risarcire la lesione in se', che dal comportamento del ricorrente (di iniziale ostinato rifiuto di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza) ne è scaturita di fondamentali diritti della persona, inerenti alla qualità di figlio e di minore. E, in questa prospettiva, non v'è dubbio che il comportamento sanzionato dall'art. 570 c.p. - sia pur costituito nella sua materialità dalla mancata corresponsione di mezzi di sussistenza - rilevi, sul piano civile, in termini di violazione non di un mero diritto di contenuto patrimoniale ma di sottesi e più pregnanti diritti fondamentali della persona, in quanto figlio ed in quanto minore. Ed è poi innegabile che diritti siffatti, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sè della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza)»; 9) Cass. Ss.uu. 1° luglio 2002 continua nel processo di consolidamento del concetto facendo proprie quelle ragioni di risarcibiità che ammettono un nesso di causalità tra fatto illecito ed evento, anche indiretto o mediato, purchè il danno si presenti come un effetto normale (che significa effetto normale 7 significa, a parere dello scrivente, altamente prevedibile e/o statisticamente significativo, e/o comunemente accettato dalla coscienza sociale e/o obiettivamente rilevante per le previsioni normative che lo stesso ordinamento giuridico pone al centro dei suoi interventi, ecc. ecc.; decisioni importanti sono state prese su principi e dati ben piu' labili) secondo il principio della c.d. regolarità causale. La stessa sentenza fa un accenno molto opportuno alla scarsa utilita', nella materia, della nozione di danno riflesso o di rimbalzo,che rischia di essere fuorviante dal momento che i soggetti interessati subiscono sempre comunque un danno che, in quanto collegato con la condotta illecita da efficienza causale completa, non può che definirsi, semmai, diretto. Altro opportuno accenno è quello della centralità del danneggiato rispetto al danno, al fine di individuare con criteri quanto più rigorosi possibile l'ambito delle c.d. (anche qui impropriamente) vittime secondarie; 10) Cass. 31 maggio 2003 nn. 8827 ed 8828 pongono l'accento su: a) un'elencazione di leggi che prevedono esplicitamente la risarcibilità del danno non patrimoniale b) la sussistenza comunque di una diretta tutelabilità del danno se riconducibile a categorie di diritti di rilievo costituzionale; c) una sorta di funzione propulsiva in tal senso dell'art. 2059 c.c., il quale pertanto non viene più visto nella sua portata limitatrice del risarcimento, ma di collegamento di diritto positivo per affermare la risarcibilita'. La prospettiva si capovolge rispetto a quella tradizionale; d) la prevedibilità dell'evento dannoso anche in relazione al danno non patrimoniale così come inquadrato: nel risarcimento del danno da uccisione del congiunto, rientra nella normalità che la vittima sia inserita in un nucleo familiare; e) l'inesistenza di un principio secondo il quale il danno sarebbe in re ipsa: «il danno in questione dev'essere dunque allegato e provato ... tuttavia .... sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione... non potrà che avvenire in base a valutazione equitativa...»; 11) molto interessante è l'accenno che fa Cass. 8827/03, sopra citata, sull'impossibilità di predeterminazione pecuniaria della quantificazione del c.d. danno esistenziale: «unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa ... E' dunque escluso che si possa far carico al giudice di non aver indicato le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare - costituente la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c. - giacchè in tanto una precisa quantificazione pecuniaria sarebbe possibile in quanto esistessero dei parametri normativi fissi di commutazione ... . Altro e', evidentemente, il dovere del giudice (nella specie compiutamente adempiuto) di dar conto delle circostanze di fatto che ha considerato nel compiere la valutazione equitativa e dell'iter logico che lo ha condotto ad un determinato risultato ...»; 12) importante è anche l'accenno effettuato dalla sentenza di cui sopra a che il giudice tenga ben presente da una parte che danno morale e danno c.d. esistenziale possono ben coesistere e dall'altro che, nel caso di coesistenza, il giudice tenga conto, nel liquidare il danno morale, «.... la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta poiche', diversamente, sarebbe concreto il rischi di duplicazione del risarcimento»; 13) da ultimo (in un percorso di elaborazione e composizione che, ovviamente, non può dirsi compiuto), la sentenza n. 233 dell'11 luglio 2003 della Corte costituzionale, ha affermato che: a) con l'entrata in crisi del sistema di risarcimento del danno non patrimoniale improntato a finalità sanzionatorie come espressamente prevedeva la stessa relazione al codice, e con lo spostamento dell'attenzione sull'area di risarcibiità del danno non patrimoniale, è fuori luogo incentrare il nocciolo del problema sull'accertamento in concreto del dolo o della colpa. Vi sono previsioni legislative di danno non patrimoniale del tutto estranee a qualsiasi indagine sull'elemento soggettivo (ingiusta privazione della libertà personale, eccessiva durata dei processi) così come vi sono figure ormai consolidate di danno non patrimoniale che pure prescindono da indagini sull'elemento soggettivo della condotta; b) «...su tale base, pertanto, anche il riferimento al «reato» contenuto nell'art. 185 c.p., in coerenza con la diversa funzione assolta dalla norma impugnata, non postula piu', come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente nella sua oggettivita', all'astratta previsione di una figura di reato. Con la conseguente possibilità che ai fini civili la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge». Nella sentenza n. 233/03 Corte Cost. sembra adombrato un passaggio logico che, invero, la Corte non ha fatto in maniera esplicita, e fors'anche neppure implicitamente. Poichè uno dei punti cardine del discorso, non solo della Corte ma dell'orientamento giurisprudenziale e dottrinario in cui la predetta decisione 233/03 si inserisce, è quello di spostare il discorso dalla sanzione e dall'elemento soggettivo in capo all'autore dell'atto dannoso alla protezione del danni patito da interessi meritevoli, l'ulteriore passaggio proposto da questo giudice non appare eccessivamente ardito. Anzi, a questo punto si può e si deve discutere che senso abbia mantenere ancora il feticcio della fattispecie di reato «in astratto» che dovrebbe comunque essere sussistente per giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale. Perlomeno sulla base di quanto detto dalle sentenze della Cassazione del 13 maggio 2003, si può fare tranquillamente a meno di tale riserva. Ma anche nella sentenza 233 tale riserva è del tutto avulsa dalla linea argomentativa seguita, e resta come una sorta di vuoto omaggio ad una tradizione che peraltro si dichiara espressamente di non seguire. La stessa Cassazione, nelle sentenze del 12 maggio 2003 nn. 7281 e 7282, espressamente richiamate dalla Corte, fa un passo in più nel senso della risarcibilità del danno non patrimoniale nascente da illecito tout court e svincolato da ogni ipotesi di reato, ancorchè astratta: «..... appare incongruo ritenere che,in un contesto connotato da un onere probatorio posto a carico del danneggiante convenuto evidentemente in funzione di tutela della posizione della posizione della vittima, ove lo stesso non sia soddisfatto e la prova liberatoria non sia data, il danneggiato attore possa ottenere o no risarcimento del danno non patrimoniale a seconda che abbia dato o meno la prova di un fatto (colpa) che non gli compete e la cui mancanza va invece provata dall'altra parte». Subito dopo il discorso ritorna arcaico, quasi che la Cassazione intendesse sterilizzare il suo orientamento da fughe in avanti non compatibili col percorso gradualistico attraverso cui è pervenuta ad importati arresti. Ma il risultato, a livello logico, è oltremodo debole: «..... Posto che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile; la non superata presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicchè il fatto senz'altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di reato...». Orbene, se si abbandona chiaramente, da parte ditale giurisprudenza, come pare la supremazia della norma penale come fonte di una tutela del danno rafforzata rispetto agli illeciti «meramente civili»; la funzione limitatrice dell'art. 2059 c.c. quale barriera al risarcimento del danno non patrimoniale, per abbracciare invece una versione di tale norma che qui si è definita estensiva o propulsiva (similmente a quanto, ormai tanto tempo fa, si era assunta una visione dell'art. 2043 c.c. in maniera espansiva, rispetto alla tutela aquiliana del credito); lo spostamento della visuale dalla funzione sanzionatoria del risarcimento alla soddisfazione effettiva di interessi costituzionalmente importanti. Se si fa cio', si ripete, non si vede quale residua validita' possa avere lo schermo della fattispecie astratta di reato rispetto alla condotta dannosa. Certamente soccorre a questo tipo di argomentazione l'importante rilievo che, statisticamente, le condotte illecite che provocano danni rilevanti ai fini non patrimoniali sono anche quasi sempre corrispondenti a fattispecie astratte di reato (lesioni colpose, omicidio, diffamazione, ecc.). Ma se la statistica è maggioritaria in questo senso, ben può configurarsi una quota non trascurabile di fattispecie illecite, non costituenti reato, eppure fonti di gravi lesioni non patrimomali. Tale osservazione trova ulteriore supporto nel constatare la perdurante latitanza del c.d. «diritto penale minimo», cioè nel constatare che le fattispecie di reato non sono limitate, nonostante gli auspici della dottrina pressochè unanime, a sanzionare condotte che denotano un disvalore effettivo e costituzionalmente rilevante, ma sono inserite, spesso senza un disegno di vasto respiro, in un tessuto normativo che risponde a molteplici e disomogenee istanze. E se l'agire dell'interprete non può essere rivolto direttamente a ricondurre a razionalità ciò che appare frutto di scelte che appartengono all'autonomia del legislatore, ben può essere rivolto ad utilizzare questi criteri di ragionevolezza e logica giuridica nel momento in cui il suo esame si incentra sugli istituti di carattere generale, lontani dall'influsso contingente del legiferare caso per caso. In tale ottica non è chi non veda come vi siano condotte costituenti fattispecie di reato di contenuta o nulla pericolosità nei confronti dei diritti individuali più importanti, mentre vi possono essere condotte che costituiscono illecito civile che sono obiettivamente devastanti per tali valori. Appare chiara l'assurdità di concepire un risarcimento del danno non patrimoniale per i danni conseguenti al primo tipo di condotte e non concederla per il secondo tipo di condotte. Un'ulteriore profilo di attenzione è dato dalla tutela che il danno non patrimoniale trova nella più recente evoluzione normativa, a prescindere da ipotesi di dolo o colpa specifica. Di ciò si e' occupata la sentenza n. 233/03 della Corte con particolare riferimento, non a caso, ad ipotesi di lesione di diritti rilevanti che trovano la loro origine, a vario titolo, nel processo penale o civile (art. 2, legge 117/1988; art. 2, lege 89/2001). E, su consimile tematica, molto di recente la Cassazione penale (sez. IV, n. 2050) ha preso in considerazione l'art. 643 c.p.p. e l'art. 314 c.p.p. Anche qui non c'è alcun fatto di reato, sebbene vi sia ancora il riconoscimento che in qualche modo, e con importanti limitazioni, la tutela del danno può essere inquadrata nel sistema di diritto civile (in una visione solidaristica-indennitaria e non risarcitoria). L'accenno che si è fatto a tale ultimo pronunciamento della Cassazione penale non riguarda le diverse problematiche che ha trattato la sentenza, quanto piuttosto la previsione di una tutela a prescindere da ogni considerazione su una colpa da parte di taluno, per i diritti fondamentali lesi attraverso il processo. A maggior ragione, dunque,dovrà trovare tutela un diritto leso con colpa grave. Nessun danno patrimoniale è rinvenibile nella fattispecie, non essendo emerso in alcun modo che il Polita abbia subito pregiudizio economico diretto o indiretto dalla vicenda. Va comunque osservato che egli non chiede affatto il ristoro del danno patrimoniale, ma del solo danno alla persona, come si evince dalle conclusioni rassegnate dall'attore. Neppure è rinvenibile alcun danno biologico, inteso come una qualche lesione all'integrità psicofisica del Polita, dal momento che il consulente tecnico d'ufficio, medico specialista in psichiatria, ha dato conto in ben due riprese, con motivazione congrua e precisa alla luce delle odierne cognizioni in materia, che non v'è stato processo morboso, neppure di natura transeunte, in danno dell'attore. In altre parole, l'angoscia ed il Patema subito dall'attore nei giorni «caldi» della vicenda, così come le ripercussioni negative sulla vita attuale, non assurgono ad elemento denotante una patologia psichiatrica in senso proprio, ma concorrono semplicemente, al piu', ad essere una componente negativa sul «vissuto» dell'attore. Deve condividersi questa impostazione prudenziale dello psichiatra, volta a non creare confusione tra qualsiasi esperienza, anche fortemente negativa, ed il fattore che può essere causa, concausa o elemento scatenante di vera e propria patologia psichiatrica. Tutti gli elementi di generica ansieta', di esagerata risposta d'allarme rispetto ad eventi similari o evocanti quello subito «... si inseriscono in quella che si può considerare come una normale reazione di adattamento ad una situazione stressante vissuta come imprevista ed ingiusta». Ciò posto, si pone con ancora più rilievo l'esigenza di tutela di un interesse sicuramente non bagatellare, quale il diritto all'immagine per un uomo politico noto a livello locale. Com'è noto, la notizia di un'archiviazione non è mai pari, come risonanza, alla notizia di un'apertura di procedimento penale. Non ritiene questo giudice che il legislatore abbia posto un quadro completo di tutela rispetto a tutte le fattispecie di ingiustizia del danno provocato dall'ingiusta attivazione e/o decorso del processo civile o penale. Le fattispecie tipiche delineate dal legislatore e poste all'attenzione degli interpreti dalla stessa giurisprudenza delle Corti apicali appaiono configurarsi più come una tutela avanzata del soggetto leso che come un sistema completo, dal momento che prescindono da qualsiasi elemento di tolo o colpa in capo a taluno. Di qui un'ulteriore elemento di irragionevolezza nel negare tutela nello specifico, dal momento che qui si rinviene un elemento di colpa. Nè può dirsi che si tratti di fattispecie eterogenee tra loro nonchè con quella in esame e, come tali, scarsamente significative per inquadrare il problema. La stessa Corte costituzionale ha espressamente preso posizione sul punto citando la legge 117/1988 per i danni derivanti da ingiusta privazione della libertà personale nell'esercizio di funzioni giudiziarie e la legge 89/2001 per i danni derivanti dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, ipotesi entrambe prese come esempio di risarcibilità del danno non patrimoniale, tra loro eterogenee almeno quanto lo sono con la presente fattispecie, rispetto alla quale qui si prospetta la risarcibilità del danno non patrimoniale. Di conseguenza si ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., nella misura in cui preclude la risarcibilità del danno non patrimoniale nascente da un fatto che non corrisponde neppure alla soglia minima per la risarcibilità individuata da Corte Cost. n. 233/03, e cioè ad una «fattispecie astratta di reato» in relazione: 1) all'art. 2 della Costituzione che tutela i diritti inviolabili dell'uomo tra i quali figura il diritto all'immagine, non risarcibile (e non risarcito) in forma specifica nel caso concreto; 2) all'art. 3 della Costituzione che vieta irragionevoli disparità di trattamento tra fattispecie comparabili, disparità che qui si rinviene a- sia in relazione al mero danno patrimoniale, adeguatamente tutelato dal sistema di risarcimento civile eppure sicuramente avente minor rango nella scala dei beni costituzionalmente difesi rispetto al diritto alla tutela dell'immagine; b- sia in relazione a fattispecie ugualmente lesive di diritti della persona che però vengono adeguatamente tutelate da norme ad hoc (art. 2, legge 117/88; art. 2, legge 89/2001 ) senza che si rinvenga una ragione particolare di tutela privilegiata per tali fattispecie, in quanto, se è vero che a risarcire è lo Stato e non il singolo soggetto danneggiante, ammesso che ve ne sia uno individuabile, è anche vero che si prescinde del tutto dalla verifica dell'elemento soggettivo, qui invece presente; 3) all'art. 24 della Costituzione, in quanto viene preclusa la tutela in via giudiziaria di un diritto costituzionalmente riconosciuto; 4) all'art. 28 della Costituzione, in quanto sussiste un atto illecito cui non corrisponde una responsabilità del soggetto agente; 5) all'art. 97, primo comma della Costituzione in quanto, precludendo la possibilità di intervenire per il risarcimento (che nella fattispecie, essendovi un elemento soggettivo dell'agente, ha natura anche sanzionatoria, seppure con carattere per così dire «recessivo» rispetto alla funzione principale) contrasta con il buon andamento del processo penale sotto l'aspetto del buon andamento anche delle funzioni ausiliarie della giurisdizione, che non trovano sanzione nel caso di loro anomalo procedere;

P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. in relazione agli artt. 2-3-24-28-97, primo comma della Costituzione. Sospende il giudizio in corso. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonchè la notifica della presente ordinanza alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione ai Presidenti delle Camere. Jesi, addì 3 marzo 2004 Il giudice unico: Marziali


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08.06.2004 Spataro

G.U.

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