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Airbnb 07.11.2023    Pdf    Appunta    Letti    Post successivo  

AIRBNB, il Consiglio di Stato e la Procura di Milano

La sentenza di pochi giorni fa, la Procura sequestra 800 milioni di euro, probabilmente da consegnare ai proprietari italiani.

AIRBNB nel frattempo era al tavolo dell'AdE.

Il Consiglio di Stato interpreta la sentenza Europea che riteneva sproporzionato l'obbligo di nomina di rappresentante fiscale in Italia. Airbnb, in poche parole, non vuole saperne di aprire sede in Italia solo perche' una legge italiana glielo impone. Siamo Irlandesi. Stop.

Direi sentenza europea ribaltata dal Consiglio di Stato. Altri saranno piu' precisi, perche' i resistenti negano sia stata ribaltata.

Il sequestro della Procura, rapidissimo, diventa quindi una notizia internazionale.

Si noti l'errore materiale di indicare 18.2.6 invece del probabile 17.2.6


Valentino Spataro

 

P

Pubblicato il 24/10/2023

N. 09188/2023REG.PROV.COLL.

N. 03708/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3708 del 2019, proposto dalle società Airbnb Ireland Unlimited Company ed Airbnb Payments Uk Limited, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Marcello Clarich, Angelo Raffaele Cassano, Sabrina Borocci e Gian Michele Roberti, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 3;

contro

l’Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
della Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Edoardo Gambaro, Antonio Papi Rossi ed Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;
della società Renting Services Group s.r.l.s. e del Codacons - Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione II-ter, n. 2207 del 18 febbraio 2019, resa tra le parti, concernente il provvedimento recante l’attuazione della disciplina legislativa in materia di regime fiscale delle locazioni brevi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Luca Lamberti e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

1. Le società odierne appellanti, svolgenti a vario titolo attività inerenti all’intermediazione immobiliare online per locazioni brevi e non residenti né stabilite in Italia, hanno a suo tempo impugnato avanti il T.a.r. per il Lazio:

- con ricorso introduttivo, l’atto dell’Agenzia delle Entrate n. 132395 del 12 luglio 2017, recante, ai sensi dell’art. 4, comma 6, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, con l. 21 giugno 2017, n. 96, le “disposizioni di attuazione” del regime fiscale per le locazioni brevi stabilito dall’art. 4, commi 4, 5 e 5-bis, del medesimo d.l. n. 50 del 2017;

- con successivo ricorso per motivi aggiunti, la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E del 12 ottobre 2017.

1.1. Si riporta, per quanto qui di interesse, il disposto dell’art. 4, commi 4, 5 e 5-bis, d.l. n. 50 del 2017 vigente all’atto del radicamento del ricorso:

4. I soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, trasmettono i dati relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3 conclusi per il loro tramite entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello a cui si riferiscono i predetti dati ….

5. I soggetti residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, operano, in qualità di sostituti d'imposta, una ritenuta del 21 per cento sull'ammontare dei canoni e corrispettivi all'atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento con le modalità di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e alla relativa certificazione ai sensi dell'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. Nel caso in cui non sia esercitata l'opzione per l'applicazione del regime di cui al comma 2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto.

5-bis. I soggetti di cui al comma 5 non residenti in possesso di una stabile organizzazione in Italia, ai sensi dell'articolo 162 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, adempiono agli obblighi derivanti dal presente articolo tramite la stabile organizzazione. I soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia, ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo, in qualità di responsabili d'imposta, nominano un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.

1.2. Più in particolare, con il ricorso introduttivo le società odierne appellanti hanno articolato i seguenti profili di censura, così sintetizzabili:

I – sotto il profilo “procedurale”, contrasto dell’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017 con la direttiva 1535/2015/UE “per omessa previa comunicazione alla Commissione europea dell’introduzione di regole tecniche nella società dell’informazione” (tali sarebbero qualificabili le norme recate dalla disposizione in commento, posto che “l’appartenenza dei servizi erogati dalle società ricorrenti al novero dei servizi della società dell’informazione è pacifica”), con conseguente dovere di disapplicazione “ai fini dell’annullamento dell’atto impugnato” o, in subordine, richiesta di formulazione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE;

II – quanto al merito del trattamento fiscale introdotto dalla disciplina legislativa in esame, contrasto dell’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017, laddove “impone alla parte ricorrente lo svolgimento di un’attività di vero e proprio sostituto d’imposta (nonché di raccogliere e trasmettere un’ingentissima mole di dati all’amministrazione finanziaria, e di nominare un rappresentante fiscale in Italia)”, con varie disposizioni del TFUE e con i generali principi “del diritto dell’UE in materia di concorrenza, diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi”, con conseguente dovere di disapplicazione (e, a valle, di annullamento in toto dell’atto impugnato) o, in subordine, richiesta di formulazione di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE; viene, altresì, parallelamente lamentata, sotto vari profili, l’illegittimità costituzionale della disposizione, con annessa richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale;

III – quanto specificamente “agli obblighi di raccolta, conservazione e trasmissione dei dati personali degli utenti del servizio”, contrasto del provvedimento impugnato con il diritto unionale (nonché con il diritto nazionale che ne costituisce applicazione) in punto di protezione dei dati personali, posto che:

- non sarebbe stato rispettato il disposto dell’art. 154, comma 4, d.lgs. n. 196 del 2003;

- “il trattamento imposto dal provvedimento impugnato risulta in violazione dei principi di liceità e correttezza (artt. 11 del Codice Privacy, art. 6 della 31 Direttiva Privacy e art. 6 del Regolamento Privacy), finalità (artt. 11 del Codice Privacy, artt. 6 della Direttiva Privacy e del Regolamento Privacy), proporzionalità, pertinenza e non eccedenza (cd. principio di minimizzazione del dato), art. 11, comma 11, lett. d) del Codice Privacy, art. 6 della Direttiva Privacy e art. 5 del Regolamento Privacy)”;

- “il provvedimento è illegittimo perché prevede il trattamento di (una ingentissima mole di) dati personali, in difetto del previo consenso degli interessati”;

IV – contrasto del provvedimento impugnato con il d.l. n. 50 del 2017, nella parte in cui stabilisce per tutti gli operatori le medesime modalità di versamento, certificazione e dichiarazione delle ritenute, in tal modo de facto equiparando le figure del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta, che viceversa il d.l. n. 50 del 2017 terrebbe ben distinte; inoltre, “il provvedimento impugnato è viziato da insufficiente determinatezza e tassatività circa i confini applicativi - soggettivi e oggettivi - del nuovo regime fiscale”; infine, residuerebbero “incertezze” circa “l’ambito di applicazione territoriale ed il momento di entrata in vigore della normativa di cui all’art. 4 del d.l. n. 50/2017” (profilo, quest’ultimo, poi non riproposto in appello, v. infra).

1.3. Con il successivo ricorso per motivi aggiunti, le società hanno lamentato sia vizi derivati, sia vizi propri della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E del 12 ottobre 2017.

2. Con l’articolata sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r.:

- ha respinto l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata da parti resistenti (capo non impugnato e, dunque, passato in giudicato);

- ha respinto in toto il ricorso introduttivo;

- ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione in relazione al ricorso per motivi aggiunti, ritenendo che la circolare impugnata (dichiaratamente volta a fornire “chiarimenti” circa “l’applicazione dei tributi rientrati nella competenza dell’Agenzia delle entrate” e, dunque, di natura interpretativa) costituisca un mero “parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente (oltre che per gli uffici, per la stessa autorità che l’ha emanata e per il giudice)” e, come tale, non sia “impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva”;

- ha compensato le spese.

2.1. Quanto, in particolare, al ricorso introduttivo, il T.a.r., in estrema sintesi e per quanto qui di stretto interesse, ha sostenuto che:

I - il regime fiscale introdotto dal d.l. n. 50 del 2017 non abbia introdotto una “regola tecnica” o una “regola relativa ai servizi” come individuate dalla direttiva 1535/2015/UE e, dunque, non vi sarebbe stato alcun dovere di preventiva notifica alla Commissione UE;

II – premesso che “l’unica libertà sancita nel TFUE che può avere rilevanza nel caso di specie è quella di prestazione di servizi, in quanto la società Airbnb non è stabilita in Italia”,la normativa contestata impone identici obblighi sia a carico dei soggetti intermediari che hanno residenza in Italia sia di quelli non residenti né stabiliti in Italia che gestiscono portali telematici”, di talché non si ravviserebbe alcuna disparità di trattamento; invero, “l’unica differenza è che i mentre i soggetti residenti o stabiliti nel territorio dello Stato operano, in qualità di sostituti d'imposta, una ritenuta del 21 per cento sull'ammontare dei canoni e corrispettivi all'atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento, i soggetti che – come Airbnb – non sono stabiliti in Italia, ottemperano ai medesimi obblighi in qualità di responsabili di imposta, mediante la nomina di un rappresentante fiscale (art. 4, comma 5 bis)”: tale diversità di regime in parte qua sarebbe nient’altro che la piana conseguenza del fatto che vi sono, alla base, situazioni materiali diverse e non determinerebbe, di per sé, alcun “effetto distorsivo della concorrenza” a svantaggio del modello di business delle ricorrenti; quanto alla previsione dell’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale, che il T.a.r. riconosce “potenzialmente lesiva della libertà di prestazione di servizi nell’Unione”, questa sarebbe, tuttavia, “giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico, come enucleati secondo i parametri indicati dalla stessa Corte di giustizia”, proporzionata e necessaria; in conclusione, non vi sarebbero ragioni né per “rimettere … questione pregiudiziale alla Corte di giustizia”, né per sollevare questione di legittimità costituzionale; infine, la tematica afferente alla riscossione e versamento dell’imposta di soggiorno, prevista dall’art. 4, comma 5-ter, d.l. 50/2017, sarebbe estranea al presente giudizio (con conseguente carenza di interesse al ricorso in parte qua), posto che il provvedimento impugnato non disciplina l’attuazione di tale disposizione;

III – non vi sarebbe alcuna violazione, da parte del provvedimento gravato, della disciplina (unionale e nazionale) in punto di protezione dei dati personali, posto che:

- l’art. 154, comma 4, d.lgs. n. 196 del 2003 “non può ritenersi applicabile al caso di specie”;

- “i dati personali oggetto di comunicazione all’Agenzia delle entrate rappresentano i dati minimi necessari per consentire l’identificazione del titolare dell’immobile locato, al fine di calcolare l’imposta dallo stesso dovuta”, sì che “il principio di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza dei dati richiesti risulta essere pienamente rispettato”;

- il consenso degli interessati non sarebbe necessario, giacché il trattamento dei dati è imposto da normativa di rango primario (cfr. art. 24 d.lgs. n. 196 del 2003 e art. 6 Regolamento UE 2016/679);

IV – “il provvedimento in esame non ha effettuato una equiparazione totale tra la figura del responsabile di imposta e quella del sostituto di imposta, lasciando a ciascuno il rispettivo regime giuridico, limitandosi a disporre circa le modalità di adempimento degli obblighi di dichiarazione previsti dal DPR n. 322 del 1998”; non vi sarebbe, poi, alcuna carenza di “determinatezza e tassatività circa i confini applicativi - soggettivi e oggettivi - del nuovo regime fiscale”.

IL GIUDIZIO DI APPELLO

3. Le società soccombenti hanno interposto appello, con il quale:

- hanno censurato la pronunzia di difetto di giurisdizione sul ricorso per motivi aggiunti, con richiesta sul punto di rimessione al primo giudice, sostenendo che la circolare avrebbe “ampliato l’incertezza giuridica circa l’ambito di applicazione della normativa e, al contempo, il rischio per Airbnb di vedersi incolpevolmente irrogare le sanzioni pecuniarie previste dalla legge”, in tal modo incorrendo nel vizio di eccesso di potere (primo motivo di appello);

- hanno riproposto, in chiave critica alla sentenza gravata, tutte le censure e le istanze avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, ad eccezione di quelle ivi formulate con il quarto motivo e relative allo “ambito di applicazione territoriale” ed al “momento di entrata in vigore della normativa di cui all’art. 4 del d.l. n. 50/2017” (secondo, terzo, quarto e quinto motivo di appello).

3.1. Si sono costituiti in resistenza l’Agenzia delle Entrate, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché la Federazione delle Associazioni Italiane Alberghi e Turismo – Federalberghi, già interventore ad opponendum nel giudizio di prime cure.

3.2. Alla camera di consiglio del 30 maggio 2019 il ricorso è stato rinviato al merito con l’accordo delle parti.

3.3. All’esito dell’udienza pubblica dell’11 luglio 2019 la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 6219 del 18 settembre 2019, con cui ha rimesso alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267, comma 3, TFUE, tutte le questioni di interpretazione del diritto unionale sollevate da parte appellante, nella formulazione testuale da questa articolata nei propri atti difensivi.

3.4. Con ordinanza del 30 giugno 2020 la Corte di Giustizia ha, tuttavia, dichiarato la domanda di pronuncia pregiudiziale manifestamente irricevibile.

3.5. Con la successiva ordinanza n. 777 del 26 gennaio 2021, emessa all’esito dell’udienza pubblica del 10 dicembre 2020, la Sezione ha disposto una nuova rimessione alla Corte di Giustizia, articolata nelle seguenti tre questioni:

I - “Dica la Corte di Giustizia quale sia l’esegesi delle espressioni <<regola tecnica>> dei servizi della società dell’informazione e <<regola relativa ai servizi>> della società dell’informazione, di cui alla direttiva 2015/1535/UE, e, in particolare, dica la Corte se tali espressioni debbano interpretarsi come comprensive anche di misure di carattere tributario non direttamente volte a regolamentare lo specifico servizio della società dell’informazione, ma comunque tali da conformarne il concreto esercizio all’interno dello Stato membro, in particolare gravando tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - di obblighi ancillari e strumentali all’efficace riscossione delle imposte dovute dai locatori, quali:

a) la raccolta e la successiva comunicazione alle Autorità fiscali dello Stato membro dei dati relativi ai contratti di locazione breve stipulati a seguito dell’attività dell’intermediario;

b) la ritenuta della quota-parte dovuta al Fisco delle somme versate dai conduttori ai locatori ed il conseguente versamento all’Erario di tali somme”;

II - “Dica la Corte di Giustizia:

a) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - obblighi di raccolta dei dati inerenti ai contratti di locazione breve conclusi loro tramite e successiva comunicazione all’Amministrazione finanziaria, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio;

b) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - che intervengano nella fase del pagamento dei contratti di locazione breve stipulati loro tramite, l’obbligo di operare, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio, una ritenuta su tali pagamenti con successivo versamento all’Erario;

c) in caso di risposta positiva ai quesiti che precedono, se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possano comunque essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da misure nazionali quali quelle descritte supra, sub a) e b), in considerazione dell’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio;

d) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possano essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da una misura nazionale che imponga, a carico degli intermediari immobiliari non stabiliti in Italia, l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale tenuto ad adempiere, in nome e per conto dell’intermediario non stabilito, alle misure nazionali descritte supra, sub b), stante l’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio”;

III - “Dica la Corte di Giustizia se l’art. 267, paragrafo terzo, TFUE debba essere interpretato nel senso che, in presenza di una questione di interpretazione del diritto unionale (originario o derivato) sollevata da una delle parti e corredata dalla precisa indicazione del testo del quesito, il Giudice mantenga comunque la facoltà di procedere all’autonoma articolazione del quesito stesso, individuando discrezionalmente, in scienza e coscienza, i referenti del diritto unionale, le disposizioni nazionali con essi potenzialmente in contrasto ed il tenore lessicale della rimessione, purché nei limiti della materia oggetto del contendere, ovvero sia tenuto a recepire il quesito come formulato dalla parte istante”.

3.6. Con sentenza del 22 dicembre 2022 (causa C‑83/21), la Corte di giustizia ha così statuito:

I - il regime introdotto con il d.l. n. 50 del 2017 reca disposizioni qualificabili come “fiscali” ai sensi dell’art. 114 TFUE, come tali escluse dall’ambito di applicazione delle direttive in materia di “società dell’informazione”: pertanto, non sussisteva alcun dovere di preventiva notifica alla Commissione UE;

II - il regime introdotto con il d.l. n. 50 del 2017:

a) non “comporta restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 TFUE” nella parte in cui impone agli intermediari “l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati” loro tramite;

b) non “vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi” garantita dal cennato art. 56 TFUE nella parte in cui stabilisce, a carico degli intermediari che siano intervenuti nel pagamento (“indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite sul territorio italiano o meno e che intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto”), “l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario”, posto che “dal regime fiscale del 2017 non risulta, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, che tale onere sia più gravoso per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia rispetto a quanto lo sia per le imprese che hanno ivi uno stabilimento, nonostante la loro differente denominazione. Detto regime fiscale, infatti, impone loro gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte in nome dell’amministrazione fiscale e di pagamento dell’imposta cedolare secca”;

c) determina, viceversa, una “restrizione alla libera circolazione dei servizi, vietata, in linea di principio, dall’articolo 56 TFUE”, nella parte in cui impone ai “prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di una stabile organizzazione in Italia e che intendano integrare nelle loro prestazioni di servizi … incassi o … interventi [in relazione al pagamento del corrispettivo] di designare nello Stato membro in parola un rappresentante fiscale” ivi residente o stabilito: una siffatta misura, benché tesa a “perseguire uno scopo legittimo compatibile con il Trattato FUE”,giustificata da motivi imperativi di interesse generale” e “idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale e a consentire l’esatta riscossione dell’imposta”, non è tuttavia proporzionata, giacché “non risulta che il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta non possa essere garantito con mezzi meno lesivi dell’articolo 56 TFUE rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia”;

III – “la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano unicamente al giudice nazionale e le parti in causa nel procedimento principale non possono imporne o modificarne il tenore”.

3.7. In vista della trattazione del ricorso le parti hanno depositato in giudizio articolate difese scritte, che vengono di seguito riportate per quanto di stretto interesse ai fini della decisione.

3.8. Parti appellanti si sono soffermate esclusivamente “sulle risposte fornite al Consiglio di Stato dalla Corte di giustizia in merito all’obbligo di nomina del rappresentante fiscale e all’obbligo di ritenuta e versamento”, omettendo viceversa ogni ulteriore riferimento alle questioni afferenti alla sussumibilità del regime fiscale recato dal d.l. n. 50 del 2017 entro l’ambito delle regole UE in tema di “società dell’informazione”, all’obbligo di trasmissione dei dati ed all’ampiezza del dovere di rinvio in capo al Giudice nazionale ex art. 267 TFUE.

3.8.1. In particolare, le appellanti hanno sostenuto che:

- il capo della sentenza della Corte di Giustizia che dichiara in contrasto con il diritto unionale la disposizione legislativa nazionale che prevede (recte, impone) ai soggetti non residenti né stabiliti in Italia la nomina di un rappresentante fiscale ivi residente (o stabilito) non lasci alcun ulteriore margine esegetico a questo Consiglio, tenuto senz’altro a disapplicare l’art. 4, comma 5-bis, seconda frase, d.l. n. 50 del 2017 (“i soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia, ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo, in qualità di responsabili d'imposta, nominano un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”) e, conseguentemente, ad annullare in parte qua il provvedimento gravato;

- ciò determinerebbe, a cascata, l’inapplicabilità tout court dell’intero art. 4 agli intermediari non stabiliti, posto che, da un lato, “nel sistema tributario italiano i soggetti che non sono né residenti, né stabiliti, non possono agire come sostituti d’imposta … in ragione della delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato”, dall’altro, gli intermediari non stabiliti, in assenza di un rappresentante fiscale residente (o stabilito) in Italia, non potrebbero materialmente adempiere ai doveri di ritenuta e successivo versamento: invero, “la stessa formulazione dell’art. 4, comma 5-bis, seconda frase, nonché del Provvedimento, dimostra che il legislatore ha reso l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale un requisito necessario per applicare il regime di cui all’art. 4 anche agli intermediari stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, come Airbnb”;

- in subordine, questo Collegio dovrebbe, all’esito della “valutazione” rimessa dalla Corte in relazione all’obbligo di ritenuta e versamento, pervenire alla conclusione che tale obbligo sarebbe contrario al diritto unionale, in quanto veicolerebbe una discriminazione indiretta, “non necessaria e sproporzionata”, ai danni degli intermediari non stabiliti, per i quali gli oneri amministrativi richiesti dalla disposizione sarebbero “più gravosi”, sino al punto da “indurre gli intermediari stabiliti fuori dall’Italia e, in particolare, le piattaforme online, a ripensare completamente il proprio modello di business (i.e., smettere di gestire i pagamenti)”, dato che essi “non hanno familiarità con l’ordinamento giuridico italiano e devono quindi dotarsi di una apposita e complessa organizzazione e di processi ad hoc per conformarsi a tale regime fiscale”; del resto, “l’obiettivo perseguito dal legislatore italiano – i.e., la lotta all’evasione fiscale – poteva essere raggiunto anche mediante l’adozione di misure meno restrittive”.

3.9. L’Agenzia delle Entrate:

- ha eccepito l’inammissibilità “per genericità” del motivo di appello afferente al capo della pronuncia del T.a.r. recante la dichiarazione di difetto assoluto di giurisdizione quanto al ricorso per motivi aggiunti (posto che “la società ricorrente ha omesso di fornire la benché minima indicazione su quali fossero e siano le ulteriori incertezze circa l’applicazione della norma in tesi introdotte dalla circolare, e suscettibili, sempre in tesi, di integrare quei profili di eccesso di potere che varrebbero, in linea teorica, a rendere la circolare predetta scrutinabile in sede di giurisdizione generale di legittimità”), di cui, comunque ha escluso la fondatezza, anche sulla scorta di un recente pronunciamento di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. VII, 27 aprile 2022, n. 3273);

- ha eccepito l’inammissibilità dell’appello quanto all’imposta di soggiorno “per carenza di interesse, alla stregua del fatto che come la stessa controparte riconosce (cfr. para II. 10 dell’atto di appello) il provvedimento del Direttore dell’Agenzia impugnato in prime cure non ha in alcun modo dato attuazione alla art. 4, commi 5-ter, d.l. n. 50/2017 che appunto tale obbligo ha introdotto”;

- ha sostenuto che la questione della compatibilità con il diritto unionale della previsione dell’obbligo di applicazione della ritenuta e successivo versamento sia stata “positivamente vagliata dalla Corte”, che avrebbe valorizzato la “intrinseca non discriminatorietà” degli obblighi medesimi, gravanti indistintamente su “tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve”;

- ha ritenuto che la sentenza della CGUE, laddove statuisce la non compatibilità con l’art. 56 TFUE del dovere di nomina di un rappresentante fiscale residente o stabilito in Italia, si fonderebbe su “un insieme di argomentazioni che non sembrano caratterizzarsi per un particolare rigore logico” e, comunque, si occuperebbe di un profilo (la proporzionalità della misura) di regola rimesso al Giudice nazionale;

- ha, comunque, aggiunto che “la questione della nomina del rappresentante fiscale, nel presente giudizio, dovrebbe ritenersi superata per effetto della previsione contenuta nel medesimo comma 5-bis - nel testo risultante dalla modifiche apportate dalla legge 58/2019, art. 13 quater - secondo cui in caso di omessa nomina di detto rappresentante, dell’esecuzione degli adempimenti richiesti è responsabile, in solido con il soggetto non residente e non stabilito, anche il soggetto residente appartenente al medesimo gruppo del primo”;

- ha, infine, precisato che “resta impregiudicata ogni più opportuna valutazione di codesto Consiglio circa l’incidenza della lettura interpretativa del comma 5 bis dell’articolo 4, offerta dalla sentenza della CGUE, sulla sopravvivenza dell’obbligo di nomina del rappresentante fiscale, ancorché tra soggetti o gruppi societari stabiliti esclusivamente in altri SM o al di fuori dell'Unione europea, onde dare attuazione al regime fiscale delle locazioni brevi”.

3.10. Federalberghi, quanto alla questione del rappresentante fiscale, ha svolto considerazioni analoghe, sostenendo che:

- “la nomina di un rappresentante fiscale, a seguito della succitata novella, non costituisce più un vinculum juris, ma una mera facoltà dell’operatore stabilito in un altro Stato membro”;

- pertanto, il giudizio sulla proporzionalità di tale previsione dovrebbe essere effettuato alla luce delle modifiche legislative intervenute con la citata novella del 2019;

- in subordine, “il giudizio di proporzionalità di una misura normativa non può essere condotto in astratto ed una volta per tutte, essendo invece necessario che lo stesso sia condotto caso per caso”, sì che, “declinando nella presente fattispecie i principi espressi dalla Corte di giustizia, questo Consiglio“ben potrebbe ritenere soddisfatto il test di proporzionalità, come del resto già ritenuto dal TAR nella sentenza di primo grado oggetto d’impugnazione ... Del resto, solo il giudice di prossimità può compiere nel modo più congruo la necessaria operazione di bilanciamento in relazione all’esame del caso concreto”.

3.11. In replica, le parti hanno così argomentato, per quanto qui di stretto interesse.

3.11.1. Con riferimento all’obbligo di ritenuta e versamento:

- l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che “la pretesa discriminazione indiretta è stata già esclusa senza incertezze dalla Corte di Lussemburgo … al punto 48 … senza che residui, dunque, alcuno spazio per un diverso vaglio del Giudice nazionale”;

- Federalberghi ha sostenuto che “la conoscenza della lingua, del sistema fiscale e del diritto del luogo in cui il soggetto intende esercitare la propria attività di prestazione di servizi sono aspetti di ordinaria amministrazione nell’esercizio di una qualsiasi attività imprenditoriale, e l’operatore interessato si dota di questa expertise anzitutto nel proprio interesse … In ogni caso, poi, la scelta di espandere la propria attività al di fuori dei confini di un singolo Stato membro è una scelta di business che nessuno Stato può sindacare, stante la libertà di prestazione dei servizi: ma sarebbe illogico, ancor prima che illegittimo, pretendere che tale libertà si attui al di fuori di qualsiasi regola del Paese membro nel quale si decide di andare a operare”.

3.11.2. Con riferimento alla nomina di un rappresentante fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che “la Corte di giustizia si sia chiaramente espressa nel senso di riconoscere l’idoneità e la necessarietà della predetta misura, stigmatizzandone esclusivamente la non proporzionalità ed abbia, per l’effetto, fatto discendere la declaratoria della contrarietà dell’obbligo de quo all’art. 56 TFUE unicamente dalla previsione del requisito della residenza del rappresentante nello SM di imposizione … per tal via implicitamente, ma chiaramente, riconoscendo che gli adempimenti fiscali imposti all’intermediario ben possano essere assolti attraverso un rappresentante fiscale stabilito in altro Stato Membro”: conseguentemente, “l’obbligo di nomina del rappresentante fiscale (recte la norma che lo prevede) non risulta affatto espunto dall’ordinamento, il che è di per sé solo sufficiente a dimostrare l’erroneità dell’assunto avversario circa la postulata inapplicabilità tout court del regime dell’articolo 4 agli intermediari stabiliti in altri SM”.

3.11.3. Parti appellanti, dal canto loro, hanno sostenuto che la novella del 2019 citata dalle controparti non solo “esula dall’oggetto del presente giudizio, ed è quindi del tutto irrilevante ai fini dello scrutinio di illegittimità dell’obbligo di cui trattasi, ma è anche di per sé illegittima”.

3.12. Il ricorso è stato discusso ed introitato per la decisione alla pubblica udienza dell’8 giugno 2023.

LA DECISIONE

4. Seguendo l’ordine delle censure articolato nell’appello, il Collegio prende le mosse da quelle formulate avverso il capo della pronuncia impugnata che ha dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione il ricorso per motivi aggiunti svolto avverso la circolare dell’Agenzia resistente n. 24/E del 12 ottobre 2017.

5. Il motivo di appello – a prescindere dall’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia delle Entrate – è infondato.

6. In termini generali, la circolare è, in sé, mero atto interno dell’Amministrazione privo di rilievo, spessore e valore normativo: la circolare, in altri termini, non è fonte del diritto.

6.1. Essa, infatti, è priva della capacità di dettare norme vincolanti per tutti i consociati e si rivolge esclusivamente alle articolazioni interne (uffici sotto-ordinati e periferici) dell’Amministrazione, indicando le modalità da seguire nell’espletamento dell’attività istituzionale.

6.2. Peraltro, anche all’interno dell’apparato amministrativo la circolare non è vincolante e può essere disattesa, senza che ciò determini per ciò solo l’illegittimità dell’atto: la violazione della circolare, al più, può venire in rilievo soltanto quale possibile figura sintomatica dell’eccesso di potere.

6.3. Per quanto qui di interesse, le circolari interpretative, quale è quella nella specie gravata, recano l’esegesi di una disposizione di legge e, pertanto, afferiscono ad un profilo, appunto l’interpretazione della legge, in cui l’Amministrazione non ha funditus alcuna posizione di privilegio, essendo viceversa soggetta al dato legislativo al pari di ogni altro soggetto: nel nostro ordinamento, infatti, l’unica interpretazione vincolante della legge è quella data dal Giudice (nei limiti della specifica materia del contendere portata al suo esame e nei confronti dei soli soggetti coinvolti nella lite – cfr. art. 2909 c.c.).

6.4. Le esposte conclusioni assumono particolare pregnanza nel diritto tributario, connotato dalla riserva di legge (art. 23 Cost.), dall’inderogabilità della disposizione tributaria e, parallelamente, dall’indisponibilità della prestazione tributaria (art. 53 Cost.), dalla normale assenza di discrezionalità amministrativa in capo agli Enti impositori.

6.5. Nella materia tributaria, infatti, il rapporto giuridico intercorrente fra Ente impositore e contribuente è regolato interamente dalla legge; l’Amministrazione non può autonomamente individuare an, quantum, quomodo e quando della prestazione tributaria gravante sul singolo contribuente, dovendo, al contrario, procedere alla mera attuazione del dictum normativo, previa esegesi delle disposizioni rilevanti che, tuttavia, ha un valore del tutto equi-ordinato a quella operata dal contribuente; in caso di contenzioso, grava sul Giudice adito l’enucleazione del corretto significato da attribuire alle disposizioni, senza che abbia rilievo decisivo l’orientamento esegetico dell’Amministrazione, ove pure espresso in atti formali (quale appunto una circolare interpretativa).

6.6. Di per sé, dunque, la circolare interpretativa non può strutturalmente ledere l’amministrato e, conseguentemente, vi è in merito un difetto assoluto di giurisdizione: essa, infatti, non concreta né un atto specifico di esercizio di potestà impositiva, per il quale sussiste la giurisdizione del Giudice tributario, né un atto generale di imposizione, rientrante - quale atto regolamentare o, comunque, generale propedeutico all’emanazione dei singoli atti impositivi - nell’ordinaria giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo.

6.7. Del resto, nel ricorso per motivi aggiunti di prime cure (che delimita la materia del contendere ex art. 104 c.p.a.) le odierne appellanti sostengono che la circolare “ha lasciato aperti ancora molti dubbi ermeneutici, creandone finanche di nuovi”: la mancata soluzione di questioni esegetiche (o, in ipotesi, l’allegata creazione di nuove ed ulteriori perplessità interpretative) non ha alcuna attuale incidenza nella sfera giuridica dell’amministrato, proprio perché non determina la scelta per una particolare interpretazione ad esso sfavorevole.

6.8. Ancora, nell’atto di appello si sostiene che la circolare “ha ampliato l’incertezza giuridica circa l’ambito di applicazione della normativa e, al contempo, il rischio per Airbnb di vedersi incolpevolmente irrogare le sanzioni pecuniarie previste dalla legge” (analoghe affermazioni si rintracciano nella memoria ex art. 73 c.p.a.): questo “rischio” è, allo stato, meramente ipotetico e, eventualmente, si concretizzerà soltanto con l’emanazione dell’atto impositivo o sanzionatorio, contro cui le appellanti avranno titolo ad articolare, nelle opportune sedi, le proprie difese.

7. Il Collegio affronta, quindi, il secondo motivo di appello (con cui viene riproposto in chiave critica il primo motivo di ricorso al T.a.r.), afferente alla questione dell’allegato contrasto dell’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017 con la direttiva 1535/2015/UE “per omessa previa comunicazione alla Commissione europea dell’introduzione di regole tecniche nella società dell’informazione”.

7.1. Il T.a.r. aveva respinto la censura, sostenendo che “la disciplina di cui si discute non appare rientrare nell’ambito di applicazione della citata direttiva”, posto che “una misura fiscale che incida sulle modalità di esazione di imposte dirette (materia non armonizzata) sui proventi dei locatari di un servizio di locazione breve di immobili e non sui proventi del servizio di intermediazione non può dirsi rilevante ai fini degli obblighi di notifica di cui alla direttiva sopra citata, perché non riguarda direttamente la prestazione del servizio di intermediazione, che sola rientra nell’ambito dei servizi della società dell’informazione”.

8. Con il primo dei tre quesiti indicati nella citata ordinanza n. 777 del 26 gennaio 2021, questa Sezione ha formulato, in proposito, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, articolando la seguente questione: “Dica la Corte di Giustizia quale sia l’esegesi delle espressioni <<regola tecnica>> dei servizi della società dell’informazione e <<regola relativa ai servizi>> della società dell’informazione, di cui alla direttiva 2015/1535/UE, e, in particolare, dica la Corte se tali espressioni debbano interpretarsi come comprensive anche di misure di carattere tributario non direttamente volte a regolamentare lo specifico servizio della società dell’informazione, ma comunque tali da conformarne il concreto esercizio all’interno dello Stato membro, in particolare gravando tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - di obblighi ancillari e strumentali all’efficace riscossione delle imposte dovute dai locatori, quali:

a) la raccolta e la successiva comunicazione alle Autorità fiscali dello Stato membro dei dati relativi ai contratti di locazione breve stipulati a seguito dell’attività dell’intermediario;

b) la ritenuta della quota-parte dovuta al Fisco delle somme versate dai conduttori ai locatori ed il conseguente versamento all’Erario di tali somme”.

9. La Corte di giustizia UE, nella sentenza del 22 dicembre 2022, ha affrontato unitariamente il quesito in esame ed il successivo secondo quesito formulato da questa Sezione, limitatamente al riferimento ivi contenuto alle direttive 2000/31 e 2006/123, “ove applicabili” (per vero, anche le parti appellanti avevano indicato le due delibere de quibus in relazione al secondo motivo di appello, v. infra).

9.1. La Corte ha premesso che la disciplina recata dalle tre direttive in esame (ossia le direttive 2015/1535, 2000/31 e 2006/123) “esclude dal proprio ambito di applicazione le disposizioni fiscali”, locuzione che comprende “non solo tutti i settori tributari, ma anche tutti gli aspetti di detta materia”.

9.2. La Corte ha, quindi, osservato che il d.l. n. 50 del 2017 pone in capo agli intermediari “tre tipi di obblighi, vale a dire, in primo luogo, l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione, in secondo luogo, tenuto conto del loro intervento nel pagamento del canone di locazione, l’obbligo di ritenuta dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori ed il versamento di tale imposta all’Erario … e, in terzo luogo, in mancanza di una stabile organizzazione in Italia, l’obbligo di designarvi un rappresentante fiscale”.

9.3. In proposito, la Corte ha sostenuto che:

- “l’obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare … rientra nelle disposizioni fiscali ai sensi dell’articolo 114 TFUE”, posto che “se è vero che una siffatta misura non si rivolge di per sé ai soggetti passivi dell’imposta, bensì alle persone fisiche o giuridiche che hanno svolto un ruolo di intermediario nelle locazioni brevi, e che il suo oggetto è la trasmissione di informazioni all’amministrazione fiscale, a pena di sanzione pecuniaria, resta il fatto che, innanzitutto, l’amministrazione destinataria di tali informazioni è l’amministrazione fiscale; inoltre, la misura in parola fa parte di una normativa tributaria, vale a dire il regime fiscale del 2017; e, infine, le informazioni oggetto dell’obbligo di trasmissione sono, quanto alla loro sostanza, inscindibili da detta normativa, essendo le sole in grado di identificare il soggetto effettivamente debitore dell’imposta, grazie all’indicazione del luogo delle locazioni e dell’identità dei locatori, di consentire di determinare la base imponibile della medesima imposta, in funzione degli importi percepiti, e, di conseguenza, di fissarne l’ammontare”;

- “l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario … presenta natura tributaria per eccellenza, giacché consiste nel prelevare l’imposta in nome dell’amministrazione fiscale, versando poi a quest’ultima l’importo riscosso”;

- “l’obbligo, imposto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare non stabiliti in Italia, di designare un rappresentante fiscale” concreta “una misura fiscale, poiché è volta a garantire l’efficace riscossione delle imposte in relazione al prelievo alla fonte effettuato in qualità di responsabile d’imposta dai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, in particolare quelli che gestiscono portali telematici”.

9.4. La Corte ha, dunque, concluso che “i tre tipi di obblighi introdotti dal regime fiscale del 2017 nel diritto italiano rientrano nel «settore tributario», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2000/31, nel «settore fiscale», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, e sono quindi «disposizioni fiscali», ai sensi dell’articolo 114 TFUE, richiamato espressamente dalla direttiva 2015/1535. Tali misure sono, di conseguenza, escluse dal rispettivo ambito di applicazione delle tre direttive in parola”.

10. Le conclusioni della Corte dimostrano l’infondatezza del secondo motivo di appello, che può, pertanto, essere senz’altro respinto, anche con il richiamo alle argomentazioni formulate nella mentovata ordinanza n. 777, §§ 43 – 52.

10.1. In sostanza, le disposizioni recate dall’art. 4 d.l. n. 50 del 2017 ed attuate dal provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado esulano dall’ambito applicativo della direttiva 2015/1535 (nonché, per quanto di interesse, anche delle direttive 2000/31 e 2006/123) e, pertanto, non erano soggette alla previa notificazione alla Commissione UE.

10.2. Peraltro, le stesse appellanti hanno ritenuto di non spendere, in proposito, ulteriori difese nelle memorie di trattazione successive alla pubblicazione della citata sentenza della Corte di giustizia.

11. Il Collegio passa, quindi, a trattare il terzo motivo di appello, con cui viene criticamente riproposto il secondo motivo di ricorso di primo grado.

12. Il Collegio, preliminarmente, ribadisce – come già indicato nella citata ordinanza n. 777, §§ 108 e 109 – l’estraneità al thema decidendum del presente giudizio della questione della responsabilità dell’intermediario immobiliare per la riscossione ed il versamento dell’imposta di soggiorno.

12.1. Invero, l’oggetto del processo amministrativo di legittimità è delimitato dalle censure svolte avverso l’atto impugnato, nella specie l’atto dell’Agenzia delle Entrate n. 132395 del 12 luglio 2017.

12.2. Orbene, tale atto reca, ai sensi dell’art. 4, comma 6, d.l. n. 50 del 2017, le “disposizioni di attuazione” del regime fiscale per le locazioni brevi stabilito dall’art. 4, commi 4, 5 e 5-bis, del medesimo d.l. n. 50 del 2017, mentre la questione della responsabilità dell’intermediario immobiliare che interviene nel pagamento dell’imposta di soggiorno è trattata dal successivo comma 5-ter: è palese, dunque, la strutturale ed originaria estraneità di tale questione alla materia del contendere.

13. Ciò premesso, il Collegio osserva che, con il motivo in esame, le appellanti si dolgono del fatto che “il d.l. n. 50/2017, nell’imporre all’intermediario obblighi informativi e obblighi di ritenuta della tassazione sulle locazioni brevi (con obbligo di nomina di un rappresentante fiscale per i gestori di portali non aventi residenza né stabile organizzazione in Italia), oltre a risultare irragionevoli e sproporzionati, hanno come effetto quello di pregiudicare il funzionamento del mercato interno e discriminare arbitrariamente Airbnb. Quest’ultima ha, pertanto, lamentato la violazione del diritto europeo con riferimento alle disposizioni di diritto primario e secondario in materia di libera circolazione dei servizi (artt. 56 del TFUE e direttive 2006/123 e 2000/31/CE)” (così nell’atto di appello, pag. 22).

14. Con il secondo dei tre quesiti di cui all’ordinanza n. 777 del 26 gennaio 2021, la Sezione ha chiesto alla Corte di dire:

a) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - obblighi di raccolta dei dati inerenti ai contratti di locazione breve conclusi loro tramite e successiva comunicazione all’Amministrazione finanziaria, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio;

b) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, ostino ad una misura nazionale che preveda, a carico degli intermediari immobiliari attivi in Italia - ivi inclusi, dunque, gli operatori non stabiliti che prestino i propri servizi online - che intervengano nella fase del pagamento dei contratti di locazione breve stipulati loro tramite, l’obbligo di operare, per le finalità relative alla riscossione delle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio, una ritenuta su tali pagamenti con successivo versamento all’Erario;

c) in caso di risposta positiva ai quesiti che precedono, se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possano comunque essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da misure nazionali quali quelle descritte supra, sub a) e b), in considerazione dell’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio;

d) se il principio di libera prestazione di servizi di cui all’art. 56 TFUE, nonché, ove ritenuti applicabili nella materia di specie, gli analoghi principi desumibili dalle direttive 2006/123/CE e 2000/31/CE, possano essere limitati in maniera conforme al diritto unionale da una misura nazionale che imponga, a carico degli intermediari immobiliari non stabiliti in Italia, l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale tenuto ad adempiere, in nome e per conto dell’intermediario non stabilito, alle misure nazionali descritte supra, sub b), stante l’inefficacia altrimenti del prelievo fiscale relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio”.

15. Anche in questo caso, il Collegio prende le mosse dalla disamina del dictum che il Giudice di Lussemburgo ha reso a seguito dell’esposto rinvio pregiudiziale: la Corte di giustizia, infatti, è il titolare esclusivo – recte, ultimo – del munus di assicurare l’esatta esegesi del diritto unionale e il Giudice nazionale a quo è tenuto al rispetto delle statuizioni della Corte in punto di corretta interpretazione del diritto UE.

16. Posto che la Corte, nel rispondere al primo dei tre quesiti svolti nella citata ordinanza n. 777 del 26 gennaio 2021, ha già escluso l’applicabilità nella materia de qua delle direttive 2000/31 e 2006/123 (v. supra), residua la sola questione del contrasto della disciplina nazionale con l’art. 56 TFUE.

16.1. La Corte premette che il secondo quesito rivoltole da questo Consiglio mira a comprendere “se la suddetta disposizione [l’art. 56 TFUE] debba essere interpretata nel senso che essa osta a misure quali i tre tipi di obblighi esposti al punto 33 della presente sentenza” (cfr. § 40).

16.2. La Corte, quindi, passa ad esaminare partitamente i tre tipi di obblighi imposti dalla normativa nazionale, ossia:

- la “raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare” (§§ 43 e ss.);

- “l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario” (§§ 52 e ss.);

- “l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia” (§§ 56 e ss.).

16.2.1. Quanto al primo, la Corte ne esclude la natura discriminatoria e, più in generale, ritiene che “non comporta restrizioni alla libera prestazione di servizi garantita dall’articolo 56 TFUE”, posto che:

- “il regime fiscale del 2017 … impone tale obbligo a tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve sul territorio italiano, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite in detto territorio o meno e intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto … La riforma concretizzata dal regime fiscale del 2017 verte … sul trattamento fiscale di tutte le locazioni brevi e si colloca … all’interno di una strategia complessiva di contrasto all’evasione fiscale nel settore in parola, in cui essa è frequente, mediante, segnatamente, l’introduzione di un obbligo siffatto”;

- la normativa nazionale è “opponibile a tutti gli operatori che esercitano determinate attività sul territorio nazionale” e “non ha lo scopo di disciplinare le condizioni relative all’esercizio della prestazione dei servizi delle imprese interessate”;

- la maggiore gravosità dell’obbligo per gli intermediari che forniscono le loro prestazioni mediante un portale telematico “è solo il riflesso di un maggior numero di transazioni alle quali detti intermediari procedono e della loro rispettiva quota di mercato”;

- i “costi supplementari” connessi all’obbligo incidono indistintamente “sulla prestazione di servizi tra gli Stati membri e su quella interna a uno Stato membro”.

16.2.2. Quanto al secondo, la Corte perviene a conclusioni sostanzialmente analoghe, all’esito, tuttavia, di un percorso motivazionale parzialmente difforme.

16.2.2.1. Invero, la Corte osserva che “per gli stessi motivi esposti ai punti da 43 a 48 della presente sentenza, il regime fiscale del 2017 concerne … tutti i terzi che intervengono in un processo di locazione immobiliare breve, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, che queste ultime risiedano o siano stabilite sul territorio italiano o meno e che intervengano tramite strumenti digitali o con altre modalità di contatto, qualora essi abbiano scelto, nell’ambito della loro prestazione di servizi, di incassare i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime del 2017, oppure di intervenire nella riscossione di siffatti canoni o corrispettivi” (§ 52).

16.2.2.2. Nondimeno, prosegue la Corte, mentre il prestatore non residente e non stabilito adempie a tali obblighi in qualità di “responsabile di imposta” (cfr. art. 4, comma 5-bis, d.l. n. 50 del 2017), il prestatore residente o, comunque, stabilito assume (cfr. art. 4, comma 5, d.l. n. 50 del 2017) la qualità di “sostituto di imposta, vale a dire di sostituto fiscale, il che ha come conseguenza, nei confronti dell’Erario, di sostituirlo al contribuente e di renderlo debitore dell’imposta”.

16.2.2.3. Ad avviso della Corte, “benché occorra considerare … che questo secondo tipo di obblighi comporta, per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, un onere ben più rilevante di quello collegato ad un semplice obbligo di informazione, anche solo a causa della responsabilità finanziaria che esso genera non solo nei confronti dello Stato di imposizione, ma altresì nei confronti dei clienti, dal regime fiscale del 2017 non risulta, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, che tale onere sia più gravoso per i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia rispetto a quanto lo sia per le imprese che hanno ivi uno stabilimento, nonostante la loro differente denominazione” (§ 54).

16.2.2.4. In sostanza, secondo la Corte la diversità della regolamentazione fiscale propria delle figure del responsabile d’imposta e del sostituto di imposta non determina né veicola, di per sé, una discriminazione a danno dei soggetti non residenti e non stabiliti (che, appunto, operano quali responsabili di imposta), giacché “detto regime fiscale [quello delineato dal d.l. n. 50 del 2017] impone gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte e di pagamento dell’imposta” a carico sia del responsabile, sia del sostituto di imposta.

16.2.2.5. La Corte fa tuttavia salva, sul punto, “la valutazione del giudice del rinvio” (§ 54).

16.2.3. Quanto al terzo, la Corte premette che “esso grava unicamente su taluni prestatori di servizi di intermediazione immobiliare privi di stabile organizzazione in Italia, qualificati come «responsabili d’imposta», mentre i prestatori di tali servizi stabiliti in Italia, qualificati come «sostituti d’imposta», vale a dire sostituti fiscali, non vi sono assoggettati”; a ben vedere, sostiene la Corte, la vigenza di tale obbligo “dipende dalla scelta, da parte dei prestatori summenzionati, di incassare o meno i canoni o i corrispettivi relativi ai contratti oggetto del regime fiscale del 2017, oppure di intervenire o meno nella riscossione di detti canoni o corrispettivi, vale a dire di assoggettarsi, in pratica, al secondo tipo di obblighi”.

16.2.3.1. La Corte osserva, dunque, che l’obbligo in parola grava esclusivamente sui soggetti non residenti né stabiliti “che intendano integrare nelle loro prestazioni di servizi detti incassi o detti interventi”: in termini generali, i “vincoli” connessi a tale obbligo “determinano, per detti operatori, un ostacolo idoneo a dissuaderli dall’effettuare servizi di intermediazione immobiliare in Italia, quantomeno secondo le modalità corrispondenti alla loro volontà. Ne deriva che l’obbligo summenzionato deve essere considerato quale restrizione alla libera circolazione dei servizi, vietata, in linea di principio, dall’articolo 56 TFUE”.

16.2.3.2. In ossequio alla propria giurisprudenza, che non ha mai enunciato un principio di generale, assoluta ed insuperabile incompatibilità con l’art. 56 TFUE dell’obbligo di nominare un rappresentante fiscale imposto da una normativa nazionale (posto che “in ogni caso di specie, la Corte ha esaminato, alla luce delle caratteristiche proprie dell’obbligo in esame, se la restrizione che quest’ultimo comportava potesse essere giustificata alla luce dei motivi imperativi d’interesse generale perseguiti dalla disciplina nazionale in discussione, quali invocati dinanzi alla Corte dallo Stato membro interessato”), la Corte precisa che tale obbligo, finalizzato al contrasto all’evasione fiscale ed all’efficacia dei controlli fiscali, “persegue uno scopo legittimo compatibile con il Trattato FUE”,è giustificato da motivi imperativi di interesse generale” ed è “idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo” cui è preposto (§§ 66 e 67).

16.2.3.3. Tale obbligo, tuttavia, “eccede quanto necessario per raggiungere tale obiettivo”, posto che “non risulta che il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta non possa essere garantito con mezzi meno lesivi dell’articolo 56 TFUE rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia”.

16.2.3.4. La Corte, in proposito, osserva che l’imposizione di tale obbligo non distingue “in funzione, ad esempio, del volume di entrate fiscali prelevate o che poteva essere prelevato annualmente per conto dell’Erario da parte dei suddetti prestatori” e, comunque, non è necessaria né ineludibile, posto che:

- “il primo tipo di obblighi è volto precisamente a fornire a dette autorità fiscali tutte le informazioni atte a consentire al contempo di identificare i contribuenti debitori dell’imposta e di determinare la base imponibile di quest’ultima”;

- “il secondo tipo di obblighi consente di garantire il prelievo alla fonte dell’imposta in parola”;

- “il summenzionato rappresentante fiscale” potrebbe avere “la possibilità di risiedere o di essere stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia”: invero, “se il controllo su un tale rappresentante … può effettivamente risultare più difficile qualora questi sia stabilito in un altro Stato membro, dalla giurisprudenza [della Corte] discende tuttavia che le difficoltà amministrative non costituiscono, di per sé, un motivo atto a giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal diritto dell’Unione”.

17. Il Collegio procede ad applicare la decisione della Corte ai tre obblighi in esame.

17.1. Quanto al primo obbligo (la “raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito dell’intermediazione immobiliare”), nelle memorie conclusionali parte appellante non ha ritenuto di svolgere rilievi con riferimento alla statuizione della Corte circa l’assenza di profili di incompatibilità con l’art. 56 TFUE: sul punto, il Collegio può senz’altro respingere in parte qua l’appello, limitandosi a far proprie le argomentazioni della Corte ed a richiamare le riflessioni già svolte nell’ordinanza n. 777 del 26 gennaio 2021, §§ 81 – 95.

17.1.1. A tutto concedere, qualora il rilievo difensivo svolto da parte appellante (cfr. supra, sub § 3.8.1, secondo alinea) circa l’inapplicabilità dell’intero art. 4 a seguito della dichiarazione di contrarietà al diritto europeo dell’obbligo di nomina del rappresentante fiscale volesse essere implicitamente riferito anche al profilo in commento, è sufficiente rilevare che il dovere di raccolta e comunicazione di dati (come desumibile pure dalle argomentazioni della Corte di Giustizia, sub §§ 47-50) ha una sua specifica, oggettiva e, per così dire, “fisica” autonomia; si tratta, peraltro, di un obbligo che ben può essere adempiuto direttamente dall’operatore, ove necessario nell’ambito e con l’ausilio delle procedure di collaborazione fra Autorità fiscali previste dal diritto unionale e, eventualmente, dal diritto internazionale pattizio.

17.2. Quanto al terzo obbligo (“la designazione di un rappresentante fiscale in Italia”), viceversa, la Corte ne ha statuito la contrarietà all’art. 56 TFUE (recte, ha dichiarato che la corretta interpretazione dell’art. 56 TFUE osta ad una normativa nazionale che imponga il cennato obbligo), in quanto tale obbligo reca una restrizione alla libera circolazione dei servizi che, pur perseguendo uno scopo legittimo compatibile con il Trattato FUE, pur giustificata da motivi imperativi di interesse generale e pur idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo cui è preposto, non è proporzionata (ossia, “in circostanze come quelle di cui al regime fiscale del 2017”, eccede quanto necessario per conseguire le proprie finalità).

17.2.1. Consegue che a questo Giudice, quale Autorità giurisdizionale nazionale a qua, non resta che prendere atto del dictum della Corte senza poter svolgere alcun ulteriore sindacato (né, a fortiori, alcuna critica alla relativa motivazione): ciò costituisce un preciso ed inderogabile dovere, corollario del principio del primato del diritto dell’Unione, più volte affermato dalla Corte.

17.2.2. In relazione alle osservazioni svolte in proposito dall’Agenzia delle Entrate nelle memorie conclusionali (cfr. supra, sub § 3.11.2), il Collegio osserva che, a seguito della pronuncia della Corte, la previsione nazionale che impone la nomina di un rappresentante fiscale in Italia risulta in contrasto con il diritto UE nella sua totalità.

17.2.3. La Corte, infatti, ha ritenuto che tale previsione ecceda quanto necessario, posto che “non risulta che il controllo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi interessati in qualità di responsabili d’imposta non possa essere garantito con mezzi meno lesivi dell’articolo 56 TFUE rispetto alla nomina di un rappresentante fiscale residente in Italia”: ciò sia perché tale previsione “si applica indifferentemente a tutti i prestatori di servizi di intermediazione immobiliare … senza distinguere in funzione, ad esempio, del volume di entrate fiscali”, sia, comunque, perché “il legislatore italiano non ha considerato la possibilità che il summenzionato rappresentante fiscale … abbia la possibilità di risiedere o di essere stabilito in uno Stato membro diverso dall’Italia”.

17.2.4. L’ampia e chiara dizione contenuta nella pronuncia della Corte non consente al Collegio l’operazione di dissezione normativa sollecitata, pur con puntuali argomentazioni, dall’Agenzia.

17.2.5. La Corte, invero, non ha stabilito la contrarietà al diritto unionale della previsione nazionale della nomina di un rappresentante fiscale, limitatamente al solo profilo della necessaria residenza (o stabilimento) in Italia; al contrario, ha tratto dall’unitaria considerazione di vari profili, tra cui quello della necessaria residenza o stabilimento in Italia, la conclusione della natura complessivamente non proporzionata dell’obbligo di nomina del rappresentante fiscale in quanto tale.

17.2.6. Il Collegio, pertanto, non può che disporre come segue:

- disapplica, in quanto in contrasto con il diritto UE, l’art. 4, comma 5-bis, secondo periodo, d.l. n. 50 del 2017 (“I soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia, ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dal presente articolo, in qualità di responsabili d'imposta, nominano un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”);

- accoglie in parte qua l’appello e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, annulla l’atto impugnato con il ricorso introduttivo di primo grado, con riferimento a tutti i passaggi ove è menzionata la figura del rappresentante fiscale, ossia:

a) il punto “3.3 – Soggetti non residenti”, secondo periodo (pagina 3), ove si stabilisce che “i soggetti non residenti nel territorio dello Stato che risultino privi di stabile organizzazione in Italia, per trasmettere i dati si avvalgono di un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”;

b) il punto “4.3 – Soggetti non residenti”, secondo periodo (pagina 4), ove si stabilisce che “i soggetti non residenti, che risultino privi di una stabile organizzazione in Italia, effettuano gli adempimenti di cui al punto 4.2 [ossia gli “obblighi di versamento, certificazione e dichiarazione della ritenuta”] tramite un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”;

c) le “motivazioni”, sesto periodo (pagina 5), ove si stabilisce che gli obblighi di comunicazione dei dati vengono adempiuti, da parte degli operatori non residenti né stabiliti, mediante “un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973, il quale provvede anche alla richiesta di attribuzione del codice fiscale dei soggetti rappresentati qualora non ne siano in possesso”;

d) le “motivazioni”, penultimo periodo (pagina 6), ove si stabilisce che “i soggetti non residenti, che risultino privi di una stabile organizzazione in Italia, effettuano la ritenuta ed adempiono agli obblighi di versamento, certificazione e dichiarazione tramite un rappresentante fiscale individuato tra i soggetti indicati nell’articolo 23 del D.P.R. n. 600 del 1973”.

17.2.7. In proposito, il Collegio precisa (come già ventilato nell’ordinanza n. 777, § 108 e 109) che l’introduzione di un ulteriore periodo al comma 5-bis dell’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017 (“In assenza di nomina del rappresentante fiscale, i soggetti residenti nel territorio dello Stato che appartengono allo stesso gruppo dei soggetti di cui al periodo precedente sono solidalmente responsabili con questi ultimi per l'effettuazione e il versamento della ritenuta sull'ammontare dei canoni e corrispettivi relativi ai contratti di cui ai commi 1 e 3”) da parte dell’art. 13-quater, comma 1, d.l. n. 34 del 2019, convertito con l. n. 58 del 2019, non riveste rilievo nella presente controversia.

17.2.8. L’oggetto del presente giudizio è, infatti, rappresentato dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 132395 del 12 luglio 2017, la cui legittimità deve essere scrutinata in base alla situazione di fatto e di diritto sussistente all’atto della relativa emanazione; del resto, non consta che tale provvedimento sia stato integrato a seguito della suddetta novella.

17.2.9. Specularmente, la pronuncia con cui, come nella specie, la Corte di Giustizia UE dichiara che una disposizione dei Trattati - vale a dire del diritto unionale originario - osta ad una determinata previsione di legge nazionale comporta l’integrale inapplicabilità di quest’ultima ab initio (cfr., ex multis, Corte di Giustizia, sentenza C-314/08, §§ 81 - 84).

17.2.10. Ne consegue, in linea teorica, che una siffatta pronuncia non potrebbe essere “superata” neppure dall’eventuale abrogazione sopravvenuta di tale previsione nazionale, che continuerebbe ad avere efficacia de praeterito - ossia appunto fino al momento dell’abrogazione - in contrasto con il richiamato principio del primato (assoluto e non negoziabile) del diritto dell’Unione, più volte affermato dalla Corte di Giustizia.

17.2.11. A fortiori, dunque, nessun effetto di sterilizzazione della pronuncia della Corte può derivare da una mera integrazione additiva della legge nazionale, intervenuta posteriormente al radicamento del ricorso giurisdizionale di diritto interno nell’ambito del quale è stato svolto il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

17.2.12. E’, altresì, opportuno precisare che il periodo aggiunto dal d.l. n. 34 del 2019 non è interessato dalla pronuncia della Corte, proprio in quanto estraneo alla propedeutica ordinanza di rinvio e, più in generale, alla materia del contendere di questo giudizio: per quanto dipende dal presente contenzioso, pertanto, la disposizione continua ad avere efficacia, salvo quanto eventualmente disposto in altre sedi.

17.2.13. Parte appellante sostiene, poi, che l’incompatibilità con l’art 56 TFUE dell’obbligo di nomina di un rappresentante fiscale “implica che l’intero regime di cui all’art. 4 non può essere applicato agli intermediari stabiliti in altri Stati membri, come Airbnb”.

17.2.14. La tesi è argomentata come segue:

- “in linea con il principio di territorialità delle disposizioni fiscali nazionali, nel sistema tributario italiano i soggetti che non sono né residenti, né stabiliti, non possono agire come sostituti d’imposta”;

- più in particolare, “le società non residenti … non possono qualificarsi come sostituto d’imposta se non hanno una stabile organizzazione nel territorio italiano e se non hanno realizzato redditi imponibili in Italia” (le appellanti ricadono in questa categoria);

- pertanto, “l’unico modo per imporre … obblighi di ritenuta e versamento agli intermediari stabiliti in Stati membri diversi dall’Italia, era di richiedere a questi ultimi di nominare un rappresentante fiscale in Italia, atteso che senza tale soggetto l’intero regime sarebbe stato inapplicabile a tali intermediari, ivi inclusa Airbnb”;

- ciò sarebbe confermato dal tenore testuale tanto dell’art. 4, comma 5-bis, laddove “prevede che gli intermediari stabiliti in Stati membri diversi dall’Italia siano tenuti a nominare un rappresentante fiscale “ai fini dell’adempimento” degli obblighi di cui all’art. 4”, quanto del provvedimento impugnato, ove si “stabilisce espressamente che tali intermediari devono adempiere gli obblighi di cui all’art. 4 “tramite” il rappresentante fiscale, che deve necessariamente risiedere in Italia (punti 3.3. e 4.3)”.

17.2.15. La tesi, pur suggestivamente argomentata, non convince.

17.2.16. Non ha, invero, fondamento la rigida impostazione esegetico-sistematica coltivata da parte appellante (e posta a base dell’argomentazione in esame), secondo cui, quanto agli obblighi di ritenuta e successivo versamento, l’unica alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale residente o stabilito in Italia sarebbe l’assunzione da parte dell’intermediario della qualità di sostituto d’imposta, qualità che, tuttavia, l’appellante non potrebbe strutturalmente rivestire, in quanto operatore non residente né stabilito e non produttore di redditi imponibili in Italia.

17.2.17. Al contrario, la disciplina legislativa nazionale in esame può comunque operare anche con l’espunzione del dovere di nomina, da parte degli intermediari non stabiliti, di un rappresentante fiscale in Italia: l’Ente impositore, infatti, ben potrà rivolgere le proprie pretese tributarie direttamente alla società non stabilita, fruendo, se del caso, delle procedure di collaborazione fra Autorità fiscali previste dal diritto unionale e, eventualmente, dal diritto internazionale pattizio.

17.2.18. Più in dettaglio, nel nostro ordinamento il responsabile di imposta è un soggetto su cui grava una obbligazione solidale dipendente (art. 64 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).

17.2.19. Nella fattispecie concreta in esame, l’intermediario non stabilito che è intervenuto nel pagamento ha già, per una sua precisa scelta imprenditoriale, la disponibilità materiale della somma che deve, in parte, essere corrisposta all’amministrazione finanziaria.

17.2.20. In questa specifica situazione, dunque, la figura del “rappresentante fiscale” non si configura quale elemento centrale, ineludibile e caratterizzante della normativa nazionale, ma costituisce semplicemente una figura per così dire “aggiuntiva”, che, nell’interesse dello stesso contribuente non stabilito, ne assolve i doveri fiscali; si tratta, in altri termini, di una manifestazione del generale modello della sostituzione nello svolgimento dell’attività giuridica nell’interesse di altri, anche con riguardo ad atti, comunicazioni, pagamenti (cd. rappresentanza passiva): l’assenza di tale figura, pertanto, non impedisce, già in un’ottica strutturale, l’operatività del sistema predisposto dal legislatore.

17.2.21. Del resto, anche in base al principio di tassatività delle cause di cessazione della vigenza di una legge sotteso all’art. 15 disp. prel. c.c., la disapplicazione di parte di una legge a seguito di una pronuncia interpretativa della Corte che abbia ravvisato un contrasto con il diritto unionale si estende a tutto il corpus normativo solo ove quest’ultimo sia posto in via diretta ed immediata, a causa della cennata disapplicazione parziale, in una condizione di assoluta, integrale e radicale impossibilità di funzionamento, ossia resti privo di una pur minima compiutezza e potenzialità applicativa, dunque funditus inidoneo a veicolare norme generali, astratte ed innovative dell’ordinamento giuridico: una siffatta evenienza, per le ragioni sopra esposte, non ricorre nel caso di specie.

17.3. Quanto, infine, al secondo obbligo (“l’obbligo di ritenuta alla fonte dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versamento di detta imposta all’Erario”), la Corte ne ha statuito la compatibilità con il diritto unionale, posto che “non risulta che sia possibile ritenere che una normativa come il regime fiscale del 2017, il cui unico effetto è quello di causare costi supplementari per la prestazione di cui trattasi e che incide allo stesso modo sulla prestazione di servizi fra gli Stati membri e su quella interna ad uno Stato membro, vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi” (§ 55).

17.3.1. La conclusione è stata poi ribadita in maniera netta ed inequivoca al § 77, ove, nel precisare in via definitiva le risposte ai quesiti, si statuisce che l’art. 56 TFUE “non osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento e dalla modalità attraverso cui essi intervengono, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, di raccogliere e successivamente comunicare all’amministrazione fiscale nazionale i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione, di prelevare alla fonte l’ammontare dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versarlo all’Erario di detto Stato membro”.

17.3.2. Purtuttavia, al paragrafo 54 la Corte ha fatto salva, con un inciso non altrimenti motivato, “la valutazione del giudice del rinvio” in ordine alla sussistenza di un’eventuale maggiore gravosità dell’obbligo in parola per l’intermediario non residente né stabilito rispetto a quello residente o stabilito.

17.3.3. Parte appellante sostiene che, ai termini di siffatta espressione, questo Giudice sia senz’altro tenuto a svolgere tale “valutazione”.

17.3.4. Nel merito di tale “valutazione”, essa sostiene che:

- “l’onere derivante dall’obbligo di ritenuta e versamento è più gravoso per gli intermediari stabiliti in altri Stati membri e comporta pertanto una discriminazione indiretta, ai sensi dell’art. 56 TFUE”;

- “tale discriminazione è contraria al diritto dell’Unione, in quanto non necessaria e sproporzionata”.

17.3.5. Tale carattere indirettamente discriminatorio risiederebbe, sostanzialmente, nella circostanza che un operatore non stabilito incontrerebbe maggiori difficoltà operative, amministrative, giuridiche, gestionali e linguistiche, rispetto ad un operatore residente o stabilito, nell’adeguarsi ad un sistema tributario ad esso estraneo: tali difficoltà, nel caso di specie, potrebbero financo arrivare a far mettere in discussione l’opportunità del mantenimento dell’attuale “strategia commerciale”, che sinora ha rappresentato l’elemento vincente del business di parte appellante.

17.3.6. Nella prospettiva della parte appellante, in altri termini, la Corte di Giustizia avrebbe soltanto escluso che la prescrizione in esame integri gli estremi di una discriminazione diretta per la sua valenza indistintamente applicabile; nondimeno, la normativa nazionale sarebbe congegnata in maniera tale da sfavorire oggettivamente i soggetti non residenti né stabiliti rispetto a quelli residenti o stabiliti, senza che ciò sia strettamente necessario per tutelare le ragioni fiscali: residuerebbe, dunque, una discriminazione indiretta.

17.3.7. L’appellante cita, in proposito, la segnalazione resa dall’AGCM in data 24 novembre 2017 ai sensi dell’art. 21 l. n. 287 del 1990.

17.3.8. In tale segnalazione, l’Autorità rileva “il potenziale impatto restrittivo della concorrenza discendente da alcune disposizioni del d.l. n. 50 del 2017”, in particolare l’art. 4, commi 5 e 5-bis.

17.3.9. Sul punto, l’Autorità sostiene che:

- “l’introduzione dei suddetti obblighi non appare proporzionata rispetto al perseguimento di tali finalità [contrastare il fenomeno dell’evasione], in quanto si ritiene che le stesse potrebbero essere perseguite altrettanto efficacemente con strumenti che non diano al contempo luogo a possibili distorsioni concorrenziali nell’ambito interessato”;

- “l’intervento fiscale in esame appare suscettibile di alterare le dinamiche concorrenziali tra i gestori dei portali telematici, a discapito di coloro che adottano modelli di business fortemente caratterizzati dal ricorso a strumenti telematici di pagamento”;

- “l’obbligo fiscale inerente all’assunzione della qualità di sostituto d’imposta, infatti, rappresentando un ulteriore onere amministrativo non direttamente collegato con l’attività d’impresa svolta dagli operatori del settore, appare suscettibile di disincentivare gli intermediari dal mettere a disposizione dei conduttori forme di pagamento digitale sulle proprie piattaforme”;

- la normativa in esame sarebbe un unicum tanto in ambito continentale, quanto in un’ottica intersettoriale.

17.3.10. In proposito, il Collegio rileva che:

- anzitutto, la Corte ha formulato incidentalmente la clausola di riservain un paragrafo (§ 54) che, letto nel suo complesso ed in maniera organica ed unitaria, fa emergere come l’affermazione della Corte abbia valenza generale nella parte in cui rileva che il regime finale impone a tutti gli operatori “gli stessi obblighi di ritenuta alla fonte in nome dell’amministrazione fiscale e di pagamento dell’imposta cedolare secca del 21% a quest’ultima, dato che il prelievo è effettuato a titolo liberatorio, quando il proprietario del bene immobile interessato ha optato per l’aliquota preferenziale, e a titolo di acconto, qualora così non fosse”;

- inoltre, il § 54 deve essere letto unitamente tanto al § 55, nel quale si statuisce senz’altro che “non risulta … che … il regime fiscale del 2017 … vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi”, quanto al § 77, che reca la definitiva risposta ai quesiti formulati da questo Consiglio e ove si legge, con terminologia chiara ed inequivoca, che “non osta alla normativa di uno Stato membro che impone ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare, indipendentemente dal loro luogo di stabilimento e dalla modalità attraverso cui essi intervengono, riguardo a locazioni di durata non superiore a 30 giorni concernenti beni immobili situati nel territorio di tale Stato membro, di raccogliere e successivamente comunicare all’amministrazione fiscale nazionale i dati relativi ai contratti di locazione stipulati a seguito della loro intermediazione e, qualora tali prestatori abbiano incassato i canoni o i corrispettivi corrispondenti oppure siano intervenuti nella loro percezione, di prelevare alla fonte l’ammontare dell’imposta dovuta sulle somme versate dai conduttori ai locatori e di versarlo all’Erario di detto Stato membro”.

17.3.11. Comunque, qualora si ritenesse che la Corte di Giustizia abbia imposto una specifica trattazione del punto in esame, il Collegio osserva che la valutazione rimessa al Giudice a quo non attiene all’idoneità dell’obbligo, ex se, a determinare un’alterazione della concorrenza (profilo già escluso in radice dalla Corte), ma più semplicemente a verificare la questione di fatto (in quanto tale estranea alla cognizione del Giudice della questione pregiudiziale) della maggiore gravosità relativa, per un operatore non residente né stabilito, del rispetto dell’obbligo in parola.

17.3.12. Orbene, tale maggiore gravosità oggettivamente non sussiste, in quanto:

- le maggiori difficoltà lamentate da parte appellante sono, in realtà, quelle che ogni operatore non stabilito naturaliter ed inevitabilmente incontra nell’operare in un mercato diverso dal proprio: in termini più generali, infatti, l’esigenza di conseguire un level playing field riguarda le regole del gioco, che debbono essere uguali per tutti gli operatori economici (residenti, stabiliti o non stabiliti), ma non implica anche una rimodulazione per così dire “ergonomica” del campo da gioco a favore dell’operatore straniero (ciò che potrebbe, anzi, determinare una discriminazione indiretta “al contrario” a danno dell’operatore locale o, comunque, stabilito);

- sotto altro aspetto, il mercato dell’intermediazione immobiliare opera sempre più online e, per la stessa natura dello strumento telematico, ha dimensioni globali: è, pertanto, del tutto fisiologico (anche in considerazione della particolare attrattività turistica del mercato italiano) che la maggior parte degli operatori (o, comunque, dei più grandi operatori) non sia né residente né stabilita in Italia; ciò, tuttavia, non comporta né dimostra che la normativa recata dal d.l. n. 50 del 2017 abbia un implicito portato discriminatorio, trattandosi semplicemente dell’attuale condizione oggettiva del mercato (argomentare diversamente significa, potenzialmente, sterilizzare ogni intervento nazionale nel settore – che afferisce, vale ribadirlo, a locazioni di beni immobili situati in Italia – perché la maggior parte dei player di mercato opera in regime di libera prestazione di servizi);

- a tutto concedere, non risulta che parte appellante abbia mutato il proprio modello di business (cfr., a contrario, l’allegato 3 prodotto in prime cure dall’Agenzia delle Entrate), né che questo sia stato inciso in modo tale da revocarne in dubbio il prospettico mantenimento, a causa ad esempio di (documentati) costi di esercizio crescenti, di necessità di rilevanti (e documentate) riorganizzazioni amministrative, di (documentate) perdite strutturali di clientela;

- l’AGCM è un’Autorità amministrativa istituzionalmente deputata alla difesa di un singolo, per quanto importante, interesse pubblico: le segnalazioni da essa formulate ai sensi dell’art. 21 l. n. 287 del 1990 si inseriscono quindi in una prospettiva istituzionale necessariamente limitata a tale specifico ambito di intervento e priva, pertanto, della visione complessiva dei molteplici interessi in gioco, che viceversa è propria del Legislatore; peraltro, da un lato, la paventata possibilità che gli operatori telematici siano disincentivati “dal mettere a disposizione dei conduttori forme di pagamento digitale sulle proprie piattaforme” è per tabulas esclusa, per quanto riguarda l’appellante, dal richiamato doc. 3 depositato in prime cure dall’Agenzia delle Entrate, dall’altro, il carattere discriminatorio dell’obbligo in parola (ossia la sua contrarietà al principio fondamentale dell’art. 56 TFUE) è stata motivatamente esclusa dalla Corte di giustizia, unico organo, oltretutto giurisdizionale e non amministrativo, con la competenza istituzionale per operare una tale valutazione,

17.3.13. In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, non sussiste una discriminazione indiretta e, dunque, la violazione (appunto indiretta) del principio della libera prestazione di servizi.

17.3.14. Il Collegio aggiunge, comunque, che:

- anche qualora si dovesse, in ipotesi, ritenere che la previsione di tale obbligo abbia (indirettamente) leso il principio di libera prestazione di servizi, tale lesione risulta in ogni caso giustificata da un “motivo imperativo di interesse generale”, quale la riscossione delle imposte;

- le misure nella specie adottate dal legislatore per assicurare tale primario interesse pubblico risultano pienamente conformi al principio di proporzionalità.

17.3.15. Invero, la previsione di un obbligo di ritenuta e versamento a carico degli intermediari non residenti che siano intervenuti nel pagamento costituisce, proprio alla luce della previamente acquisita disponibilità delle somme da versare, una modalità applicativa idonea, necessaria e adeguata ad assicurare la riscossione del tributo: una diversa modalità eventualmente meno incidente nella sfera giuridica degli operatori non stabiliti, infatti, rischierebbe di vanificare il pieno, concreto e tempestivo conseguimento dell’interesse generale perseguito dal legislatore nazionale.

17.3.16. Per le stesse ragioni, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata da parte appellante.

17.3.17. In disparte la genericità con cui la questione è formulata, è sufficiente rilevare che, contrariamente alle affermazioni di parte appellante (secondo cui l’art. 4 d.l. n. 50 del 2017 “non delinea un’attribuzione equilibrata degli oneri relativi all’adempimento degli obblighi tributari, comprimendo irragionevolmente la libertà di impresa di (pressoché solo) un operatore e conseguentemente accordando un rilevante beneficio competitivo ad altri operatori economici”), il regime fiscale in commento disciplina, con previsioni uniformi per tutti gli operatori e prive di carattere discriminatorio, l’intero mercato dell’intermediazione immobiliare, nel perseguimento di un primario interesse pubblico: esulano, dunque, profili di danno a carico di uno specifico soggetto.

18. Passando, quindi, al quarto motivo di appello (con cui viene riproposto il terzo motivo di prime cure), il Collegio osserva che:

- il richiamo operato dalle appellanti all’art. 154, comma 4, d.lgs. n. 196 del 2003, nel testo ratione temporis vigente, è inconferente, posto che il provvedimento gravato è stato emanato da un’Agenzia fiscale (non, dunque, dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro) e, comunque, non incide ex se nella materia dei dati personali, limitandosi a dare attuazione, sul punto, a precise e specifiche disposizioni di rango primario che, a monte, tale trattamento prevedono ed impongono;

- i dati menzionati dal provvedimento in esame (“il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile”, peraltro eventualmente comunicabili in forma aggregata) sono quelli oggettivamente necessari ed indispensabili per la puntuale e compiuta identificazione dell’operazione, dunque non sussiste alcuna violazione dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza del trattamento dei dati;

- non è richiesto il consenso degli interessati, posto che il trattamento de quo (afferente ad una vicenda contrattuale di locazione di beni immobili, come tale sottoposta alla legge italiana) è imposto da una specifica disposizione di legge.

19. Il Collegio, infine, affronta il quinto motivo di appello, con cui è riproposto, in parte, il quarto motivo di primo grado.

19.1. In proposito, si rileva anzitutto che il provvedimento gravato si limita a disciplinare in forma unitaria, per tutti gli operatori, le concrete modalità di adempimento dell’obbligo tributario, indicandole in quelle ordinariamente proprie del sostituto d’imposta, senza con ciò in alcun modo equiparare a monte e “di fatto”, come sostenuto da parte appellante, le figure del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta, di contro espressamente e ripetutamente tenute distinte nel corpo dell’atto.

19.2. Più semplicemente, il provvedimento, nell’adempimento della funzione di “attuazione” della legge disposta dall’art. 4, comma 6, d.l. n. 50 del 2017 (come noto, più ampia della mera “esecuzione” della legge - arg. ex art. 17 l. n. 400 del 1988), ha individuato le forme di adempimento dell’onere tributario ritenute più congrue, snelle ed opportune, evidentemente anche alla luce del carattere massivo degli obblighi di “versamento, certificazione e dichiarazione delle ritenute” conseguenti alle operazioni di intermediazione immobiliare per locazioni brevi.

19.3. In sostanza, il generale utilizzo delle forme dichiarative e di versamento proprie del sostituto d’imposta non consegue alla circostanza che il responsabile d’imposta è, “di fatto”, a quello parificato, ma rappresenta, di contro, una precisa scelta relativa (e limitata) al settore de quo, che non modifica surrettiziamente l’ordinario statuto fiscale del responsabile d’imposta.

19.4. In ogni caso, anche qualora si volesse ritenere che, nella fattispecie concreta, si realizzi, in ragione delle peculiarità della fattispecie stessa, una sostanziale assimilazione tra “sostituto di imposta” e “responsabile di imposta”, ciò non veicolerebbe alcuna concreta lesione della posizione soggettiva di parte appellante, con conseguente oggettiva carenza di interesse alla censura.

19.5. Il provvedimento non sconta, poi, i lamentati caratteri di carenza di determinatezza e tassatività, posto che:

- la locuzione “intervento nel pagamento”, oltre ad essere ripresa pedissequamente dal testo legislativo, fa con ogni evidenza riferimento ad ogni profilo di attiva partecipazione dell’intermediario alla fase solutoria del contratto di locazione;

- la locuzione “soggetti non residenti riconosciuti privi di stabile organizzazione in Italia”, pure essa ripresa dal testo legislativo, non rimanda ad alcun (peraltro non normato né menzionato) provvedimento formale accertativo, in via generale, della sussistenza di tale qualifica: la questione è viceversa rimessa, come di regola, alla singola attività di verifica svolta dall’Agenzia delle Entrate;

- la locuzione “al di fuori dell’esercizio di attività di impresa”, utilizzata per circoscrivere le attività di locazione rilevanti a fini fiscali, oltre a rimandare ad un concetto giuridico, per ciò solo non vago né indeterminato (trattasi, altrimenti detto, di un elemento normativo della fattispecie), è stata comunque affrontata nella successiva circolare interpretativa n. 24/E del 12 ottobre 2017, peraltro con il piano richiamo alla normativa vigente in punto di individuazione dei caratteri dell’attività di impresa.

20. Per tutte le esposte ragioni, pertanto, l’appello va accolto ai soli e limitati fini evidenziati supra, sub § 18.2.6, con rigetto per il resto.

21. La particolare complessità della vicenda costituisce, all’evidenza, giusto motivo per l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai fini, per gli effetti e nei limiti di cui in parte motiva sub § 17.2.6, con conseguente riforma in parte qua della sentenza impugnata, rigettandolo per il resto.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio dei giorni 8 giugno 2023 e 12 luglio 2023, con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
Luca Lamberti   Vincenzo Lopilato
     
     
     
     
     

IL SEGRETARIO

07.11.2023 Valentino Spataro



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