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Cassazione penale 2023 sul privato che diffonde dati personali

abstract:



Chiunque, anche il privato non qualificato, puo' rispondere del reato di trattamento di dati personali, anche senza avere un compito.




analisi:

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index:

Indice

  • Disposizione in vigore una condizione ob
  • Cancellazione e la distruzione di dati a
  • Sia, anche solo occasionalmente venuto a
  • Istituzionale,
  • Pericolose intrusioni.
  • dell'interessato, del dato acquisito, n
  • Ed è elemento costitutivo oggetti



testo:

C

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE


Sentenza n. 13102 - pubbl. il 29 marzo 2023

1.Il ricorso è manifestamente infondato. Va premesso che il Trattamento dei dati personali
sensibili senza il Consenso dell'interessato, dal quale derivi nocumento per la persona offesa,
era già punito ai sensi dell'art. 35, comma 3 della L. 31 dicembre 1996, n. 675, ed è tutt'ora
punibile ai sensi dell'art. 167, comma 2 del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto tra le
due fattispecie sussiste un rapporto di continuità normativa, essendo identici sia l'elemento
soggettivo caratterizzato dal dolo specifico, sia gli elementi oggettivi, in quanto le condotte
di "comunicazione" e "diffusione" dei dati sensibili sono ora ricomprese nella più ampia
dizione di "trattamento" dei dati sensibili, ed il nocumento per la persona offesa che si
configurava nella previgente fattispecie come circostanza aggravante, rappresenta nella
disposizione in vigore una condizione obiettiva di punibilità (cfr. Sez. 3, n. 28680 del
26/03/2004 Rv. 229465 - 01). Questa corte con riferimento alla sopravvenuta disposizione
del citato art. 167 ha poi precisato (cfr. Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017 Ud. (dep.
14/06/2017) Rv. 270458 - 01) che ai sensi dell'art. 167 comma 2 del D.Lgs. n.. 196/03, come
articolato prima della riforma del 2018 e quindi riportabile ai fatti come contestati, del 2014,
è punito salvo che il fatto costituisca più grave reato, colui il quale, al fine di trarne per sè o
per altri profitto o di recare ad altri un danno procede al Trattamento di Dati personali in
violazione di quanto disposto dagli artt. 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27, 45, sempre
che ne derivi un nocumento.


Il "trattamento", ai sensi dell'art. 4 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n.. citato, corrisponde a
"qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di
strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la
conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il
raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la
cancellazione e la distruzione di dati anche se non registrati in una banca dati". Quanto al
concetto di "dato personale", esso è definito, ai sensi della successiva lettera b) del citato art.
4 comma 1, come "qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o
identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi
compreso un numero di identificazione personale" mentre per "dati sensibili" si intendono, ai
sensi della lettera d), "i Dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica le convinzioni
religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati,
associazioni, od organizzazioni a carattere religioso, filosofico politico o sindacale, nonchè i
dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".


Quanto alla sua struttura il reato, oltre alla clausola di riserva, contempla una condotta di
trattamento di Dati personali indicati ai citati artt. 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25 26, 27,
45, purchè ne derivi un nocumento. La predetta condotta presuppone l'assenza di consenso
da parte dell'interessato, ed essa può anche essere effettuata dal cittadino privato, il quale
sia, anche solo occasionalmente venuto a conoscenza di un dato sensibile.


Di particolare interesse, in questa sede, alla luce del motivo in esame, è quest'ultima
precisazione. Questa Suprema Corte ha evidenziato infatti, diversamente da quanto
sostenuto in ricorso dalla difesa, che è del tutto infondata la tesi volta ad escludere dal novero
dei destinatari della norma punitiva (rappresentata poi dall'art. 167 citato) il privato cittadino
che occasionalmente sia venuto in possesso di un dato rilevante appartenente ad altro
soggetto, dandogli diffusione indebita.

Ad una semplice lettura della norma punitiva, l'incipit "chiunque" già esclude in radice una
interpretazione in senso restrittivo riferita ai destinatari: ma, anche a voler ricollegare l'art.
167 all'art. 4, è evidente che, laddove si parla di persona fisica, ci si intende riferire al soggetto
privato in sè considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per così dire,
istituzionale, di depositario della tenuta dei dati sensibili e delle loro modalità di utilizzazione
all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l'esonerare in modo irragionevole
dall'area penale tutti i soggetti privati, così permettendo quella massiccia diffusione di dati
personali che il legislatore, invece, tende ad evitare.

Può quindi affermarsi senza tema di smentita che l'assoggettamento alla norma in tema di
divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso
di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi
entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto Trattamento di quei dati senza arbitri o
pericolose intrusioni.

Nè la punibilità - in caso di indebita diffusione dei dati - può dirsi esclusa se il soggetto
detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo
il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.

Va sottolineato, infine, che il concetto di Trattamento va inteso in senso ampio per come già
lo afferma il legislatore laddove elenca tutta una serie di condotte sintomatiche, non
circoscritto quindi ad una raccolta di dati, ma anche - e soprattutto - alla diffusione indebita
senza il Consenso dell'interessato, del dato acquisito, non importa se casualmente o meno.

E' poi contemplato, sempre nel quadro strutturale della fattispecie, il dolo specifico di "trarre
per sè o per altri profitto di recare ad altri un danno " attraverso la descritta condotta di
trattamento dei dati. Ed è elemento costitutivo oggettivo la circostanza che dal fatto "derivi
un nocumento".

Dunque del tutto destituita di fondamento è la tesi che vorrebbe escludere la ricorrente,
siccome privato "non qualificato", dal novero dei destinatari della norma, alla luce di un ormai
acclarato indirizzo giurisprudenziale sul punto.

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba
essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrentie ai sensi dell'art.
616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della
Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.


dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023



Testo del 2023-05-15




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