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Sconti 26.11.2021    Pdf    Appunta    Letti    Post successivo  

Profilazione senza archiviazione dei dati, sconti personalizzati e algoritmi: la Cassazione 32411 del 2021

Basata sulle leggi pre GDPR, una ordinanza importante.

L'idea e' una: se offro uno sconto PERSONALIZZATO, sto profilando gli utenti. A prescindere dalla conservazione dei dati. Lo iato tra legge e tecnica va sottovalutato rispetto al rilievo della diversa valutazione dell'informativa che parlava di profilazione, pur sostenendo l'azienda di non profilare. Azienda che avrebbe chiuso dopo inchieste giornalistiche.

Notevoli anche le argomentazioni che hanno escluso il minimo edittale.

Da rileggere le linee guida del Garante, in quanto la nozione di profilazione non e' stata abolita, ma integrata dal gdpr.

Ecco il punto centrale, ben noto a tutti: "Le società dovranno tutelare la privacy sia degli utenti autenticati, cioè quelli che accedono ai servizi tramite un account (ad esempio per l´utilizzo della posta elettronica), sia di quelli che fanno uso dei servizi in assenza di previa autenticazione (utenti non autenticati), come in caso di semplice navigazione on line."

Nota: l'azienda non opera piu' con quel sito; per alcuni anni ha operato con altro marchio; dopo campagne giornalistiche non risulta attiva la spa. In breve: non sopravvaluterei le affermazioni dell'azienda.Peccato non conoscere la decisione del TAR. (Sintesi aggiornata)


Cassazione

 

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T

Testo da Cassazione reimpaginato dal redattore per Civile.it

Cassaz. SESTA CIVILE, Ordinanza n.32411 del 08/11/2021 (ECLI:IT:CASS:2021:32411CIV), udienza del 27/05/2021, Presidente LOMBARDO LUIGI GIOVANNI Relatore CRISCUOLO MAURO

a seguente

ORDINANZA

sul ricorso 3599-20189 proposto da: CS GROUP SPA elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI 54, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI CONTESTABILE, rappresentata e difesa dall'avvocato MARCO MUSOTTO giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente

- contro GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI;

- resistente - avverso la sentenza n. 1202/2018/del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il 22/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le memorie depositate dalla ricorrente;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

C.S. Group S.p.A. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Livorno, avverso l'ordinanza ingiunzione del Garante per la protezione dei dati personali n. 18/2018, con la quale le era ingiunto il pagamento di C 60.000,00, a titolo di sanzione amministrativa, ex art. 163 d.lgs. n. 196/2003, per l'omessa notifica all'Autorità Garante del trattamento dei dati personali inerente alla geolocalizzazione continua dei veicoli noleggiati e la profilazione del cliente, ex art. 37 lett. a) e d) d.lgs. 196/2003.

La società chiedeva l'annullamento dell'ordinanza ingiuntiva solo relativamente alla contestazione dell'attività di profilazione, nulla contestando in merito all'omissione della notifica del trattamento dei dati relativi alla geolocalizzazione; chiedeva, altresì, la rideterminazione di entrambe le sanzioni nel minimo edittale, ulteriormente ridotto in considerazione della minore gravità delle violazioni, ai sensi degli artt. 163 e 164 bis del d.lgs. n. 196/2003.

La società, esercente il noleggio di una flotta di veicoli a trazione elettrica, aveva predisposto, sul sito aziendale www.equomobil.it, attraverso il servizio denominato "Più ne hai bisogno, meno costa", offerte personalizzate rispetto alla tariffa ordinaria, sulla base di informazioni ulteriori e specifiche rilasciate dal cliente con la compilazione di una scheda.

La percentuale di sconto sulla tariffa ordinaria veniva calcolata sulla base di un algoritmo matematico che, tenuto conto di vari parametri, incrociava i dati inseriti in modo da prevedere l'utilizzo che ciascun autista avrebbe fatto dei veicoli e ottenere la percentuale di sconto utilizzabile.

L'opponente negava che

  • una tale attività comportasse una categorizzazione degli utenti, in quanto la procedura era finalizzata a offrire una tariffa personalizzata in relazione al bisogno di mobilità del singolo utente,

  • senza che le informazioni fossero associate al singolo soggetto,

  • senza che la percentuale di sconto consentisse di risalire alle informazioni fornite dal cliente o al cliente stesso,

  • senza la memorizzazione dei dati.

In definitiva, l'attività in alcun modo era strumentale alla fornitura di pubblicità finalizzata allo sfruttamento commerciale dei profili ottenuti ed alla commercializzazione di tali profili.

Il Tribunale di Livorno, con la sentenza n. 1202/2018 del 22/11/2018, rigettava l'opposizione e condannava C.S. Group S.p.A. alla refusione delle spese di lite.

A parere del Tribunale, nel caso di specie, l'attività posta in essere dalla società integrava i tre elementi che caratterizzano la profilazione:

  • l'utilizzo di dati strettamente personali,

  • il loro trattamento con modalità automatizzata e

  • l'idoneità di questi dati a fornire informazioni sulle esigenze dei clienti e quindi ad orientare sullo specifico profilo il servizio richiesto.

Ai fini dell'integrazione della profilazione, non occorre la memorizzazione sine die del dato, né la sua associazione duratura con il singolo cliente, in quanto l'attività di elaborazione attraverso algoritmo di dati personali sostanzia di per sé un'attività di screening dei dati forniti - per valutare determinati aspetti personali ed eventualmente prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l'affidabilità etc. - finalizzata a soddisfare specifiche esigenze dell'utente fruitore, in vista di un vantaggio economico. A parere del Tribunale, la società era ben consapevole che si trattasse di un'attività di profilazione, come emergeva dalle stesse indicazioni sul funzionamento del servizio inserite nel regolamento di servizio (dal quale risultava la memorizzazione dei dati) e dal fatto che sul modulo della raccolta dei dati e sull'informativa ex art. 13 fornita all'utente che accedeva al servizio fosse contenuta l'espressa definizione della profilazione.

La società aveva, altresì, ammesso di utilizzare i dati acquisiti per dislocare la flotta in dipendenza delle notizie acquisite. Parimenti il Tribunale rigettava il motivo relativo alla rideterminazione della sanzione, confermando l'ingiunzione del pagamento della sanzione minima di C 20.000,00 in relazione alla violazione di omessa notifica ex art. 137 lett. a), nonché la sanzione di C 40.000,00 per la condotta omissiva relativa all'attività di profilazione.

Il Tribunale riteneva che non ricorresse un caso di minore gravità che legittimasse l'applicazione del minimo edittale ulteriormente ridotto ex art. 164 bis, atteso che la raccolta ed elaborazione dei dati costituiva attività centrale della società, anche considerato il valore della produzione registrato nell'anno di riferimento. Riteneva, quindi, corretta la diversa quantificazione delle due sanzioni, tenuto conto del fatto che, a seguito dell'attività di verifica, la società aveva provveduto alla notifica al Garante del trattamento dei dati relativi alla geolocalizzazione, ma non di quello relativo alla profilazione.

Avverso la suddetta sentenza, propone ricorso per cassazione la società S.C. Group S.p.A. sulla base di quattro motivi.

L'intimato, Garante per la protezione dei dati personali, si è costituito ai soli fini dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione.

Con il primo motivo, la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 6 comma 11 d.lgs. 150/2011 e dell'art. 2697 c.c., ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.

Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistenti i presupposti della violazione contestata ex art. 37, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 196/2003, non avendo il Garante fornito la prova che l'attività della società configurasse profilazione, a fronte della contestazione dell'opponente, che negava si trattasse di tale attività, sulla scorta della nozione elaborata dallo stesso Garante nelle "Linee guida in materia di trattamento dei dati personali per la profilazione online" del 19 marzo 2015, con conseguente violazione dell'art. 2697 c.c. Sotto il profilo tecnico, a parere del ricorrente, non sussisteva profilazione per tre ragioni:

a) attraverso il meccanismo "scontatore" non si memorizzava alcun dato, né i dati temporaneamente immessi nel sito venivano messi in collegamento con le anagrafiche degli utenti;

b) l'attività non era strumentale alla fornitura di pubblicità personalizzata, né all'analisi e monitoraggio dei comportamenti dei visitatori del sito web, né allo sfruttamento commerciale delle indicazioni fornite dai visitatori del web, né alla commercializzazione di tali informazioni;

c) lo sconto era determinato in modo automatico a partire dalle informazioni degli utenti ma, una volta calcolato, non consentiva di risalire a chi lo aveva chiesto e alle sue informazioni, con la conseguenza che non si poteva pervenire all'identificazione inequivoca dell'utente. A fronte di queste specifiche contestazioni, il Garante non aveva fornito alcuna prova tecnica degli elementi che configurano la profilazione: la categorizzazione degli utenti, la memorizzazione dei dati, l'identificazione inequivoca dell'utente, l'utilizzo dei dati per finalità commerciali, con conseguente assenza di suddivisione in profili degli utenti.

La decisione del Tribunale sarebbe, pertanto, erroneamente fondata esclusivamente sul fatto che la società avesse utilizzato impropriamente il termine profilazione nell'informativa privacy e nel regolamento di servizio e sui verbali di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza (basati su generiche informazioni assunte presso l'azienda e non su verifiche tecniche), nonché sulla scorta dei documenti in atti.

In relazione a questi, erroneo sarebbe il riferimento al regolamento di iscrizione al sito prodotto da parte resistente, in quanto facente riferimento a un diverso indirizzo web; parimenti erroneo sarebbe il rilievo attribuito all'affermazione del dipendente Chimenti che i dati acquisiti fossero utilizzati per dislocare la flotta, poiché si riferiva in generale all'attività di car sharing svolta da C.S. Group e non al meccanismo dello scontatore.

La Corte non avrebbe, poi, dato rilievo alla memoria difensiva del Garante, nella quale attribuiva alla società l'onere della prova.

Il Tribunale avrebbe, infine, omesso di esaminare la prova documentale offerta dal ricorrente, relativa alle schermate dello scontatore sul sito www.equomobil.it, il codice sorgente del sito e il file che contiene l'algoritmo originale di calcolo, dai quali era possibile accertare tecnicamente che l'attività non potesse configurare profilazione, nonché di pronunciarsi sulla richiesta di CTU.

Con il secondo motivo, si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 37 comma 1 lett. d) e 38 commi 1 e 2 del d.lgs. 196/2003 ratione temporis applicabili, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. A detta del ricorrente, non era dovuta la notificazione al Garante, ex art. 37 comma 1 lett. d) del d.lgs. n. 196/2003, poiché non era configurabile una profilazione secondo il significato del termine che è stato dato dallo stesso Garante con il provvedimento 19 marzo 2015, denominato "Linee guida in materia di trattamento di dati personali per profilazione on line", né in relazione alle finalità che devono caratterizzare la profilazione, né alle sue concrete modalità di realizzazione. Secondo il ricorrente, sul sito www.equomobil.it, non si perveniva ad alcuna categorizzazione degli utenti, né all'identificazione inequivoca del singolo utente.

La procedura consentiva esclusivamente di offrire ex ante uno sconto sulla tariffa base del servizio in relazione al suo bisogno di mobilità,

  • senza che alcun dato fosse raccolto in mancanza della richiesta di iscrizione del potenziale cliente,

  • senza che alcuna informazione fosse associata permanentemente al soggetto, al di là dello sconto che gli veniva offerto (elemento che di per sé non consentiva di risalire alle informazioni fornite dall'utente);

  • senza che alcun dato fosse utilizzato per creare cluster o gruppi e che alcuna comunicazione promozionale o di marketing fosse inviata a tali soggetti in base alle informazioni comunicate per ottenere lo sconto;

  • senza che alcuna comunicazione di marketing fosse inviata a chi avviava la procedura senza diventare cliente;

  • senza che alcun cookie di profilazione o strumento di identificazione fosse rilasciato al fine di tracciare i comportamenti dell'utente;

  • l'indirizzo email dell'utente era conservato sul sito per il tempo strettamente necessario a impedire che la procedura di ripetizione dello sconto potesse essere ripetuta artificiosamente.

Lo sconto era effettivamente calcolato in modo automatico a partire dalle informazioni fornite dal cliente, ma poi

  • non consentiva di risalire a chi lo aveva chiesto e a quali informazioni avesse fornito,

  • né si potevano sapere le ragioni che avevano determinato la percentuale di sconto.

  • In definitiva, non si perveniva né alla memorizzazione dei dati (quelli temporaneamente immessi sul sito non venivano messi in collegamento con le anagrafiche dei clienti),

  • né alla categorizzazione degli utenti, dal momento che il meccanismo non era strumentale

  • né alla fornitura di pubblicità personalizzata,

  • né all'analisi e monitoraggio dei comportamenti dei visitatori dei siti web,

  • né allo sfruttamento commerciale dei dati ottenuti,

  • né alla commercializzazione di tali dati.

La sentenza del Tribunale sarebbe erronea poiché ha ritenuto sussistente la profilazione, contrariamente alla definizione della nozione contenuta nelle stesse linee guida del Garante, secondo cui per aversi profilazione deve sussistere la categorizzazione degli utenti, con il fine di pervenire all'identificazione inequivoca del singolo utente, attraverso la memorizzazione dei dati personali associati agli utenti. Peraltro, in base alla deliberazione n. 1 del Garante del 31 marzo 2004 sarebbero sottratti dall'obbligo di notificazione i trattamenti relativi all'utilizzo di marcatori elettronici o di dispositivi analoghi installati oppure memorizzati temporaneamente, e non persistenti, presso l'apparecchiatura terminale di un utente, consistenti nella sola trasmissione di identificativi di sessione in conformità alla disciplina applicabile, all'esclusivo fine di agevolare l'accesso ai contenuti di un sito internet. Da ciò emerge che mentre i cookie di profilazione che permangono nel tempo sono soggetti all'obbligo di notificazione, i cookie che invece hanno finalità diverse e rientrano nella categoria dei cookie tecnici (quali quelli di sessione utilizzati nel sito per trasferire temporaneamente le informazioni tra una schermata e l'altra) non devono essere notificati al Garante.

L'ordine logico impone la previa disamina del secondo motivo del ricorso, che però risulta essere infondato.

La ricorrente reitera le doglianze già avanzate in sede di merito, in ordine alla mancanza di una categorizzazione degli utenti, all'identificazione inequivoca del singolo utente e alla mancata memorizzazione dei dati, tutti elementi necessari ai fini della profilazione, rispetto ai quali il Tribunale avrebbe fornito una motivazione incongrua per pervenire al rigetto dell'opposizione. L'art. 37 del d.lgs. n. 196/2003, comma 1, lett. d), ratione temporis applicabile al caso di specie, prevedeva la necessità della notifica del trattamento al Garante nel caso in cui il trattamento riguardasse "dati trattati con l'ausilio di strumenti elettronici volti a definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, ovvero a monitorare l'utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti". Deve ritenersi che il Tribunale abbia correttamente applicato la norma alla fattispecie concreta, costituita dalla predisposizione da parte della società di offerte personalizzate rispetto alla tariffa ordinaria, sulla base delle informazioni ulteriori e specifiche rilasciate dal cliente con la compilazione di una scheda, calcolate attraverso un algoritmo matematico.

La procedura automatizzata incrociava e analizzava i dati dei clienti, in modo da prevedere l'utilizzo che ciascuno avrebbe fatto dei veicoli e calcolare di conseguenza lo sconto.

In ciò, il giudice di primo grado ha ravvisato i presupposti dell'art. 37 del d.lgs. n. 196/2003: il trattamento con modalità automatizzata di dati personali con il fine di definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, essendo evidente che la personalizzazione dell'offerta di sconto non può che essere una manifestazione della profilazione del cliente, sebbene non risulti individualmente identificato, apparendo il frutto di un'analisi delle abitudini e delle scelte di consumo, al fine di pervenire ad un'offerta commerciale il più possibile ritagliata sulle concrete caratteristiche dell'interessato.

Il Tribunale ha, altresì, escluso la rilevanza della memorizzazione dei dati e della loro associazione con il singolo cliente, essendo già di per sé rilevante l'attività di elaborazione e screening dei dati personali attraverso un algoritmo, al fine di analizzare o prevedere le specifiche esigenze dell'utente fruitore, in vista di un vantaggio economico (e mancando nella norma di legge una previsione espressa che ancori la concreta applicabilità della norma alla previa memorizzazione dei dati personali trattati). Le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di merito sono quindi fondate su una corretta interpretazione della norma di legge. Vero è che lo stesso Garante, come evidenziato dal ricorrente, ha dato delle precisazioni sulle notificazioni relative all'attività di profilazione, con le linee guida del 19/03/2015, nell'ambito della fornitura di servizi on-line accessibili al pubblico attraverso reti di comunicazione elettronica. Deve però ritenersi che una lettura delle richiamate linee guida non consenta di accedere alla conclusione della ricorrente, non potendo peraltro le stesse dettare una definizione di profilazione in contrasto con quanto risulta in maniera vincolante dalla previsione legale, che, come esposto, depone in maniera inequivoca per la riconduzione nella previsione di legge della condotta in concreto posta in essere dalla società.

Quanto all'esame del primo motivo, anche esso è destituito di fondamento.

Richiamando quanto già esposto in merito alla sussistenza del presupposto per la contestazione della violazione dell'art. 37 d.lgs. 196/2003, non si ravvisa alcun profilo di fondatezza del motivo, che non contiene alcuna effettiva denuncia del paradigma dell'art. 2697 c.c., bensì lamenta soltanto un'erronea valutazione di risultanze probatorie.

La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull'onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l'onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell'art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla "valutazione delle prove" (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016). L'interpretazione di questa Corte ha chiarito come l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

La valutazione delle prove, il giudizio sull'attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557). La censura, in definitiva, si risolve nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: ma la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo ad una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell'ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.

Con il terzo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 163 e 164 bis del d.lgs. 196/2003, ratione temporis applicabili, in relazione all'art. 11 della I. 689/1981, ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.

La sentenza del Tribunale sarebbe erronea nella parte in cui, rispetto alla determinazione della sanzione per la mancata notifica dell'attività di profilazione, non ha applicato il minimo edittale e l'ulteriore riduzione per i casi di minore gravità, non tenendo conto di una serie di circostanze:

  • che la società ricorrente all'epoca dei fatti non conosceva l'obbligo di notificazione, avendo appena iniziato l'attività di impresa;

  • che non vi erano elementi specifici di gravità rispetto all'entità del pregiudizio o del pericolo o dell'intensità dell'elemento psicologico o delle modalità concrete della condotta;

  • che dopo la verifica, la società aveva disattivato il sito e abbandonato il meccanismo dello scontatore (ravvedimento operoso che è stato tenuto in considerazione per la determinazione della sola sanzione per l'attività di geolocalizzazione);

  • che la società non aveva posto in essere precedenti violazioni del codice della privacy;

  • che la società era di recente costituzione e non aveva ancora presentato un utile di esercizio.

Con l'ultimo motivo, la società lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 163 e 164 bis ratione temporis applicabili del d.lgs. 196/2003, in relazione all'art. 11 della I. 689/1981, ex art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.

Rispetto alla determinazione della sanzione per l'attività di geolocalizzazione, la sentenza del Tribunale sarebbe erronea nella parte in cui ha negato l'ulteriore riduzione della sanzione per minore gravità, non avendo tenuto conto delle medesime circostanze richiamate nel motivo precedente.

Gli ultimi due motivi, che per la connessione delle questioni proposte possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.

Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente motivato in ordine alle ragioni per cui ha ritenuto congrua la determinazione delle sanzioni inflitte, ritenendo privo del carattere della decisività ai fini che qui interessano, il parametro della minore gravità che avrebbe potuto concorrere alla determinazione del quantum nella misura ulteriormente ridotta.

In tal senso valga il richiamo alla pacifica giurisprudenza di questa Corte, per la quale in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l'entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6778 del 02/04/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9255 del 17/04/2013; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5877 del 24/03/2004; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10976 del 10/12/1996).

La decisione impugnata è in parte qua incensurabile, avendo il Tribunale ampiamente motivato in ordine alle ragioni che hanno portato alla conferma della quantificazione delle sanzioni, dovendosi per l'effetto addivenire al rigetto anche di questi motivi di ricorso. Nulla a disporre quanto alle spese, avendo il Garante resistito solo in vista della partecipazione alla non tenutasi udienza di discussione. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa

26.11.2021 Cassazione
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