Testo aggiornato il 3.5.2012 (v. anche in fondo)
C'era una volta un giovane simpatico e molto seguito su youtube che faceva video divertenti.
Così raccontano le cronache. Che aggiungono: per brani di musica molto corta i video sono stati tolti da youtube.
Basta andare a vedere su youtube e qualche video dell'interessato c'è ancora. Più che divertenti sono ironicamente spinti, non particolarmente volgari ma del tutto allusivi e inidonei a minori. Questo dovrebbe essere il tema.
Invece si parla della violazione del copyright su richiesta della casa discografica e di come questo sia disdicevole.
Da sempre, alla chiusura o sospensione di un contenuto, di un account, di un blog, i commentatori si sono divisi. I più contro ogni chiusura, i meno a favore di una tesi moderata.
La discussione più animata è stata di recente provocata da Vasco, per via di un wiki satirico, nè wiki nè satirico, solo gratuitamente offensivo credendo di far ridere. Consigliati dall'avvocato, i ragazzi si sono fermati dal condurre una battaglia insostenibile.
Da sempre si parla di censura. Tipicamente è quella che proviene dall'alto, anche se in molte occasioni, e report internazionali, si associa alla censura la facoltà di qualsiasi privato con poche ragioni di pretendere la rimozione di un contenuto, pur di disturbare chi li critica. Viene anche utilizzata per parlare del ricorso alla privacy per rimuovere contenuti non graditi.
I punti sono questi: rimozione per richiesta di autorità o di privati, direttamente per vietare la discussione o indirettamente facendo leva su altre norme che permettano di ottenere lo stesso risultato.
Parliamo ora di censura se un gestore di una piattaforma aperta al pubblico e gratuita, o a poco prezzo, sospende un account.
Comportamento di buona fede vorrebbe che alla sospensione segua una comunicazione al titolare dell'account. Talvolta questo non avviene. E' evidente che questo è un problema di esecuzione del contratto in buona fede: sospendo e ti dico perche', e ti permetto di rispondere.
Giusto due giorni fa ho ricevuto da un noto operatore, che non posso nominare per motivi contrattuali, che mi ha sospeso l'esecuzione di un contratto non funzionale ai miei server, asserendo che una url non era raggiungibile. Clamoroso abbaglio. Mi ha avvisato, ma non mi permette di contestare il suo errore.
Ieri invece leggo di un blog su wordpress sospeso senza avvisare l'autore. Non vedo molte differenze.
La mancata informativa, o la mancata possibilità di gestire un banale contrasto, è motivo di risoluzione di contratto o io che subisco il mio asserito torto dovrò semplicemente far sentire la mia voce ?
Ovvio che debba far valere le mie ragioni. Se sono una associazione di consumatori farò una battaglia informativa, di civiltà giuridica, di educazione ai rapporti con i clienti e sulla scelta delle aziende, ma se non sono una associazione di consumatori e parlo del tema in questioni generali, devo valutare la gravità del comportamento incompleto del gestore della piattaforma.
Ho detto incompleto, abusando della lingua. Io non lo ritengo ancora in mala fede. Lo trovo non adeguato. Una azienda che non parla con i propri clienti sbaglia semplicemente. Che questo sia fonte di danni da quantificare mi sembra una forzatura per fare cause.
Attenzione: questo vale se il contratto prevede la sospensione automatica e senza informare, e solo per i servizi offerti gratis. Io sostengo, tesi isolata, che si tratti semplicemente di precario. Gli altri sostengono che si tratti di contratti legati a servizi essenziali ... e tra questi fondano le pretese sulla violazione dei diritti umani, al nome e alla vita sociale degli esseri umani. Non lo condivido.
Ma se li pago ? Il comportamento dovrebbe essere più adeguato solo perchè ci sono dei soldi in mezzo ?
Si', e non lo dico io, ma il codice di procedura civile affermando che per importi bassi il giudizio avviene secondo equita'. La stessa che dobbiamo utilizzare per giudicare questi inadempimenti.
I romani dicevano solo "de minimis non curat lex", ma oggi tutto diventa indispensabile.
Diverso invece se il mio sito è gestito su una piattaforma che mi costa 5000 euro all'anno, che sia garantita da livelli tecnici e giuridici diversi.
Così impostato deriva chiaramente che non tutti i servizi offerti tecnicamente allo stesso modo sono uguali.
E soprattutto, significa che dobbiamo saper scegliere i fornitori dei servizi online.
Sono dieci anni che ripeto che accanto a Youtube bisogna avere un'altra piattaforma, che si paga, con condizioni contrattuali più aperte.
Mi ridono in faccia e affermano il diritto di fare quello che si vuole.
Salvo poi, anche enormi reti di blog, crollare miseramente per la chiusura del canale di youtube, dopo aver cercato per giorni il referente con il quale parlare.
E darmi ragione.
Si tratta semplicemente di scegliere il fornitore per il modo in cui gestisce i rapporti contrattuali.
Una tema a me da sempre caro e che apre ad un modo nuovo di fare impresa, con meno rischi e più efficacia.
Meno rischi, sia ben chiaro. Non senza rischi. Lo stato dell'arte impedisce di avere strumenti perfetti antispam o a difesa del copyright.
Che poi alcune clausole contrattuali possano essere dichiarate nulle, non vi è dubbio.
Ma la controprestazione del servizio offerto, il famoso "quanto costa", vale anche ai fini dei danni per far applicare o meno un giudizio secondo equita'.
Almeno finchè i contratti non miglioreranno tutti perche', parlandone, le persone capiranno che è meglio parlare con un consulente esterno al quale chiedere una consulenza obiettiva sui pro e contro le scelte delle clausole dei disclaimer.
Si chiama concorrenza: ognuno può offrire i servizi alle condizioni che ritiene meglio. Se non ci piacciono le condizioni giuridiche, ma solo quelle tecniche, è solo un nostro rischio: dovremo andare in giudizio e far valere la nullità di una clausola vessatoria.
A meno che, ancora una volta, non si preferisca avere una autorita' [NDR: eh si': c'è la nuova legge sui poteri di agcm sulle clausole vessatorie, nella direzione opposta a quella che auspico] che decida quali clausole sono legali e quali no, rendendole nulle d'imperio. Una volta le Camere di Commercio (ancora oggi, sono ironico), raccoglievano le condizioni nulle e gli usi vincolanti nel silenzio dei contratti. Oggi invece si dà più poteri alle autorità per decidere loro direttamente la disapplicazione.
Ma di questi tempi il ricorso ad autorità con sempre maggiori poteri dei singoli è giustificata dal voler tutelare i piccoli contro le grandi imprese.
Una volta le autorità erano espressioni della plebe, non delle istituzioni. Penso ai tribuni della plebe, tanto per fare un esempio.
Ma questo non è più un commento, ma una valutazione politica e come tale la offro come spunto di riflessione.
Sta di fatto che quando scegliamo un servizio, non possiamo far finta di non leggere le condizioni contrattuali.
Eccetto in un caso: quando le condizioni contrattuali nel loro insieme sono scritte così male e sono così lunghe da rendere impossibile qualsiasi comprensione.
Ma qui è meglio fermarsi, altrimenti dovrei giudicare il lavoro, sbagliato, di alcuni consulenti che pur pagati non sanno scrivere contratti chiari e semplici. Che si debbano aggiungere tante ipotesi assurde per motivi che ben conosciamo è ovvio. Ma bisogna anche organizzare tutti questi aspetti in modo non vessatorio.
Ed in questo senso la privacy by design e i gruppi internazionali sul plain text hanno solo da offrire spunti interessanti per tutti.
Buoni disclaimer a tutti :)
Spataro
Si noti:
Corte di giustizia dell’Unione Europea, sez. I - Sentenza 3 giugno 2010 - Causa C-484/08 "Gli articoli 4, n.2, e 8 della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati in modo tale da consentire l’approvazione di una normativa statale che autorizzi un controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole contrattuali ..."