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Privacy 09.08.2012    Pdf    Appunta    Letti    Post successivo  

Violazione della Privacy e risarcimento del danno: la Cassazione

"se non esiste il nesso di causalita' tra il fatto illecito e l’evento dannoso, tale circostanza vale sia in riferimento al danno patrimoniale che a quello non patrimoniale, come correttamente affermato dal tribunale."
Spataro

 

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C

Cassazione I civile del  28 maggio 2012, n.8451

  RITENUTO IN FATTO

 Con ricorso ex art. 152 del Dlgs 196/03, F..B. chiedeva accertarsi l’illecito trattamento del suoi dati personali  e la violazione del segreto bancario da parte della Alfa spa avvenuto con l’invio della missiva datata  3/5/2006  alla  genitrice  G.I.  la  quale,  in  ragione  della  intervenuta  conoscenza  della  grave  esposizione  debitoria del figlio, avrebbe revocato la decisione di donargli l’immobile sito in (OMISSIS);
chiedeva pertanto il risarcimento del danno patrimoniale (pari al valore di mercato dell’immobile di via  (OMISSIS) ) e non patrimoniale.
Si costituiva in giudizio la resistente che contestava la domanda.
Con  sentenza  n.  20880  del  13  ottobre  2009,  depositata  in  cancelleria  il  14  ottobre  2009,  il  Tribunale  di  Roma respingeva la domanda di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente alla  illegittima comunicazione della Alfa spa intervenuta in data 3/5/06 e condannava parte ricorrente al  pagamento delle spese di giudizio.
Avverso  detta  sentenza  ricorre  per  cassazione  il  B.  sulla  base  di  tre  motivi  cui  resiste  con  controricorso  l’beta Finance.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 Il ricorrente con il primo motivo di ricorso sostiene, deducendo il vizio di violazione di legge, che, risultando  provato  il  comportamento  illecito  della  banca,  era  onere  di  questa,  in  osservanza dell’art. 15 della legge  sulla privacy, che richiama l’art. 2050 c.c., fornire la prova che non si era verificato alcun danno in capo ad  esso ricorrente, dovendo il danno stesso considerarsi in re ipsa.
Con  il  secondo  motivo  sostiene,  deducendo  un  vizio motivazionale,  che  erroneamente  il  tribunale  ha  ritenuto  che  il  danno  patrimoniale  non  risultava  provato  in  ragione  del  fatto  che  non  poteva  ascriversi  la  mancata stipula dell’atto di donazione al comportamento della banca ed avendo altresì escluso per le  stesse ragioni l’esistenza del danno non patrimoniale.
Con  il  terzo  motivo  lamenta  che  la  sentenza  impugnata  non  abbia  preso  in  esame,  omettendo  ogni  motivazione, la domanda di risarcimento del danno per violazione del segreto bancario.
Con  il  quarto motivo deduce l’omessa motivazione in riferimento alla domanda di risarcimento del danno  per violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso non rinvenendosi in atti procura speciale  alle liti, risultando depositata solo lì una procura generale.
Il primo motivo del ricorso è infondato e per certi versi inammissibile.
Il tribunale ha osservato, sulla base di una valutazione attenta delle risultanze processuali, che in realtà la  mancata stipulazione della donazione dell’appartamento da parte della madre del ricorrente in favore di  questi  non  risultava  provato  che  fosse  dovuta  alla  comunicazione  da  parte  della  banca  della  situazione  debitoria  del  figlio  bensi'  fosse  attribuibile  alla mancanza di convinzione della genitrice a stipulare l’atto  risultante già in epoca antecedente alla comunicazione dei dati da parte della banca.
In  altri  termini  la  sentenza  impugnata  ha  rilevato  la  mancanza  di  prova  da  parte  del  ricorrente  della  esistenza di un nesso di causalità tra la predetta comunicazione e la decisione della madre di non dar corso  alla donazione dell’immobile.
Tale argomentazione è corretta in punto di diritto.
Va ricordato, come premessa che l’art. 15, comma primo, del d.lgs. n. 196  del  2003  espressamente  stabilisce che ‘Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al  risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile’.
In  applicazione  dei  criteri  stabiliti  dal  citato  articolo  2050 del  codice  civile  in  tema  di  responsabilita'  per  esercizio  di  attivita'  pericolosa,  questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  la  presunzione  di  colpa  a  carico del danneggiante posta dall’art. 2050 cod. civ. presuppone il previo accertamento dell’esistenza del  nesso eziologico – la cui prova incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non  potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che  non è ad esso in alcun modo riconducibile. Sotto il diverso profilo della colpa, incombe invece sull’esercente  l’attività pericolosa l’onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire il danno (Cass.5080/06; Cass. 19449/08; Cass. 4792/01; Cass. 12307/98).
    Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione in punto di diritto non colgono nel segno.
Nel caso di specie non rileva infatti l’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 2050 c.c., secondo  cui chi cagiona un danno nell’esercizio di una attività pericolosa è tenuto a risarcire i danni se non prova di  avere  adottato  tutte  le  misure  necessarie  a  risarcire  il  danno,  poiche'  non  e'  stato  su  tale  elemento  che  il  Tribunale  ha  fondato  la  propria  decisione,  ma,  come  detto,  sulla  mancanza  di  nesso  di  causalità tra  il  comportamento illecito e l’evento dannoso, in relazione al quale non si rinviene alcuna esplicita censura in  punto di diritto.
Per  lo  stesso  motivo  e'  del  tutto  priva  di  rilevanza  la  censura  che  si  riferisce  alla  esistenza  del  danno  in  re  ipsa, non essendosi anche in tal caso il Tribunale pronunciato in alcun modo sulla inesistenza del danno ne'  sulla prova del suo ammontare.
Anche  il  secondo  motivo,  con  cui,  in  particolare,  il  ricorrente  censura  sotto  il  profilo  motivazionale  la  ritenuta  insussistenza del  nesso  di  causalita'  tra  la  comunicazione  della  banca  e  la  mancata  stipula  della  donazione, è inammissibile.
Il Tribunale, come già rilevato, ha ritenuto l’insussistenza del predetto nesso sulla base di una valutazione  attenta delle risultanze processuali, In particolare, ha accertato la mancanza di convinzione della genitrice a  stipulare l’atto risultante già in epoca antecedente alla comunicazione dei dati da parte della banca.
A  tale  proposito  il  Tribunale  ha  acclarato,  tramite  la  deposizione  del commercialista  della  madre  del  ricorrente e la lettera inviata dal primo a quest’ultima in data 14.3.2006, che, a fronte della urgenza di  stipulare l’atto prima delle elezioni politiche dell’aprile 2006, a seguito delle quali sarebbe stato prevedibile  che le  donazioni  tra  genitori  e  figli  sarebbero  state  sottoposte  nuovamente  a  tassazione,  ed  alla  data  gia'  fissata  per  la  stipula  innanzi  al  notaio,  la  signora  G.  aveva  ritenuto  di  non  dar  corso  alla  vicenda.  Da  tale  circostanza ha desunto che quest’ultima non  aveva  maturato  alcuna  decisione  in  proposito  onde  non  poteva ritenersi che la comunicazione della banca della situazione debitoria del figlio l’avesse dissuasa da  una decisione ormai presa.
Trattasi  di  una  valutazione  in  punto  di  fatto  logicamente  argomentata  e  basata  su  elementi  obiettivi  di  giudizio acquisiti dall’attività istruttoria e come tale non censurabile in sede di legittimita'.
Il ricorrente censura tale motivazione affermando che la stessa era basata su un esame parziale degli atti e  che da una valutazione completa degli stessi, e, in particolare, delle lettere della signora G. del 6 settembre  2006 e del 18 agosto 2007 nonchè dalle sue stesse dichiarazioni, sarebbe emerso con tutta chiarezza che in  realtà fu proprio la comunicazione della Banca a far cambiare idea alla signora G. .
Sul punto è appena il caso di rammentare che l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il  giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte, ne1 che egli debba prendere in esame,  al fine  di  confutarle  o  condividerle,  tutte  le  argomentazioni  da  questa  svolte.  È,  infatti,  sufficiente  che  il  giudice dell’impugnazione esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della  decisione  e  le  ragioni  del  suo  convincimento,  cosi'  da  doversi  ritenere  implicitamente  rigettate  tutte  le  argomentazioni  incompatibili  con  esse  e  disattesi,  per  implicito,  i  rilievi  e  le  tesi  i  quali,  se  pure  non  espressamente esaminati, siano incompatibili con la conclusione affermata e con l’iter argomentativo  svolto  per  affermarla  (Cass.,  n.  696  del  2002;  n.  10569  del  2001;  n.  13342  del  1999);  e'  cioe'  sufficiente  il  riferimento  alle  ragioni  in  fatto  ed  in  diritto  ritenute  idonee  a  giustificare  la  soluzione  adottata,  (Cass.  n.
9670 del 2003; n. 2078 del 1998).
Nel  caso  di  specie  pertanto,  il  tribunale  ha  correttamente  selezionato  gli  elementi  ritenuti  rilevanti  ai  fini  del decidere ed in base ad essi ha argomentato la propria decisione.
Le  censure  che  il  ricorrente  propone  a  tale  motivazione  tendono  in  realta'  a  sollecitare,  contra  ius  e  cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita', un nuovo giudizio di merito, in contrasto  con  il  fermo  principio  di  questa  Corte  secondo  cui  il  giudizio  di  legittimita'  non  e'  un  giudizio  di  merito  nel  quale  possano  sottoporsi  alla  attenzione  dei  giudici  della  Corte  di  Cassazione  elementi  di  fatto  gia'  considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass.n, 12984 del 2006; Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Resta da dire della censura relativa al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale.
Tale  censura  e'  infondata  e  per  certi  versi  inammissibile  in  base  alle  stesse  argomentazioni  espresse  nell’esame del primo motivo del ricorso.
    È  infatti  evidente  che, se non esiste il nesso di causalità tra il fatto illecito e l’evento dannoso, tale  circostanza  vale  sia  in  riferimento  al  danno  patrimoniale  che  a  quello  non  patrimoniale,  come  correttamente affermato dal tribunale.
In  tal  senso  le  censure  del  ricorrente  non  colgono  la  citata  ratio  decidendi,  limitandosi  ad  affermare  la  sussistenza di elementi comprovanti il danno non patrimoniale.
Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili.
La sentenza impugnata non fa alcun cenno a domande di risarcimento per violazione del segreto bancario o  per violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.
Era pertanto onere del ricorrente riportare nel ricorso i brani dell’atto introduttivo del giudizio contenenti  le domande in questione. In assenza di ciò i motivi risultano a questa Corte del tutto nuovi e come tali non  possono avere ingresso in questo giudizio di legittimita'.
Il ricorso va in conclusione respinto.
Nulla per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

09.08.2012 Spataro



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