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Taggare

Dare un senso maggiore ad un contenuto

Il termine tag e' stato usato da tanto tempo per etichettare dei contenuti.

A volte si diceva categoria, a volte tag, a volte settore, area. Era una categorizzazione fatta da un gestore, solitamente, da chi organizzava il servizio o la banca dati.

Con Twitter gli utenti hanno spontaneamente adottato lo standard del cancelletto per sottolineare una parola.

Io ad esempio uso: "Microsoft ripropone la #crittografia omomorfica".

Evidenzio crittografia perche' penso sia un argomento cercato da tanti. Usando il cancelletto infatti la parola diventa cliccabile e ricercabile  (su twitter, dove e' nata, ma anche altrove). Non lo faccio per omomorfica per non aggiungere troppi cancelletti (considerato spam) e perche' e' un termine decisamente di nicchia, non di pubblico interesse.

In Facebook taggare significa invece attaccare un commento, un evento, un nome di persone ad una foto (non solo questo, ma soprattutto). La foto quindi prende maggiore significato. Facebook consente questo con strumenti specifici che quindi possono essere "moderati" dalla persona taggata nella foto scattata da altri. E' una interessante gestione della privacy prevista in forma strutturale.

Citare una persona da un tweet o da facebook usando @ non e' taggare. E' solo uno scrivere a qualcuno.

Nel settore pubblicitario taggare invece e' l'anticamera della profilazione. A differenza dei due precedenti pero' l'attivita' viene svolta secondo criteri previsti dagli algoritmi, tramite decisioni a monti di ogni azienda. Non e', di solito anche se potrebbe essere, una attivita' del singolo che tagga, quanto dell'azienda di marketing che cerca di categorizzare tutti i clienti.

In questo sicuramente c'e' un aspetto che l'attuale definizione di profilazione (descritta da provvedimenti, ma mancante negli aspetti costitutivi) dimentica. Singoli che si taggano sono intelligenza collettiva. Aziende che taggano chiunque fanno profilazione.

I tag possono essere offensivi. Ricordo persone offese perche' taggate indicando la foto fatta in certi eventi (anche pubblici) o per termini usati. Di solito i tag si possono rimuovere, magari insieme anche ai contenuti postati.

Dei tag viene fatta una analisi per indicare quali sono i piu' trend del momento: c'e' chi studia l'algoritmo del momento per far emergere l'hashtag e proporlo tra i top, cosa che sembra essere riconosciuta come "aver ottenuto successo" perche' tutti ne parlano.

Insomma, dietro ad un cancelletto si e' sviluppato un modo di pensare.

Ricordo che anni fa stroncai una discussione giuridica che voleva vietare hashtag di marchi. L'uso dei tag e' sicuramente vicino alla liberta' di espressione delle parole, a condizione di non sfruttarle parassitariamente. Insomma, basta usare le attuali regole, non terrorizzare. Certo lo sfruttamento dei marchi altrui e' un problema su internet se non e' voluto dallo stesso gestore, ma dipende da come si voglia gestire la comunicazione aziendale.

Sotto il profilo dei tag volontari nella pubblicita' sembra che non funzionino, eccetto quelli di Facebook che permette di rimuovere la pubblicita' inviata e non gradita, chiedendo anche perche'. E' una funzione utile, sicuramente usata anche per definire meglio gli interessi dell'utente ed evitare quel bombardamento che Google ormai ci ha abituato.

Spataro

20.11.2015 https://



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    A volte si diceva categoria, a volte tag, a volte settore, area. Era una categorizzazione fatta da un gestore, solitamente, da chi organizzava il servizio o la banca dati.

    Con Twitter gli utenti hanno spontaneamente adottato lo standard del cancelletto per sottolineare una parola.

    Io ad esempio uso: "Microsoft ripropone la #crittografia omomorfica".

    Evidenzio crittografia perche' penso sia un argomento cercato da tanti. Usando il cancelletto infatti la parola diventa cliccabile e ricercabile  (su twitter, dove e' nata, ma anche altrove). Non lo faccio per omomorfica per non aggiungere troppi cancelletti (considerato spam) e perche' e' un termine decisamente di nicchia, non di pubblico interesse.

    In Facebook taggare significa invece attaccare un commento, un evento, un nome di persone ad una foto (non solo questo, ma soprattutto). La foto quindi prende maggiore significato. Facebook consente questo con strumenti specifici che quindi possono essere "moderati" dalla persona taggata nella foto scattata da altri. E' una interessante gestione della privacy prevista in forma strutturale.

    Citare una persona da un tweet o da facebook usando @ non e' taggare. E' solo uno scrivere a qualcuno.

    Nel settore pubblicitario taggare invece e' l'anticamera della profilazione. A differenza dei due precedenti pero' l'attivita' viene svolta secondo criteri previsti dagli algoritmi, tramite decisioni a monti di ogni azienda. Non e', di solito anche se potrebbe essere, una attivita' del singolo che tagga, quanto dell'azienda di marketing che cerca di categorizzare tutti i clienti.

    In questo sicuramente c'e' un aspetto che l'attuale definizione di profilazione (descritta da provvedimenti, ma mancante negli aspetti costitutivi) dimentica. Singoli che si taggano sono intelligenza collettiva. Aziende che taggano chiunque fanno profilazione.

    I tag possono essere offensivi. Ricordo persone offese perche' taggate indicando la foto fatta in certi eventi (anche pubblici) o per termini usati. Di solito i tag si possono rimuovere, magari insieme anche ai contenuti postati.

    Dei tag viene fatta una analisi per indicare quali sono i piu' trend del momento: c'e' chi studia l'algoritmo del momento per far emergere l'hashtag e proporlo tra i top, cosa che sembra essere riconosciuta come "aver ottenuto successo" perche' tutti ne parlano.

    Insomma, dietro ad un cancelletto si e' sviluppato un modo di pensare.

    Ricordo che anni fa stroncai una discussione giuridica che voleva vietare hashtag di marchi. L'uso dei tag e' sicuramente vicino alla liberta' di espressione delle parole, a condizione di non sfruttarle parassitariamente. Insomma, basta usare le attuali regole, non terrorizzare. Certo lo sfruttamento dei marchi altrui e' un problema su internet se non e' voluto dallo stesso gestore, ma dipende da come si voglia gestire la comunicazione aziendale.

    Sotto il profilo dei tag volontari nella pubblicita' sembra che non funzionino, eccetto quelli di Facebook che permette di rimuovere la pubblicita' inviata e non gradita, chiedendo anche perche'. E' una funzione utile, sicuramente usata anche per definire meglio gli interessi dell'utente ed evitare quel bombardamento che Google ormai ci ha abituato.

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