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"Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi." - Galileo Galilei



Italicum    

Gli aspetti antidemocratici della riforma elettorale: Chiti (PD)

Neretti a cura di Spataro per agevolare la lettura
28.01.2015 - pag. 91095 print in pdf print on web

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Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 385 del 27/01/2015

Testo integrale della dichiarazione di voto in dissenso del senatore Chiti sui disegni di legge nn. 1385 e 1449

Per la seconda volta in pochi mesi, in una stessa legislatura, devo annunciare un voto in dissenso dal gruppo parlamentare del quale faccio parte: non parteciperò alla votazione finale sulla legge elettorale.

È una scelta non facile, tanto più per chi ha una formazione ed una esperienza politica come la mia, vissuta all'interno di un partito; per chi resta convinto del valore non semplicemente fondamentale, ma insostituibile del sistema dei partiti per la continuità della vita di una democrazia parlamentare.

Tuttavia, sulla vicenda della legge elettorale si sono compiute ancora una volta - era avvenuto anche nel corso della riforma costituzionale - forzature di metodo per me inaccettabili, dal momento che il fine non può sempre essere invocato a giustificare mezzi che ridimensionano la facoltà del Parlamento, e dei singoli senatori, di intervenire, discutere e votare i singoli aspetti di un disegno di legge.

Non è necessario avere sensibilità profetiche per avvertire che prima o poi - e il mio timore è che avverrà abbastanza presto - questa incredibile leggerezza sulle regole, questa perdita collettiva di senso critico, della prudenza e della misura, presenterà conti pesanti e lo farà alle forze democratiche, in primo luogo a quelle della sinistra.

Ordini del giorno che diventano emendamenti preclusivi del confronto, dell'approfondimento e della decisione sulle varie opzioni presenti in una legge elettorale, non hanno precedenti nella storia del Senato: non li vivo come il prodotto di un'astuzia ingegnosa, bensì come una limitazione alla funzione del Parlamento. Altrettanto trovo incomprensibile la consueta aggiunta del contingentamento dei tempi non più eccezione ma regola: dove sta l'urgenza che lo giustifica? Se la legge elettorale fosse stata definitivamente approvata il 28 gennaio oppure il 4 febbraio quale danno sarebbe venuto alla nazione italiana o alle nostre relazioni internazionali? Nessuno.

Le forzature dei regolamenti non giovano al prestigio del Parlamento, della stessa democrazia, neppure quando abbiano l'avallo di forza progressiste. Anzi questo tipo di comportamenti produce ancor più nei cittadini disaffezione e sfiducia.

Questo è il primo aspetto che mi spinge a non partecipare al voto, come una forma di critica, che, se non sollevassi, sentirei come un venir meno ad un mio dovere.

Non sottovaluto l'irresponsabilità di decine di migliaia di emendamenti: l'ho apertamente denunciata.

Non sopporto, neppure per carattere, quella che a me appare spesso come una sorta di "goliardia istituzionale": ma va battuta con la politica - ed è possibile - non con forzature che, assumendola come una comoda sponda, limitano poi il ruolo dei parlamentari.

Il secondo rilievo riguarda il merito.

Do atto che il testo del Senato è migliorato rispetto alla legge votata alla Camera: per l'unica soglia del 3 per cento, come condizione per entrare in Parlamento; per quella del 40 per cento alla lista per accedere al premio di maggioranza, senza dover ricorrere ad un secondo turno di ballottaggio; per la garanzia volta ad assicurare un più giusto equilibrio di genere. Riconoscerlo corrisponde ad un atto di verità e dovrebbe - ma non ne sono certo - richiamare l'attenzione di ognuno sul fatto che le critiche, le sollecitazioni non sono automaticamente un freno alle riforme, un ostacolo per far dispetti: rappresentano contributi da valutare, per migliorare e rendere più coerente un disegno di rinnovamento della democrazia.

Aggiungo che se non ci fosse stato chi si batteva e avanzava critiche oggi le risposte più avanzate che tutti salutano, anche chi mai le aveva pubblicamente richieste, non ci sarebbero state.

Per me resta nella legge elettorale un deficit rilevante che, per la lettura complessiva che ne faccio, condizionano i suoi esiti, e non solo a breve termine: riguarda le modalità con cui sono eletti i deputati, attraverso cui si esprime la sovranità del popolo, la partecipazione dei cittadini, senza la quale una democrazia viene - consapevolmente o meno - scalzata dai suoi più robusti fondamenti.

Né mi si dica che questa valutazione è frutto di astratta indisponibilità, di una vecchia intransigenza ideologica.

Sì, lo riconosco, non mi è facile avere la flessibilità di una destra che predica l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e vota per escludere i cittadini dalla scelta trasparente dei senatori e poi della stessa maggioranza dei deputati.

Ma io, ed altri colleghi, abbiamo accolto responsabilmente varie mediazioni: rinuncia ai collegi uninominali e al doppio turno di collegio; accettazione delle preferenze; non irrigidimento su una percentuale - 80, 75, 70 per cento - purché fosse assicurato nella legge che una maggioranza di deputati verrà scelta direttamente dai cittadini.

Così non è. Ha prevalso il veto di Forza Italia che ha soprattutto a cuore le liste bloccate: più che di vincere le elezioni, l'obiettivo di un numero di deputati nominati.

Rispetto le opinioni, ma non condivido né sono disponibile a questo che a me appare un cedimento.

Mi va bene, sul serio, il coinvolgimento nelle riforme di Forza Italia: non invece un rapporto, nei fatti, pressoché esclusivo, né il riconoscimento di un diritto di veto.

A Province che ci sono, ma non sono elette direttamente dai cittadini; al Senato che ci sarà, ma verrà designato dai Consigli regionali non solo con procedure di secondo grado, soprattutto non attraverso una automaticità bensì per la via di una varietà di trattative si accompagnerà una legge elettorale che non stabilisce «prima» quanti deputati saranno scelti in modo diretto dai cittadini, ma si scoprirà ad elezioni avvenute. Unica certezza è che non saranno una maggioranza!

È un esito che non posso né voglio condividere. Non posso dare con il mio voto il via libera a questa legge, che ha in sé questo grande deficit.

La sovranità dei cittadini in democrazia è affidata alle Costituzioni, alle regole elettorali, alle leggi, non all'arbitrio, alle convenienze o alla mutevole disponibilità dei partiti - mi riferisco alle pluricandidature, rimedio, si fa per dire, peggiore del male - neppure là dove essi abbiano ruoli ed insediamenti ben più consistenti di quanto oggi purtroppo offra il sistema politico italiano.

Da qui il dissenso anche di merito.

Ho un rincrescimento: quello che non si avverta all'interno del Gruppo, del partito, della maggioranza di governo, nei quali mi ritrovo, una uguale preoccupazione e non si sia perciò operato con convinzione per garantire in modo trasparente il diritto dei cittadini a scegliere direttamente i propri rappresentanti nelle istituzioni.

Qualche collega mi dice: forse hai ragione, ma così si creano difficoltà al Governo. È stato detto anche nel dibattito, in modo pubblico, motivando anche così talora la peculiarità tutta nostra di emendamenti che si firmano, ma non si votano.

No, il Governo non può essere chiamato in causa per giustificare e coprire le nostre ambiguità, o le incertezze: su leggi costituzionali e leggi elettorali il primato è del Parlamento.

È così ovunque e da sempre: è un punto cardine della vita democratica.

Dunque non è in gioco la fiducia al Governo, ma quella relativa al merito, alle proposte di rinnovamento della democrazia, allo spazio che ci assumiamo la responsabilità di riconoscere alla sovranità dei cittadini, perché noi li rappresentiamo, non siamo i sovrani che concedono benevoli qualche diritto.

Pensiamo davvero che sia possibile alla lunga una democrazia rappresentativa senza un robusto e plurale sistema dei partiti, al tempo stesso senza uno slancio di fiducia e partecipazione dei cittadini? Per me non è così.

Da qui la mia differenziazione dal Gruppo del Pd e la non partecipazione al voto.

So che non è una scelta banale, né viene presa a cuor leggero.

Che vi si risponda con personale cortesia come fanno i più, pur nel dissenso, oppure con inviti un pò grevi, ma che almeno hanno il pregio di essere pubblici, a farsi sostanzialmente da parte, un problema politico emerge e va oltre le stesse regole che consentono, su questi temi, una libertà di coscienza ed un'assunzione aperta delle proprie responsabilità. È un problema che riguarda il rapporto tra coerenza con ciò che per noi è un valore irrinunciabile, comportamenti che ne discendono, condivisione di decisioni e di azioni con la comunità politica di cui si è parte. Se è solo un problema di ordine personale, allora è sufficiente, quando un disagio si rinnova, procedere ad una riflessione rigorosa sul senso del proprio impegno, sul significato del proprio ruolo.

Anche perché non potendo nessuno di noi - certo non io - presumere di avere in tasca la verità assoluta ma semplicemente valori che ritiene fondamentali, si devono mettere a fuoco i propri limiti, le proprie convinzioni, le compatibilità per ognuno ragionevoli e sostenibili. Insomma ciò che dà senso vero ad un impegno, ad una funzione.

Non si tratta - lo ripeto - di assumere come dogma l'avere ragione, sempre: si tratta di sapere dove siano, se ci sono, orizzonti e confini da sentire come comuni; se si preservi una identità, una caratterizzazione autonoma che, al di là delle convergenze istituzionali, ci distingua dalle componenti di destra.

Non c'è dunque - ve lo assicuro - bisogno di essere tirati per la giacca: questa riflessione è presente, mi accompagna ogni giorno.

Se invece il problema è anche più generale, politico in senso pieno, allora è necessario, per cercare di risolverlo, iniziare con il vederlo, riconoscerlo, non sottovalutarlo e metterlo sotto il tappeto, come si fa con la polvere.

Questo atteggiamento non servirebbe a niente e a nessuno.

O meglio: forse ad un pò di conformismo e di finto quieto vivere. Ma non è così che va avanti la politica e neanche la vita. Grazie.

Senatore Chiti - dichiarazione di voto - PD


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