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"La guerra è il più grande delitto autorizzato" - Alberto Sordi



Franchising    

Franchising: abuso di dipendenza economica e subfornitura

TRIBUNALE DI CATANIA; ordinanza, 05-01-2004; Giud. Sciacca; Soc. ... System c. Soc. Beta ... Italia.
27.11.2007 - pag. 50587 print in pdf print on web


Osserva.
Osserva.


Assume l’odierna ricorrente:


di essere proprietaria di un impianto industriale tecnologicamente avanzatissimo, attraverso cui produce membrana cava ...e;


che tale membrana è un componente indispensabile per la realizzazione di filtri per l’esecuzione di emodialisi;


che quale materia prima essenziale per la produzione della membrana cava utilizza l’acetato di cellulosa, avente specifiche caratteristiche di viscosità;


che tale materia prima, sin dall’avvio dell’impianto, avvenuto nel luglio 2002, è stata acquistata dalla Beta ... Italia s.r.l., con sede in Sant’Albano Stura (CN), partecipata dalla multinazionale statunitense Beta ... Company;


che, specificatamente il principale produttore mondiale di acetato di cellulosa è la Beta ... Company con sede a Kingsport, Stato del Tennessee, che distribuisce in Italia il prodotto attraverso la Beta ... Italia s.r.l. e che, relativamente al territorio italiano, non risultano esistere altri produttori certificati di acetato di cellulosa con caratteristiche idonee alla sua utilizzazione come materia prima per la realizzazione di membrana cava ...e;


che conseguentemente la ... System s.r.l. è, di fatto, costretta ad approvvigionarsi presso la Beta ... Italia s.r.l.;


che, a riprova di tale circostanza, essa stessa, pur avendo lamentato alcuni difetti in termini di non esatta corrispondenza del prodotto ricevuto nel luglio 2002 alle specifiche caratteristiche di viscosità richieste, difetti che hanno causato il frequente fermo della produzione dello stabilimento, è stata costretta, dopo avere manifestato alla fornitrice i problemi verificatisi, a rivolgersi nuovamente alla Beta ... Italia s.r.l. per ordinare una nuova fornitura di acetato di cellulosa, altrimenti trovandosi esposta al rischio dell’impossibilità di continuare a svolgere la propria attività industriale;


che, nonostante ciò, l’ordine della ... System trasmesso in data 15 aprile 2003, allorquando le scorte erano in via di esaurimento ed avente ad oggetto la fornitura di 13.329,96 Kg di acetato di cellulosa al prezzo di $ 5,1/Kg, è rimasto inevaso da parte della Beta ... Italia s.r.l., avendo la società fornitrice:


dapprima, subordinato la consegna della merce alla circostanza che una società svizzera partecipata da uno dei soci della ... System eseguisse il pagamento di alcune fatture scoperte;


poi, contestato la sussistenza dei difetti del prodotto precedentemente consegnato e denunciati dalla odierna ricorrente;


quindi ha richiesto una previa rinuncia a qualsiasi pretesa della ... System per i vizi lamentati, subordinando a tale rinuncia le ulteriori consegne;


infine, pur consapevole della circostanza che senza l’acetato di cellulosa gli impianti della ... System sarebbero rimasti fermi, ha sostanzialmente rifiutato, manifestando esplicitamente detto rifiuto nel corso di una conferenza telefonica, di dar corso alla richiesta di fornitura.

Rileva quindi come appaia chiaro che, così comportandosi, la Beta ... Italia, abbia sfruttato indebitamente la posizione di evidente dipendenza economica nei suoi confronti della ... System s.r.l., costretta a rivolgersi a detta società per approviggionarsi di un componente essenziale per il proprio processo produttivo, tentando di imporre condizioni inique (come subordinare l’esecuzione di ulteriori forniture al pagamento di debiti di terzi o alla rinuncia ad azioni derivanti da difetti dei prodotti) e, infine, consapevole di causare così il fermo della produzione della ... System, rifiutandosi di eseguire l’ordine di acquisto ricevuto.

Il comportamento posto in essere dalla Beta ... Italia integra, dunque, sempre ad avviso dell’odierno ricorrente, gli estremi dell’abuso di dipendenza economica vietato dall’art. 9 l. 192/98 sulla subfornitura, come modificato dall’art. 11 l. 57/01, anche tenuto conto della sostanziale impossibilità per la ... System s.r.l. di reperire altrimenti il prodotto in questione.

Rileva quindi come l’illegittimità del comportamento della Beta ... Italia s.r.l. costringa essa ... System s.r.l. ad un’azione di merito volta all’accertamento della violazione del divieto di abuso di posizione dominante e comunque della violazione del principio di buona fede nel rapporto commerciale intercorso, con conseguente inibizione della prosecuzione del comportamento abusivo e risarcimento dei gravissimi danni subiti in seguito al fermo della produzione causato dalla mancata fornitura dell’acetato di cellulosa, nonché in seguito alla necessità di ricercare, se possibile e con prevedibili maggiori oneri, un diverso fornitore, con esigenza di esami di laboratorio sul nuovo prodotto inerenti la biocompatibilità, esami che comporterebbero un ritardo nel riavvio della produzione di parecchi mesi.

Rileva, infine, sotto il profilo del periculum in mora che, nel tempo occorrente alla tutela in via ordinaria dei diritti della ... System, vi sia il pericolo assolutamente imminente che si verifichino danni irreparabili, costituiti in primo luogo dal blocco totale della produzione dello stabilimento per l’esaurimento del componente essenziale acetato di cellulosa. Blocco il quale comporterebbe, tra l’altro, l’impossibilità per la ... System s.r.l. di onorare le commesse ricevute, con ogni evidente ricaduta in termini di sua responsabilità, nonché il rischio concreto, anche in considerazione degli impegni finanziari assunti dalla società ricorrente, che l’attività non possa più riprendere e che risulti in pericolo la stessa sopravvivenza di una realtà imprenditoriale che conta ben cinquanta dipendenti.

Costituendosi in giudizio, la società resistente ha, in primo luogo, dedotto l’incompetenza territoriale del giudice adìto, rilevando come, trattandosi con ogni evidenza di azione extracontrattuale fondata sull’illegittimità del rifiuto di concludere un contratto, per essere «foro competente per l’azione ordinaria, quindi per l’azione cautelare, è quello di cui all’art. 19 c.p.c.» e che «Il foro in cui la convenuta ha sede e stabilimento e che pertanto è competente ex art. 19 c.p.c. è quello del Tribunale di Mondovì, sotto la Corte d’appello di Torino».


Deduce poi nel merito
Deduce poi nel merito:


di essere mera rivenditrice dell’acetato di cellulosa che essa non produce, bensì semplicemente acquista per rivenderlo da una società statunitense;


che l’acetato di cellulosa che Beta è in grado di reperire ed acquistare negli Stati uniti dalla società di cui è distributrice, e di rivendere in Italia, è un prodotto con caratteristiche specifiche standard, che presenta viscosità oscillante tra 21 e 41;


che nel maggio 2002, dalla propria consociata Beta ... B.V., rimbalza ad Beta in Sant’Albano Stura un ordine della ... System indirizzato alla consociata per un acetato di cellulosa con specifiche diverse da quelle del prodotto che Beta è in grado di fornire;


che Beta provvede poi alla fornitura del proprio prodotto, previo accordo sulle sue caratteristiche con l’odierna ricorrente, con fattura 30 giugno 2002, recante scadenza del pagamento al 31 agosto 2002;


che ... System accetta la fornitura;


che purtuttavia essa ricorrente omette di pagare nel termine stabilito, decidendosi infine all’adempimento solo in data 14 marzo 2003 ad oltre sei mesi rispetto alla scadenza pattuita;


che detta fornitura costituisce l’unico, sporadico «e non fortunato (almeno per il venditore)» rapporto commerciale intercorso tra Beta e ... System;


che la data del pagamento di ... System (14 marzo 2003) rivela che il pagamento è stato effettuato appositamente per aprire la via all’ordine 15 aprile 2003, ordine che infatti viene trasmesso non appena verificabile in Italia il pagamento del 14 marzo 2003 appoggiato su banca di Londra;


che purtuttavia l’ordine 15 aprile 2003 ripropone però specifiche di viscosità (tra 25 e 30) diverse da quelle del prodotto che Beta sarebbe in grado di fornire, non avendo Beta tra i prodotti in vendita un acetato di cellulosa con viscosità oscillante solo tra 25 e 30;


che conseguentemente la proposta ed accettazione, siccome non conformi, non possono portare alla conclusione di alcun contratto, ex art. 1326 c.c.;


che nelle trattative intercorse a quattro voci tra le consociate Beta e Beta ... Company e le consociate ... System ed Helbio (come dimostrano i documenti in inglese della ricorrente) si è trattato del suddetto problema principale della corrispondenza tra richiesta ed offerta, nonché della distinta questione dei termini di pagamento, di fronte ad un cattivo pagatore, quale ... System, e del pagamento complessivo del gruppo societario, debitamente considerando che «proprio ... System aveva sospeso i pagamenti, insieme alla propria consociata Helbio, ed insieme ad essa si è mossa nella trattativa».

Tanto premesso in punto di fatto, rileva:


come «da un singolo rapporto commerciale, in cui la ricorrente ha fatto sospirare il pagamento per oltre sei mesi dopo la scadenza pattuita, nessun affidamento è ingenerato o ingenerabile nella ricorrente. Nessuna conseguente violazione di principî di buona fede è ravvisabile a carico di Beta, se essa, in tutta buona fede come ha ogni ragione di fare, guarda ... System diciamo con un minimo di diffidenza, chiede garanzie di essere pagata e vuole che gli accordi siano scritti e chiari» e che «non è dunque Beta ad aver tenuto un comportamento arbitrario, ingiustificato, abusivo»;


che comunque la ricorrente non ha dimostrato l’irreperibilità altrove del bene che cerca o la posizione dominante di Beta;


che nel caso di specie non si versa nella fattispecie della subfornitura, giacché Beta semplicemente rivende sul mercato italiano prodotti che acquista da una società statunitense e che l’art. 9 l. 18 giugno 1998 n. 192 non avrebbe portata generale;


che nessuna dimostrazione l’odierno ricorrente avrebbe fornito del periculum in mora.


Diritto.
Diritto.


Tanto premesso, ritiene il giudicante che il ricorso vada rigettato per difetto del periculum in mora e del fumus boni iuris.

Incompetenza territoriale. Preliminarmente va esaminata e disattesa l’eccezione in punto di rito relativa all’incompetenza territoriale del tribunale adìto.

Ed invero, rilevato che la ricorrente lamenta l’abuso di dipendenza economica da parte della società resistente e il relativo abuso di posizione dominante che questa esercita nei suoi confronti, abuso in ultima analisi concretatosi nel rifiuto di fornitura di un certo quantitativo di acetato di cellulosa necessario al proprio processo produttivo, non v’è dubbio che ci si trovi di fronte all’allegazione di fatti costituenti illecito extracontrattuale per il quale vigono i fori alternativi degli art. 19 e 20 c.p.c. e in particolare il luogo di asserita commissione dell’illecito, coincidente per parte ricorrente nel luogo dove maggiormente si risentono gli effetti dell’attività ritenuta vietata (v., analogamente, Trib. Bari 6 maggio 2002, Foro it., 2002, I, 2178).

Invero l’esame della questione relativa alla natura della responsabilità da abuso di dipendenza economica induce a questa conclusione: ed invero l’arbitraria interruzione delle relazioni commerciali e il rifiuto di vendere
id est il rifiuto di contrarre
asseritamente opposti dalla società resistente alla seconda richiesta di fornitura dell’acetato di cellulosa rappresentano comportamenti che si collocano al di fuori dell’area contrattuale e non possono conseguentemente essere fonte di responsabilità contrattuale per l’impresa asseritamente dominante.

A tal uopo, correttamente ad avviso del giudicante, è stato osservato come le fattispecie in esame di rifiuto di contrarre ricadano nell’ambito generale del disposto dell’art. 2043 c.c.; ciò senza che, peraltro, sia ammissibile una loro riconduzione nell’alveo normativo degli art. 1337 ss. c.c. nell’ottica di una sussunzione delle stesse sotto il tipo normativo del recesso ingiustificato dalle trattative.

Di contro si devono evidenziare le differenze strutturali e quindi di funzione che allontanano le ipotesi in esame dai casi di tipica responsabilità precontrattuale: ed invero, se può in via di prima approssimazione affermarsi che l’istituto dell’abuso di  dipendenza economica tuteli l’affidamento di un impresa alla conclusione di un dato contratto
caratterizzato da un asset economico-giuridico equo e conforme a buona fede
allorquando si verifichi una situazione di dipendenza e sudditanza economica rispetto ad altra impresa fornitrice, dall’altra parte deve rilevarsi come diversa sia la fonte dell’affidamento, data nel caso dell’art. 1337 c.c. dall’esistenza di pregresse trattative tra le parti e nel caso dell’art. 9 dal fatto obiettivo della situazione di dipendenza economica sussistente tra due imprese che impone la predisposizione di un rimedio al possibile abuso della stessa in spregio alla buona fede e alle regole di correttezza professionale nei rapporti tra imprenditori.

Ammissibilità ricorso d’urgenza. Residualità e strumentalità. Va quindi esaminata l’ulteriore preliminare questione dell’ammissibilità del ricorso allo strumento cautelare residuale previsto dall’art. 700 c.p.c.

È noto, invero che, in seguito all’introduzione del nuovo procedimento cautelare uniforme, l’indicazione dell’azione di merito da instaurare appare imprescindibile, tanto più nell’ipotesi di domanda cautelare proposta ante causam, com’è quella proposta nella fattispecie in esame.

Ciò non soltanto sulla base del dato testuale, atteso che il nuovo art. 669 bis c.p.c. prevede espressamente la forma del ricorso per la proposizione della domanda cautelare, con conseguente piena applicazione dell’art. 125 c.p.c.; ma soprattutto in base all’interpretazione sistematica della novella, atteso che solo l’indicazione dell’azione di merito cautelanda consente al giudice della cautela il controllo sulla sussistenza della propria competenza, la valutazione della fondatezza del ricorso ed inoltre l’eventuale futura applicazione dell’art. 669 novies c.p.c., in ordine alla sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per mancata instaurazione del giudizio di merito o per estinzione di quest’ultimo.

Preliminarmente, deve rilevarsi come parte ricorrente abbia dedotto di voler esperire un’azione nel merito volta all’«accerta-mento della posizione dominante e comunque della violazione del principio di buona fede nel rapporto commerciale intercorso, con conseguente inibizione della prosecuzione del comportamento abusivo e risarcimento dei gravissimi danni subiti in seguito al fermo della produzione causato dalla mancata fornitura dell’acetato di cellulosa, nonché in seguito alla necessità di ricercare, se possibile e con prevedibili maggiori oneri, un diverso fornitore».

Così descritta l’azione nel merito proponenda
eccezione fatta per il riferimento all’«accertamento della posizione dominante», da ritenersi comunque assorbito nella chiara denunzia di un caso di abuso di dipendenza economica —, può ritenersi che il ricorso alla procedura d’urgenza prevista dall’art. 700 c.p.c. per ottenere, nelle more dell’incoando giudizio di merito, l’ordine alla Beta ... di eseguire l’ordine di acquisto datato 15 aprile 2003 è sicuramente ammissibile sotto un duplice profilo.

In primo luogo risulta rispettata la funzione residuale attribuita ai provvedimenti d’urgenza dall’art. 700 c.p.c., attesa la mancata previsione di uno strumento cautelare specifico e, per altro verso, considerando come il ricorso alla procedura prevista dall’art. 700 c.p.c. deve comunque ritenersi ammissibile
in mancanza di un’espressa limitazione normativa e non potendosi tale limite desumere dal sistema —, anche quando il diritto rispetto al quale si denunzia l’esistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile debba o possa essere fatto valere mediante l’esercizio di un’azione avente natura costitutiva, com’è quella di merito prospettata nel caso in esame (cfr. Cass. 475/56, id., Rep. 1956, voce Provvedimenti di urgenza, n. 16).

Analogamente è
per quanto su esposto
a dirsi sotto il profilo della strumentalità del ricorso rispetto all’azione proponenda nel merito.

Occorre purtuttavia interrogarsi sul se il ricorso
nonché la futura azione nel merito
sia ammissibile pur avendo ad oggetto la condanna ad un facere, quale l’ordine di contrarre e fornire un dato prodotto. Ciò in quanto proprio in relazione ad una fattispecie analoga alla presente il Tribunale di Roma, con ordinanza 12 settembre 2002 (id., 2002, I, 3207) ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso ex art. 700 c.p.c. siccome tendente all’affermazione di un obbligo di adempimento di un facere infungibile, non suscettibile, in quanto tale di esecuzione in forma specifica.

La soluzione prospettata non risulta, ad avviso del giudicante convincente.

In primo luogo si deve ribadire come il provvedimento ex art. 700 c.p.c. abbia ormai assunto, non soltanto una funzione meramente conservativa, ma anche anticipatoria degli effetti del provvedimento di merito, dovendo comunque garantire, attraverso l’adozione di provvedimenti non solo negativi, che assicurino la conservazione del diritto, ma anche di ordini aventi contenuto positivo, che il decorso del tempo necessario per ottenere la sentenza, non crei danni irreparabili ai diritti che sono stati fatti valere, rendendo quindi inutile l’adozione del provvedimento conclusivo del giudizio.

Se, d’altra parte, neppure può revocarsi in dubbio che non possa allo strumento cautelare richiedersi dei beni della vita che non si potrebbero avere neanche per effetto della sentenza nel merito della controversia, mette conto rilevare come nei casi in esame venga in considerazione, alla luce degli interessi sottesi al rapporto giuridico intercorrente tra le parti e le relative esigenze di tutela della parte più debole, obbligo di dare un dato prodotto di sicura fungibilità e di conseguente indubitabile eseguibilità, piuttosto che una condanna ad un facere la cui rilevanza meramente strumentale, servente e accessoria rispetto al bene della vita finale, fungibile, è di intuitiva evidenza.

Merito cautelare. «Fumus boni iuris». Prima di esaminare il caso di specie, mette conto svolgere alcune osservazioni sul nuovo istituto dell’abuso di dipendenza economica introdotto con l’art. 9 l. 18 giugno 1998 n. 192, articolo poi modificato dall’art. 11 l. 57/01.

Recita all’uopo la norma: «È vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, un’impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nell’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.

Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni. Ferma restando l’eventuale applicazione dell’art. 3 l. 10 ottobre 1990 n. 287, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall’art. 15 l. 10 ottobre 1990 n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso».

L’istituto in esame, già ancor prima di essere legislativamente consacrato, ha destato l’interesse della dottrina con una notevole e approfondita serie di contributi, nonché, successivamente alla sua introduzione, un limitato numero di pronunce giurisprudenziali (Trib. Bari 6 maggio 2002, cit.; 2 luglio 2002, ibid., 3208; Trib. Roma 20 maggio 2002, ibid.; 16 agosto 2002, ibid., 3207; 12 settembre 2002, cit.), pur nella comune consapevolezza delle potenzialità dirompenti dell’istituto stesso tanto sotto il profilo pratico ed economico che sotto il profilo sistematico-giuridico.

Un primo ordine di problemi che si è posto è stato innanzitutto quello relativo all’ambito di operatività dell’abuso di dipendenza economica, debitamente considerando come l’art. 9 costituisca parte integrante della legge in materia di subfornitura, sicché, già subito dopo la sua approvazione, da alcuni si è sostenuta la tesi per la quale l’abuso di dipendenza economica non si applichi a tutti i contratti tra imprese, dovendo di contro rilevare solo allorquando ricorra un contratto tipico di subfornitura ai sensi dell’art. 1 l. n. 192 del 1998 (v., in tal senso, Trib. Bari 2 luglio 2002, cit.).

Ora, prescindendo dalla qualificazione del rapporto in esame come rapporto di subfornitura ai sensi della citata legge, va notato come in senso contrario induca, in primo luogo, a ritenere il testo del citato articolo: la sua lettera, infatti, manifesta una singolare differenziazione semantica rispetto a tutta l’impostazione della legge; ciò, debitamente considerando come la legge sulla subfornitura nelle attività produttive abbia, di volta in volta, fatto riferimento, nella individuazione dei rapporti tra imprese destinati ad essere regolamentati dalla legge stessa, alle due nozioni soggettive di committente e di subfornitore ovvero di fornitore, là dove, in modo certamente non casuale e significativo, l’art. 9, al fine di individuare i soggetti protetti dal divieto di abuso di dipendenza economica, ha fatto riferimento ai diversi termini di imprese clienti e imprese fornitrici. Soluzione questa, peraltro, la quale trova una ulteriore conferma nello stesso parere reso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (parere del 10 febbraio 1998) al testo del disegno di legge sulla subfornitura, allorquando l’autorità ricordava che «la norma dell’art. 9 ... costituisce una regola specifica inerente alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti, con finalità che possono prescindere dall’impatto di tali rapporti sull’operare dei meccanismi concorrenziali ... essa non ha alcun riscontro nell’ordinamento comunitario e affonda invece le sue radici nella tematica dell’equilibrio contrattuale e più precisamente nella valutazione del rapporto negoziale tra le parti. Le patologie di questo rapporto trovano rimedio nel divieto e nella conseguente invalidità ... nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole. La loro disciplina pertanto va inquadrata nell’ambito delle norme civilistiche relative alle obbligazioni ai contratti». Peraltro la successiva integrazione del disposto normativo dell’art. 9 con la previsione dell’art. 11 l. 57/01 ha reso ancor più manifesta la natura generale della previsione dell’abuso di dipendenza economica, per il quale il legislatore ha ritenuto necessario prevedere espressamente l’intervento dell’autorità garante nei casi in cui ricorra una situazione di abuso di dipendenza economica nociva anche per l’assetto concorrenziale del mercato, tale da richiedere un intervento più incisivo dell’autorità garante stessa.

Infine, va poi notato come l’unico precedente giurisprudenziale edito in materia che ha mostrato di propendere per un’interpretazione restrittiva e apparentemente rigorosa dell’art. 9, limitando la sua portata al solo caso del contratto di subfornitura (Trib. Bari cit.) non pare debba essere seguito, nella parte in cui afferma apoditticamente che l’art. 9 si applichi solo ai contratti di subfornitura. Ed invero il riferimento contenuto nella citata ordinanza al parametro di parità di trattamento tra situazioni omogenee (contratto di subfornitura/contratto di vendita) sembra scontare un’impostazione pregiudicata proprio dall’indimostrato assunto dell’esclusiva applicabilità del divieto al solo contratto di subfornitura. Così come l’affermazione che il principio di libertà di contrarre, tutelato dall’art. 41 della Carta costituzionale, potrebbe essere derogato solo da norme espresse, aventi natura eccezionale e quindi di stretta interpretazione, presuppone sempre, erroneamente, che l’art. 9 sia stato dettato dal legislatore solo per il contratto di subfornitura e non per tutti i contratti tra imprese, sì da porsi in esito un problema della sua eventuale applicazione analogica.

Di contro proprio il tenore letterale, e null’altro, deve indurre a ritenere, così come unanimemente propone la dottrina specializzata, che l’istituto in esame sia di applicazione generalizzata a tutti i rapporti contrattuali tra imprese aventi natura commerciale, sì da non porsi un problema di applicazione analogica o estensiva dello stesso. Peraltro, procedendo ad una valutazione funzionale dell’istituto, avuto riguardo alla preoccupazione di un’eccessiva incisione sulla libertà contrattuale delle parti, va osservato come la prevalente dottrina abbia segnalato l’importanza e «la gravità» di tale innovazione, attraverso la quale, nell’ambito delle relazioni contrattuali tra imprese, si è introdotto un rimedio normativo allo stato di debolezza e sudditanza economica di una parte imprenditoriale caratterizzato dall’abuso che dello stesso ne faccia la controparte. Istituto quindi, che a buon diritto, nel solco interpretativo tracciato dall’affermazione del centrale ruolo svolto dalla buona fede nella gestione dei rapporti speciali, precontrattuali e contrattuali, si inserisce quale «clausola generale di abuso di potere contrattuale delle relazioni negoziali tra imprese», subito dopo altri significativi interventi normativi (disciplina sulle clausole abusive, legge antiusura).

Tale conclusione permette, in primo luogo, di fare giustizia dell’eccezione di inapplicabilità dell’art. 9 al caso in esame sull’erroneo presupposto della sua limitata operatività alle fattispecie di subfornitura.

Chiarito quindi che l’istituto in esame si applica a tutte le relazioni commerciali tra imprese, le quali si caratterizzino per una situazione di minorata difesa di un’impresa cliente nei confronti dell’impresa fornitrice, in guisa che la prima sia di fatto obbligata ad accettare un eccessivo squilibrio di diritti di obblighi, occorre chiedersi quali siano le ipotesi destinate a ricadere sotto il divieto dell’abuso di dipendenza economica.

Sotto questo profilo va considerata l’eccezione di parte resistente, allorquando rileva che nessun affidamento è stato ingenerato nella ricorrente, debitamente considerando come l’asserito rifiuto di contrarre e provvedere ad una nuova fornitura di acetato di cellulosa è intervenuta solo dopo un’unica altra fornitura di merci, rispetto alla quale, peraltro, proprio essa ricorrente «ha fatto sospirare il pagamento per oltre sei mesi dopo la scadenza pattuita», sicché non sarebbe ravvisabile alcuna violazione del principio di buona fede.

Tali difese, infatti, pongono all’interprete l’ulteriore questione relativa al se l’istituto in esame renda rilevanti e sanzionabili esclusivamente gli abusi perpetrati in presenza di relazioni commerciali attualmente esistenti ovvero se debbano anche rilevare quei rapporti commerciali che si trovino ancora ad uno stato meramente potenziale o comunque si caratterizzino per un unico pregresso rapporto commerciale, come nel caso di specie. In tal senso il problema del c.d. new comer (ovvero dell’impresa appena entrata sul mercato) è stato da alcuni autori affrontato nel senso che l’art. 9 richiederebbe la presenza di pregresse relazioni commerciali al fine di evitare un condizionamento eccessivo per le scelte imprenditoriali delle imprese medio grandi. Si sostiene in altri termini che il rifiuto di vendere o di comprare debba essere configurato con un’ipotesi di rifiuto a contrarre opposto dopo la naturale scadenza di un precedente contratto e che l’arbitraria interruzione delle relazioni commerciali sanzioni solo i casi di recesso abusivo dal contratto nelle ipotesi in cui la facoltà di recesso sia stata riconosciuta a favore dell’impresa in posizione di forza in virtù di un’apposita previsione pattizia.

Tale tesi, ad avviso del giudicante, non può essere accolta, in quanto introduce un’ingiustificata limitazione oggettiva dell’ambito operativo dell’istituto in esame: infatti, in prima battuta, non v’è dubbio che non si possa fare riferimento ad alcuna valutazione o esigenza di politica legislativa, la quale non sia stata chiaramente consacrata nel testo di legge. In secondo luogo risulta poco significativo il richiamo al dato letterale dell’art. 9, là dove fa riferimento ai «rapporti commerciali con un’altra impresa», in quanto il riferimento al rapporto commerciale è con buona evidenza voluto dal legislatore al solo fine di individuare il parametro oggettivo alla luce del quale valutare il potere dell’impresa di determinare un eccessivo squilibrio. Ciò senza omettere di considerare che proprio la lettera della legge, là dove distingue arbitraria interruzione dei rapporti contrattuali e rifiuto di vendere o comprare, chiarisce in modo non equivocabile che il legislatore abbia effettivamente pensato anche a casi di impresa entrante o di rapporti commerciali tra imprese appena agli inizi e comunque di non lunga durata.

Per il vero sembra che la predetta opinione
laddove sostiene che il giudizio di disvalore dell’ordinamento giuridico in cui si traduce la sanzione dell’abuso interessi esclusivamente quei contratti di durata che intanto meritano protezione in quanto presuppongono e stimolano rapporti interimprenditoriali tramite investimenti dedicati
sembra confondere una parte
naturale, ma non esclusiva di ambito oggettivo di operatività dell’istituto in esame
con l’intero novero dei casi in cui comunque, indipendentemente dalla durata della relazione commerciale o del contratto, ricorre una situazione di dipendenza economica che porta ad uno squilibrio degli obblighi tra le parti.

Segue che, per l’istituto in esame, il contraente debole ben può preesistere alla relazione commerciale ovvero al rapporto contrattuale all’interno del quale si innesta la fattispecie di abuso. Tanto, senza con ciò che si voglia escludere l’incontestabile rilievo per cui l’esistenza di rapporti contrattuali di durata, i quali determinino reciproci gli affidamenti e giustifichino investimenti specifici e dedicati sul presupposto del mantenimento di una data relazione commerciale caratterizzata, secondo buona fede, da un certo equilibrio tra i diritti e gli obblighi che le parti hanno reciprocamente assunto, costituisce certamente un campo di elezione per il verificarsi di fenomeni di c.d. estorsione postcontrattuale da parte del soggetto forte del rapporto, e ciò prescindendo dal grado di concorrenza l’idea del mercato stesso. A tal uopo non a caso è stato condivisibilmente affermato come la definizione di dipendenza economica accolta dall’art. 9 debba essere colta alla luce del concetto di dominio relativo dei rapporti verticali tra imprese, funzionale al controllo di situazioni di potere non rientranti nella tradizionale nozione di posizione dominante assoluta (siccome dipendenti da circostanze diverse da quelle strutturali di conformazione del mercato di riferimento: si pensi alle c.d. dipendenze da assortimento, da penuria e della dipendenza del fornitore e dell’impresa); ciò nel senso che si è inteso dare rilievo al potere di dominio che un’impresa esercita sull’altra in conseguenza del peculiare atteggiarsi dei rapporti commerciali tra le due imprese, e ciò tanto che l’impresa cliente abbia già in precedenza instaurato con l’impresa fornitrice un consolidato rapporto contrattuale quanto nel caso in cui invece tale rapporto non preesista.

Venendo quindi all’individuazione di elementi costitutivi della fattispecie di abuso di dipendenza economica non è dubbio che i due termini di paragone che l’interprete è chiamato ad esaminare siano costituiti, in primo luogo, dal presupposto dell’esistenza di una situazione di dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice e, in secondo luogo, dal consequenziale abuso che di detta situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi.

Quanto al primo dei due elementi anzi indicati, e cioè la dipendenza economica, l’art. 9, dopo avere precisato che la dipendenza economica si ha quando un’impresa in grado di determinare nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti di obblighi, precisa che la dipendenza economica va valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti e che l’abuso può ben consistere nel rifiuto di vendere un rifiuto di comprare nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie e nell’arbitraria interruzione delle relazioni commerciali in atto.

In tal senso il riferimento alla reale possibilità per la parte che ha subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti riveste un centrale rilievo nel caso di specie, debitamente considerando come parte ricorrente lamenta l’abusivo rifiuto di contrarre opposto dalla società resistente proprio in ragione dell’essere asseritamente la stessa l’unica venditrice in Italia di una componente chimica fondamentale per il proprio processo produttivo. Assume cioè la ricorrente che la situazione di dipendenza economica che la legherebbe indissolubilmente nel breve medio periodo alla società resistente sarebbe costituita da una dipendenza dell’impresa di tipo merceologico-produttivo non suscettibile di essere nel breve periodo sostituita in altro modo, debitamente considerando come quel particolare tipo di acetato di cellulosa (caratterizzato da una precisa percentuale di vischiosità) necessario per il proprio processo produttivo sarebbe commercializzato in Italia solo dalla società resistente (in tal senso facendosi implicito riferimento ai c.d. investimenti sul processo produttivo di tipo dedicato e idiosincratico).

Orbene di tale asserita situazione di dipendenza merceologico-produttiva nessuna convincente, seppur sommaria, prova è stata fornita dalla società ricorrente, tanto sotto il profilo della inesistenza di reali e valide alternative sul mercato ai prodotti commercializzati dalla società resistente (e ciò a fronte dell’espressa eccezione di parte resistente che espressamente ha eccepito la mancata dimostrazione dell’irreperibilità altrove del prodotto o la sua asserita posizione dominante, nonché delle ulteriori precisazioni contenute nella memoria autorizzata di replica, là dove Beta richiama altri prodotti analoghi a quello richiesto dalla ... System s.r.l.) quanto relativamente alla
solo asserita
organizzazione del proprio processo produttivo secondo specifiche tecniche tali da necessitare in via esclusiva quel particolare e dato prodotto commercializzato dalla società resistente stessa (anche qui Beta eccepisce l’esistenza di altre aziende che operano nello stesso ambito merceologico
filtri ...i
della ... System ricorrendo anche al triacetato di cellulosa piuttosto che all’acetato di cellulosa).

«Periculum». Richiamato quanto sin qui osservato in punto di fumus boni iuris, va rilevato come in punto di pregiudizio grave e irreparabile il ricorrente si è limitato al piano della mera affermazione labiale, soffrendo le difese spiegate del difetto
per vero frequentemente riscontrabile nella prassi al pari di quanto accade per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive immediatamente qualificabili come assolute
di svilire il requisito del pregiudizio irreparabile ritenendolo incomprensibilmente in re ipsa e quindi sempre sussistente al solo, asserito, verificarsi della lesione. Basterebbe, cioè, per rifarsi al caso di specie, ancorare gli effetti dell’abusivo rifiuto di contrarre inun’asserita situazione di dipendenza economica destinato ad incidere su diritti relativi  alle difficoltà di sopravvivenza economica dell’impresa asserita creditrice (e prospettarne eventualmente e di conseguenza una possibile decozione, prodromica all’instaurazione di future procedure concorsuali) per trasformare una situazione lesiva in sé produttiva di meri danni patrimoniali monetizzabili ex post nel pregiudizio irreparabile imposto dall’art. 700 c.p.c.

In realtà, anche in tali casi, la tutela d’urgenza non può prescindere dall’accertamento in concreto del periculum in mora che non può essere implicitamente, sempre, ritenuto sussistente, ma che presuppone il positivo riscontro delle situazioni di fatto utili ad integrare il pregiudizio irreparabile imposto dalla norma. Occorre, quindi, che alla deduzione labiale segua la concreta dimostrazione dell’irreparabilità delle possibili conseguenze legate alla mancata adozione del provvedimento cautelare attraverso l’indicazione di validi e concreti indici dai quali poter desumere, in termini di piena oggettività, la consistenza del nocumento legato all’inadempimento o al comportamento illecito della controparte.

Nella specie, parte ricorrente ha fatto apodittico riferimento al blocco totale della produzione per esaurimento del componente essenziale acetato di cellulosa e la conseguente impossibilità di onorare le commesse ricevute e di far fronte agli impegni finanziari assunti.

Di queste circostanze, tutte senza dubbio alcuno egualmente in ipotesi significative del pregiudizio imminente di un danno grave e irreparabile, però non è stata fornita alcuna prova, anche a fronte dell’espressa contestazione sul punto posta dalla resistente.

Segue il rigetto del ricorso cautelare.


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27.11.2007 Spataro

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